N. 205 SENTENZA 7 - 22 ottobre 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Famiglia e filiazione - Indennita' di maternita' - Spettanza alla
madre libera professionista, in caso di adozione nazionale, solo se
il bambino non abbia superato i sei anni di eta'.
- Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge
8 marzo 2000, n. 53), art. 72, nella versione antecedente alle
novita' introdotte dall'art. 20 del decreto legislativo 15 giugno
2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di
vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della
legge 10 dicembre 2014, n. 183).
-
(GU n.43 del 28-10-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 72 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale ordinario di Verbania nel
procedimento vertente tra P.S.C. e la Cassa nazionale di previdenza
ed assistenza ragionieri e periti commerciali, con ordinanza del 30
giugno 2014, iscritta al n. 183 del registro ordinanze 2014 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima
serie speciale, dell'anno 2014.
Visto l'atto di costituzione di P.S.C.;
udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
udito l'avvocato Lorenzo Bertaggia per P.S.C.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 30 giugno 2014, iscritta al n. 183 del
registro ordinanze 2014, il Tribunale ordinario di Verbania, in
funzione di giudice del lavoro, solleva, in riferimento agli artt. 3,
primo comma, 31, secondo comma, e 37, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 72
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui, per il caso di adozione
nazionale, concede l'indennita' di maternita' alla madre libera
professionista solo se il bambino non abbia superato i sei anni di
eta'.
Il giudice rimettente espone di dover valutare la legittimita'
del diniego che la giunta esecutiva della Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti
commerciali, con provvedimento del 12 settembre 2013, confermato il
29 novembre 2013 dal consiglio di amministrazione della stessa Cassa
di previdenza, ha opposto alla richiesta di P.S.C. di beneficiare
dell'indennita' di maternita'.
Il giudice a quo, in particolare, e' investito del ricorso
proposto il 25 febbraio 2014 dalla professionista, che ha dedotto di
essere iscritta dal 3 febbraio 2006 alla Cassa nazionale di
previdenza e di avere presentato a quest'ultima, il 24 luglio 2013,
una domanda volta a conseguire l'indennita' di maternita'.
A fondamento dell'istanza, la ricorrente ha prodotto il decreto
del 15-18 maggio 2013, con cui il Tribunale per i minorenni del
Piemonte e della Valle d'Aosta ha disposto in favore suo e del
coniuge, a decorrere dal 28 febbraio 2013, l'affidamento preadottivo
del minore D., nato il 14 luglio 2005.
La ricorrente denuncia l'illegittimita' e il carattere
discriminatorio del provvedimento di rigetto, incentrato sul rilievo
che il minore avesse gia' compiuto il sesto anno di eta' «all'atto di
ingresso nel nucleo familiare».
La Cassa nazionale di previdenza si e' costituita nel giudizio
principale, per eccepire preliminarmente la tardivita' della domanda
amministrativa, presentata il 24 luglio 2013, allorche' sarebbe gia'
inutilmente trascorso il termine perentorio di centottanta giorni,
che decorre dall'ingresso del minore nel nucleo familiare
affidatario.
La parte resistente, inoltre, ha contestato la fondatezza della
domanda, in quanto, dell'indennita' in questione, la madre puo'
beneficiare solo se il minore non abbia superato i sei anni di eta'.
A fronte di tali eccezioni preliminari, la ricorrente ha
replicato che solo il decreto di affidamento preadottivo legittima a
richiedere l'indennita' di maternita' e che, nella specie, tale
decreto, pronunciato il 15 maggio 2013, sancisce la decorrenza
dell'affidamento preadottivo dal 28 febbraio 2013.
Alla stregua di tali considerazioni, dunque, la domanda sarebbe
tempestiva.
Il giudice rimettente assume che la normativa sull'indennita' di
maternita', nel prevedere il limite dei sei anni di eta' del bambino
soltanto per la madre libera professionista che ricorra all'adozione
nazionale, contravvenga al fondamentale canone di eguaglianza e al
principio di tutela della maternita' e dell'infanzia.
Quanto al primo profilo, il giudice a quo evidenzia che, soltanto
per la madre libera professionista che scelga la via dell'adozione
nazionale, permane quel limite dei sei anni di eta' del bambino, che
il legislatore ha superato per i lavoratori dipendenti (legge 24
dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2008») e
la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo per la madre libera
professionista, che opti per l'adozione internazionale (sentenza n.
371 del 2003).
Tale disparita' di trattamento sarebbe priva di ogni ragion
d'essere, anche alla luce della «notevole durata», che
contraddistingue la procedura di adozione nazionale e implica di
frequente, allorche' interviene il decreto di affidamento
preadottivo, il superamento del limite dei sei anni di eta' del
bambino.
La normativa impugnata, inoltre, sarebbe disarmonica rispetto ai
precetti costituzionali, che impongono di «supportare in modo
effettivo le famiglie e soprattutto le donne, le quali si trovano a
sostenere l'arduo compito di far coesistere il loro ruolo di
lavoratrici con quello di madri e di conseguire l'interesse dei
minori, i quali hanno diritto ad una crescita serena».
L'interesse dei minori - soggiunge il giudice rimettente - non e'
meno meritevole di tutela nella procedura di adozione nazionale, che
registra, al pari della procedura di adozione internazionale,
difficolta' e «problematiche sociali e psicologiche» anche quando il
minore abbia superato i sei anni di eta'.
In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che e' proprio
la disposizione censurata, dal tenore letterale insuperabile in via
di interpretazione costituzionalmente compatibile, a precludere
l'accoglimento della domanda.
2.- Nel giudizio e' intervenuta P.S.C., chiedendo l'accoglimento
della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
Tribunale ordinario di Verbania.
La norma, ad avviso della parte intervenuta, riserverebbe un
trattamento deteriore alle madri libere professioniste che scelgono
le procedure dell'adozione nazionale, rispetto alle madri lavoratrici
dipendenti e autonome, per un verso, e, per altro verso, rispetto
alle madri libere professioniste che ricorrono all'adozione
internazionale.
La norma, inoltre, violerebbe il diritto del minore a godere
della presenza effettiva della madre, nel momento delicato
dell'inserimento in un nuovo nucleo familiare, e vanificherebbe
quella finalita' di tutela del minore, che il legislatore persegue
con l'istituire tali provvidenze.
La parte intervenuta, quanto all'eccezione di tardivita' della
domanda, ha ribadito che il termine di centottanta giorni decorre
dallo stabile ingresso del minore nel nucleo familiare, avvenuto il
28 febbraio 2013, come attesta lo stesso decreto di affidamento
preadottivo.
3.- In prossimita' dell'udienza, la parte intervenuta ha
depositato una memoria illustrativa, ripercorrendo le tappe salienti
della legislazione, fino alle novita' introdotte dal decreto
legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle
esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1,
commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), inapplicabile
ratione temporis alla vicenda controversa.
All'esito di tale analisi, la parte intervenuta ha posto
nuovamente in risalto la mancanza di ogni apprezzabile ragione
giustificatrice del diverso trattamento riservato alla madre libera
professionista in caso di adozione nazionale, rispetto all'ipotesi di
adozione internazionale, e delle differenze che ancora intercorrono,
per l'ipotesi di adozione nazionale, tra il trattamento della madre
libera professionista e quello della madre lavoratrice dipendente o
della madre lavoratrice autonoma iscritta alla gestione separata
presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Verbania, in funzione di giudice
del lavoro, sospetta di illegittimita' costituzionale l'art. 72 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53).
La norma censurata, per l'ipotesi di adozione nazionale, accorda
l'indennita' di maternita' alla libera professionista, a condizione
che il bambino non abbia superato i sei anni di eta'.
Con riguardo a tale limite di eta', il giudice rimettente
prospetta, in primo luogo, la violazione del principio di eguaglianza
(art. 3, primo comma, Cost.) e lamenta l'irragionevole disparita' di
trattamento della madre libera professionista, che proceda
all'adozione nazionale, rispetto alla madre libera professionista,
che scelga la via dell'adozione internazionale, e alla madre
lavoratrice dipendente, che abbia dato impulso alla procedura di
adozione nazionale.
Solo la madre libera professionista, che decida di adottare un
bambino di nazionalita' italiana e rivendichi l'indennita' di
maternita', e' assoggettata al limite dei sei anni di eta' del
bambino.
Una tale singolarita' sarebbe priva di ogni ragione
giustificatrice, anche in considerazione della «notevole durata»
della procedura di adozione nazionale, non meno laboriosa e
problematica dell'adozione internazionale.
Non e' infrequente, difatti, che il decreto di affidamento
preadottivo, indispensabile per accedere al beneficio, sopraggiunga
quando il bambino ha gia' compiuto i sei anni di eta'.
La disciplina impugnata, per altro verso, confliggerebbe con i
principi di tutela della maternita' e dell'infanzia (art. 31, secondo
comma, Cost.) e di speciale adeguata protezione, assicurata dalla
Carta fondamentale alla donna lavoratrice e al bambino (art. 37,
primo comma, Cost.).
La limitazione normativa sarebbe lesiva dei diritti della donna
lavoratrice, chiamata a conciliare il ruolo di madre con il ruolo di
lavoratrice, e del diritto del minore a una «crescita serena», che
non e' meno bisognoso di protezione nell'ipotesi di adozione
nazionale e di superamento del sesto anno di eta'.
2.- La questione e' fondata.
3.- Sul presente giudizio non incidono le novita' introdotte dal
decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la
conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in
attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre
2014, n. 183).
Come si evince dalla relazione illustrativa che accompagna il
decreto, la normativa si prefigge di armonizzare la disciplina
dell'indennita' di maternita' e di recepire le indicazioni della
giurisprudenza di questa Corte, anche con riferimento al limite di
eta' del bambino adottato.
In tale quadro si inscrive l'art. 20 del d.lgs. n. 80 del 2015,
che, con previsione di carattere generale, svincola l'erogazione
dell'indennita' dal requisito del mancato superamento dei sei anni di
eta' del bambino.
Per effetto della norma transitoria dell'art. 28, tale disciplina
si applica soltanto a partire dal 25 giugno 2015, giorno successivo a
quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana.
Le novita' normative, che non dispiegano alcuna influenza sul
giudizio in corso, non alterano, pertanto, i termini della questione
e non richiedono che il giudice rimettente rinnovi la valutazione di
rilevanza che ha compiuto, con motivazione articolata e convincente,
anche con riguardo alle questioni preliminari sulla tempestivita'
della domanda.
4.- La soluzione del dubbio di costituzionalita' non puo'
prescindere dall'inquadramento delle finalita' dell'istituto,
crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti (artt. 31,
secondo comma, e 37, primo comma, Cost.).
Nell'indennita' di maternita', all'originaria funzione di tutela
della donna, scolpita nella stessa denominazione del beneficio, si
affianca una finalita' di tutela dell'interesse del minore, che
l'opera del legislatore e dell'interprete ha enucleato in maniera
sempre piu' nitida.
E' proprio tale finalita' che ispira, sul versante legislativo,
la progressiva estensione del trattamento di maternita' anche alle
ipotesi di affidamento e adozione.
Tale estensione, dapprima circoscritta alle madri lavoratrici
dipendenti (art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, in tema di
«Parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»), ha
coinvolto successivamente le madri lavoratrici autonome (art. 2,
comma 2, della legge 29 dicembre 1987, n. 546, che racchiude la
disciplina della «Indennita' di maternita' per le lavoratrici
autonome») e le madri libere professioniste (art. 3, comma 1, della
legge 11 dicembre 1990, n. 379, avente ad oggetto la «Indennita' di
maternita' per le libere professioniste»).
La tutela del preminente interesse del minore traspare anche
dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha contribuito a definirne
i multiformi contenuti (da ultimo, sentenza n. 257 del 2012, in
merito alla modulazione temporale del trattamento di maternita' delle
lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2, comma
26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, recante «Riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare», che abbiano adottato o
avuto in affidamento preadottivo un minore).
In questa prospettiva, l'interesse del minore, che trascende le
implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre, reclama
una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e
armonico sviluppo della personalita'.
Nel caso di affidamento e di adozione, tali esigenze si
atteggiano come necessita' di assistenza nella delicata fase
dell'inserimento in un nuovo nucleo familiare.
Proprio per questa nuova pienezza di significato, che trae
ispirazione e coerenza dai precetti costituzionali, l'interesse del
minore non puo' patire discriminazioni arbitrarie, legate al dato
accidentale ed estrinseco della tipologia del rapporto di lavoro
facente capo alla madre o delle particolarita' del rapporto di
filiazione che si instaura.
Inquadrato in tali coordinate, il beneficio dell'indennita' di
maternita' costituisce attuazione del dettato costituzionale, che
esige per la madre e per il bambino «una speciale adeguata
protezione» (art. 37, primo comma, Cost.).
E' questa stessa formulazione letterale, non priva di enfasi, che
illumina di significati il principio enunciato dalla Costituzione.
La specialita' e l'adeguatezza della protezione non sono aspetti
irrelati ed eterogenei, che possano essere disgiunti l'uno
dall'altro.
L'assenza di congiunzioni tra i due aggettivi "speciale" e
"adeguata" dimostra che si tratta di profili inscindibili, che si
compenetrano e si rafforzano a vicenda.
L'adeguatezza della tutela non puo' che essere valutata al banco
di prova della specificita' della posizione di chi dovra'
beneficiarne.
Inoltre, nell'affermare l'esigenza di una tutela incisiva, la
Carta fondamentale associa la madre e il bambino e sceglie di
collocarli in un orizzonte comune.
Anche il punto di vista della tutela, pertanto, non puo' che
rispecchiare e rispettare l'unicita' della relazione esistenziale che
lega la madre al bambino.
L'indennita' di maternita' e' emblematica dell'indissolubile
intreccio d'interessi della madre e del minore, che presuppongono,
anche secondo il dettato costituzionale, una considerazione unitaria.
5.- La normativa censurata si discosta dai principi
costituzionali richiamati.
Nel negare l'indennita' di maternita' soltanto alle madri libere
professioniste che adottino un minore di nazionalita' italiana,
quando il minore abbia gia' compiuto i sei anni di eta', la
disciplina si pone in insanabile contrasto con il principio di
eguaglianza e con il principio di tutela della maternita' e
dell'infanzia, declinato anche come tutela della donna lavoratrice e
del bambino.
Quanto al primo profilo, la normativa impugnata e' foriera di una
discriminazione arbitraria a danno della libera professionista che
adotti un minore di nazionalita' italiana.
Soltanto per tale fattispecie la disciplina in esame continua a
subordinare il godimento dell'indennita' a un limite (i sei anni di
eta' del minore), che e' stato gia' superato dal legislatore per le
madri lavoratrici dipendenti (art. 2, comma 452, della legge 24
dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008»
in tema di congedo di maternita') e da questa Corte, con la sentenza
n. 371 del 2003, per le madri libere professioniste che privilegino
l'adozione internazionale.
La singolarita' del trattamento riservato alla libera
professionista che opti per l'adozione nazionale e' carente di ogni
giustificazione razionale, idonea a dar conto del permanere, soltanto
per questa fattispecie, di un limite rimosso per tutte le altre
ipotesi.
Nel corso di questo giudizio, che non ha visto intervenire il
Presidente del Consiglio dei ministri, non sono state addotte
giustificazioni a sostegno di tale trattamento difforme e non e'
senza significato che, all'incongruenza segnalata, il legislatore
abbia successivamente posto rimedio, con l'art. 20 del d.lgs. n. 80
del 2015.
Non vi e' ragione di condizionare al limite dei sei anni di eta'
del figlio l'erogazione del beneficio soltanto alle madri che
adottino un minore di nazionalita' italiana. Cio' rende il contrasto
con il principio di eguaglianza ancora piu' stridente, poiche',
determinando diversificazioni sprovviste di una precisa ragion
d'essere, si pregiudica a un tempo l'interesse della madre e del
minore e la funzione stessa dell'indennita' di maternita', da
riconoscersi senza distinzioni tra categorie di madri lavoratrici e
tra figli.
Vi e' inoltre da considerare che la posizione della madre e del
minore di nazionalita' italiana non risulta meno meritevole di tutela
per il solo fatto che il minore abbia superato i sei anni di eta',
nel momento in cui il decreto di affidamento preadottivo interviene a
formalizzarne l'ingresso nel nucleo familiare.
L'inserimento del minore nella nuova famiglia non e' meno arduo e
bisognoso di «una speciale adeguata protezione» se il minore e' di
nazionalita' italiana e per il dato contingente, e legato a fattori
imponderabili, che il minore abbia superato i sei anni di eta'.
Nel limitare la concessione di un beneficio, che tutela il
preminente interesse del minore, la norma censurata si traduce, in
ultima analisi, in una discriminazione pregiudizievole non solo per
la madre libera professionista che imbocchi la strada dell'adozione
nazionale, ma anche e soprattutto per il minore di nazionalita'
italiana, coinvolto in una procedura di adozione.
Da tali considerazioni discende l'illegittimita' costituzionale
della norma, per violazione di tutti i parametri evocati dal giudice
rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 72 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della
paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n.
53), nella versione antecedente alle novita' introdotte dall'art. 20
del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la
conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in
attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre
2014, n. 183), nella parte in cui, per il caso di adozione nazionale,
prevede che l'indennita' di maternita' spetti alla madre libera
professionista solo se il bambino non abbia superato i sei anni di
eta'.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 ottobre 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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