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giovedì 2 dicembre 2010

Sicurezza/Ok Aula Camera a dl, ma è scontro su risorse a polizia

Apc-*Sicurezza/Ok Aula Camera a dl, ma è scontro su risorse a polizia
Pdl ritira emendamento finanziamenti. Testo passa al Senato

Roma, 2 dic. (Apcom) - L'Aula della Camera ha approvato il
decreto sicurezza. I sì sono stati 299, 9 i no, astenuti gli
altri. Il Pd si è astenuto spiegando che col testo, che ora passa
all'esame del Senato, "sono stati fatti passi avanti" ma "serviva
più coraggio".

Nonostante l'ampia maggioranza con cui è stato approvato il
provvedimento, non mancano le critiche al testo che per
l'opposizione rappresenta "un'occasione sprecata" soprattutto per
il mancato finanziamento alla specificità delle forze di polizia:
l'emendamento che andava in questa direzione, messo a punto da
Beatrice Lorenzin (Pdl), e condiviso da tutti i gruppi è stato
infatti ritirato. Una mossa "gravissima" anche secondo Futuro e
Libertà.

Il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano ha spiegato che
"in presenza di tagli a tutti i settori dello Stato, il governo
ha comunque mantenuto un'attenzione particolare al settore della
sicurezza in sede di manovra economica con l'istituzione di un
fondo che per il 2011 e per il 2012 prevede uno stanziamento di
80 milioni. Prima ancora era stato istituito il fondo unico
giustizia con risorse che ammontano a 2 miliardi e 200 milioni di
euro, di cui il 49% è destinato al Viminale, il 49% al ministero
della Giustizia e il 2 al bilancio dello Stato". Quanto al
finanziamento della specificità, ha informato Mantovano, "sono
necessari degli approfondimenti tecnici che non mancheranno nelle
prossime settimane". La norma sulla specificità delle forze di
polizia, ha precisato il Pdl Giuliano Cazzola, era contenuta nel
collegato lavoro ed è entrata in vigore il 24 novembre scorso:
"Mi sembra giustificato un governo che in sette giorni non riesce
a finanziare una norma".

Secondo il democratico Marco Minniti maggioranza e governo dicono
il falso perché "la specificità non è stata introdotta da questo
governo ma con un largo voto parlamentare nel '99 da un governo
di centrosinistra. Avete fatto contratti con i soldi stanziati da
noi, voi non avete messo una lira". Quanto alle cifre date da
Mantovano, Minniti commenta: "Fate il gioco delle tre carte,
parlate di miliardi di euro ma per la benzina nelle macchine
della polizia non c'è una lira. Dovreste vergognarvi e chiedere
scusa".

Luc

021358 dic 10

SICUREZZA. LITE SU RISORSE POLIZIA, PD-UDC: MARONI PRENDE IN GIRO MAGGIORANZA RITIRA IN AULA CAMERA UN EMENDAMENTO PER NUOVI FONDI



(DIRE) Roma, 2 dic. - Un emendamento, prima concordato in
commissione e poi ritirato in aula, provoca la reazione delle
opposizioni sul decreto sicurezza. Durante l'esame del
provvedimento alla Camera, i relatori, entrambi Pdl, decidono di
non far mettere in votazione una proposta di modifica
all'articolo 10 (originariamente Pdl-Fli, poi avallata da tutti i
gruppi) che avrebbe concesso ulteriori risorse economiche alle
forze dell'ordine.
Il deputato Pd, Emanuele Fiano, interviene in aula per
accusare il governo: "Avete illuso i rappresentanti della polizia
promettendo i soldi e ora non li date. Lei, ministro Maroni, i
soldi non li ha avuti da Tremonti per metterli nel comparto
sicurezza. La Lega e il governo prendono in giro i tutori delle
forze dell'ordine".
La formulazione di questo emendamento all'articolo 10 ('Misure
urgenti per il rafforzamenti della funzionalita' del ministero
dell'Interno') e' stata tortuosa fin dalla sua presentazione. La
commissione Bilancio, anche sulla base di una relazione tecnica
del governo, aveva dato parere negativo per problemi di
copertura. L'emendamento era stato cosi' dichiarato inammissibile
dalla presidenza della Camera. Poi, su sollecitazione dei gruppo,
era stato riammesso in aula. Oggi il ritiro.
Dall'Udc, Mario Tassone, sottolinea: "Non c'e' la volonta' di
dare un soldo e un riconoscimento alle forze dell'ordine. Questa
e' una volonta' politica, una scelta precisa. Non veniteci a dire
che ci sono problemi di bilancio. Se ci sono, allora evitiamo di
fare decreti legge e di fare promesse perche' cosi' si
mortificano le forze di polizia".

(Mar/ Dire)
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CIRCOLAZIONE STRADALE – GUIDA IN STATO DI EBBREZZA - TASSO ALCOOLEMICO - SUPERAMENTO DELLE SOGLIE DI PUNIBILITA' - VALORI CENTESIMALI - RILEVANZA

CIRCOLAZIONE STRADALE – GUIDA IN STATO DI EBBREZZA - TASSO ALCOOLEMICO - ART. 186, COMMA 1, LETT. A), COD. STRADA - DEPENALIZZAZIONE - CONSEGUENZE

E’ un’iniziativa piuttosto impattante e cruenta quella ideata dalla polizia tailandese per combattere la guida in stato di ebbrezza.
Nelle vicinanze di locali notturni e scuole sono stati ricreati degli incidenti con lo scopo di fare da deterrente nei confronti di chi alza troppo il gomito.
Ad ogni modo la domanda che si fa Quanteruote è corretta:
“Non si tratta di una fonte di distrazione per i guidatori, anche sobri, che circolano nelle vicinanze?”
Guida in stato di ebbrezza: falsi incidenti a far da monito 

Politica - ultimi sondaggi ore 11,30 del 2 dicembre 2010





FLI: GENERAZIONE ITALIA, FLI ALL'8,2, BERLUSCONI SEMPRE PIU' GIU' =
(AGI) - Roma, 2 dic - "Futuro e Liberta' stabile sopra quota
8%: l'ultima rilevazione fornita da Crespi Ricerche in
esclusiva per Generazione Italia vede FLI all'8,2%. Popolo
della Liberta' al 26,3%, Pd fermo al 23. In calo la Lega, che
scende al 12,2. Salgono invece Udc (6,7), Sinistra ecologia e
Liberta' (7,2) e Italia dei Valori (6,7). Indecisi sempre
primo partito, con il 36%. Il gradimento di Berlusconi scende
al 34, distante tre punti da quello del Governo, che scende a
quota 37. Tra i leader politici guida sempre Gianfranco Fini
(44%), seguito da Bersani, Vendola (entrambi al 36) e Casini
(34)". Lo scrive il Direttore di Generazione Italia, Gianmario
Mariniello, sul sito dell'associazione finiana.
"Quasi l'80% degli elettori di FLi vuole la sfiducia di
Berlusconi - scrive Mariniello - a fronte del 55,5% del
campione totale. Solo l'8,3% del campione di FLI vuole che
venga votata la fiducia al Premier".
"E poi c'e' la questione della Riforma Universitaria. Per
il 31,9% degli elettori, il ddl Gelmini "ha molti limiti, ma ha
introdotto delle interessanti novita' e dei miglioramenti",
mentre per il 28,6% si tratta di "una buona riforma, speriamo
che venga applicata". Poi ci sono i contrari: per il 30,8%
degli italiani "e' una pessima riforma, peggiora la situazione
nelle universita'". Non sa/non risponde l'8,7% del campione.
Gli italiani guardano con simpatia, invece, le proteste degli
studenti: per il 50,7% sono "legittime, testimoniano un piu'
ampio disagio dei nostri giovani", mentre il 23,4% degli
italiani ritiene le manifestazioni di questi giorni
"pretestuose, i ragazzi devono pensare a studiare". Alto,
infine, il numero degli indecisi riguardo la riforma: 25,9%",
conclude Mariniello.(AGI)
Lam
021056 DIC 10

NNNN

MALTEMPO: ALLERTA TEVERE, POLIZIA FLUVIALE PERLUSTRA RIVE





PER INDIVIDUARE PERSONE A RISCHIO E OGGETTI IN ACQUA
(ANSA) - ROMA, 2 DIC - E' ancora stato di allerta per il
possibile innalzamento del livello delle acque del Tevere, a
Roma, dopo le abbondanti piogge degli ultimi giorni. La Questura
ha intensificato i servizi della polizia fluviale, (coordinata
dal vice questore Aggiunto Lucia Muscari). Si perlustrano le
rive del fiume, per individuare l'eventuale presenza di senza
fissa dimora, preservandone cosi' l'incolumita'.
Tra i compiti della polizia fluviale anche la verifica della
presenza di oggetti pericolosi in acqua. Un'attivita' integrata
da quella degli equipaggi delle volanti, coordinati dal vice
questore aggiunto Eugenio Ferraro, che si occupano di
controllare i punti critici per il livello delle acque
attraverso il monitoraggio dei ponti, anche in questo caso, per
verificare la presenza di passanti che possano accedere alle
aree a rischio.
''L'attivita' di controllo - si legge in una nota della
questura - viene effettuata in stretto raccordo con la
Protezione civile del Campidoglio, coordinata da Tommaso
Profeta, e la Prefettura, garantendo un costante flusso
informativo in grado di ottimizzare la modulazione dei servizi
in base all'evolversi degli scenari''. (ANSA).

PGL-PGL
02-DIC-10 10:06 NNNN

Reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato

CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 343 del 26/11/2010
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, promossi dal Giudice di pace di Albano Laziale con quattro ordinanze del 5 novembre 2009, dal Giudice di pace di Cuorgnè con ordinanza del 30 novembre 2009 e dal Giudice di pace di Albano Laziale con ordinanza del 24 marzo 2010 e con tre ordinanze del 5 maggio 2010 rispettivamente iscritte ai nn. da 67 a 70, 124, 172, da 197 a 199 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 18, 24 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che con quattro ordinanze identiche nella parte motiva (R.O. n. 67, n. 68, n. 69 e n. 70 del 2010), emesse tutte il 5 novembre 2009, il Giudice di pace di Albano Laziale, nell’ambito di distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 10, 24, 25, 27, 97, 102, 111 e 112 della Costituzione;
che il giudice a quo, in tutte le ordinanze, premette in fatto di dover giudicare cittadini extracomunitari, imputati del reato di «ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
che, in particolare, il rimettente afferma che l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009 ha introdotto nel d.lgs. n. 286 del 1998 l’art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, sanzionando con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007 n. 68»;
che, a parere del giudice rimettente, la nuova norma incriminatrice è in contrasto innanzitutto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. inteso sia come necessità di diverso trattamento di situazioni differenti, sia come necessità di pari trattamento di situazioni simili;
che tale violazione, anche in relazione agli artt. 102 e 112 Cost., si realizzerebbe mediante gli art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000 che prevedono la richiesta di citazione contestuale per l’udienza da parte della polizia giudiziaria quando «ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell’udienza ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ovvero se l’imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale»;
che, secondo il Giudice di pace di Albano Laziale, tali disposizioni delineerebbero un nuovo rito, ossia il giudizio a presentazione immediata (art. 20-bis), prevedendone una variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà, vale a dire il giudizio a citazione contestuale (art. 20-ter), con una procedura unica nell’ordinamento che configurerebbe una sorta di tertium genus tra reati procedibili a querela e reati procedibili d’ufficio;
che, in altri termini, il legislatore avrebbe previsto un singolare rito, relativo ad una singola fattispecie, per di più delegando ad un’autorità amministrativa l’inizio dell’azione penale obbligatoria;
che, secondo il rimettente, «il vulnus rappresentato dal delegare a una autorità amministrativa l’inizio dell’azione penale obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale che più che far riferimento alla notitia criminis fa riferimento a uno status, sembra riportare a epoca non solo antecedente la Costituzione ma forse antecedente la Rivoluzione francese (principio della divisione dei poteri) o addirittura la Magna Charta Libertatum»;
che, inoltre, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei confronti dello straniero di cui si accerti la condizione di soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti: uno, amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di espulsione da eseguirsi a cura del questore e l’altro, penale, nelle forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, con una evidente duplicazione di procedimenti;
che tale duplicazione, in sede penale, della procedura esistente in via amministrativa violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;
che il Giudice di pace di Albano Laziale lamenta anche la disparità di trattamento, asseritamente introdotta dalla disciplina in esame, in relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 2000 a causa della mancata previsione della esclusione della colpevolezza in caso di «giustificato motivo», differenza di trattamento non giustificabile neanche dalla maggiore gravità del reato e rilevante nel caso di specie in quanto nei casi sottoposti al suo esame gli imputati verserebbero tutti in uno stato di indigenza (mancanza di una fissa dimora) tale da far ritenere sussistente una obiettiva difficoltà a ottemperare alla nuova fattispecie incriminatrice;
che, per tali motivi, il rimettente ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alla asserita violazione del principio di uguaglianza e del principio di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.) «in quanto il reato equipara ope legis la condizione di soggiorno illegale del clandestino a una posizione soggettiva di presunta pericolosità sociale che, invece, deve essere accertata in concreto in relazione a determinati fatti, circostanze e persone»;
che la norma censurata lederebbe anche il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo, in quanto non sarebbe conforme agli artt. 24 e 111 Cost. un processo non basato sul contraddittorio e nel quale non è garantita l’adeguata preparazione del diritto di difesa;
che tale diritto sarebbe leso dalla possibilità di eseguire l’espulsione dello straniero senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria competente di cui all’art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, con la conseguente concreta possibilità che l’azione penale si concluda prima dello svolgimento del processo o durante il medesimo, dopo che «sia intervenuta l’esecuzione della pena voluta dal legislatore (l’espulsione dello straniero)»;
che, infine, sarebbe violato l’art. 10 Cost. con riguardo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali e con gli obblighi assunti dall’Italia in materia di trattamento dei migranti: in particolare la Convenzione OIL 24 giugno 1975, n. 143, ratificata dalla legge 10 aprile 1981, n. 158 (Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri 92, 133 e 143 dell’Organizzazione internazionale del lavoro);
che, con ordinanza del 30 novembre 2009 (R.O. n. 124 del 2010), il Giudice di pace di Cuorgnè ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 10 e 97, primo comma, Cost.;
che il rimettente, nell’ambito di un procedimento penale che vede un cittadino straniero imputato del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la eccezione di costituzionalità sollevata, nel corso del giudizio, dalla Procura della Repubblica di Ivrea; che l’ordinanza di non riporta le argomentazioni addotte a sostegno della ritenuta incostituzionalità della norma censurata;
che con quattro ordinanze, identiche nella parte motiva (R.O. n. 172, n. 197, n. 198 e n. 199 del 2010), emesse, la prima, il 24 marzo 2010 e, le altre, il 5 maggio 2010, nell’ambito di distinti procedimenti penali, il Giudice di pace di Albano Laziale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost.;
che, a parere del rimettente, la norma censurata non rispetterebbe il principio di offensività delle condotte ex art.25, secondo comma, Cost. secondo il quale il ricorso alla sanzione penale è ammesso nel nostro ordinamento esclusivamente a protezione di beni giuridici di rilievo costituzionale e solo come scelta estrema del legislatore, mentre le condotte incriminate dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 non sarebbero lesive del bene della sicurezza pubblica né sarebbero di particolare pericolosità sociale, ma piuttosto espressione di una condizione individuale, quale quella di migrante, la cui incriminazione sarebbe discriminatoria;
che, inoltre, la sanzione penale sarebbe caratterizzata da una forma di subordinazione nei confronti dell’azione amministrativa diretta all’espulsione o al respingimento, dato che l’art. 10-bis, al comma 2 e al comma 5, prevede la non applicabilità della norma incriminatrice o la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nel caso di respingimento e espulsione, così violando il «principio della estrema ratio» già citato;
che risulterebbe violato anche il principio di uguaglianza, a causa della possibilità di applicare la sanzione penale non «in funzione di volontà o atti del soggetto incriminato», ma in funzione della discrezionalità e disponibilità di mezzi della pubblica amministrazione che deve disporre il provvedimento di espulsione, potendo così verificarsi che uno stesso comportamento venga o meno sanzionato a causa di circostanze estranee alla sfera di intervento degli imputati;
che il rimettente lamenta, sempre in violazione del principio di uguaglianza, la mancata previsione della scriminante del giustificato motivo, così come per l’analogo reato di cui all’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998;
che, infine, i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., verrebbero violati dalla previsione di una sanzione penale «fuori della solvibilità della stragrande maggioranza degli stranieri incriminati», in tal modo compromettendo l’effettività della sanzione stessa e la sua funzione deterrente e rieducativa, con una irragionevole proliferazione di processi e un dispendio di risorse pubbliche;
che nel giudizio relativo all’ordinanza n. 67 del 2010 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, a parere dell’Avvocatura dello Stato, l’individuazione delle condotte penalmente punibili e delle relative sanzioni è materia riservata alla più ampia discrezionalità del legislatore, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale;
che, ad avviso della difesa statale, la questione relativa alla violazione del principio di eguaglianza sarebbe inammissibile, perché il parametro costituzionale è solo evocato e non è neanche indicata la fattispecie posta a raffronto;
che la questione sarebbe, comunque, infondata nel merito trattandosi di scelte riservate alla discrezionalità del legislatore;
che sarebbe infondata anche la denunciata violazione degli artt. 102 e 112 Cost., in quanto la norma in esame non inciderebbe sull’esercizio della funzione giurisdizionale né dell’azione penale, poiché rimette al pubblico ministero la piena valutazione dell’ammissibilità e della fondatezza della richiesta di giudizio o di citazione contestuale presentate dalla polizia giudiziaria;
che sarebbe errata la ricostruzione del rimettente circa la duplicazione del procedimento di espulsione (l’uno in via amministrativa, l’altro in sede penale), in quanto il processo penale tende all’accertamento della responsabilità dell’imputato e, nel suo contesto, l’espulsione del condannato «rappresenta un effetto della condanna; più precisamente di irrogazione di una sanzione sostitutiva, coerente con l’interesse punitivo dello Stato»;
che inconferente sarebbe, altresì, il riferimento all’art. 97 Cost., trattandosi di disposizione inapplicabile all’amministrazione della giustizia;
che, per quel che concerne la mancata previsione della «quasi esimente» del «giustificato motivo», la fattispecie criminosa in questione resterebbe comunque soggetta ai principi generali applicabili in materia penale, che comprendono varie cause di non punibilità quali l’inesigibilità del comportamento «virtuoso»;
che la questione relativa alla asserita violazione degli articoli 24 e 111 Cost. appare mal posta, atteso che il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo non impongono la celebrazione del processo penale pur in presenza di un evento (nel caso, l’avvenuta espulsione) che comporta il venir meno dell’interesse dello Stato alla sua pretesa punitiva;
che, da ultimo, la questione relativa alla violazione dell’art. 10 Cost. risulta inammissibile, risultando solamente enunciata ma non motivata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;
che il Giudice di pace di Albano Laziale in alcune ordinanze estende le sue censure anche agli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui rispettivamente prevedono il giudizio a presentazione immediata a richiesta della polizia giudiziaria (art. 20-bis) e, nei casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà personale, la possibilità per la polizia giudiziaria di formulare la richiesta di citazione contestuale (art. 20-ter);
che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;
che quanto all’ordinanza di rimessione del Giudice di pace di Cuorgnè (R.O. n. 124 del 2010), l’indicato difetto di descrizione e di motivazione è totale;
che le restanti ordinanze, provenienti dal Giudice di pace di Albano Laziale, si limitano, quanto alla descrizione della fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si procede per il reato di cui l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, così che la declaratoria di incostituzionalità della norma comporterebbe l’assoluzione dell’imputato, mancando, tuttavia, in esse ogni specifico riferimento alla vicenda concreta che ha dato origine all’imputazione, idoneo a permettere la verifica dell’asserita rilevanza della questione;
che, con riferimento alle censure relative agli artt. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, il rimettente non riferisce quali siano state, in concreto, le modalità di citazione degli imputati e, trattandosi di censure relative a norme che prevedono differenti modalità di citazione, tale omissione impedisce di valutare la rilevanza della questione;
che, inoltre, dalla scarna motivazione sulla non manifesta infondatezza, emerge un’erronea interpretazione delle disposizioni impugnate, dal momento che il rimettente censura l’illegittimità costituzionale dell’attribuzione del potere di esercizio dell’azione penale alla polizia giudiziaria, mentre tale potere è chiaramente attribuito al pubblico ministero;
che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 27, 97, 102, 111 e 112 della Costituzione, dal Giudice di pace di Albano Laziale e dal Giudice di pace di Cuorgnè con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2010.

Motociclista rimane disoccupato a causa di un incidente stradale? Il danno da lucro può essere richiesto anche in appello

Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 23101 del 16/11/2010
Svolgimento del processo
[OMISSIS] conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari [OMISSIS] e la Cattolica Ass.ni per sentirli condannare al risarcimento dei danni causatigli il [OMISSIS], quando alla guida del proprio motoveicolo era stato investito dall’autoveicolo del [OMISSIS] che aveva invaso la corsia di sinistra rispetto al proprio senso di marcia.
I convenuti contestavano la fondatezza della domanda; interrotta la causa per la morte del [OMISSIS] e riassunta nei confronti della sua erede C.M.R. e della Cattolica, il Tribunale adito dichiarava il [OMISSIS] e il [OMISSIS] responsabili in eguale misura del sinistro, condannando le convenute al risarcimento del danno in favore dell’attore liquidato in Euro 57.981,81, più interessi legali, rigettando la richiesta di risarcimento dei danni al motoveicolo, di quelli morali e di quelli derivanti dalla perdita del posto di lavoro.
Proposto appello dal [OMISSIS] e costituitisi gli appellati che resistevano al gravame, con sentenza depositata il 31.12.05 la Corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, condannava in solido la C. e la Cattolica al pagamento del danno morale in ragione di Euro 15.000,00, già rivalutati, con gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il [OMISSIS], con due motivi, mentre ha resistito con controricorso la Cattolica e nessuna attività difensiva è stata svolta dalla C..
Il ricorrente ha depositato in atti anche una memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 342, 345 e 346 cpc ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto inammissibile il motivo d’appello riguardante il capo della sentenza appellata, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita del posto di lavoro a causa della perdurante malattia, sul presupposto che tale motivo attenesse ad una domanda nuova.
Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 112, 324, 325 e 343 cpc ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, avendo la Corte di merito, nel rigettare il motivo di gravame sopra indicato, deciso una questione che non aveva formato oggetto di appello incidentale da parte degli appellati, nel senso che quest’ultimi nel giudizio di secondo grado non avevano devoluto alla Corte territoriale, con l’appello incidentale, come motivo di doglianza della sentenza di primo grado, il fatto che il primo giudice avesse deciso su una domanda (il risarcimento del danno da perdita del posto di lavoro) che (asseritamente) sarebbe stata abbandonata dall’attore.
Va esaminata in via preliminare l’eccezione d’inammissibilità del controricorso proposto dalla Cattolica per intempestività della sua notificazione al ricorrente, così come sollevata dal ricorrente stesso nella memoria difensiva.
Tale eccezione è fondata, in quanto, dovendo il controricorso essere notificato al ricorrente ex art. 370 comma primo cpc entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso (che ex art. 369 comma primo cpc deve avvenire entro venti giorni dall’ultima notificazione) e risultando dagli atti che il ricorso per cassazione è stato notificato in data 29.3.06, la conseguenza è che il termine di cui al citato art. 369 cpc veniva a scadere il 18.4.06 ed il controricorso avrebbe dovuto, quindi, essere notificato al [OMISSIS] entro l’8.5.06, mentre esso risulta essere stato notificato solo l’11.5.06.
Ciò premesso e passando all’esame dei motivi di ricorso, si rileva che il primo motivo deve ritenersi fondato.
Infatti, la Corte di merito non ha applicato correttamente, nel caso di specie, il disposto dell’art. 345 primo comma cpc, nella parte in cui viene sancita l’inammissibilità della domanda nuova proposta nel giudizio d’appello, avendo il ricorrente espressamente trascritto nel ricorso (v. pagg. 13 – 14 di esso) – in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso stesso – il passo della sentenza impugnata da cui risulta che la domanda del ricorrente, per il risarcimento del danno derivante dalla perdita del posto di lavoro a causa della malattia riportata per effetto del sinistro, è stata rigettata per la mancata prova dell’incapacità, da parte del ricorrente medesimo, di svolgere attività lavorativa per un periodo di circa un anno.
Il secondo motivo d’appello addotto dal [OMISSIS] è stato, dunque, rigettato dalla Corte di merito sull’erroneo presupposto che con esso fosse stata introdotta, come domanda nuova, la pretesa di risarcimento del danno da lucro cessante, per il lustro di disoccupazione dello stesso [OMISSIS] conseguente all’infortunio, in quanto già abbandonata dall’attore in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado; in realtà, trattandosi dell’impugnazione del capo della sentenza appellata, avente ad oggetto il rigetto di quella specifica pretesa risarcitoria, quest’ultima legittimamente riproposta con l’atto d’appello, non avrebbe potuto mai essere valutata come domanda “nuova” e come tale inammissibile ai sensi dell’art. 345 cpc.
Infatti, nel caso in esame, è inconfutabile che il [OMISSIS] si è legittimamente avvalso della sua facoltà di richiedere, nei limiti ovviamente del tantum devolutum, il riesame del punto della sentenza di primo grado concernente il rigetto della domanda di ristoro avente ad oggetto quella determinata voce di danno.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo di censura.
Il ricorso va, pertanto, accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo suddetto e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione, che dovrà attenersi al criterio di diritto come sopra esposto.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa in relazione ad esso la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione.
Depositata in Cancelleria il 16.11.2010

Guida in stato di ebbrezza. Nemmeno la finalità terapeutica dell'assunzione di farmaci salva la condotta

Cassazione Penale, Sezione Quarta, Sentenza n. 38121 del 27/10/2010
FATTO E DIRITTO
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di [OMISSIS] avverso la sentenza in data 16.12.2009 della Corte di Appello di [OMISSIS] che confermava quella del Tribunale di [OMISSIS] in data 12.2.2009 con la quale la [OMISSIS] era stata condannata alla pena condizionalmente sospesa di mesi uno di arresto ed Euro 1.000,00 di ammenda con circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante oltre alla sospensione della patente di guida per mesi sei, avendola riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 186 C.d.S. per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche con tasso alcolemico di 0,89 g/l, così provocando un incidente stradale (commesso il [OMISSIS]).
Denunzia il vizio motivazionale e la violazione di legge, poichè, essendo pacifico, perchè provato, che la [OMISSIS] il giorno del fatto aveva assunto farmaci fitoterapici in soluzione alcolica al 70% prescrittile dal medico, in sostituzione di psicofarmaci, per disturbi ansiosi, attacchi di panico ed altro, ed avendo la Corte ritenuto che l’esito positivo dell’alcoltest fosse derivato da tale assunzione di farmaci, erroneamente aveva concluso che l’imputata non era esente da colpa perchè a conoscenza della composizione del medicinale riportata sull’etichetta dei farmaci (e ciononostante si era posta alla guida dell’auto).
Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
In effetti, la norma incriminatrice prescrive che è vietato guidare in stato di ebbrezza “in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche”.
Nulla è precisato circa la natura di dette bevande ed è certo che il riscontrato tasso alcolemico dello 0.89 gr/l (confermato dal secondo alcoltest di 0.98 g/l) è davvero consistente, tanto da rientrare nell’ipotesi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b). Per non dire che il teste appartenente alla Polizia municipale ha riferito dello stato di squilibrio ed instabilità in cui versava la [OMISSIS].
Correttamente la Corte territoriale, condividendo la tesi del giudice di primo grado, ha ritenuto che non potesse escludersi la colpa dell’imputata dal momento che la stessa aveva dichiarato di aver assunto in tre occasioni nella medesima giornata un numero non meglio precisato di gocce di fitofarmaci in questione ed essendo evidente sui flaconi degli stessi l’indicazione della presenza di alcool, come precisato persino sulla prescrizione medica. La piena consapevolezza dell’imputata ricorrente della composizione alcoolica dei fitofarmaci ingeriti implica necessariamente l’integrazione degli estremi della colpa, non valendo comunque a scriminarla la tesi difensiva, peraltro smentita dall’indicazione della composizione alcolica anche sulla prescrizione medica, secondo cui non era stata informata dai medici della possibilità d’innalzamento del tasso alcolemico (circostanza, peraltro, che rientra nel notorio) a seguito dell’ingestione di tale tipo di farmaci e del fatto che la loro assunzione non le consentiva di porsi, poi, alla guida dei un’autovettura.
Invero, neanche la finalità terapeutica dell’ingestione di farmaci, in costanza della predetta consapevolezza della loro composizione alcolica, consente di elidere l’antigiuridicità della condotta, attesa la natura meramente colposa del reato contravvenzionale contestato: la ricorrente avrebbe dovuto, in ogni caso, astenersi dalla guida.
Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Depositata in Cancelleria il 27/10/2010

""La Lega Nord, l'obbedienza al capo, per cui, dichiarò Matteo Salvini nel 1999 redattore della Padania, si sarebbe anche buttato "di testa dal soffitto della mensa" se il Senatùr glielo avesse chiesto. ""