N. 85 ORDINANZA 7 febbraio - 20 aprile 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo penale - Decreto di giudizio immediato - Contenuto.
- Codice di procedura penale, art. 456, comma 2.
-
(GU n.17 del 26-4-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 456, comma
2, del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale ordinario
di Ivrea, con ordinanza del 12 gennaio 2017, e dal Tribunale
ordinario di Pisa, con ordinanza del 30 marzo 2017, iscritte
rispettivamente ai numeri 46 e 101 del registro ordinanze 2017 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 14 e 33,
prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2018 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Pisa, in composizione
monocratica, con ordinanza del 30 marzo 2017 (r.o. n. 101 del 2017),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 456, comma 2, del
codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il
decreto di giudizio immediato debba contenere l'avviso all'imputato
che ha facolta' di chiedere la sospensione del procedimento per messa
alla prova entro 15 giorni dalla notifica del predetto decreto a pena
di decadenza come previsto dall'art. 458, c. 1, c.p.p.»;
che il giudice a quo premette che, nei confronti dell'imputato,
e' stato emesso un decreto di giudizio immediato per i reati previsti
dagli artt. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), 187, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e 4 della legge 18 aprile
1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il
controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi);
che in udienza l'imputato ha presentato una richiesta di
sospensione del procedimento con messa alla prova, depositando la
richiesta di elaborazione del programma di trattamento, trasmessa
all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE);
che tale richiesta di sospensione, alla stregua dell'art.
464-bis, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe essere dichiarata
inammissibile perche' tardiva: nel giudizio immediato, infatti, essa
deve essere presentata entro quindici giorni dalla notificazione del
decreto che dispone quel giudizio e non nell'udienza dibattimentale;
che le questioni sarebbero rilevanti perche', se accolte,
consentirebbero di rimettere in termini l'imputato per chiedere la
sospensione del procedimento con messa alla prova;
che le questioni sarebbero inoltre non manifestamente infondate,
in primo luogo, in riferimento all'art. 24 Cost., in quanto, cadendo
il termine per formulare la richiesta di messa alla prova al di fuori
dell'udienza e non essendo contenuto nel decreto di giudizio
immediato alcun avviso all'imputato in ordine a questa facolta', si
verificherebbe una lesione irreparabile del diritto di difesa;
che la norma censurata contrasterebbe anche con l'art. 3 Cost.,
perche' creerebbe una disparita' di trattamento «fra coloro che
decidano di definire il procedimento con giudizio abbreviato o
applicazione della pena su richiesta delle parti e coloro che,
invece, volessero accedere al nuovo e assimilabile rito alternativo
della "messa alla prova"»: solo i primi, infatti, riceverebbero lo
specifico avviso, evitando cosi' di incorrere nella decadenza
prevista dall'art. 458, comma 1, cod. proc. pen.;
che un'altra disparita' di trattamento si verificherebbe «tra
coloro che siano citati a giudizio mediante emissione di citazione
diretta o giudizio direttissimo, ben potendo gli stessi accedere alla
sospensione del procedimento con messa alla prova fino all'apertura
del dibattimento [...] e coloro, che per una mera scelta della
Pubblica Accusa di procedere con giudizio immediato, senza che sia
previsto uno specifico avviso nel relativo decreto, possono incorrere
nel termine decadenziale di cui all'art. 458, c. 1, c.p.p.»;
che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili
e, comunque, non fondate;
che le questioni sarebbero inammissibili, in primo luogo, perche'
l'ordinanza di rimessione ometterebbe «ogni autonoma valutazione
circa i parametri costituzionali che si assumono violati, che non
sono nemmeno menzionati», limitandosi a richiamare il contenuto della
sentenza della Corte costituzionale n. 201 del 2016 per motivare la
non manifesta infondatezza della questioni;
che, inoltre, mancherebbe qualsivoglia descrizione della
fattispecie, cosi' da precludere lo scrutinio circa la rilevanza
delle questioni sollevate;
che il Tribunale ordinario di Ivrea, in composizione collegiale,
con ordinanza del 12 gennaio 2017 (r.o. n. 46 del 2017), ha sollevato
un'analoga questione di legittimita' costituzionale;
che il giudice a quo premette che, nei confronti dell'imputato,
e' stato emesso un decreto di giudizio immediato per il delitto di
cui agli artt. 73, commi 4 e 5, e 80, comma 1, lettera a), del d.P.R.
n. 309 del 1990;
che in udienza «l'imputato ha depositato richiesta di messa alla
prova allegando richiesta di elaborazione di programma trasmessa
all'UEPE in data 11.1.2017»;
che la richiesta di messa alla prova, alla stregua dell'art.
464-bis, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe essere dichiarata
inammissibile perche' tardiva: nel giudizio immediato, infatti, essa
deve essere presentata entro quindici giorni dalla notificazione del
decreto che dispone quel giudizio e non nell'udienza dibattimentale;
che l'accoglimento della questione sollevata consentirebbe,
pertanto, di rimettere in termini l'imputato per chiedere la messa
alla prova: da qui la sua rilevanza nel giudizio a quo;
che, in relazione alla non manifesta infondatezza, il tribunale
rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 201 del 2016 in
tema di decreto penale di condanna;
che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e,
comunque, non fondata;
che la questione sarebbe inammissibile perche' l'ordinanza di
rimessione «omette ogni autonoma valutazione circa i parametri
costituzionali che si assumono violati, che non sono nemmeno
menzionati», limitandosi a richiamare il contenuto della sentenza n.
201 del 2016 di questa Corte;
che, inoltre, mancherebbe qualsivoglia descrizione della
fattispecie, cosi' da precludere lo scrutinio circa la rilevanza
della questione sollevata.
Considerato che il Tribunale ordinario di Pisa, in composizione
monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 456,
comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non
prevede che il decreto di giudizio immediato debba contenere l'avviso
all'imputato che ha facolta' di chiedere la sospensione del
procedimento per messa alla prova entro 15 giorni dalla notifica del
predetto decreto a pena di decadenza come previsto dall'art. 458, c.
1, c.p.p.»;
che il Tribunale ordinario di Ivrea, in composizione collegiale,
ha sollevato un'analoga questione di legittimita' costituzionale;
che i giudizi introdotti dalle due ordinanze di rimessione
vertono sulla medesima disposizione, sicche' ne e' opportuna la
riunione, ai fini di una decisione congiunta;
che le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Pisa sono
manifestamente inammissibili;
che, infatti, come ha eccepito l'Avvocatura generale dello Stato,
l'ordinanza di rimessione non contiene alcuna descrizione dei fatti
oggetto del giudizio a quo, limitandosi a indicare, con il solo
numero, le disposizioni che prevedono i reati contestati
all'imputato, senza neppure riportare i relativi capi di imputazione;
che peraltro tra i reati contestati vi e' quello previsto
dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza);
che tale reato, non risultando che il fatto rientri nella
previsione del quinto comma dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990,
e' punito con la pena della reclusione da sei a venti anni;
che l'art. 168-bis del codice penale stabilisce che la messa alla
prova puo' essere richiesta nei procedimenti per i reati puniti con
la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva, ancorche' congiunta
con la pena pecuniaria, non superiore nel massimo a quattro anni;
che pertanto, per il piu' grave dei reati oggetto del
procedimento a quo, la sospensione con messa alla prova non e'
applicabile;
che la Corte di cassazione ha escluso che, «in tema di
sospensione con messa alla prova, la sospensione [possa] essere
disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei
reati contestati per i quali sia possibile l'accesso al beneficio, in
quanto la messa alla prova tende alla eliminazione completa delle
tendenze antisociali del reo e sarebbe incompatibile con le finalita'
dell'istituto una rieducazione parziale» (sezione seconda penale,
sentenza 12 marzo 2015, n. 14112, in massima);
che le questioni sono pertanto manifestamente inammissibili per
difetto di motivazione sulla loro rilevanza nel giudizio a quo (ex
multis, ordinanze n. 210 e n. 46 del 2017, n. 237 del 2016);
che anche la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Ivrea
e' manifestamente inammissibile, come ha eccepito l'Avvocatura dello
Stato;
che, infatti, l'ordinanza di rimessione non contiene alcuna
descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo e, conseguentemente,
non motiva sulla rilevanza della questione, limitandosi ad indicare,
con il solo numero, le disposizioni che prevedono il reato contestato
all'imputato, senza neppure riportare il relativo capo di
imputazione;
che inoltre, in punto di non manifesta infondatezza, il tribunale
rimettente si e' limitato a richiamare genericamente il contenuto
della sentenza n. 201 del 2016 di questa Corte, senza neanche
indicare le ragioni dell'asserita violazione dell'art. 24 Cost.,
parametro, peraltro, evocato solo indirettamente;
che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, nei
giudizi incidentali di legittimita' costituzionale non e' ammessa la
cosiddetta motivazione per relationem: dato il principio di
autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo deve
rendere esplicite le ragioni per le quali ritiene la questione non
manifestamente infondata, facendole proprie (ex plurimis, sentenze n.
22 del 2015 e n. 7 del 2014, ordinanze n. 20 del 2014 e n. 175 del
2013);
che, in conclusione, le questioni sollevate da entrambi i
rimettenti vanno dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 456, comma 2, del codice di
procedura penale, sollevate, rispettivamente, dal Tribunale ordinario
di Pisa, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, e dal
Tribunale ordinario di Ivrea, in riferimento al solo art. 24 Cost.,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
e Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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