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giovedì 26 aprile 2018

N. 86 SENTENZA 21 marzo - 23 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro e occupazione - Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo - Condanna del datore di lavoro alla corresponsione di un'indennita' di natura risarcitoria dal giorno del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione e/o alla riforma della prima decisione. - Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), art. 18, quarto comma, come sostituito dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). - (GU n.17 del 26-4-2018 )



N. 86 SENTENZA 21 marzo - 23 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Lavoro e occupazione - Tutela del lavoratore in caso di licenziamento
  illegittimo - Condanna del datore di lavoro alla corresponsione  di
  un'indennita' di natura risarcitoria dal giorno  del  licenziamento
  sino alla effettiva reintegrazione e/o  alla  riforma  della  prima
  decisione.
- Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della  liberta'  e
  dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e  dell'attivita'
  sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), art.  18,
  quarto comma, come sostituito dall'art. 1, comma  42,  lettera  b),
  della legge 28 giugno 2012,  n.  92  (Disposizioni  in  materia  di
  riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita).

(GU n.17 del 26-4-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 18,  quarto
comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla  tutela  della
liberta' e  dignita'  dei  lavoratori,  della  liberta'  sindacale  e
dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di   lavoro   e   norme   sul
collocamento), come sostituito dall'art. 1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), promosso  dal
Tribunale ordinario  di  Trento,  sezione  lavoro,  nel  procedimento
vertente tra Mariangela Segata e  la  Cassa  rurale  di  Trento,  con
ordinanza del 26  luglio  2016,  iscritta  al  n.  253  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2016.
    Visti l'atto di costituzione di Mariangela Segata, nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore
Mario Rosario Morelli;
    uditi l'avvocato Maria Cristina Osele  per  Mariangela  Segata  e
l'avvocato  dello  Stato  Leonello  Mariani  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Nel corso di un giudizio di opposizione  -  proposto  da  una
lavoratrice avverso il decreto  ingiuntivo  con  il  quale  la  Cassa
rurale sua datrice di lavoro,  le  aveva  richiesto  la  restituzione
dell'indennita' corrispostale per il  periodo  intercorrente  tra  la
data del licenziamento e la data della sentenza che  aveva  riformato
l'ordinanza  di  annullamento  del  licenziamento  per  giusta  causa
intimatole  e  di  reintegrazione  nel  posto  di  lavoro,  emessa  a
conclusione della fase sommaria -  l'adito  giudice  monocratico  del
Tribunale  ordinario  di  Trento,  sezione  lavoro,   premessane   la
rilevanza e ritenutane la non manifesta infondatezza, in  riferimento
all'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,  ha  sollevato,  con
l'ordinanza in epigrafe,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  18  (Tutela  del  lavoratore  in  caso  di   licenziamento
illegittimo), quarto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme
sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), come sostituito dall'art. 1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), «nella  parte
in cui [...]  attribuisce,  irragionevolmente,  natura  risarcitoria,
anziche' retributiva, alle somme di denaro che il datore di lavoro e'
tenuto a corrispondere in relazione al  periodo  intercorrente  dalla
pronuncia di  annullamento  del  licenziamento  e  di  condanna  alla
reintegrazione nel posto di lavoro  provvisoriamente  esecutiva  fino
all'effettiva ripresa dell'attivita' lavorativa o fino alla pronuncia
di riforma della prima».
    Secondo il rimettente, la qualificazione legislativa delle  somme
in questione in  termini  risarcitori  contrasterebbe,  appunto,  con
l'art. 3, primo comma, Cost.
    Per    effetto    dell'accertamento    dell'illegittimita'    del
licenziamento e della conseguente condanna del datore di lavoro  alla
riassunzione  del  lavoratore,  vi  sarebbe,   infatti,   un   pronto
ripristino del rapporto lavorativo (in base alla riaffermata  vigenza
della lex contractus), con il  correlato  diritto  del  lavoratore  a
percepire il trattamento retributivo  spettante,  quale  obbligazione
primaria e finale con valenza corrispettiva, e cio' anche  quando  il
datore di lavoro non  adempia  (come  nella  specie)  all'obbligo  di
riammissione  in  servizio  e  corrisponda,   invece,   la   relativa
indennita', poiche', in tal caso,  si  realizzerebbe  «un'ipotesi  di
mora accipiendi ([...] con correlativa equiparazione, ai  fini  della
spettanza  della  retribuzione,  della  mera  utilizzabilita'   delle
energie lavorative del dipendente all'effettiva utilizzazione)».
    Diversamente, se «solo l'effettiva riammissione del lavoratore in
servizio [fosse] in grado di mutare da risarcitori[a] a retributiv[a]
la natura del titolo di corresponsione delle somme (commisurate  alle
retribuzioni  maturate)  versate  dal  datore  successivamente   alla
pronuncia di annullamento del licenziamento e di  reintegrazione  nel
posto di lavoro», si determinerebbe una ingiustificata disparita'  di
trattamento,  sotto  il  profilo  della  ripetibilita'  delle   somme
corrisposte a tale titolo, tra il  datore  di  lavoro  che  ottemperi
all'ordine di reintegra e il datore di lavoro inadempiente rispetto a
tale ordine, che  si  limiti  a  versare  la  retribuzione  a  titolo
risarcitorio, "scommettendo" con cio' sulla sua ripetibilita'.
    Ove,  dunque,  fosse   riconosciuta   la   «natura   retributiva»
dell'indennita'  (sostitutiva)  versata  dal  datore  di  lavoro  nel
periodo successivo alla ordinanza di reintegrazione, ne conseguirebbe
- conclude il giudice a quo - che la  situazione  venutasi  a  creare
dopo tale pronuncia  assumerebbe  «i  tratti  della  fattispecie  (di
diritto sostanziale e non gia' processuale) prevista  dall'art.  2126
cod. civ., come gia' ritenevano le Sezioni Unite della Suprema  Corte
(Cass. S.U. n. 2925/1988) nella vigenza dell'originario  art.  18  L.
300/1970».
    2.- Si e' costituita in questo giudizio la  parte  opponente  nel
procedimento principale, la quale ha preliminarmente precisato di non
contrastare la richiesta di restituzione delle somme percepite per il
periodo  dalla  data  del  licenziamento  a  quella  dell'ordine   di
reintegrazione, e di contestare la debenza delle sole somme  relative
al successivo periodo  intercorrente  dall'ordine  di  reintegrazione
alla riforma dello stesso: somme,  queste,  «da  parificarsi  ad  una
retribuzione per prestazione di  fatto,  svolta  in  regime  di  mora
creditoris in capo alla datrice di lavoro», che non aveva ritenuto di
avvalersi della prestazione lavorativa di essa dipendente.
    Ha  concluso,  quindi,  per  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale della norma denunciata dal giudice a quo.
    In  subordine,  ne   ha   prospettato   una   possibile   lettura
adeguatrice, nel senso che la prevista  indennita'  risarcitoria  sia
non  gia'  alternativa  o  specificativa,  ma  "aggiuntiva"  rispetto
all'effetto reintegratorio, che darebbe titolo alla retribuzione  per
il periodo successivo alla reintegrazione.
    3.-  E'  anche  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  (per  difetto  di
chiarezza del petitum e carenza di motivazione sulla rilevanza) e, in
subordine, per la non fondatezza della questione.
    Secondo  l'interveniente,  che  ha  anche  presentato  successiva
memoria, il denunciato quarto comma dell'art. 18 della legge  n.  300
del 1970, nella sua attuale formulazione,  «contempla  a  carico  del
datore di  lavoro  due  sole  obbligazioni,  aventi  entrambe  natura
risarcitoria, alternative tra loro in via di gradata  subordinazione,
e costituite, la principale, da  un  facere,  la  reintegrazione  nel
posto   di   lavoro   in   precedenza   occupato    dal    lavoratore
illegittimamente licenziato - risarcimento in forma specifica  -,  e,
la subordinata, da un dare, operante in caso di  inadempimento  della
prima, rappresentato  dal  pagamento  di  un'indennita'  sostitutiva,
predeterminata dalla legge nella misura e nella durata - risarcimento
per  equivalente».  Con  la  conseguenza  che,  in  caso  di  mancata
reintegra,  il  diritto  al  risarcimento   mediante   il   pagamento
dell'indennita' sostitutiva non potrebbe cumularsi, come  prospettato
dalla difesa della lavoratrice, con il diritto alla retribuzione, che
presuppone l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.

                       Considerato in diritto

    1.- L'art. 18 della legge 20 maggio 1970,  n.  300  (Norme  sulla
tutela della liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori,  della  liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), come novellato dall'art.  1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), con  riguardo
alle ipotesi (diverse da quelle, piu' gravi, di cui al  primo  comma,
riferibili ai datori di lavoro di cui al successivo comma ottavo)  in
cui si accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato  motivo
soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, al  suo
comma quarto testualmente dispone che «[i]l giudice [...] annulla  il
licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione  nel
posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita'
risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal
giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione,
dedotto  quanto  il  lavoratore   ha   percepito   nel   periodo   di
estromissione, per lo  svolgimento  di  altre  attivita'  lavorative,
nonche' quanto avrebbe potuto  percepire  dedicandosi  con  diligenza
alla ricerca di una nuova occupazione». Ed aggiunge  che  «[i]n  ogni
caso la misura dell'indennita' risarcitoria non puo' essere superiore
a dodici mensilita' della retribuzione globale di fatto».
    2.- Il giudice monocratico del  Tribunale  ordinario  di  Trento,
sezione lavoro, dubita che tale disposizione sia compatibile  con  il
precetto di cui all'art. 3, primo comma, della  Costituzione.,  nella
parte in cui «irragionevolmente», a suo avviso,  attribuisce  «natura
risarcitoria, anziche' retributiva,  alle  somme  di  denaro  che  il
datore di lavoro e' tenuto a corrispondere in  relazione  al  periodo
intercorrente dalla pronuncia di annullamento del licenziamento e  di
condanna alla reintegrazione nel  posto  di  lavoro  provvisoriamente
esecutiva fino all'effettiva ripresa dell'attivita' lavorativa o fino
alla pronuncia di riforma della prima».
    Il rimettente ritiene, infatti, che alla indennita' (sostitutiva)
corrisposta,  al  dipendente,  dal  datore  di  lavoro   inadempiente
all'ordine di reintegrazione, vada attribuita natura retributiva,  in
applicazione  della  lex  contractus  riaffermata  dal  provvedimento
reintegratorio e della cosi' ripristinata continuita' del rapporto di
lavoro, con la correlativa equiparazione alla effettiva utilizzazione
delle energie lavorative del dipendente, della  mera  utilizzabilita'
di esse, in relazione alla disponibilita' del lavoratore a riprendere
servizio.
    Diversamente, la subordinazione della  natura  retributiva  delle
somme versate all'effettiva riammissione in servizio  del  lavoratore
violerebbe il principio di uguaglianza tra la  posizione  del  datore
che fornisca la collaborazione necessaria al proficuo utilizzo  della
prestazione lavorativa e la posizione del  datore  che  si  limiti  a
versare le somme dovute ma non riammetta in servizio  il  lavoratore,
rendendosi cosi' inadempiente al suddetto obbligo di  collaborazione,
poiche' in tal modo verrebbe premiata la condotta di quest'ultimo, il
quale  cosi'  conserverebbe  la  facolta'  di  ripetere  gli  importi
corrisposti nell'ipotesi di riforma della pronuncia  di  annullamento
del licenziamento.
    3.- La questione cosi' sollevata, secondo  l'Avvocatura  generale
dello   Stato,   sarebbe   inammissibile,   poiche'   dalla   lettura
dell'ordinanza e, in particolare, dal  suo  dispositivo  non  sarebbe
dato comprendere «quale tipo di intervento» chieda il giudice a  quo,
e perche' non parrebbe sussisterne la rilevanza.
    3.1.- Tali eccezioni, che vanno  preliminarmente  esaminate,  non
colgono nel segno.
    E' ben chiaro, infatti, quel che il rimettente richiede  ai  fini
della  auspicata  reductio  ad   legitimitatem   della   disposizione
censurata: e, cioe', una pronuncia "sostitutiva", che sostanzialmente
ripristini l'originario contenuto precettivo dell'art. 18 della legge
n. 300 del 1970, per il quale il datore di lavoro,  non  ottemperante
all'ordine di reintegrazione, «e' tenuto inoltre a  corrispondere  al
lavoratore», per il periodo dalla data stessa di tale provvedimento e
fino  alla  reintegrazione,  non  gia',  come  nel   testo   attuale,
«un'indennita' risarcitoria», bensi' «le  retribuzioni  dovutegli  in
virtu' del rapporto di  lavoro».  Retribuzioni  che,  ai  fini  della
rilevanza  della  questione,  il  giudice  a  quo  ritiene,  appunto,
irripetibili in caso di riforma della pronuncia di  annullamento  del
licenziamento, in applicazione dei principi posti dall'art. 2126 cod.
civ., secondo l'orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte
di cassazione, con la sentenza 13 aprile 1988, n. 2925.
    4.- Nel merito, la questione non e' fondata.
    4.1.- Antecedentemente alle modifiche apportate  dalla  legge  11
maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali) e  poi
dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, l'art.
18 della legge n. 300 del 1970, nella  sua  formulazione  originaria,
oltre a riconoscere al lavoratore «il  diritto  al  risarcimento  del
danno subito per il licenziamento  di  cui  sia  stata  accertata  la
inefficacia o la invalidita'», poneva a carico del datore di  lavoro,
che non avesse ottemperato all'ordine  di  reintegrazione,  l'obbligo
ulteriore di «corrispondere al lavoratore le retribuzioni  dovutegli»
in  virtu',  e  dalla  data,  della  sentenza  di  annullamento   del
licenziamento e «fino a quella della reintegrazione».
    4.1.1.- In sede di esegesi del riferito  testo  originario  della
norma in esame, il risalente precedente della Corte  di  legittimita'
richiamato dal giudice a  quo  (sezioni  unite  civili,  sentenza  13
aprile 1988, n. 2925) - nell'escludere che,  in  caso  di  successiva
riforma  della  sentenza  dichiarativa  della  inefficacia  o   della
invalidita' del licenziamento, il datore di lavoro  potesse  ripetere
le "retribuzioni" corrisposte al lavoratore non reintegrato nel posto
di lavoro - motivava tale irripetibilita' facendo applicazione  della
disposizione di cui all'art. 2126 cod. civ.
    Detta  norma  -  per  cui  (la  nullita'  o)  l'annullamento  del
contratto  di  lavoro  (cui  era  appunto  ricondotta  l'ipotesi  del
licenziamento giudizialmente confermato)  «non  produce  effetto»  (e
quindi non travolge le retribuzioni corrisposte) «per il  periodo  in
cui il rapporto ha avuto  esecuzione»  -  era,  appunto,  considerata
riferibile anche alla  fattispecie  della  mancata  ottemperanza  del
datore di lavoro all'ordine di reintegrazione del lavoratore. E  cio'
sul presupposto che la (manifestata) disponibilita' del dipendente  a
riprendere servizio fosse  equiparabile  alla  effettiva  prestazione
dell'attivita' lavorativa e, quindi, ad intervenuta  "esecuzione  del
rapporto".
    4.1.2.- Tale premessa ermeneutica - oltreche' superata dal  nuovo
testo dell'art. 18 della legge n.  300  del  1970,  introdotto  dalla
legge n. 108 del 1990 - e' risultata, comunque, non piu' in linea con
la successiva, e poi consolidatasi, giurisprudenza della stessa Corte
di cassazione, a tenore della quale il rapporto di lavoro affetto  da
nullita' puo' rientrare nella sfera di  applicazione  dell'art.  2126
cod. civ. unicamente nel caso, e per il periodo, in cui  il  rapporto
stesso abbia  avuto  «materiale  esecuzione»  (ex  plurimis,  sezione
lavoro, sentenze 21 novembre 2016,  n.  23645;  30  giugno  2016,  n.
13472; 25 gennaio 2016,  n.  1256;  3  febbraio  2012,  n.  1639;  11
febbraio 2011, n. 3385). Il  che  e'  in  linea  con  la  nozione  di
retribuzione ricavabile dalla Costituzione (art.  36)  e  dal  codice
civile (artt. 2094, 2099), per cui il diritto a  percepirla  sussiste
solo  in  ragione  (e  in  proporzione)  della  eseguita  prestazione
lavorativa.
    4.2.- Se e' pur vero, quindi, che l'ordine di reintegrazione  del
lavoratore  illegittimamente   licenziato   ripristina,   sul   piano
giuridico, la lex contractus,  cio'  non  e'  vero  anche  sul  piano
fattuale, poiche' la concreta attuazione  di  quell'ordine  non  puo'
prescindere dalla collaborazione del  datore  di  lavoro,  avendo  ad
oggetto un facere infungibile.
    Per cui, ove il datore di  lavoro  non  ottemperi  all'ordine  di
reintegrazione,  tale  suo  comportamento,   riconducibile   ad   una
fattispecie   di   illecito   istantaneo   ad   effetti   permanenti,
perpetuerebbe  le  conseguenze  dannose  del  licenziamento  intimato
contra ius, da cui propriamente deriva una obbligazione  risarcitoria
del danno stesso da parte del datore nei confronti del dipendente non
reintegrato.
    4.3.- La disposizione di cui al novellato quarto comma  dell'art.
18 della legge n. 300 del 1970 - con il prevedere che  il  datore  di
lavoro,  in  caso  di   inottemperanza   all'ordine   (immediatamente
esecutivo) del giudice, che lo condanni a reintegrare  il  dipendente
nel  posto  di  lavoro,  sia  tenuto  a   corrispondergli,   in   via
sostitutiva,  una  «indennita'  risarcitoria»   -   non   e'   dunque
"irragionevole", come sospetta  il  rimettente,  bensi'  coerente  al
contesto della fattispecie disciplinata, connotata dalla correlazione
di detta indennita' ad una condotta contra ius del datore di lavoro e
non  ad  una  prestazione  di  attivita'  lavorativa  da  parte   del
dipendente.
    Ne' e' sostenibile che una tale qualificazione risarcitoria della
suddetta   indennita'   sia   contraddetta   dalla    prevista    sua
commisurazione «all'ultima retribuzione globale di fatto», e che cio'
appunto inneschi un contrasto della disposizione censurata con l'art.
3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
    Come correttamente, infatti, osservato  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, il  ragguaglio  dell'indennita'  sostitutiva  all'ultima
retribuzione percepita dal lavoratore e', a sua volta, coerente  alla
qualificazione risarcitoria della fattispecie in esame.
    Viene, in tale contesto, in rilievo  il  "lucro  cessante"  -  il
mancato guadagno, cioe', subito dal lavoratore  per  effetto,  prima,
del licenziamento illegittimamente intimato  e,  poi,  della  mancata
riassunzione - e tale voce di danno  e'  coerentemente  rapportata  a
quanto il dipendente avrebbe percepito se,  senza  il  licenziamento,
avesse continuato a lavorare e poi se, dopo l'annullamento di questo,
fosse stato riassunto in  esecuzione  dell'ordine  di  reintegrazione
imposto dal giudice.
    Ed e' appunto (e solo) in tale prospettiva  risarcitoria  (ed  in
applicazione del principio della compensatio lucri cum damno) che  si
spiega e  si  giustifica  l'ulteriore  previsione  della  detrazione,
dall'indennita' dovuta dal datore di lavoro a titolo di  risarcimento
del danno, di quanto il lavoratore abbia percepito,  nel  periodo  di
estromissione, per lo  svolgimento  di  altre  attivita'  lavorative,
nonche' di quanto il medesimo avrebbe  potuto  percepire  dedicandosi
con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
    4.4.- Neppure  sussiste  l'ulteriore  vulnus  all'art.  3,  primo
comma, Cost., che il rimettente sospetta arrecato dalla  disposizione
censurata per il profilo della disparita' di trattamento che,  a  suo
avviso, ingiustificatamente ne deriverebbe (nel quadro della sequenza
tra annullamento del licenziamento e successiva sua riforma)  tra  il
datore  di  lavoro  che,  medio  tempore,   adempia   all'ordine   di
reintegrazione  del  dipendente  e   il   datore   di   lavoro   che,
"scommettendo"  su  quella  riforma,  viceversa  non  vi   ottemperi,
limitandosi a corrispondere al lavoratore l'indennita' risarcitoria.
    E' pur vero, infatti, che il primo non avra' titolo a ripetere le
retribuzioni corrisposte al dipendente  all'interno  del  periodo  in
questione,   mentre   il   secondo   potra'   ripetere   l'indennita'
risarcitoria versatagli  una  volta  accertata  la  legittimita'  del
licenziamento ed escluso, quindi, che abbia agito contra ius.  Ma  si
tratta di due situazioni non omogenee e non suscettibili per cio'  di
entrare in comparazione nell'ottica dell'art. 3 Cost.
    Il datore di lavoro ottemperante all'ordine del giudice  ottiene,
infatti,   quale   corrispettivo   dell'esborso   retributivo,    una
controprestazione lavorativa, che manca invece al  datore  di  lavoro
inadempiente.
    4.4.1-Va poi considerato che il datore di lavoro,  ove  messo  in
mora, dal lavoratore, ai fini dell'adempimento  del  suo  obbligo  di
ottemperanza all'ordine del giudice, nel  contesto  della  disciplina
lavoristica ispirata al favor praestatoris, puo' andare, a sua volta,
incontro alla richiesta risarcitoria che, secondo i principi generali
delle obbligazioni (artt. 1206 e 1207, secondo comma, cod. civ.), nei
suoi  confronti,  formuli  il  lavoratore  medesimo,  per  il   danno
conseguente al mancato reinserimento nell'organizzazione del  lavoro,
nel periodo  intercorrente  dalla  statuizione  di  annullamento  del
licenziamento a quello della sua successiva riforma.
    4.5.- Da qui la non fondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata dal rimettente.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 18, quarto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme
sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), come sostituito dall'art. 1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), sollevata, in
riferimento  all'art.  3,  primo  comma,  della   Costituzione,   dal
Tribunale  ordinario  di  Trento,  sezione  lavoro,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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