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mercoledì 1 agosto 2018
N. 178 SENTENZA 4 - 26 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Paesaggio - Piano paesaggistico regionale - Individuazione di interventi esclusi dal vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi - Individuazione di immobili incompatibili con i valori paesaggistici da rilocalizzare in aree non di pregio - Procedimento per la permuta, alienazione e sdemanializzazione di terreni soggetti ad uso civico - Procedimento per il trasferimento dei diritti di uso civico su altri terreni comunali. - Legge della Regione autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994), artt. 13, comma 1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39. - (GU n.31 del 1-8-2018 )
N. 178 SENTENZA 4 - 26 luglio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Paesaggio - Piano paesaggistico regionale - Individuazione di
interventi esclusi dal vincolo di integrale conservazione dei
singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei
rispettivi insiemi - Individuazione di immobili incompatibili con i
valori paesaggistici da rilocalizzare in aree non di pregio -
Procedimento per la permuta, alienazione e sdemanializzazione di
terreni soggetti ad uso civico - Procedimento per il trasferimento
dei diritti di uso civico su altri terreni comunali.
- Legge della Regione autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11
(Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche
alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del
1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n.
28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge
regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994),
artt. 13, comma 1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39.
-
(GU n.31 del 1-8-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 13, comma
1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39 della legge della Regione
autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in
materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23
del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale
n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge
regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla
legge regionale n. 12 del 1994), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017,
depositato in cancelleria il 13 settembre 2017, iscritto al n. 72 del
registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma della
Sardegna;
udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2018 il Giudice relatore
Aldo Carosi;
udito l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Mattia Pani per la Regione
autonoma della Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso spedito per la notifica il 4 settembre 2017,
ricevuto il 7 settembre 2017 e depositato in cancelleria il
successivo 13 settembre (reg. ric. n. 72 del 2017), il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all'art. 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione e alla legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna), e successive integrazioni e modificazioni - in particolare
all'art. 3, primo comma, lettera n) - e in relazione agli artt. 135 e
143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137), questioni di legittimita' costituzionale degli
artt. 13, comma 1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39 della legge
della Regione autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11
(Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche
alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del
1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28
del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n.
22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994).
1.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha premesso che la
Regione autonoma della Sardegna gode di competenza legislativa di
tipo primario in materia di usi civici, ai sensi dell'art. 3, primo
comma, lettera n), dello statuto speciale, la quale, in base alla
citata norma statutaria, dovrebbe attuarsi «[i]n armonia con la
Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi
nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica»; e che anche le norme di
attuazione dello statuto speciale che attribuiscono alla medesima
Regione funzioni relative ai beni culturali e ai beni ambientali e
quelle relative alla redazione e all'approvazione dei piani
paesistici (art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 22
maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione dello Statuto
speciale della Regione autonoma della Sardegna») dovrebbero essere
adottate nel rispetto dei sopramenzionati limiti di cui all'art. 3,
primo comma, dello statuto speciale.
In particolare, tra le norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica andrebbero ricondotte quelle
introdotte dal legislatore statale sulla base del titolo di
competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., e, specificamente, le norme in materia di
beni paesaggistici e di pianificazione paesaggistica contenute nel
d.lgs. n. 42 del 2004, come gia' affermato, in diverse occasioni, da
questa Corte.
1.2.- Fatte queste premesse, e', in particolare, oggetto di
impugnativa l'art. 13, comma 1, della legge regionale in esame, che,
aggiungendo le lettere i-bis) e i-ter) al comma 2 dell'art. 10-bis
della legge della Regione autonoma della Sardegna 22 dicembre 1989,
n. 45 (Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale), esclude
dal «vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri
naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi» e,
dunque, dal vincolo di inedificabilita', gli interventi relativi alla
realizzazione di parcheggi che non determinino alterazione permanente
e irreversibile dello stato dei luoghi e le strutture di facile
rimozione a servizio della balneazione e della ristorazione,
preparazione e somministrazione di bevande e alimenti, e finalizzate
all'esercizio di attivita' sportive, ludico-ricreative direttamente
connesse all'uso del mare e delle acque interne; nonche' le
infrastrutture puntuali di facile rimozione a servizio delle
strutture di interesse turistico-ricreativo dedicate alla nautica.
Secondo il ricorrente, la disposizione in esame anticiperebbe
scelte di merito di compatibilita' paesaggistica di talune tipologie
di interventi, i quali costituirebbero alcuni dei contenuti minimi
del piano paesaggistico in base all'art. 143, comma 1, lettera c),
del d.lgs. n. 42 del 2004 sottoposti, per i beni vincolati,
all'obbligo di condivisione preventiva con il Ministero competente in
virtu' dell'art. 135 del d.lgs. citato; la disposizione violerebbe,
dunque, l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e le norme
interposte sulla pianificazione congiunta (artt. 135 e 143 del d.lgs.
n. 42 del 2004), in quanto interverrebbe unilateralmente, anziche'
con la pianificazione condivisa con gli organi statali. La
copianificazione obbligatoria per le aree vincolate gravate da
vincoli paesaggistici sarebbe, difatti, norma di grande riforma
economico-sociale, che si impone anche alle Regioni ad autonomia
speciale, in quanto risponde alle esigenze di uniformita' nella
tutela dei beni paesaggistici (sono citate le sentenze n. 64 del 2015
e n. 180 del 2008).
1.3.- Anche l'art. 29, comma 1, lettera a), della legge reg.
Sardegna n. 11 del 2017 - che modifica l'art. 38 della legge Regione
autonoma della Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la
semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica
ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio) -
prevedendo il trasferimento del patrimonio edilizio esistente
mediante interventi di demolizione e ricostruzione con differente
localizzazione degli edifici ricadenti «all'interno delle zone
urbanistiche omogenee E ed H ed interne al perimetro dei beni
paesaggistici di cui all'articolo 142, comma 1, lettere a), b), c),
ed i) del decreto legislativo n. 42 del 2004», risulterebbe non in
linea con il quadro giuridico nazionale di riferimento e, in
particolare, con gli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 24 del 2004, per i
medesimi motivi in precedenza illustrati.
1.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna altresi'
gli artt. 37 e 38 della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, che
modificano, rispettivamente, gli artt. 18 e 18-ter della legge
Regione autonoma della Sardegna 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in
materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977,
n. 1, concernente l'organizzazione amministrativa della Regione
sarda).
Il procedimento delineato dalle menzionate disposizioni per la
permuta, alienazione e trasferimento dei terreni ovvero per il
trasferimento dei diritti di uso civico vincolerebbe, difatti, il
potere dell'amministrazione statale di valutazione degli aspetti
paesaggistici delle aree coperte da usi civici, per le quali i
Consigli comunali richiedono la sclassificazione, solo in relazione
al riconoscimento «dell'assenza di valori paesaggistici determinati
dall'uso civico», con implicita esclusione di una diversa valutazione
complessiva tecnico-discrezionale della sussistenza attuale di
ulteriori valori paesaggistici.
Le previsioni censurate, pertanto, imporrebbero la
sclassificazione e la cessazione del vincolo paesaggistico per il
solo fatto che gli usi civici non sono piu' attualmente praticati o
praticabili a causa del mutamento dello stato dei luoghi, precludendo
diverse valutazioni, volte, ad esempio, a processi di
riqualificazione e recupero di contesti paesaggistici parzialmente
compromessi o degradati, oltre al ripristino dello stato dei luoghi,
ove possibile.
Le richiamate disposizioni sarebbero inoltre censurabili anche
per il richiamo non appropriato all'art. 156, comma 1, del d.lgs. n.
42 del 2004, che introdurrebbe una nuova figura di potere sostitutivo
ministeriale, da esercitarsi nel caso in cui non sia stato stipulato
l'accordo di copianificazione previsto dalle menzionate disposizioni
entro novanta giorni dalla delibera del Consiglio comunale.
Alla luce delle precedenti considerazioni, gli artt. 37 e 38
della legge regionale in esame eccederebbero dalle competenze
statutarie della Regione autonoma della Sardegna, in particolare da
quelle di cui all'art. 3, primo comma, lettera n), dello statuto
speciale, e contrasterebbero con le disposizioni statali citate, in
violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
1.5.- Le medesime ragioni condurrebbero, secondo il ricorrente,
alla declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 39 della
medesima legge reg. Sardegna n. 11 del 2017 che, inserendo l'art.
18-quater della legge reg. Sardegna n. 12 del 1994, prevede che
possono essere oggetto di sdemanializzazione i terreni soggetti a uso
civico appartenenti ai demani civici a condizione che abbiano
irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione
funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi per
oggettiva trasformazione. Anch'esso finirebbe, difatti, per
pregiudicare la valutazione della possibile sussistenza attuale di
altri valori paesaggistici e per escludere, di conseguenza, la stessa
possibilita' di «proporre soluzioni di riduzione in pristino dello
stato dei luoghi degradati o compromessi o di prospettare soluzioni
di rigenerazione e di recupero paesaggistico, fermo restando il
connesso regime vincolistico», come previsto dall'art. 143 del d.lgs.
n. 42 del 2004.
2.- Si e' costituta in giudizio la Regione autonoma della
Sardegna, che ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza del
ricorso.
La resistente ha premesso che la competenza legislativa primaria
in materia di edilizia e urbanistica (art. 3, primo comma, lettera f,
dello statuto speciale) ricomprende, nell'interpretazione fornita da
questa Corte con la sentenza n. 51 del 2006, anche la tutela del
paesaggio e dell'ambiente, che deve comunque rispettare le norme
fondamentali di riforma economico-sociale. In particolare, la
sentenza n. 308 del 2013 avrebbe individuato nel principio della
pianificazione congiunta dei beni paesaggistici, espresso dagli artt.
135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, una norma fondamentale di
riforma economico-sociale che costituisce un limite alla competenza
legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale. La Regione
autonoma, pertanto, fuori dai limiti individuati e nell'esercizio
della propria competenza legislativa primaria, puo' «intervenire
sulla regolamentazione paesaggistica dei suddetti beni, anche
attraverso una norma di interpretazione autentica, non essendo
vincolata a coinvolgere, ne' in via preventiva, ne' in via
successiva, i competenti organi statali» e, in sostanza, puo'
incidere sulla disciplina pianificatoria in tema di beni
paesaggistici (e' citata la sentenza del TAR Sardegna, seconda
sezione, 11 maggio 2017, n. 334), anche in virtu' dell'art. 8 del
d.lgs. n. 42 del 2004.
2.1.- Preliminarmente, la Regione autonoma della Sardegna ha
eccepito l'inammissibilita' del ricorso che non avrebbe articolato le
censure tenendo conto delle norme statutarie che le conferiscono
competenza legislativa primaria in materia e, comunque, non avrebbe
illustrato le ragioni per le quali non trovano applicazione le norme
speciali statutarie. Ha inoltre eccepito la carenza di interesse
all'impugnativa e, in particolare, l'omessa indicazione
dell'ipotetico pregiudizio per l'interesse pubblico conseguente alla
esecuzione delle norme in esame. Risulterebbero infine genericamente
evocati i parametri violati, in assenza di un adeguato supporto
argomentativo.
2.2.- Nel merito, secondo la Regione resistente, l'art. 13, comma
1, della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, non avrebbe leso il
principio di copianificazione dei beni paesaggistici, annoverato tra
le norme fondamentali di riforma economico-sociale che si impongono
anche alle Regioni a statuto speciale.
L'art. 10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989 e' stato
difatti inserito dalla legge della Regione autonoma della Sardegna 7
maggio 1993, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22
dicembre 1989, n. 45, recante «Norme per l'uso e la tutela del
territorio regionale»), la quale ha introdotto una disciplina
particolarmente rigorosa, rendendo del tutto inedificabili alcuni
ambiti territoriali, e, al contempo, ha individuato le fattispecie
escluse da detto vincolo. Tra queste sono stati inseriti anche gli
interventi previsti dalla disposizione in esame, che sarebbe volta
soltanto a chiarire che essi non sono ricompresi nel vincolo di
intrasformabilita', ma non sarebbero ammessi nelle aree sottoposte a
vincolo paesaggistico ne' si sottrarrebbero alla copianificazione.
In definitiva, la disposizione in esame sarebbe volta a
consentire che tali interventi non trovino ostacolo nelle previsioni
legislative di cui all'articolo 10-bis, primo comma, della legge reg.
Sardegna n. 45 del 1989.
2.3.- Peraltro, gli ambiti oggetto di tutela in base all'art.
10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989 e i beni
paesaggistici ai sensi dell'art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004
avrebbero caratteri differenti.
La norma regionale, difatti, imporrebbe un vincolo assoluto che
precluderebbe la trasformabilita' e l'edificabilita' delle aree
interessate dal vincolo, impedendo ogni trasformazione degli ambiti
oggetto di tutela. Diversamente, il codice dei beni culturali e del
paesaggio valuterebbe la compatibilita' delle trasformazioni con il
contesto paesaggistico e con i valori che sottendono al vincolo,
subordinandole al rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 146
del medesimo codice. La disciplina conseguente all'apposizione del
vincolo e il connesso regime autorizzatorio non verrebbero, in
definitiva, modificati dalla norma in esame.
2.4.- Analogamente, anche l'obbligo di pianificazione congiunta
previsto dagli artt. 135 e 143 del cod. beni culturali non verrebbe
meno in virtu' della normativa in esame, che si limiterebbe a
elencare gli interventi esclusi dal vincolo di inedificabilita' e non
quelli sottratti alla disciplina dei beni paesaggistici. D'altronde,
norme analoghe (art. 5, comma 7, della legge della Regione autonoma
della Sardegna 7 agosto 2009, n. 3, recante «Disposizioni urgenti nei
settori economico e sociale», e art. 17, comma 1, lettera b, della
legge della reg. Sardegna n. 8 del 2015), che hanno modificato l'art.
10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989, non sarebbero state
impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del
presupposto per cui non avrebbero potuto essere lesive dell'obbligo
di copianificazione dei beni paesaggistici.
2.5.- Infine, l'art. 13, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 11
del 2017 sarebbe in realta' conforme ai parametri evocati dal
ricorrente, in quanto gli interventi ivi contemplati
corrisponderebbero a quelli indicati negli allegati A e B del d.P.R.
13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli
interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a
procedura autorizzatoria semplificata), volti a rendere maggiormente
fruibile il bene paesaggistico, o inidonei ad arrecarvi un vulnus, in
quanto caratterizzati o dal presupposto della mancanza di alterazione
permanente e irreversibile dello stato dei luoghi ovvero da quello
della facile rimozione delle strutture. D'altronde, anche la
relazione illustrativa del menzionato d.P.R. n. 31 del 2017 delinea
il rapporto tra gli artt. 149 e 146 del cod. beni culturali,
chiarendo che un intervento puo' essere ritenuto rilevante in questo
ambito solo quando puo' arrecare pregiudizio al bene paesaggistico,
con la conseguenza che il sacrificio della proprieta' e
dell'iniziativa economica deve trovare un limite logico, ragionevole
e proporzionato.
In conclusione, la norma impugnata non potrebbe violare il
principio di copianificazione, in quanto individuerebbe fattispecie
insuscettibili di produrre modificazione dei beni paesaggistici che
alterino i caratteri naturalistici e storico-morfologici tutelati
dalla norma.
2.6.- Anche le censure attinenti all'art. 29, comma 1, lettera
a), della medesima legge regionale sarebbero infondate, dal momento
che l'intervento ivi contemplato sarebbe comunque soggetto al regime
di cui all'art. 146 del cod. beni culturali.
2.7.- In relazione agli artt. 37 e 38 della legge reg. in esame
che disciplinano, rispettivamente, le procedure per la permuta e
l'alienazione dei terreni civici e per il trasferimento dei diritti
di uso civico su altri terreni comunali, la Regione autonoma
resistente chiarisce che l'adozione del decreto assessoriale di
autorizzazione a disporre di detti beni e' subordinata alla
valutazione degli aspetti paesaggistici effettuata dalla Regione e
dal Ministero in occasione dell'elaborazione congiunta del piano
paesaggistico regionale o, in fase anticipata, attraverso singoli
accordi di copianificazione, come richiesto da questa Corte nella
sentenza n. 210 del 2014.
Inoltre, la procedura delineata dalle suddette norme non
limiterebbe l'attivita' congiunta al riconoscimento dell'assenza di
valori paesaggistici determinati dall'uso civico, bensi' «alla
valutazione degli aspetti paesaggistici», come enunciato nella parte
iniziale, che potrebbe portare a dettare apposite prescrizioni, ai
sensi dell'art. 143, o a riproporre un vincolo paesaggistico e
ambientale, ai sensi degli artt. 136 e ss. del d.lgs. n. 42 del 2004.
Con riferimento all'asserito erroneo richiamo dell'art. 156,
comma 1, cod. beni culturali, esso sarebbe in realta' coerente con la
configurazione di un accordo di copianificazione quale anticipazione
dell'adeguamento del piano paesaggistico regionale e con la
conseguente riconducibilita' all'intesa di cui all'art. 143, comma 2,
del d.lgs. n. 42 del 2004, ivi richiamata.
Infine, anche l'art. 39 impugnato dovrebbe essere interpretato
nel senso di subordinare l'autorizzazione alla sdemanializzazione
alla valutazione degli aspetti paesaggistici non necessariamente
connessi all'esistenza dell'uso civico effettuata dalla Regione e dal
Ministero in occasione dell'elaborazione congiunta del piano
paesaggistico regionale o, in fase anticipata, attraverso singoli
accordi di copianificazione.
3.- In prossimita' dell'udienza pubblica la Regione autonoma
della Sardegna ha depositato il parere del Ministero dei beni delle
attivita' culturali e del turismo del 3 maggio 2018 reso, a sua
richiesta, in merito alla portata applicativa della legge 20 novembre
2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi).
Il Presidente del Consiglio dei ministri, nella memoria
illustrativa, ha replicato alle eccezioni di inammissibilita'
sollevate e ribadito le argomentazioni a sostegno della
illegittimita' delle disposizioni impugnate, contestando
l'interpretazione della Regione autonoma volta a "dequotarne" la
portata precettiva.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 13, comma 1, 29, comma 1,
lettera a), 37, 38 e 39 della legge della Regione autonoma della
Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia
urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del
1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8
del 2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale
n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla legge
regionale n. 12 del 1994), in riferimento all'art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione e alla legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e successive
integrazioni e modificazioni, in particolare all'art. 3, primo comma,
lettera n), e in relazione agli artt. 135 e 143 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.
137).
L'art. 13, comma 1 della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017 - che
aggiunge le lettere i-bis e i-ter al comma 2 dell'art. 10-bis della
legge della Regione autonoma della Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45
(Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale) - esclude dal
vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri
naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi «gli
interventi relativi alla realizzazione di parcheggi che non
determinino alterazione permanente e irreversibile dello stato dei
luoghi e le strutture di facile rimozione a servizio della
balneazione e della ristorazione, preparazione e somministrazione di
bevande e alimenti, e finalizzate all'esercizio di attivita'
sportive, ludico-ricreative direttamente connesse all'uso del mare e
delle acque interne»; nonche' «le infrastrutture puntuali di facile
rimozione a servizio delle strutture di interesse
turistico-ricreativo dedicate alla nautica».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la menzionata
disposizione sarebbe lesiva dell'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., che riserva allo Stato la potesta' legislativa esclusiva in
materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»,
in quanto interverrebbe unilateralmente e non con la pianificazione
condivisa prevista, per i beni vincolati, dagli artt. 135 e 143 del
d.lgs. n. 42 del 2004, che costituiscono norme di grande riforma
economica-sociale vincolanti anche le Regioni ad autonomia speciale.
Anche l'art. 29, comma 1, lettera a), della medesima legge reg.
Sardegna n. 11 del 2017 - che modifica l'art. 38 della legge Regione
autonoma della Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la
semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica
ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio) - il
quale prevede il trasferimento del patrimonio edilizio esistente
mediante interventi di demolizione e ricostruzione con differente
localizzazione degli edifici ricadenti «all'interno delle zone
urbanistiche omogenee E ed H ed interne al perimetro dei beni
paesaggistici di cui all'articolo 142, comma 1, lettere a), b), c),
ed i)» del decreto legislativo n. 42 del 2004, sarebbe lesivo degli
stessi parametri per analoghe ragioni.
1.2.- Sono inoltre impugnati gli artt. 37, 38 e 39 della legge
reg. Sardegna n. 11 del 2017, che modificano, rispettivamente, gli
artt. 18 e 18-ter della legge Regione autonoma della Sardegna 14
marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della
legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1, concernente l'organizzazione
amministrativa della Regione sarda), e vi aggiungono l'art.
18-quater, poiche' subordinano il decreto di autorizzazione alla
alienazione, alla permuta o alla sdemanializzazione dei terreni
civici ad un accordo che riconosca l'assenza di valori paesaggistici
determinati dall'uso civico.
Secondo il ricorrente, essi lederebbero l'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la potesta'
legislativa esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», e l'art. 3, primo comma,
lettera n), dello statuto speciale, in relazione all'art. 143 del
d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto vincolerebbero il potere
dell'amministrazione statale di valutazione degli aspetti
paesaggistici delle aree coperte da usi civici, per le quali la
stessa norma prevede che i Consigli comunali richiedono la
sclassificazione.
Le richiamate disposizioni sarebbero inoltre censurabili anche
per il richiamo non appropriato all'art. 156, comma 1, del d.lgs. n.
42 del 2004, che introdurrebbe una nuova figura di potere sostitutivo
ministeriale, da esercitarsi nel caso in cui non sia stato stipulato
l'accordo di copianificazione previsto da dette disposizioni entro
novanta giorni dalla delibera del Consiglio comunale.
2.- La Regione autonoma della Sardegna ha eccepito in via
preliminare l'inammissibilita' del ricorso in quanto e' stato
formulato non tenendo conto delle norme statutarie che le
conferiscono «competenza legislativa primaria ed esclusiva in
materia» e, comunque, per non essere state illustrate le ragioni per
le quali non troverebbero applicazione le norme speciali statutarie.
Ha inoltre eccepito la carenza di interesse all'impugnativa in esame
e, in particolare, l'omessa indicazione dell'ipotetico pregiudizio
per l'interesse pubblico conseguente alla «esecuzione delle norme
impugnate».
Risulterebbero infine genericamente evocati i parametri violati,
in assenza di un adeguato supporto argomentativo.
2.1.- Le eccezioni sollevate dalla Regione autonoma resistente
non sono fondate.
Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, anche di recente,
proprio con riferimento alla Regione autonoma della Sardegna, che «la
conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all'articolo
117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello
Stato [e che ] le disposizioni del Codice dei beni culturali e del
paesaggio si impongono al rispetto del legislatore della Regione
autonoma della Sardegna, anche in considerazione della loro natura di
norme di grande riforma economico-sociale e dei limiti posti dallo
stesso statuto sardo alla potesta' legislativa regionale (sentenze n.
210 del 2014 e n. 51 del 2006)» (sentenza n. 103 del 2017).
Parimenti infondate sono le ulteriori eccezioni preliminari
sollevate dalla Regione resistente, ossia la carenza di interesse
alla proposizione dell'impugnativa - e, in particolare, l'omessa
indicazione dell'ipotetico pregiudizio per l'interesse pubblico
derivante dalla norma in esame - e la carente argomentazione in
ordine alle censure.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, difatti, il giudizio
promosso in via principale e' giustificato dalla mera pubblicazione
di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze,
a prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto (ex multis,
sentenze n. 195 del 2017, n. 262 del 2016 e n. 118 del 2015). Nel
caso in esame, l'asserita lesione dei criteri di ripartizione delle
competenze legislative statali giustifica l'impugnativa in esame.
Del pari da respingere e' l'ultima eccezione di inammissibilita'
circa la carenza di motivazione. Contrariamente a quanto sostenuto
dalla Regione autonoma della Sardegna, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali le
disposizioni impugnate sarebbero contrarie alle norme di grande
riforma economico-sociale, specificamente individuate, in materia di
tutela dell'ambiente.
3.- Venendo al merito, e' necessario sinteticamente premettere
l'evoluzione delle norme regionali e statali, da cui emerge la
stretta interrelazione logica e cronologica tra le stesse.
In seguito all'entrata in vigore del decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni,
nella legge 8 agosto 1985, n. 431 - che ha, tra l'altro, previsto
l'obbligo per le Regioni di sottoporre a specifica normativa d'uso e
di valorizzazione ambientale i beni e le aree vincolate mediante la
redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali -,
la legge reg. Sardegna n. 45 del 1989 ha previsto e disciplinato i
piani territoriali paesistici.
Dopo la proposta di piano di cui all'art. 11 della menzionata
legge regionale, e' stata adottata la legge della Regione autonoma
della Sardegna 7 maggio 1993, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla
legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, recante «Norme per l'uso e
la tutela del territorio regionale»), che, tra l'altro, ha
individuato, introducendo l'art. 10-bis nella legge reg. n. 45 del
1989, una serie di beni tutelati con vincolo di integrale
conservazione delle caratteristiche naturali e, pertanto,
inedificabili.
In sostanza, nella menzionata disposizione la Regione autonoma ha
dato attuazione alle norme di salvaguardia previste dagli artt. 1-bis
e 1-ter del d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni,
nella legge n. 431 del 1985, sui beni assoggettati a vincolo
dall'art. 1 dello stesso decreto-legge, trasformandoli in divieti di
edificazione.
Il legislatore regionale ha individuato aree e interventi esclusi
dal suddetto vincolo nel successivo comma 2 del medesimo art. 10-bis,
nel quale l'art. 13, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 11 del
2017, oggi impugnato, ha inserito le lettere i-bis e i-ter.
Successivamente, il d.lgs. n. 42 del 2004 ha recepito nell'art.
142, comma 1, l'elenco dei beni paesaggistici gia' individuati nella
legge n. 431 del 1985, sottoponendoli a pianificazione paesaggistica
regionale (art. 143, comma 1, lettera c) e, con le successive
modifiche normative (decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156,
recante «Disposizioni correttive ed integrative al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali» e
decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63, recante «Ulteriori
disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio»), li ha assoggettati
alla pianificazione paesaggistica condivisa. L'art. 135 cod. beni
culturali, nel testo in vigore dal 2008, stabilisce difatti,
all'ultimo periodo del comma 1, l'obbligo dell'elaborazione congiunta
dei piani paesaggistici tra Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare e Regioni, «limitatamente ai beni
paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d),
nelle forme previste dal medesimo articolo 143». Si tratta degli
«immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai
sensi dell'art. 136» (lettera b), delle «aree di cui al comma 1
dell'articolo 142» (lettera c) - e cioe' delle «[a]ree tutelate per
legge», tra le quali i territori costieri, i territori contermini ai
laghi, i fiumi, i parchi, le zone gravate da usi civici, le zone
umide e quelle di interesse archeologico - e degli «ulteriori
immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini
dell'articolo 134, comma 1, lettera c)» (lettera d).
Con la legge della Regione autonoma della Sardegna 25 novembre
2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la
pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale),
l'odierna resistente ha fatto propria questa disciplina statale
paesistico-ambientale ed ha introdotto misure di salvaguardia
finalizzate alla redazione del nuovo piano paesistico regionale,
qualificando quest'ultimo quale «principale strumento della
pianificazione territoriale regionale ai sensi dell'articolo 135 del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [...] al fine di
assicurare un'adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio» (art.
1, comma 1), che «assume i contenuti di cui all'articolo 143 del
decreto legislativo n. 42 del 2004» (art. 1, comma 2).
4.- Tanto premesso, le questioni sollevate nei confronti degli
artt. 13, comma 1, e 29, comma 1, lettera a), della legge reg. della
Sardegna n. 11 del 2017, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. e in relazione agli artt. 135 e 143 del d.lgs. n.
42 del 2004, sono fondate.
Dal momento che, come dianzi illustrato, i beni elencati
nell'art. 142, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 e quelli indicati
nell'art. 10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989
sostanzialmente coincidono, la disposizione impugnata - che esclude
dal «vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri
naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi»,
previsto dal medesimo art. 10-bis, determinati interventi - contrasta
con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli
artt. 135 e 143, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004.
Nelle fattispecie in esame la Regione autonoma resistente ha,
difatti, proceduto in via unilaterale, e non attraverso la
pianificazione condivisa conformemente a quanto previsto dai citati
artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004. Questa Corte ha gia'
riconosciuto a tali disposizioni il rango di norme di grande riforma
economico-sociale (sentenze n. 103 del 2017, n. 210 del 2014 e n. 308
del 2013); in ogni caso, in presenza di piu' competenze, quale quella
dello Stato in materia ambientale, e quella della Regione autonoma
della Sardegna in materia edilizia ed urbanistica, cosi' intrecciate
ed interdipendenti in relazione alla fattispecie in esame, la
concertazione in sede legislativa ed amministrativa risulta
indefettibile per prevenire ed evitare aporie del sistema.
Come sopra ricordato, questa Corte ha gia' avuto modo di
affermare, proprio con riferimento alla Regione autonoma della
Sardegna, che la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in
base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura
esclusiva dello Stato, aggiungendo che tale titolo di competenza
statale «riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni
speciali o di Province autonome, con l'ulteriore precisazione, pero',
che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia»
(sentenza n. 378 del 2007).
Non e' di per se' rilevante, quindi, che l'art. 3, primo comma,
lettera f), dello statuto speciale della Regione autonoma della
Sardegna conferisca a quest'ultima la competenza legislativa primaria
in materia di «edilizia ed urbanistica», ancorche' - come chiarito
dall'art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di
attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della
Sardegna) - essa riguardi non solo le funzioni di tipo strettamente
urbanistico, ma anche quelle relative ai beni culturali e ambientali.
Il legislatore statale conserva il potere di vincolare la
potesta' legislativa primaria dell'autonomia speciale attraverso
l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali».
E cio' anche sulla base - per quanto qui viene in rilievo - del
titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela del
paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali. Da
cio' deriva che il legislatore della Regione autonoma della Sardegna
non puo' esercitare unilateralmente la propria competenza statutaria
nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco interessi
generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva statale e
risultino in contrasto con norme fondamentali di riforma
economico-sociale.
Neppure e' dirimente l'asserita coincidenza, evidenziata dalla
resistente, delle disposizioni impugnate con quanto stabilito negli
allegati A (Interventi ed opere in aree vincolate esclusi
dall'autorizzazione paesaggistica) e B (Elenco di interventi di lieve
entita' soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato) del
d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione
degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o
sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), in quanto la
semplice novazione della fonte normativa costituisce comunque causa
di illegittimita' della disposizione regionale (ex plurimis, sentenze
n. 110 del 2018, n. 234 e n. 40 del 2017 e n. 195 del 2015).
Inoltre, con riguardo all'art. 29, comma 1, lettera a), la
violazione del parametro evocato dal Presidente del Consiglio dei
ministri si manifesta anche in quanto la norma censurata legittima
interventi di demolizione e ricostruzione, con differente
localizzazione degli edifici situati in aree ricadenti all'interno
delle zone urbanistiche omogenee E e H e interne al perimetro dei
beni paesaggistici di cui all'art. 142, comma 1, lettere a), b), c),
e i) del d.lgs. n. 42 del 2004. In tal modo, infatti, attraverso il
previo mutamento della disciplina inerente a tali zone urbanistiche
si viene a svuotare la competenza esclusiva dello Stato finalizzata a
determinare i criteri con cui intervenire negli ambiti ambientali e
paesistici.
5.- Anche le questioni promosse nei confronti degli artt. 37, 38
e 39 della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, in riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e in relazione
all'art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, nonche' all'art. 3, primo
comma, lettera n), dello statuto speciale, sono fondate.
Non puo' essere, difatti, accolta la difesa della Regione
autonoma resistente secondo cui le norme censurate farebbero
applicazione dell'art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, e in
particolare del procedimento facoltativo dell'intesa «per la
definizione delle modalita' di elaborazione congiunta dei piani
paesaggistici». L'intesa, infatti, deve precedere l'eventuale
trasposizione normativa di rango primario e non puo' essere, come e'
ovvio, predeterminata unilateralmente nei contenuti con legge della
Regione autonoma.
Esaminando fattispecie sostanzialmente analoghe in riferimento al
medesimo parametro, questa Corte ha affermato che «la conciliazione
degli interessi in gioco e la coesistenza dei due ambiti di
competenza legislativa statale e regionale» avviene attraverso «la
previa istruttoria e il previo coinvolgimento dello Stato nella
decisione di sottrarre eventualmente alla pianificazione ambientale
beni che, almeno in astratto, ne fanno "naturalmente" parte»
(sentenza n. 103 del 2017).
Peraltro, le disposizioni previste dagli artt. 37, 38 e 39 della
legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, oltre che emanate
unilateralmente, riguardano una competenza che non appartiene, e non
e' mai appartenuta, alla Regione autonoma della Sardegna, poiche'
«nell'intero arco temporale di vigenza del Titolo V, Parte II, della
Costituzione - sia nella versione antecedente alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione), sia in quella successiva - e,
quindi, neppure a seguito dei d.P.R. n. 11 del 1972 e n. 616 del 1977
[...], il regime civilistico dei beni civici non e' mai passato nella
sfera di competenza delle Regioni. Infatti, la materia "agricoltura e
foreste" di cui al previgente art. 117 Cost., che giustificava il
trasferimento delle funzioni alle Regioni e l'inserimento degli usi
civici nei relativi statuti, mai avrebbe potuto comprendere la
disciplina della titolarita' e dell'esercizio di diritti dominicali
sulle terre civiche» (sentenza n. 113 del 2018).
La competenza regionale nella materia degli usi civici deve
essere intesa come legittimazione a promuovere, ove ne ricorrano i
presupposti, i procedimenti amministrativi finalizzati alle ipotesi
tipiche di sclassificazione previste dalla legge 16 giugno 1927, n.
1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751,
riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R.
decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l'art. 26 del R.
decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n.
895, che proroga i termini assegnati dall'art. 2 del R. decreto-legge
22 maggio 1924, n. 751) e dal relativo regolamento di attuazione
(Regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 recante «Approvazione del
regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766,
sul riordinamento degli usi civici del Regno»), nonche' quelli
inerenti al mutamento di destinazione.
Al contrario, «[u]n bene gravato da uso civico non puo' essere
[...] oggetto di alienazione al di fuori delle ipotesi tassative
previste dalla legge n. 1766 del 1927 e dal r.d. n. 332 del 1928 per
il particolare regime della sua titolarita' e della sua circolazione,
"che lo assimila ad un bene appartenente al demanio, nemmeno potendo
per esso configurarsi una cosiddetta sdemanializzazione di fatto.
L'incommerciabilita' derivante da tale regime comporta che [...] la
preminenza di quel pubblico interesse, che ha impresso al bene
immobile il vincolo dell'uso civico stesso, ne vieti qualunque
circolazione" (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 28
settembre 2011, n. 19792)» (sentenza n. 113 del 2018).
Le disposizioni in esame risultano, dunque, in contrasto con la
legge n. 1766 del 1927 e con il r.d. n. 332 del 1928 che la attua, in
quanto regolano la disciplina di istituti di natura civilistica
comportanti il regime dei beni da sottrarre al vincolo
paesistico-ambientale.
Dette disposizioni, come gia' rilevato nella sentenza n. 113 del
2018, non sono state abrogate o emendate dalla recente legge 20
novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi), che
non ha «modificato il procedimento di sclassificazione e mutamento di
destinazione contemplato dalle richiamate disposizioni».
In ordine a tale novella legislativa, non ancora in vigore al
momento del ricorso statale, la resistente ha prodotto un parere
dell'ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attivita'
culturali e del turismo del 3 maggio 2018, senza accompagnarlo con
ulteriori deduzioni. Detto parere conferma il principio secondo cui
la valutazione ambientale e paesaggistica dei beni civici deve essere
effettuata attraverso una complessiva copianificazione, evitando
interventi settoriali e per di piu' antecedenti alla medesima
pianificazione concertata.
E' utile comunque sottolineare che l'art. 3, comma 3, della legge
n. 168 del 2017 stabilisce che: «[i]l regime giuridico dei beni
[collettivi] resta quello della inalienabilita',
dell'indivisibilita', dell'inusucapibilita' e della perpetua
destinazione agro-silvo-pastorale», mentre il successivo comma 6
ribadisce che il vincolo paesaggistico ex lege sui beni civici, ai
sensi dell'art. 142, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 42 del 2004,
«garantisce l'interesse della collettivita' generale alla
conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia
dell'ambiente e del paesaggio». Enunciato, quest'ultimo, che collide
diametralmente con le ipotesi contenute nelle disposizioni impugnate
relative alla permuta, al trasferimento e alla perdita di
conformazione fisica e di destinazione funzionale.
Le norme impugnate contrastano, dunque, con il presupposto
indefettibile della previa "sclassificazione", che puo' concretarsi
solo nelle fattispecie legali tipiche, nel cui ambito procedimentale
precedentemente richiamato e' oggi ricompreso anche il concerto tra
Regione e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare (sentenze n. 113 del 2018, n. 103 del 2017 e n. 210 del 2014).
Certamente il principio indefettibile della pianificazione
condivisa non consente al legislatore regionale di pregiudicare
normativamente contenuti e moduli procedimentali della suddetta
copianificazione e neppure di imporre allo Stato, attraverso il
menzionato art. 39, comma 9, l'esercizio di un potere sostitutivo
finalizzato ad attuare le unilaterali prescrizioni regionali.
Nondimeno e' necessario chiarire che la difesa formulata dalla
Regione autonoma della Sardegna - secondo cui l'impossibilita' per la
stessa di adottare atti di disposizione del patrimonio civico
renderebbe impossibile governare il territorio in modo dinamico e
rispondente ai bisogni della collettivita' - risulta priva di
fondamento, poiche' l'ordinamento non prevede solo una tutela statica
del demanio civico.
Fermo restando che «l'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, che ha
trasferito alle Regioni soltanto le funzioni amministrative in
materia di usi civici, non ha mai consentito alla Regione - e non
consente oggi, nel mutato contesto del Titolo V della Parte II della
Costituzione - di invadere, con norma legislativa, la disciplina dei
diritti [condominiali degli utenti], estinguendoli, modificandoli o
alienandoli [e che] un bene gravato da uso civico non puo' essere
oggetto di alienazione al di fuori delle ipotesi tassative previste
dalla legge n. 1766 del 1927 e dal r.d. n. 332 del 1928 per il
particolare regime della sua titolarita' e della sua circolazione,
"che lo assimila ad un bene appartenente al demanio [...]" (Corte di
cassazione, sezione terza civile, sentenza 28 settembre 2011, n.
19792)» (sentenza n. 113 del 2018), quando sono presenti preminenti
interessi di carattere generale, l'utilizzazione dei terreni gravati
da uso civico puo' essere modificata attraverso l'istituto all'uopo
previsto dalla predetta legge n. 1766 del 1927 e dal relativo
regolamento di attuazione, e cioe' mediante il mutamento di
destinazione.
E' stato gia' affermato da questa Corte che «[i]n tale
prospettiva, il mutamento di destinazione non contrasta con il regime
di indisponibilita' del bene civico» quando avviene «attraverso la
valutazione delle autorita' competenti. Queste ultime [...] devono
essere oggi individuate nel Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare e nella regione (in tal senso, sentenza n.
210 del 2014)» (sentenza n. 103 del 2017).
In conclusione, e' proprio la pianificazione ambientale e
paesaggistica, esercitata da Stato e Regione, secondo le condivise
modalita' specificate da questa Corte (sentenza n. 210 del 2014), la
sede nella quale eventualmente puo' essere modificata, attraverso
l'istituto del mutamento di destinazione, l'utilizzazione dei beni
d'uso civico per nuovi obiettivi e - solo in casi di particolare
rilevanza - per esigenze di adeguamento a situazioni di fatto
meritevoli di salvaguardia sulla base di una valutazione non
collidente con gli interessi generali della popolazione locale.
Infatti, il mutamento di destinazione «ha lo scopo di mantenere, pur
nel cambiamento d'uso, un impiego utile alla collettivita' che ne
rimane intestataria» (sentenza n. 113 del 2018). La ratio di tale
regola e' nell'attribuzione alla collettivita' e agli utenti del bene
d'uso civico, uti singuli et cives, del potere di vigilare a che la
nuova utilizzazione mantenga nel tempo caratteri conformi alla
pianificazione paesistico ambientale che l'ha determinata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 13, comma 1,
29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39 della legge della Regione
autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in
materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23
del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale
n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge
regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla
legge regionale n. 12 del 1994).
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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