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mercoledì 14 novembre 2018

N. 195 ORDINANZA 26 settembre - 8 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Esecuzione penale - Disciplina del concorso formale e del reato continuato - Pluralita' di condanne intervenute per il medesimo reato permanente, in relazione a distinte frazioni della condotta (nella specie, reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare) - Poteri del giudice dell'esecuzione. - Codice di procedura penale, art. 671. - (GU n.45 del 14-11-2018 )





N. 195 ORDINANZA 26 settembre - 8 novembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione penale - Disciplina  del  concorso  formale  e  del  reato
  continuato - Pluralita' di condanne  intervenute  per  il  medesimo
  reato permanente, in relazione a distinte frazioni  della  condotta
  (nella specie, reato di violazione  degli  obblighi  di  assistenza
  familiare) - Poteri del giudice dell'esecuzione.
- Codice di procedura penale, art. 671.


(GU n.45 del 14-11-2018 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Giuliano  AMATO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio  BARBERA,  Giovanni  AMOROSO,   Francesco   VIGANO',   Luca
  ANTONINI,

     
    ha pronunciato la seguente

                              ORDINANZA

    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  671  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Chieti, sezione distaccata di Ortona, nel procedimento a carico di S.
S., con ordinanza del  16  novembre  2017,  iscritta  al  n.  40  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2018.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2018 il  Giudice
relatore Franco Modugno.
    Ritenuto che, con ordinanza del 16 novembre  2017,  il  Tribunale
ordinario di Chieti, sezione distaccata di Ortona, ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 671  del  codice  di  procedura
penale, «nella parte in cui non prevede, in  caso  di  pluralita'  di
condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione  a
distinte  frazioni   della   condotta,   il   potere   del   [giudice
dell'esecuzione] di rideterminare una  pena  unica,  in  applicazione
degli artt. 132 e 133 c.p., che tenga conto dell'intero fatto storico
accertato nelle plurime  sentenze  irrevocabili,  e  di  assumere  le
determinazioni conseguenti in tema  di  concessione  o  revoca  della
sospensione condizionale, ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p.»;
    che il giudice a quo riferisce di essere investito,  in  qualita'
di giudice dell'esecuzione, dell'istanza proposta  dal  difensore  di
una persona nei  cui  confronti  erano  state  emesse  dal  Tribunale
ordinario di Chieti due sentenze definitive di condanna per il  reato
di violazione aggravata degli obblighi di assistenza familiare  (art.
570, secondo comma, del codice penale): la  prima  del  22  settembre
2009,  divenuta  esecutiva  il  4  febbraio  2010,  alla  pena   (poi
parzialmente condonata) di sei mesi di  reclusione  ed  euro  600  di
multa per fatti commessi dal 30 novembre  2005  al  maggio  2007;  la
seconda del 21 aprile 2011, divenuta esecutiva  il  22  giugno  2017,
alla pena di anni uno di reclusione ed euro 1.000 di multa, per fatti
commessi dal maggio 2007 fino al 23 marzo 2009;
    che, con l'istanza in questione, il difensore aveva  chiesto,  in
via principale, che - riconosciuto che le due condanne si  riferivano
a un unico reato di natura permanente e, dunque, al medesimo fatto  -
fosse ordinata, ai sensi degli artt.  649  e  669  cod.  proc.  pen.,
l'esecuzione della sola sentenza di condanna emessa per prima (quella
del 22 settembre 2009); in via subordinata, che venisse applicata, ai
sensi  dell'art.  671  cod.  proc.  pen.,  la  disciplina  del  reato
continuato, con conseguente rideterminazione della  pena  complessiva
da espiare;
    che, ad avviso del rimettente, l'istanza  sarebbe  basata  su  un
presupposto corretto - l'unicita' del reato permanente per  il  quale
e' stata riportata una pluralita'  di  condanne  -  e  risponderebbe,
altresi', all'innegabile interesse del condannato a evitare il cumulo
delle pene irrogate dalle singole sentenze;
    che, cio' nondimeno, ne'  la  richiesta  principale,  ne'  quella
subordinata potrebbero essere accolte;
    che, quanto alla prima, l'accoglimento della richiesta rimarrebbe
precluso  dal  consolidato  indirizzo  giurisprudenziale  che  limita
l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 649  e  669  cod.
proc. pen., in tema di divieto di un secondo giudizio e di pluralita'
di sentenze per il medesimo fatto, ai  soli  casi  di  identita'  del
fatto storico oggetto dell'imputazione: identita' non ravvisabile nel
caso in esame;
    che,   secondo   quanto   chiarito   dalla   giurisprudenza    di
legittimita', infatti, nell'ipotesi del reato permanente, il  divieto
di un secondo giudizio riguarda esclusivamente la condotta  delineata
nell'imputazione e accertata dalla sentenza definitiva, e  non  anche
la prosecuzione della stessa condotta  o  la  sua  ripresa  in  epoca
successiva, che si traduce in un «fatto storico» diverso, non coperto
da giudicato, per il quale non vi e' alcun impedimento a procedere;
    che la commisurazione della pena operata da  ciascuna  delle  due
sentenze di condanna ha  tenuto  conto,  d'altro  canto,  solo  delle
condotte   accertate   nei   singoli   giudizi,    mentre    l'offesa
complessivamente arrecata dal delitto deriva  dall'effetto  congiunto
di tutte le condotte: conseguentemente, il problema  prospettato  dal
ricorrente non potrebbe essere risolto dichiarando eseguibile la sola
condanna meno grave, proprio perche' la stessa non ha considerato  le
condotte esaminate negli  altri  giudizi,  che,  aggravando  l'offesa
penalmente  rilevante,  renderebbero  necessario   rideterminare   la
sanzione secondo tutti i parametri previsti dall'art. 133 cod. pen.;
    che neppure potrebbe  essere  accolta  l'istanza  subordinata  di
rideterminazione della pena ai sensi dell'art. 671 cod.  proc.  pen.,
in applicazione dell'istituto della continuazione, non  essendo  tale
disposizione  applicabile  alla  fattispecie  in  esame  ne'  in  via
diretta, ne' in via analogica;
    che, quanto all'applicazione diretta, nessuna interruzione  della
permanenza si sarebbe verificata nel corso delle condotte incriminate
nei due giudizi;
    che, secondo la costante giurisprudenza di legittimita', infatti,
il delitto di violazione degli obblighi di assistenza  familiare,  di
cui all'art. 570, secondo comma,  numero  2),  cod.  pen.,  e'  reato
permanente, che non puo' essere scomposto in una pluralita' di  reati
omogenei, essendo unico e identico  il  bene  leso  nel  corso  della
durata dell'omissione, salvo il caso di cessazione della  permanenza,
che si verificherebbe con  l'adempimento  dell'obbligo  eluso  o,  in
difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado;
    che, nella specie, la prima sentenza di primo grado, emessa il 22
settembre 2009, e' posteriore all'ultima  delle  condotte  contestate
nel secondo giudizio (che e' del 23 marzo 2009), risultando,  dunque,
inidonea a determinare il fenomeno interruttivo; mentre l'ipotesi  di
un  adempimento  intermedio  dell'obbligo  eluso  rimarrebbe  esclusa
dall'accertamento  di  fatto  operato   nel   secondo   giudizio   di
cognizione, vincolante per il giudice dell'esecuzione;
    che, in mancanza di  interruzioni  della  permanenza  nell'intero
periodo oggetto delle  due  imputazioni,  il  delitto  per  il  quale
l'interessato ha riportato le condanne dovrebbe ritenersi unico,  con
conseguente impossibilita' di operare  una  sua  valutazione  tramite
l'istituto della continuazione, ai sensi  dell'art.  671  cod.  proc.
pen.;
    che tale valutazione unitaria  non  sarebbe  praticabile  neppure
attraverso   l'applicazione   analogica   in   bonam   partem   della
disposizione ora citata: il cumulo giuridico delle pene, previsto nel
caso  della  continuazione,  non  collimerebbe,   infatti,   con   la
necessita' di riparametrare la  pena  secondo  lo  schema  del  reato
unico; operazione che imporrebbe un nuovo ricorso ai parametri di cui
agli artt. 132 e 133 cod. pen. da parte del giudice  dell'esecuzione,
sostitutivo di quello effettuato dai  giudici  della  cognizione  sui
distinti frammenti della condotta oggetto dei rispettivi giudizi;
    che  verrebbe  quindi  a   configurarsi,   rispetto   all'istanza
difensiva,   un   vuoto   di   tutela   giurisdizionale   di   dubbia
compatibilita' con gli artt. 3 e 24 Cost.;
    che il reo avrebbe, infatti, diritto a una  valutazione  unitaria
delle condotte oggetto delle plurime sentenze di condanna, la  quale,
da un lato, eviti il cumulo delle  condanne  frazionate  irrogate  in
relazione  a  un  reato  unico,  dall'altro,  commisuri  la  sanzione
all'effettiva e complessiva offesa arrecata  con  tutte  le  condotte
oggetto dei singoli giudizi;
    che la pronuncia di plurime sentenze di condanna in  relazione  a
un unico reato deriverebbe, in effetti, da circostanze occasionali  e
indipendenti dalle scelte del reo, riconducibili essenzialmente  alle
modalita' e ai tempi con i quali sono stati esercitati il diritto  di
querela e l'azione penale per  le  singole  frazioni  della  condotta
contestata, nonche' alla mancata  riunione  dei  procedimenti  penali
instaurati;
    che il cumulo delle pene inflitte con dette sentenze, quindi, non
solo   non   troverebbe   alcuna   giustificazione   razionale,    ma
implicherebbe un trattamento deteriore dell'ipotesi considerata anche
rispetto ai casi, disciplinati dall'art. 671 cod. proc.  pen.,  della
pluralita' di reati avvinti dal concorso  formale  o  dall'esecuzione
del medesimo  disegno  criminoso:  casi  che  non  potrebbero  essere
ritenuti meno gravi;
    che il dubbio di legittimita' costituzionale risulterebbe inoltre
acuito nell'ipotesi - pur estranea al giudizio a quo - in  cui  siano
state emesse, per  il  medesimo  reato  permanente,  in  relazione  a
condotte distinte, piu' condanne a pene condizionalmente sospese:  in
tal caso, infatti,  in  assenza  del  potere  di  unificazione  delle
condanne  da  parte  del   giudice   dell'esecuzione,   l'interessato
rimarrebbe esposto non solo al  cumulo  delle  pene,  ma  anche  alla
revoca  delle  sospensioni  condizionali  gia'  concesse,  senza   la
possibilita' di beneficiare di una  rivalutazione  analoga  a  quella
prevista dall'art. 671, comma 3, cod. proc. pen.;
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
infondate;
    che   si   tratterebbe,   infatti,   di   questioni    totalmente
sovrapponibili a quelle  gia'  sollevate  dal  medesimo  giudice  con
ordinanza del 9 novembre 2016 e decise dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 53 del 2018;
    che il 10 aprile 2018 il giudice a quo ha  fatto  pervenire  alla
Corte, a mezzo del servizio postale, un atto recante la data  del  31
marzo 2018,  qualificato  come  «atto  di  integrazione  del  giudice
remittente, a seguito della sentenza n° 53 dell'8 marzo  2018,  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  elevata  con   atto   di
promovimento del 16 novembre 2017»: atto con il quale ha  sollecitato
un riesame  della  tematica,  formulando,  in  via  subordinata,  una
ulteriore e distinta questione di legittimita'  costituzionale  dello
stesso art. 671 cod. proc. pen.
    Considerato  che  il  Tribunale  ordinario  di  Chieti,   sezione
distaccata di Ortona, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24  della
Costituzione, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  671  del
codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede, in  caso
di  pluralita'  di  condanne  intervenute  per  il   medesimo   reato
permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere
del [giudice dell'esecuzione] di rideterminare  una  pena  unica,  in
applicazione degli artt. 132 e 133 c.p., che tenga conto  dell'intero
fatto storico accertato nelle plurime  sentenze  irrevocabili,  e  di
assumere le determinazioni  conseguenti  in  tema  di  concessione  o
revoca della sospensione condizionale, ai sensi degli artt. 163 e 164
c.p.»;
    che le questioni sono  identiche  a  quelle  gia'  sollevate  dal
medesimo Tribunale con  una  precedente  ordinanza  di  rimessione  e
dichiarate non fondate da questa Corte con  la  sentenza  n.  53  del
2018;
    che, nell'occasione, questa Corte ha rilevato come  le  questioni
poggino su un duplice presupposto interpretativo: e, cioe',  che  nel
caso considerato - quello della  pluralita'  di  condanne  definitive
concernenti distinte frazioni del medesimo  reato  permanente  -  non
trovi applicazione ne' la disciplina degli artt. 649 e 669 cod. proc.
pen., in tema di divieto di un secondo giudizio e  di  pluralita'  di
condanne per un medesimo fatto, ne' quella dell'art. 671  cod.  proc.
pen., in tema di riconoscimento della  continuazione  in  executivis;
con la conseguenza - reputata costituzionalmente inaccettabile -  che
l'interessato si troverebbe esposto al cumulo  materiale  delle  pene
inflittegli;
    che, mentre il primo  presupposto  deve  ritenersi  corretto,  in
quanto conforme al "diritto vivente", non altrettanto puo' dirsi  per
il secondo;
    che, secondo un consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza  di
legittimita', infatti, la permanenza del reato  puo'  cessare,  oltre
che per cause "naturalistiche" (l'esaurirsi della  condotta  tipica),
anche per cause giudiziarie, connesse alle modalita' di  accertamento
dell'illecito, che frantumano l'unita' del reato permanente,  facendo
si' che la protrazione successiva della  condotta  integri  un  reato
distinto e autonomo: ipotesi nella quale e' bene applicabile ai  vari
segmenti di condotta autonomamente giudicati la disciplina del  reato
continuato, anche in sede esecutiva;
    che, sempre alla luce delle indicazioni della  giurisprudenza  di
legittimita', ove nel giudizio di cognizione il reato permanente  sia
stato contestato all'imputato in forma cosiddetta "chiusa", ossia con
la precisa indicazione della durata  della  permanenza,  e'  la  data
finale indicata nel capo di imputazione a segnare il momento  in  cui
si determina il  fenomeno  interruttivo,  e  non  gia'  quella  della
pronuncia della sentenza di condanna  di  primo  grado  (come  invece
avviene nel caso  di  contestazione  in  forma  "aperta",  ossia  con
indicazione della sola data di inizio della permanenza);
    che nel caso di  contestazione  "chiusa",  la  frantumazione  del
reato  permanente,  atta  a   rendere   operante   l'istituto   della
continuazione,  si  realizza,  pertanto  -  diversamente  da   quanto
sostenuto dal giudice a quo - anche quando,  come  nella  specie,  la
prima sentenza di condanna di primo grado sia  successiva  all'intero
periodo al quale si riferiscono le plurime condanne;
    che  vengono  meno,   con   cio',   i   dubbi   di   legittimita'
costituzionale prospettati  dal  rimettente,  connessi  all'asserita,
indefettibile operativita', nell'ipotesi in  esame,  del  regime  del
cumulo materiale delle pene;
    che l'odierna ordinanza di rimessione  non  propone  argomenti  o
profili nuovi;
    che non possono essere presi, d'altro canto, in considerazione  i
contenuti dell'«atto di integrazione», fatto pervenire a questa Corte
dal Tribunale teatino dopo la sentenza n. 53 del 2018, con  il  quale
si prospetta, in via subordinata,  anche  una  ulteriore  e  distinta
questione di legittimita' costituzionale della  norma  censurata:  la
disciplina  del  giudizio   incidentale   non   contempla,   infatti,
"interlocuzioni"  del  giudice   a   quo   successive   all'atto   di
promovimento del giudizio, ne' tanto meno prevede che  il  rimettente
possa modificare o arricchire in itinere il thema decidendum con esso
fissato;
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
infondate.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 671  del  codice  di  procedura
penale,  sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  3   e   24   della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Chieti,  sezione  distaccata
di Ortona, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Franco MODUGNO, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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