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martedì 26 marzo 2024

PERCHÈ LA RISOLUZIONE ONU POTREBBE ESSERE PERICOLOSA

 

🔴 PERCHÈ LA RISOLUZIONE ONU POTREBBE ESSERE PERICOLOSA

Ovviamente, la prima reazione è stata di compiacimento: Israele sconfitto, gli USA costretti ad astenersi... una vittoria, quantomeno simbolica, per la Resistenza palestinese.

Sfortunatamente non è detto che sia così.

E la ragione è molto semplice. La prima - e probabilmente unica - conseguenza pratica dell'astensione statunitense, è stata la rottura tra Tel Aviv e Washington sulla questione di un accordo sull'evacuazione di Rafah prima di una invasione di terra. E questo, purtroppo, è assai probabile che apra la strada ad una operazione militare dell'IDF contro la città di confine, senza alcun piano di evacuazione preventiva della popolazione civile.

Netanyahu ha ribadito che l'operazione su Rafah ci sarà in ogni caso. E adesso lui e Biden possono fare il gioco delle parti.

Il premier israeliano dirà che l'intervento era assolutamente necessario, e che la decisione americana di astenersi sulla mozione ONU è stata una pugnalata alle spalle, che la Resistenza palestinese se ne approfitterà, e che quindi non c'è più tempo per discutere le richieste statunitensi.

Biden a sua volta potrà dire che stavolta non ha posto il veto, e che per fare ciò è arrivato a rompere con Israele.

Ovviamente, quello che entrambi fanno è ingigantire un fatto in sé e per sé privo di conseguenze pratiche, e soprattutto nascondere il fatto che gli Stati Uniti non useranno neanche stavolta - né mai lo faranno - l'unica leva di cui dispongono realmente: la sospensione di qualsiasi aiuto militare ed economico ad Israele.

Quindi l'esito possibile di questo voto è che Netanyahu sia spinto a forzare ancor più la mano, attaccando Rafah senza tener conto in alcun modo del milione e mezzo di civili che vi sono rifugiati. Con quali conseguenze è fin troppo facile immaginarlo.

Va oltretutto tenuto presente il contesto in cui tutto ciò si colloca, caratterizzato da una crescente frustrazione dei militari (che non riescono a venire a capo dei combattenti palestinesi, i quali continuano a battersi a Gaza City, a Khan Younis, ed hanno persino ripreso a lanciare razzi su Ashdod) e dalle forti tensioni interne alla società civile (oltre le spaccature tra ultras del nazionalismo messianico e laici, c'è la crescente insoddisfazione dei parenti dei prigionieri della Resistenza, la crisi economica dovuta alla mobilitazione dei riservisti, alla mancanza della manodopera araba, allo sfollamento di tutto il nord ed alla chiusura di fatto del porto di Eilat).

Questo contesto sta producendo per un verso un inasprirsi della violenza dell'IDF (emergono sempre più notizie di saccheggi, esecuzioni sommarie, stupri e brutalità gratuite), e per un altro un irrigidimento delle componenti più oltranziste (sia nel governo, che nella sua base elettorale, con i coloni in Cisgiordania sempre più violenti).

Il rischio è che tutto conduca ad una nuova strage di massa, senza peraltro che ciò serva ad eliminare la Resistenza armata - che come ben sa qualsiasi osservatore, è impossibile.

Una mossa di questo genere, oltretutto, non solo rischierebbe di rinfocolare sia il fronte libanese che quello del mar Rosso, ma porterebbe la tensione con l'Egitto ai massimi livelli.

Ma Netanyahu è convinto di poter rilanciare ancora, e che alla fine gli Stati Uniti non li lasceranno affondare. 

La sua non è solo la scommessa di un uomo disperato, che lotta per la propria sopravvivenza (politica), ma quella di un intero paese, che per la prima volta nella sua storia si trova faccia a faccia con il completo fallimento del suo progetto fondativo. E che non ha il coraggio di ammetterlo neanche a sé stesso.


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