Inizio pubblicazioni 22 agosto 2003 Notizie flash dall'Italia e dal mondo. DAL 2003 ININTERROTTAMENTE E OLTRE 100MILA INFORMAZIONI TOTALMENTE GRATUITE-
Translate
venerdì 22 luglio 2011
INTERNET: IL 16% UTENTI VITTIMA VIOLAZIONE DATI MA 42% NON CAMBIA MAI PASSWORD
INTERNET: IL 16% UTENTI VITTIMA VIOLAZIONE DATI MA 42% NON CAMBIA MAI PASSWORD =INDAGINE CPP ITALIA
Roma, 22 lug. - (Adnkronos) - Il 16% degli utenti di internet e'
stato vittima di un''intromissione elettronica', ovvero qualcuno ha
violato il suo accesso ai servizi. E di questi il 35% ne ha avuto un
danno economico. Lo denuncia un'indagine condotta da Cpp Italia,
filiale della multinazionale inglese specializzata nella tutela della
sicurezza dei dati personali e nella protezione delle carte di
credito. Ma la colpa e' in parte dei naviganti: il 42% degli
intervistati non modifica mai, a meno che non sia obbligato a farlo,
le password di accesso ai servizi e-mail e home banking, mentre l'11%
lo fa a cadenza annuale o piu' lunga.
"Comportamenti che possono favorire, almeno in parte, la
violazione dei propri account internet", si legge in una nota. E il
prezzo da pagare puo' essere anche salato: per 3 intervistati su 100
infatti i danni da truffe online sono stati contenuti entro i mille
euro. Tra i mille e i 5 mila euro sono stati i danni economici per il
2% degli utenti internet, mentre solo l'1% ha subito danni superiori
ai 5 mila euro. Oltre il 30% invece sono quelli che hanno subito l'uso
fraudolento dell'account di posta elettronica, Messenger (o altre web
chat) o del proprio social network.
Nonostante i pericoli, solo il 17% degli intervistati modifica
le proprie password una volta al mese. Il 18% cambia i codici di
accesso almeno ogni tre mesi, mentre il 12% lo fa due volte l'anno.
Una sola password per tutti i tipi di accessi a internet, dall'home
banking ai social network, e' utilizzata dal 14% degli utenti, mentre
il 13% ne usa 2: una per gli accessi ai servizi finanziari e un'altra
per social network e i servizi per il 'tempo libero'. (segue)
(Bat/Zn/Adnkronos)
22-LUG-11 11:33
NNNN
INTERNET: IL 16% UTENTI VITTIMA VIOLAZIONE DATI MA 42% NON CAMBIA MAI PASSWORD (2) ='CAMBIARE SPESSO PASSWORD E' SOLO UNA DELLE ATTENZIONI PER
EVITARE TRUFFE'
(Adnkronos) - "Cambiare frequentemente le password - spiega
Walter Bruschi, amministratore delegato di CPP Italia - e' sola una
delle attenzioni da avere per tutelarsi dalle truffe. Per incrementare
il livello di sicurezza e' pero' meglio utilizzare password diverse
per ogni tipo di accesso. Se, infatti, un malintenzionato entrasse in
possesso della nostra unica password - continua- avrebbe accesso anche
a tutti gli account internet. Si rischierebbe, quindi, di subire non
solo un danno patrimoniale ma anche il furto di identita', un tipo di
frode che si sta espandendo anche in Italia".
"Con il furto di identita' - prosegue - il malvivente di turno
puo' fare acquisti rateali o richiedere finanziamenti a nostro nome.
Dimostrare la nostra estraneita' ai fatti, e ottenere i rimborsi delle
somme indebitamente sottratte, richiede l'intervento di diverse figure
professionali e soprattutto tempi piuttosto lunghi. Contro questo tipo
di frode - conclude - ci si puo' tutelare sottoscrivendo servizi di
protezione dei dati personali e software che rendano piu' sicura la
navigazione ".
Se non si vogliono acquistare programmi specifici di protezione
bisognerebbe fare come quel 47% di utenti che utilizza una password
diversa per ogni accesso e la cambia con una certa regolarita'
(Bat/Zn/Adnkronos)
22-LUG-11 11:38
NNNN
Roma, 22 lug. - (Adnkronos) - Il 16% degli utenti di internet e'
stato vittima di un''intromissione elettronica', ovvero qualcuno ha
violato il suo accesso ai servizi. E di questi il 35% ne ha avuto un
danno economico. Lo denuncia un'indagine condotta da Cpp Italia,
filiale della multinazionale inglese specializzata nella tutela della
sicurezza dei dati personali e nella protezione delle carte di
credito. Ma la colpa e' in parte dei naviganti: il 42% degli
intervistati non modifica mai, a meno che non sia obbligato a farlo,
le password di accesso ai servizi e-mail e home banking, mentre l'11%
lo fa a cadenza annuale o piu' lunga.
"Comportamenti che possono favorire, almeno in parte, la
violazione dei propri account internet", si legge in una nota. E il
prezzo da pagare puo' essere anche salato: per 3 intervistati su 100
infatti i danni da truffe online sono stati contenuti entro i mille
euro. Tra i mille e i 5 mila euro sono stati i danni economici per il
2% degli utenti internet, mentre solo l'1% ha subito danni superiori
ai 5 mila euro. Oltre il 30% invece sono quelli che hanno subito l'uso
fraudolento dell'account di posta elettronica, Messenger (o altre web
chat) o del proprio social network.
Nonostante i pericoli, solo il 17% degli intervistati modifica
le proprie password una volta al mese. Il 18% cambia i codici di
accesso almeno ogni tre mesi, mentre il 12% lo fa due volte l'anno.
Una sola password per tutti i tipi di accessi a internet, dall'home
banking ai social network, e' utilizzata dal 14% degli utenti, mentre
il 13% ne usa 2: una per gli accessi ai servizi finanziari e un'altra
per social network e i servizi per il 'tempo libero'. (segue)
(Bat/Zn/Adnkronos)
22-LUG-11 11:33
NNNN
INTERNET: IL 16% UTENTI VITTIMA VIOLAZIONE DATI MA 42% NON CAMBIA MAI PASSWORD (2) ='CAMBIARE SPESSO PASSWORD E' SOLO UNA DELLE ATTENZIONI PER
EVITARE TRUFFE'
(Adnkronos) - "Cambiare frequentemente le password - spiega
Walter Bruschi, amministratore delegato di CPP Italia - e' sola una
delle attenzioni da avere per tutelarsi dalle truffe. Per incrementare
il livello di sicurezza e' pero' meglio utilizzare password diverse
per ogni tipo di accesso. Se, infatti, un malintenzionato entrasse in
possesso della nostra unica password - continua- avrebbe accesso anche
a tutti gli account internet. Si rischierebbe, quindi, di subire non
solo un danno patrimoniale ma anche il furto di identita', un tipo di
frode che si sta espandendo anche in Italia".
"Con il furto di identita' - prosegue - il malvivente di turno
puo' fare acquisti rateali o richiedere finanziamenti a nostro nome.
Dimostrare la nostra estraneita' ai fatti, e ottenere i rimborsi delle
somme indebitamente sottratte, richiede l'intervento di diverse figure
professionali e soprattutto tempi piuttosto lunghi. Contro questo tipo
di frode - conclude - ci si puo' tutelare sottoscrivendo servizi di
protezione dei dati personali e software che rendano piu' sicura la
navigazione ".
Se non si vogliono acquistare programmi specifici di protezione
bisognerebbe fare come quel 47% di utenti che utilizza una password
diversa per ogni accesso e la cambia con una certa regolarita'
(Bat/Zn/Adnkronos)
22-LUG-11 11:38
NNNN
I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) Nota 20-7-2011 n. 18 Enti pubblici privatizzati - Applicazione art. 20, comma 2, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni in L. 6 agosto 2008, n. 133. Obbligo contributivo verso l'INPS per malattia e maternità. Integrazioni nota 22 dicembre 2009, n. 18.
Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione centrale entrate e posizione assicurativa, Ufficio I – Normativo, contenzioso e gestione del rapporto contributivo.
Nota 20 luglio 2011, n. 18 (1).
Enti pubblici privatizzati - Applicazione art. 20, comma 2, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni in L. 6 agosto 2008, n. 133. Obbligo contributivo verso l'INPS per malattia e maternità. Integrazioni nota 22 dicembre 2009, n. 18.
(1) Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione centrale entrate e posizione assicurativa, Ufficio I – Normativo, contenzioso e gestione del rapporto contributivo.
Ai
Direttori delle sedi provinciali e territoriali e, per il loro tramite agli enti con personale iscritto
Agli
Enti di patronato
Ai
Dirigenti generali centrali e regionali
Ai
Direttori regionali
Agli
Uffici autonomi di Trento e Bolzano
Ai
Coordinatori delle consulenze professionali
1. Premessa
Si fa seguito alla nota 22 dicembre 2009, n. 18 dell’Inpdap relativa all'applicazione dell'articolo 20 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha introdotto, ai fini pensionistici, l'obbligo del versamento presso l'INPS, a partire dal 1° gennaio 2009, dei contributi di maternità e malattia da parte delle imprese dello Stato, degli Enti pubblici nonché degli Enti locali, che sono state interessate da processi di privatizzazione.
Come è noto, la contribuzione ad INPS per la tipologia di assenze dal servizio indicate è dovuta indipendentemente dall'iscrizione previdenziale del lavoratore interessato. Lo stesso Istituto previdenziale, sempre dal 1° gennaio 2009, a fronte della contribuzione acquisita, è tenuto ad erogare ai lavoratori che hanno mantenuto l'iscrizione ad INPDAP, dipendenti delle imprese suddette, le relative prestazioni economiche di maternità nonché le indennità giornaliere di malattia, con conseguente accreditamento della relativa contribuzione figurativa e successiva valorizzazione in INPDAP tramite ricongiunzione d'ufficio - senza oneri per il lavoratore - ai sensi dell'articolo 6 della L. 7 febbraio 1979, n. 29.
Nelle ipotesi suddette permane l'obbligo contributivo ad INPDAP esclusivamente per la contribuzione relativa alla sola parte differenziale del trattamento economico contrattualmente previsto, qualora lo stesso sia superiore alle indennità erogate dall'INPS.
Tanto premesso, sulle problematiche inerenti l'applicazione della nuova disciplina sono pervenuti a questa Direzione Centrale numerosi quesiti, per i quali si forniscono i chiarimenti di cui ai punti sottostanti.
2. Enti destinatari
L'articolo 20 individua esplicitamente quali soggetti destinatari della nuova disciplina "......omissis.. le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto ...”.
Destinatarie dell'obbligo contributivo in questione sono, quindi, le imprese partecipate in tutto o in parte dallo Stato e dagli Enti pubblici nonché le imprese strumentali agli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267/2000, che sono state interessate da processi di privatizzazione e che hanno continuato ad essere assoggettate al regime previdenziale di tipo pubblicistico nonché ai regimi speciali riconosciuti in forza di specifiche disposizioni normative. Sul punto l'INPS si è espresso con la Circ. 5 novembre 2009, n. 114 e con i successivi messaggi esplicativi, Msg. 10 febbraio 2009, n. 3352, Msg. 10 marzo 2009, n. 5730 e Msg. 8 luglio 2009, n. 15680.
"Ratio" della norma è quella di applicare alle imprese predette, soggette al processo di privatizzazione, la medesima disciplina dettata in materia di obblighi contributivi, connessi alle prestazioni di maternità e malattia, per le imprese aventi natura privata "ab origine".
Tale la previsione legislativa, al fine di integrare le indicazioni già fornite si richiamano in tale contesto talune tipologie di enti, i quali, stante la natura giuridica, sono da ritenersi inclusi, oppure, viceversa, esclusi, dal previsto campo di applicazione della disciplina in esame.
3. Tipologie di enti inclusi
Con riferimento alle inclusioni, questo Istituto, nella già citata nota 22 dicembre 2009, n. 18 ha individuato, a titolo meramente esemplificativo, tra le imprese tenute al versamento della contribuzione per maternità e malattia - secondo le nuove disposizioni dell'articolo 20 - gli ex IACP. Si precisa al riguardo che l'inclusione comporta che tutti gli enti pubblici economici - tra i quali le ATER, Aziende Territoriali per l'Edilizia Residenziale - e le società di capitali derivanti dalla trasformazione degli IACP, avvenuta ai sensi dell'articolo 93, comma 2, del D.P.R. n. 616/1977, sono interessati dal nuovo obbligo contributivo. In tal senso si è espresso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione generale per l'attività ispettiva nella risposta alla nota 2 aprile 2010, n.
25/I/0006212.
A modifica delle precedenti indicazioni sono, altresì, riguardate dalla novella disciplina anche le scuole parificate, ora ricondotte alle scuole elementari paritarie, sulla base di quanto precisato con nota 5 aprile 2011, n. 25/I/0004958 dallo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione generale per l'attività ispettiva.
4. Tipologie di enti esclusi
Relativamente alle esclusioni, va precisato, in linea generale, che gli enti pubblici rientranti nell'ampia categoria degli Enti non commerciali, costituiti ai sensi dell'articolo 73, comma 1, lettera c) del TUIR (cfr. l'articolo recita testualmente "enti pubblici.....residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali"), qualora non siano stati interessati da processi di privatizzazione, non sono tenuti a versare all'INPS la contribuzione per maternità o per malattia (cfr. risposta alla nota 6 luglio 2010, n. 25/I/0011628 della Direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del Lavoro).
La medesima conclusione può affermarsi per i consorzi di enti locali di cui al combinato disposto degli articoli 31 (cfr. Consorzi di Comuni) e 114 (cfr. Aziende speciali) del D.Lgs. n. 267/2000, essendo soggetti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico.
Lo stesso dicasi per gli enti morali iscritti facoltativamente ad INPDAP ai sensi del combinato disposto degli articoli 39 della L. n. 379/1955 e 5, comma 7, della L. n. 274/1991.
L'esclusione riguarda anche gli Ordini e i Collegi Professionali, con personale iscritto obbligatoriamente ad INPDAP, ai sensi dell'articolo 3, 1° comma, del D.P.R. n. 68/1986, ad eccezione di quello già dipendente con iscrizione INPS all'atto della trasformazione in ente pubblico non economico. Ed invero detto personale, che non ha a suo tempo esercitato l’opzione di cui al combinato disposto dell'art. 39 della L. n. 379/1955 e dell'art. 5, comma 7, della L. n. 274/1991, ha continuato a mantenere l'iscrizione ad INPS, come precisato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale - Direzione generale per l'attività ispettiva con nota 8 gennaio 2007, n. 25/I/0000226.
La nuova disposizione, parimenti, non può trovare applicazione nei confronti delle Autorità portuali istituite dall'articolo 6 della L. 28 gennaio 1994, n. 84, stante la natura giuridica di enti pubblici non economici, non interessati da processi di privatizzazione. La rilevata natura giuridica è stata significativamente argomentata nel parere n. 1641 del 9 luglio 2002 del Consiglio di Stato [cfr. "...omissis.. sia per la configurazione formale ad esse attribuite dalla legge, sia per l'attività svolta, sia ancora per le modalità dì finanziamento, svolgono funzioni..... nel complesso preordinate al perseguimento di specifiche finalità di pubblico interesse") ed è espressamente affermata dall'articolo 1, comma 993, della L. n. 296/2006.
Si coglie l'occasione, infine, per ribadire l'esclusione, già segnalata in sede della precedente nota operativa, per le ex IPAB depubblicizzate e trasformate in Fondazioni, in quanto organismi non aventi natura giuridica di impresa.
Nelle suesposte casistiche è del tutto evidente che l'obbligo contributivo nel confronti dell'INPDAP - per gli eventi di maternità e malattia - rimane inalterato, per cui la relativa contribuzione deve essere versata a questa Gestione secondo le modalità e la misura ordinarie.
5. Contribuzione presso l'INPS per maternità e malattia
Come già precisato, in proposito, con la nota 22 dicembre 2009, n. 18 a partire dal 1° gennaio 2009, le imprese all'uopo individuate, per il proprio personale che ha mantenuto l'iscrizione a questa Gestione, sono tenute a versare all'INPS, secondo la normativa vigente, la contribuzione per maternità e quella per malattia. Con riguardo a quest'ultima, la contribuzione all'INPS, tenuto a corrispondere le relative indennità, è limitata, per esplicita previsione normativa, ai soli lavoratori con qualifica di "operai".
La contribuzione per la maternità, le cui prestazioni economiche da parte dell'INPS vengono erogate, senza distinzione alcuna, a tutti i lavoratori dipendenti, ivi compresi il personale con qualifica dirigenziale, è riferita ai congedi di maternità/paternità, ai congedi parentali ed ai riposi giornalieri "per allattamento" nonché ai permessi di cui all'articolo 33 della L. n. 104/1992, tutti ricompresi nelle disposizioni legislative di cui al D.Lgs. n. 151/2001.
In aggiunta alle ipotesi suddette, si partecipa che anche l'indennità collegata al congedo straordinario ex articolo 42, comma 5, del medesimo D.Lgs. n. 151/2001 rientra tra le prestazioni economiche di maternità erogate dall'INPS e coperte da contribuzione figurativa, cui fa riferimento la nuova previsione del citato articolo 20 (Cfr. Msg. 10 dicembre 2010, n. 31250 dell’INPS).
I permessi retribuiti per donazione sangue sono invece soggetti ad ordinaria contribuzione ad INPDAP.
6. Versamento dei contributi per Fondo Credito ed ENPDEP
Il versamento all'INPS della contribuzione nelle ipotesi sopra descritte non esonera gli Enti interessati dal versamento della contribuzione obbligatoria prevista dall'articolo 1, comma 242, della L. n. 662/1996, in favore della Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali presso l'INPDAP.
Pertanto, durante i periodi di maternità e malattia è comunque dovuta a questo Istituto la contribuzione a tale titolo, a carico del personale dipendente, da calcolarsi sulla base dell'aliquota corrispondente allo 0,35% dell'intera retribuzione contrattualmente prevista, che costituisce base pensionabile ai sensi dell'articolo 2 della L. n. 335/1995 e successive modificazioni.
Analogo adempimento verso l'INPDAP, per i medesimi eventi, resta confermato per gli iscritti - ai sensi dell'articolo 7 del D.Lgs. 31 ottobre 1947, n. 1304 - alla Gestione ENPDEP, Assicurazione Sociale Vita, per quanto attiene al versamento del contributo dello 0,27 % della retribuzione lorda mensile.
7. Contribuzione erroneamente versata ad INPDAP. Rimborso contributi
Le imprese riguardate dalla nuova disciplina dell'articolo 20, che hanno indebitamente versato, a partire dal 1° gennaio 2009, la contribuzione ad INPDAP relativamente agli eventi di maternità e malattia, come specificati al precedente punto 3), hanno diritto a richiedere il rimborso della contribuzione non dovuta, sia per la parte a carico del dipendente che dell'azienda.
8. Adempimenti DMA
Per quanto attiene le modalità di compilazione della DMA si fa riserva di fornire future istruzioni in apposita circolare.
Il Dirigente generale
Dr. Diego De Felice
D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20
Nota 22 dicembre 2009, n. 18
TAR "Sottufficiali Arma dei Carabinieri - Scheda valutativa annuale - Impugnazione..."
FORZE ARMATE
T.A.R. #################### Lecce Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 1018
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il ricorrente #################### è impiegato come Maresciallo Capo presso la Legione Carabinieri #################### - Stazione di ####################.
1.1 Con il ricorso in epigrafe il sig. S. impugna la scheda valutativa relativa all'anno 2009 (periodo 22 gennaio 2009 - 31 dicembre 2009) conclusa con la qualifica finale di "nella media".
1.2 Vengono dedotti i seguenti motivi di illegittimità:
- eccesso di potere per contraddittorietà tra la scheda valutativa impugnata e la precedente scheda valutativa;
- difetto di motivazione, motivazione apparente e/o insufficiente, insussistenza del rapporto di armonia e consequenzialità fra giudizi espressi e qualifica attribuita;
- manifesta incoerenza e contraddittorietà tra le varie parti dell'atto impugnato, insussistenza del rapporto di armonia e consequenzialità fra giudizi espressi.
2. Si è costituita l'Amministrazione chiedendo la reiezione del ricorso.
All'udienza del 19 maggio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
3. Il ricorso non può essere accolto.
Con i richiamati motivi di impugnazione il ricorrente mira a sindacare la supposta erroneità ed illogicità della valutazione contenuta nella scheda oggetto di gravame.
3.1 Occorre premettere che, per giurisprudenza consolidata, i giudizi formulati dai superiori gerarchici con le schede valutative sono espressione di discrezionalità tecnica, comportando una attenta valutazione delle capacità e delle attitudini proprie della vita militare, che come tali sfuggono alle censure di legittimità, salvo che non siano arbitrari, irrazionali, illogici ovvero basati su un evidente travisamento di fatti che, peraltro, spetta al ricorrente dimostrare.
Di conseguenza, proprio perché si tratta di valutazioni ampiamente discrezionali, tali giudizi non devono essere accompagnati da una motivazione particolarmente estesa e puntuale, essendo sufficiente che emerga in maniera chiaramente logica la giustificazione dell'eventuale giudizio; quando, poi, il giudizio ottenuto - come caso di specie - non denota particolari criticità, costituendo anzi una valutazione non negativa, lo stesso non richiede particolari giustificazioni
Trattandosi di mere valutazioni e non già di esercizio di poteri di contestazione di specifici addebiti inerenti la violazione di doveri d'ufficio, non si richiede inoltre l'indicazione di particolari fatti commissivi od omissivi da parte del dipendente per sorreggere il giudizio essendo necessario e sufficiente che la documentazione esprima in termini riassuntivi e logicamente coerenti le caratteristiche essenziali del valutando.
Infine le valutazioni dei militari riferite ad archi temporali ben definiti, sono autonome e indipendenti l'una dalle altre, con la prescrizione che ogni scheda è l'espressione di un giudizio scaturente da un ben circostanziato contesto professionale ed umano, per cui ciò che rileva è esclusivamente il comportamento e le prestazioni di servizio temporalmente riferiti al periodo considerato.
3.2 Nel caso di specie, fermi i principi ora delineati, il Collegio osserva che:
- la scheda valutativa contestata riporta puntualmente i giudizi, tutti di carattere non negativo ma intermedio, del compilatore e dei due revisori, analiticamente suddivisi per singoli profili, a loro volta raggruppati in macrocategorie (qualità fisiche, morali e di carattere; qualità intellettuali e culturali; qualità professionali);
- l'esito del giudizio ("nella media") appare congruo con gli apprezzamenti dei singoli profili, che appunto si collocano in un grado di valutazione intermedio;
- quanto al peggioramento del giudizio rispetto all'anno precedente - quando il ricorrente era stato giudicato "superiore alla media" - la questione è oggetto di espressa precisazione nel giudizio finale ("nel periodo in esame non ha saputo confermare quanto in precedenza dimostrato");
- non vi sono ragioni o elementi per disattendere tale valutazione, fermo il principio di autonomia tra i giudizi, atteso anche che l'invocato conseguimento della laurea da parte del ricorrente non comporta di per sé un miglioramento dell'operato reso dal militare;
- al contrario, sono stati allegati agli atti di causa gli interventi dei superiori nel corso del periodo valutato, volti a richiamare il ricorrere ad un maggiore impegno e spirito di iniziativa nel corso del periodo valutato.
3.3 In conclusione, viste le circostante di fatto e in applicazione delle regole di giudizio sopra richiamate, il giudizio formulato dall'Amministrazione risulta esente da censure.
4. Pertanto, attesa l'infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la #################### Lecce - Sezione Terza respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Consiglio di Stato "..Reato di peculato e collaterale azione disciplinare con provvedimento di destituzione"
IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-05-2011, n. 2916
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il signor ####################, già vice ispettore della Polizia di Stato, a seguito di una condanna penale definitiva alla pena di due anni e dieci mesi di reclusione per peculato continuato in concorso, veniva sottoposto a procedimento disciplinare, in esito al quale gli veniva inflitta la sanzione della destituzione con decreto del Capo della Polizia di Stato 20 febbraio 2002.
2. Contro tale decreto e contro gli atti presupposti (e, segnatamente: l'atto di contestazione degli addebiti del 5 novembre 2001, la sua integrazione del 27 novembre 2001, i verbali del consiglio di disciplina; la deliberazione del consiglio di disciplina 23 gennaio 2002; la relazione del funzionario istruttore 21 dicembre 2001), egli proponeva ricorso al Tar Marche, che, disattese le censure di ordine procedurale, accoglieva quelle di carattere sostanziale con la sentenza 6 agosto 2003, n. 948.
3. A seguito di tale sentenza l'Amministrazione riattivava il procedimento disciplinare, e, in particolare, con decreto 9 settembre 2003:
a) faceva salvi gli atti del precedente procedimento disciplinare fino a quello del 5 gennaio 2002 di deferimento al consiglio di disciplina;
b) annullava gli atti del precedente procedimento disciplinare a partire dalla prima riunione del consiglio provinciale di disciplina.
Con successivo decreto 2 dicembre 2003 il Capo della polizia di Stato infliggeva nuovamente la sanzione della destituzione dal servizio.
4. Contro tali provvedimenti e contro gli atti presupposti l'interessato proponeva due ricorsi al Tar (nn. 242 e 402 del 2004), integrati da motivi aggiunti.
Il Tar, con la sentenza 12 aprile 2005 n. 289, riuniti i ricorsi:
- disattendeva alcune censure di carattere procedurale;
- accoglieva altre censure di carattere procedurale e sostanziale;
- assorbiva alcune ulteriori censure e ne respingeva altre in ordine al trattamento economico.
5. Contro tale sentenza ha proposto appello principale l'Amministrazione.
5.1. Ha proposto appello incidentale l'appellato, al fine di riproporre la censura assorbita dal Tar in ordine all'efficacia retroattiva, anziché ex nunc, della destituzione e al fine di contestare il capo di sentenza che in parte nega le differenze stipendiali per i periodi di sospensione cautelare anteriori alla riapertura del procedimento disciplinare.
5.2. La Sezione con l'ordinanza cautelare 11 luglio 2006 n. 3082, ha sospeso l'esecuzione della sentenza appellata.
5.3. Nell'ordine logico delle questioni occorre esaminare prima l'appello principale e poi quello incidentale.
6. Con il primo motivo dell'appello principale, l'Amministrazione contesta il capo di sentenza che ha ritenuto sussistente, in relazione al provvedimento disciplinare di destituzione, il vizio di violazione del giudicato.
6.1. Assume il Tar con la sentenza n. 289 del 2005, oggetto del presente appello, che la precedente sentenza n. 948/2003 avrebbe onnicomprensivamente annullato tutti gli atti impugnati, espressamente menzionati nell'epigrafe della sentenza, ivi compresi pertanto l'atto di contestazione degli addebiti, la sua integrazione del successivo 27 e la relazione del 21 dicembre 2001 del funzionario istruttore.
6.2. Parte appellante critica la sentenza gravata, osservando che il dispositivo della precedente sentenza n. 948 del 2003 andrebbe interpretato alla luce della motivazione della sentenza, in cui si censura solo l'attività valutativa del consiglio di disciplina e del provvedimento sanzionatorio.
6.3. La censura così riassunta è fondata.
La Sezione condivide sul punto quanto già affermato dall'ordinanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza, laddove si afferma che "il precedente giudicato di annullamento va interpretato alla luce delle indicazioni contenute nella motivazione".
E, invero, la prima sentenza (n. 948/2003), pur affermando genericamente che sono annullati gli atti impugnati, non ha ravvisato alcuna illegittimità negli atti preparatori, ritenendo viziato solo l'operato del consiglio di disciplina e dunque il provvedimento finale.
Si pone pertanto un problema di interpretazione del giudicato, che va risolto nel senso che l'annullamento giurisdizionale non può che riguardare i soli atti in relazione ai quali sono stati ravvisati dei vizi.
7. Con il secondo motivo dell'appello principale viene contestato il capo di sentenza che ha ritenuto fondata la censura di difetto di motivazione in ordine all'esame delle questioni pregiudiziali e incidentali.
7.1. Ad avviso del Tar, dal verbale del 24 ottobre 2003 del consiglio di disciplina, nulla risulterebbe sul contenuto delle questioni pregiudiziali, di quelle incidentali e di quelle di fatto e di diritto, e non risulterebbe in che ordine esse sono state esaminate e se sono state adottate a maggioranza o all'unanimità.
7.2. Lamenta l'appellante che la ricostruzione è errata in fatto, perché le questioni pregiudiziali e incidentali risultano già dalla seduta del 7 ottobre 2003 e nella seduta del 24 ottobre 2003 sono state esaminate in dettaglio le quesiti di merito.
Il verbale fa poi fede che le questioni sono state sottoposte al voto separatamente, e decise a maggioranza.
7.3. Tali doglianze sono fondate.
Dispone l'art. 20, comma 7, lett. a) e b), d.P.R. n. 737/1981, che:
"non verificandosi l'ipotesi di cui al precedente comma, il consiglio delibera a maggioranza di voti, con le seguenti modalità:
a) il presidente sottopone separatamente a decisione le questioni pregiudiziali, quelle incidentali la cui decisione sia stata differita, quelle di fatto e di diritto riguardanti le infrazioni contestate e, quindi, i componenti del consiglio danno il loro voto su ciascuna questione;
b) qualora nella votazione si manifestino più di due opinioni, i componenti il consiglio che hanno votato per la sanzione più grave si uniscono a quelli che hanno votato per la sanzione immediatamente inferiore fino a che venga a sussistere la maggioranza. In ogni altro caso, quando su una questione vi è parità di voti, prevale l'opinione più favorevole al giudicando".
L'esame dei verbali del 7 e del 24 ottobre 2003 evidenzia che nessuna violazione delle riportate disposizioni è stata commessa:
a) nel verbale del 7 ottobre 2003 sono state indicate le questioni pregiudiziali e incidentali e la relativa decisione;
b) nel verbale del 24 ottobre 2003 sono state indicate le questioni di fatto e di diritto e il relativo ordine di trattazione, e si è dato atto che ciascun componente ha espresso il proprio voto, e che la sanzione p stata deliberata a maggioranza.
Non si può ravvisare pertanto nessuna violazione dell'archetipo procedimentale normativo.
8. Il terzo, il quarto e il quinto motivo dell'appello principale possono essere esaminati congiuntamente.
8.1. Con il terzo motivo dell'appello principale, si contesta il capo di sentenza che ha ritenuto insufficiente la motivazione del provvedimento, per mancata comparazione della posizione dell'incolpato con quella degli altri due dipendenti coinvolti negli stessi fatti penali, ai quali era stata inflitta una sanzione disciplinare meno grave.
8.2. Ad avviso del Tar, dal giudicato n. 948/2003 discenderebbe l'obbligo di valutare la responsabilità disciplinare del dipendente anche tenendo conto dei procedimenti disciplinari nei confronti degli altri due coimputati, sicché contraddittoriamente il consiglio di disciplina, in un primo momento, nella riunione del 7 ottobre 2003, decideva di acquisire gli atti dei relativi procedimenti disciplinari, e successivamente, nella riunione del 24 ottobre 2003, con decisione unilaterale del presidente, decideva di non acquisire tali atti, a causa dell'impossibilità di compiere l'adempimento entro i termini perentori di conclusione del procedimento disciplinare.
Inoltre, secondo il Tar la necessità del rispetto dei termini non avrebbe potuto giustificare l'omissione di un adempimento ritenuto necessario.
8.3. Parte appellante osserva criticamente che l'appellato aveva una qualifica superiore rispetto agli altri due imputati e questo elemento - evidenziato nella motivazione - ha giustificato la maggiore severità della punizione.
8.4. Con il quarto e quinto motivo di appello si contesta il capo di sentenza che ha ritenuto il provvedimento carente di motivazione. Il provvedimento, secondo il Tar, non avrebbe considerato in modo adeguato le circostanze ambientali e di servizio all'epoca dei fatti aventi rilevanza penale, né sarebbe stata valutata l'attività di servizio successiva ai medesimi fatti, che risulta ineccepibile e premiata con encomio, lodi e premi in denaro; per converso, secondo il Tar sarebbero stati sopravvalutati i precedenti disciplinari.
8.5. Parte appellante critica tale capo di sentenza, osservando che il provvedimento è stato congruamente motivato ed ha valutato tutte le circostanze personali e ambientali.
9. Anche le censure di qui al terzo, quarto e quinto motivo sono fondate.
9.1. Come già ritenuto dalla Sezione in sede cautelare, il provvedimento di destituzione risulta congruamente motivato in relazione alla gravità degli addebiti per i fatti penalmente accertati, alla qualifica dell'appellato ed ai suoi precedenti disciplinari, nonché, aggiunge ora il Collegio, alla situazione ambientale.
A seguito della precedente senza di annullamento, l'Amministrazione ha rinnovato il procedimento rivalutando le risultanze del procedimento ed esaminando la specifica posizione dell'appellato, anche con riferimento ai colleghi rimasti coinvolti nei fatti.
9.2. Va solo aggiunto che la valutazione di gravità dell'illecito, pur tenendo conto dei meriti di servizio del dipendente, è riservata alla Amministrazione ed è sindacabile solo se illogica, viziata da travisamento dei fatti, sproporzionata.
In considerazione dei fatti accertati, la valutazione compiuta, nella specie, dall'amministrazione, è del tutto immune da vizi di travisamento, illogicità, sproporzione, e ad essa non può sostituirsi quella del giudice, pena un inammissibile e non consentito sconfinamento del giudice nel merito amministrativo.
9.3. Quanto, in particolare, all'asserita omessa comparazione con la posizione dei coimputati, basta rilevare che il consiglio di disciplina ha ritenuto sufficienti gli elementi raccolti e non necessario acquisire gli atti dei procedimenti disciplinari a carico dei medesimi coimputati.
Il giudicato imponeva una rivalutazione complessiva della posizione dell'incolpato, non necessariamente ancorata ad un confronto con la posizione degli altri. Inoltre il vizio di disparità di trattamento è apprezzabile in relazione ad atti vincolati, quando le situazioni di fatto e di diritto siano assolutamente identiche. Nella specie si è in presenza di una situazione di fatto e diritto diversa, in quanto diversa è la qualifica dell'appellato.
Di tanto si dà espressamente conto nella motivazione del provvedimento disciplinare.
10. In conclusione, l'appello principale va accolto, con conseguente reviviscenza del provvedimento di destituzione e degli altri atti impugnati con i ricorsi di primo grado.
11. L'accoglimento dell'appello principale impone al Collegio di esaminare l'appello incidentale.
11.1. Con l'appello incidentale, si lamenta che - dopo la sospensione obbligatoria disposta nel novembre 1991 - vi è stato un lungo periodo di prestazione del servizio, che va valutato come servizio effettivo, ivi compresa la promozione disposta con decreto n. 333/1995, per cui illegittimamente il decreto di destituzione avrebbe annullato tale promozione.
Per l'effetto l'appellante incidentale chiede la corresponsione delle differenze stipendiali dovute, detratto quanto percepito a titolo di assegno alimentare, nel periodo dal 16 novembre 1991 fino alla data di pronuncia della sentenza di appello o, in subordine, fino alla data del primo provvedimento disciplinare.
12. La censura merita parziale accoglimento.
12.1. Di regola, la decorrenza del provvedimento disciplinare di destituzione, come ha chiarito la giurisprudenza, va fissata al momento dell'inizio della sospensione cautelare (Cons. St., sez. IV, 7 marzo 2001 n. 1312; Cons. St., sez. VI, 22 marzo 2001 n. 1695; Cons. St., sez. IV, 28 maggio 1999 n. 888).
Tale principio si fonda sulla lettera e sulla ratio degli artt. 85, 91 e 92 del t.u. n. 3/1957, poiché:
- la ricostruzione della carriera è prevista per i casi previsti dagli articoli 91 e 92 del testo unico e non ha luogo nel ben diverso caso in cui il procedimento disciplinare vi sia e si concluda col provvedimento di destituzione, poiché opera il principio di non contraddizione, per il quale non spettano certo emolumenti arretrati al dipendente che legittimamente sia stato dapprima sospeso e poi destituito dal servizio (non potendosi ammettere che l'atto di destituzione costituisca addirittura il titolo per la corresponsione di differenze retributive nei confronti di chi non ha prestato servizio per un fatto a lui imputabile: in termini, sez. VI, 29 settembre 1998 n. 1322);
- il provvedimento di sospensione dal servizio (per la sua natura cautelare e non sanzionatoria: in tal senso, da ultimo v. anche ad. plen., 28 febbraio 2002, n. 2, punto 8.1. della motivazione; Corte cost., 3 giugno 1999, n. 206, punto 5 della motivazione) produce effetti provvisori destinati ad essere rimossi e sostituiti dal provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, sicché vi è la "naturalè retrodatazione della cessazione del rapporto, in caso di destituzione (in termini, Sez. IV, 10 giugno 1980, n. 640).
12.2. Il principio della "naturalè retroattività dell'atto di destituzione - quando esso sia stato preceduto dalla sospensione cautelare facoltativa - è stato ritenuto applicabile anche quando l'Amministrazione, in considerazione della durata del processo penale, abbia doverosamente riammesso in servizio il dipendente, ai sensi dell'art. 9 della l. n. 19/1990 (per il quale la sospensione cautelare dal servizio non può avere una durata maggiore di cinque anni) (Cons. St. sez. VI, 25 giugno 2002 n. 3476).
Si è infatti osservato che l'art. 9 della l. n. 19/1990:
- nel prevedere la revoca "di dirittò della sospensione cautelare, ha contemperato gli interessi dell'Amministrazione con le esigenze del processo penale e con quelle del dipendente, attuando una "clausola di garanzia", coerente col principio di "proporzionalità della misura cautelare, riconducibile all'art. 3 della Costituzione" (Corte Cost., 3 maggio 2002 n. 145);
- ha evitato che la durata del processo penale, superiore a cinque anni, comportasse una "eccessivà durata anche della sospensione cautelare, particolarmente incidente sulla posizione del dipendente in ragione della possibilità dell'Amministrazione di attendere il passaggio in giudicato della sentenza penale.
In base ad esso, con effetti ex nunc, l'Amministrazione deve comunque riammettere in servizio il dipendente a seguito del decorso del quinquennio e (non dovendo ricadere sulla sua posizione lavorativa la durata superiore del processo penale) per legge non può esprimere alcuna valutazione contraria: neppure è possibile una ulteriore sospensione cautelare (Sez. VI, 28 dicembre 2000 n. 7025), tranne il caso in cui la condotta del dipendente abbia dato luogo ad altri e diversi procedimenti penali (Sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 971).
Oltre alla regola della riammissione (ed a quella della necessità del procedimento disciplinare perché sia irrogata della destituzione), la l. n. 19 del 1990 non ha previsto specifiche disposizioni in ordine ai rapporti tra la sospensione cautelare ed il provvedimento di destituzione e non ha neppure in qualche modo disciplinato gli effetti del provvedimento disciplinare (anche quando si tratti della destituzione irrogata all'esito del relativo procedimento).
In altri termini, la legge n. 19 del 1990, nel prendere in considerazione il caso in cui il processo penale duri più di cinque anni nei confronti del dipendente sospeso dal servizio, si è limitata ad imporre che abbia luogo la prestazione lavorativa (con la corrispondente pretesa del dipendente di ottenere la retribuzione ex nunc), senza incidere sulla previgente disciplina riguardante le conseguenze e gli effetti del provvedimento di destituzione, emesso all'esito del processo penale in relazione ai medesimi fatti che abbiano condotto alla sospensione cautelare.
Pertanto, non è configurabile alcuna abrogazione, neppure per incompatibilità, della normativa generale di cui al testo unico n. 3 del 1957, in ordine agli effetti della destituzione.
Ciò comporta che la decorrenza del provvedimento di destituzione dal servizio (emesso all'esito di un giudizio penale) va riferita alla data in cui sia stata in precedenza disposta la sospensione cautelare, anche quando il dipendente sia stato riammesso in servizio, in applicazione dell'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, alla scadenza del quinquennio, con salvezza della valutazione, ai fini previdenziali e di quiescenza, del periodo intercorrente tra la data di riammissione in servizio e quella della destituzione.
12.3. I principi espressi dal citato precedente della sezione n. 3476/2002 non si attagliano tuttavia al caso di specie: in quella fattispecie, infatti, l'Amministrazione aveva riammesso in servizio il dipendente, doverosamente, per decorso dei termini massimi di durata della sospensione cautelare.
Nel caso di specie, invece, l'Amministrazione ha riammesso in servizio il dipendente per propria scelta discrezionale, pur potendo, in astratto, disporre una sospensione cautelare facoltativa.
Infatti la prima sospensione cautelare, disposta con provvedimento del 16 novembre 1991, era obbligatoria, essendo stato il dipendente tratto in arresto nel corso di indagine penale; tuttavia l'ordinanza di custodia cautelare in carcere veniva annullata, e l'Amministrazione, pur potendo disporre una sospensione cautelare facoltativa, disponeva invece la riammissione in servizio con il provvedimento del 12 marzo 1992.
Si deve perciò ritenere che, ove dopo un periodo di sospensione cautelare il dipendente venga riammesso in servizio sulla base di una scelta dell'Amministrazione (e non per obbligo di riammissione), e, come nella specie, sia anche promosso, vi è soluzione di continuità tra la sospensione cautelare e la destituzione, che sono state intervallate da un lungo periodo di prestazione del servizio.
Ne consegue che la destituzione non può essere fatta decorrere dalla data di inizio della prima sospensione cautelare (16 novembre 1991), ma dalla data del 13 luglio 1999, di adozione della ulteriore sospensione cautelare, a seguito della condanna penale in primo grado pronunciata il 16 giugno 1999 (argomenta da Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2002, n. 3476; v. inoltre Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 251; Cons. St., sez. IV, 9 dicembre 2002, n. 6669).
Pertanto non poteva essere annullata la qualifica conseguita durante il servizio, in epoca successiva alla prima sospensione cautelare e prima della nuova sospensione cautelare.
Non spettano tuttavia le differenze stipendiali per il periodo di durata della prima sospensione cautelare, rispetto all'assegno alimentare già percepito, atteso che tale prima sospensione cautelare è stata comunque legittimamente adottata e trova comunque copertura nel provvedimento finale di destituzione.
Non spettano inoltre le differenze stipendiali per il periodo successivo all'adozione della sospensione cautelare nel 1999, rispetto all'assegno alimentare già percepito.
12.4. Dovendosi presumere che nel periodo temporale che va dalla cessazione della prima sospensione cautelare all'inizio della seconda sospensione cautelare, il dipendente, avendo prestato servizio, abbia percepito le competenze stipendiali, null'altro gli è dovuto, né l'Amministrazione può esigere la ripetizione delle somme eccedenti l'assegno alimentare; ove in ipotesi il dipendente avesse percepito il solo assegno alimentare, l'Amministrazione sarebbe tenuta a corrispondergli la differenza tra stipendio e assegno alimentare.
13. In conclusione, l'appello principale va accolto; l'appello incidentale va accolto in parte. Per l'effetto, il provvedimento di destituzione resta annullato solo nella parte in cui fa decorrere gli effetti della destituzione dal 16 novembre 1991, anziché dal 13 luglio 1999.
14. Le spese di lite possono essere compensate in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello principale n. 4848 del 2006 e sull'appello incidentale in epigrafe:
accoglie l'appello principale;
accoglie in parte l'appello incidentale;
per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento amministrativo di destituzione nella sola parte in cui fa decorrere gli effetti della destituzione dal 16 novembre 1991 anziché dal 13 luglio 1999.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
"A Roma 400 auto per la casta e 50 sul territorio", la denuncia del Silp Cgil
"A Roma 400 auto per la casta e 50
sul territorio", la denuncia del Silp Cgil
Il segretario romano del Silp Cgil Gianni Ciotti
snocciola numeri e dati impressionanti. Tantissime le auto di scorta
alle personalità, "mentre in città la presenza di volanti sul territorio
è ridicola"
SICUREZZA E LOTTA ALLE MAFIE Nel Lazio mancano i fondi
SICUREZZA E LOTTA ALLE MAFIE Nel Lazio mancano i fondi
"A Roma ogni giorno girano circa 400 autovetture che
assicurano la scorta alle personalità, soprattutto politiche, mentre in
città la presenza di volanti sul territorio è ridicola: 50 per tutta la
provincia". Insomma, quella che ormai viene comunemente definita la
"casta" è servita otto volte più di tutti i cittadini romani. A
denunciarlo, nell'ambito del convegno sulle mafie svoltosi oggi in cui
si è sottolineata una drammatica carenza di fondi, è il segretario
romano del Silp Cgil Gianni Ciotti, che spiega: "Il ministero
dell’Interno, per assicurare la scorta di primo livello di un ministro,
spende circa 360mila euro tra straordinari, costo di acquisto delle auto
e nove uomini impiegati. Per assicurare la sicurezza di un intero
municipio di Roma di circa 240 mila abitanti, come il Casilino, spende
meno: circa 350 mila euro per impiegare 110 uomini, pagare gli
straordinari e affittare lo stabile. Questa è un’indecenza".
FONTE
FONTE
Corte dei Conti "...“agli stessi fini nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabili, possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne prevede espressamente la valutazione nella base pensionabile”...."
REPUBBLICA ITALIANA
In
Nome del Popolo Italiano
Corte
dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott.ssa Igina Maio ha emesso la seguente
SENTENZA 2297/2011
sul ricorso in materia
di pensione, iscritto al n. 48471 del registro di segreteria,
depositato in data 2.10.2007,
proposto da
####################,
nato a OMISSIS;
contro
Ministero dell’interno;
Esaminati gli atti ed i documenti della causa;
Alla pubblica udienza del 9.6.2011, presente il ricorrente, assente
l’amministrazione convenuta.
FATTO
Il ricorrente, sovrintendente della Polizia di Stato, dispensato dal
servizio dal 29.4.2001, ha chiesto la riliquidazione del trattamento
pensionistico “tenendo conto ai sensi art. 16 legge 29.04.1976 n.
177 dell’aumento del 18% delle voci escluse nel decreto: 1°
indennità pensionabile – 2° assegno funzionale e 3° indennità
integrativa speciale”.
Il Ministero dell’Interno, con memorie depositate in data 6.6.2008 e
in data 11.4.2011, richiamando copiosa giurisprudenza delle Sezioni
Regionali, della Seconda Sezione Centrale d’appello e delle Sezioni
Riunite di questa Corte, ha argomentato per l’infondatezza del
ricorso, chiedendone il rigetto. In via subordinata, ha eccepito la
prescrizione quinquennale.
DIRITTO
Il ricorso oggetto dell’odierno
giudizio, con il quale è stato chiesto il computo nella base
pensionabile dell’assegno funzionale, dell’indennità pensionabile,
dell’indennità integrativa speciale, con la maggiorazione del 18%
prevista dall’art. 16 della legge n. 177/1976 che ha sostituito
l’art. 53 del d.p.r. n. 1092/1973, si presenta manifestamente
infondato.
1. L’assegno funzionale,
introdotto dall’art. 1 co. 9° del decreto legge 16 settembre 1987 n.
379, convertito nella legge 14 novembre 1987 n. 468 per gli
appartenenti alle Forze Armate, e dall’art. 6 del decreto legge 21
settembre 1987 n. 387, convertito con modificazioni nella legge 20
novembre 1987 n. 472 per gli appartenenti ai Corpi di Polizia
infatti, è sì pensionabile, ma non suscettibile della maggiorazione
del 18% prevista dall’art. 16 della legge n. 177/1976, in quanto
tale norma elenca tassativamente gli emolumenti che vi devono essere
assoggettati, tra i quali l’indennità di funzione ex art. 8 della
legge n. 804/1973, l’assegno perequativo ex art. 1 della legge n.
628/1973 e l’assegno personale ex art. 202 del d.p.r. n. 3/1957, non
includendo l’assegno in argomento.
Del resto, il suddetto disposto
normativo, al fine di evitare contrasti interpretativi, sancisce che
“agli stessi fini nessun altro assegno o indennità, anche se
pensionabili, possono essere considerati se la relativa disposizione
di legge non ne prevede espressamente la valutazione nella base
pensionabile”.
All’uopo si rappresenta che le
norme istitutive dell’assegno funzionale, pur successive alla legge
n. 177/1976, stabiliscono soltanto che lo stesso si aggiunga alla
retribuzione individuale di anzianità, con la conseguenza che deve
ritenersi di natura accessoria e, pertanto, in assenza di una
previsione legislativa espressa, non entra a comporre la base
pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%.
In tal senso si è espressa la
Sezione II Centrale d’Appello con le sentenze n. 32/2006 e n.
18/2006, la III Sezione Centrale d’Appello con le sentenze n.
72/2006 e n. 57/2006, le Sezioni Riunite di questa Corte con la
sentenza n. 9/2006/QM e da ultimo con la sentenza n.9/2011/QM, alle
quali per economia espositiva si rinvia, condividendone le
argomentazioni, nonché la Corte dei Conti in sede di controllo, con
la delibera n. 23/90 del 1° marzo 1990, confermata dalla successiva
n. 52/2000 del 18 maggio 2000.
2. Per quanto riguarda l'indennità
integrativa speciale e l'indennità pensionabile la conferma della
soluzione negativa si ricava anche dal dato testuale dell’art. 15 co.
1° della legge 724/1994 ove è statuito espressamente che “con
decorrenza dal 1º gennaio 1995, ai soli fini dell'assoggettamento a
ritenuta in conto entrate del Ministero del Tesoro, del Bilancio e
della Programmazione Economica, lo stipendio e gli altri assegni
pensionabili con esclusione dell'indennità integrativa speciale di
cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed
integrazioni, e degli assegni e indennità corrisposti per lo
svolgimento di particolari funzioni esclusi dalla base pensionabile,
spettanti ai dipendenti aventi diritto al trattamento di quiescenza
disciplinato dal testo unico approvato con d.p.r. 29 dicembre 1973,
n. 1092, e successive modificazioni ed integrazioni, sono
figurativamente aumentati della percentuale prevista dagli articoli
15, 16 e 22 della legge. 29 aprile 1976, n. 177”.
L’esplicita esclusione dalla base pensionabile delle suddette
indennità è chiaramente indicativa, oltre alle argomentazioni sopra
esposte, della mancanza dei presupposti di legge per l’estensione
della maggiorazione del 18% prevista dal predetto art. 16 della
legge n. 177/1976.
3. Atteso che l’amministrazione
non ha documentato spese, non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
P. Q. M.
La Corte dei Conti - Sezione
giurisdizionale per la Regione Siciliana - in composizione
monocratica del Giudice Unico per le pensioni, definitivamente
pronunciando, rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Così deciso in Palermo, nella camera
di consiglio del 9 giugno 2011
Il Giudice
F.to Dott.ssa Igina Maio
Depositata oggi in segreteria nei modi
di legge.
Palermo, 13 giugno 2011
Il Funzionario Amministrativo
F.to Piera Maria Tiziana Ficalora
| SEZIONE | ESITO | NUMERO | ANNO | MATERIA | PUBBLICAZIONE |
| SICILIA | Sentenza | 2297 | 2011 | Pensioni | 13-06-2011 |
Iscriviti a:
Commenti (Atom)












