IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-06-2011, n. 3549
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 22 settembre 1994 il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di #################### ha disposto gli arresti domiciliari nei
confronti di ####################., Agente della Polizia di Stato in servizio
presso la Questura di ####################, per il reato di cui all'articolo
416, e 61 n. 9, Cod. pen.., cui sono seguiti la sospensione cautelare dal
servizio della stessa, con provvedimento del Questore di ####################
del 28 settembre 1994, e l'apertura di procedimento disciplinare a suo carico;
questo procedimento è stato poi sospeso ai sensi dell'art. 11 d.P.R. 25 ottobre
1981, n.737 ("Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di
pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti") con
provvedimento del medesimo Questore, n. 6143 del 23 luglio 1996, data la
contestuale pendenza nei confronti dell'interessata di procedimento penale a
seguito del rinvio a giudizio
per i reati di cui agli articoli 416, 640, 367 e 368 Cod. pen., riguardanti gli
stessi fatti oggetto del procedimento disciplinare. In pendenza del processo
penale l'Amministrazione ha mantenuto ferma la sospensione cautelare dal
servizio, poi revocata con provvedimento del Capo della Polizia n. 333 del 15
settembre 1999 per intervenuta scadenza del termine massimo di efficacia
stabilito dall'art. 9, 2° comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 ("Modifiche
in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei
pubblici dipendenti").
2. Il Tribunale penale di #################### con sentenza del 23 marzo 2000
ha giudicato l'imputata colpevole del delitto di truffa e tentata truffa in
concorso con altri e l'ha condannata alla pena di un anno di reclusione e di
lire 900.000 di multa; la Corte di Appello di ####################, con sentenza
del 22 giugno 2001, ha confermato la pronuncia di primo grado salva la riduzione
della pena portata a 11 mesi di reclusione e a lire 850.000 di multa; la Corte
di Cassazione, con sentenza n.7986 del 21 gennaio 2003, pronunciata su ricorso
dell'imputata, ha dato atto dell'intervenuta prescrizione dei reati a lei
ascritti, con il conseguente annullamento senza rinvio della decisione del
giudice di appello, mantenendo ferme le statuizioni civili della sentenza
oggetto di impugnazione.
3. A seguito della definizione del giudizio penale il Capo della Polizia, con
decreto del 2 aprile 2003 comunicato il 10 aprile successivo all'interessata
(nel frattempo trasferita per incompatibilità ambientale dalla Questura di
#################### alle dipendenze di quella di ####################, con
provvedimento del 3 maggio 2001) ha disposto la riattivazione del procedimento
disciplinare in precedenza sospeso, invitando il Questore di
#################### "a rinnovare l'iter sanzionatorio a partire dalla nomina
del funzionario istruttore"; sono seguiti l'invio dell'atto di contestazione di
addebiti (il 17 aprile 2003) ed il deferimento dell'interessata alla Commissione
provinciale di disciplina, che ha concluso proponendo la comminazione della
sanzione disciplinare della destituzione dal servizio poi formalmente inflitta
dal Capo della Polizia, a decorrere dal 20 ottobre 2003, con provvedimento n.
333D/13462 dell'8
ottobre 2003, notificato il 17 ottobre successivo.
4. La signora L., con il ricorso n. 12 del 2004 proposto al Tribunale
amministrativo regionale per le Marche, ha chiesto l'annullamento: del citato
provvedimento del Capo della Polizia n. 333D/13462 dell'8 ottobre 2003, con cui
è stata disposta la sua destituzione dal servizio e dall'impiego, con la
contestuale dichiarazione del non riconoscimento ai fini giuridici ed a quelli
di quiescenza e previdenza del periodo di sospensione cautelare dal 28 settembre
1994 al 31 dicembre 1999; di tutti gli atti del procedimento disciplinare, ivi
compresi la lettera di riattivazione dello stesso dopo la precedente
sospensione, la contestazione di addebiti, la nomina del funzionario istruttore,
il decreto del Questore di #################### di trasmissione degli atti al
Consiglio di disciplina ed i verbali dello stesso Consiglio.
5. Il Tribunale amministrativo, con la sentenza n. 115 del 2006, ha respinto il
ricorso, compensando tra le parti le spese del giudizio.
6. Con l'appello in epigrafe è chiesto l'annullamento della sentenza di primo
grado, con domanda cautelare di sospensione della esecutività. La domanda
cautelare è stata respinta con ordinanza n. 4433 del 2006.
7. All'udienza del 6 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la
decisione.Motivi della decisione
1. Con la sentenza gravata il Tribunale amministrativo regionale per le Marche,
sezione prima, ha respinto il ricorso proposto dalla signora E. L., Agente della
Polizia di Stato, per l'annullamento del provvedimento del Capo della Polizia,
con cui è stata destituita dal servizio a far data dal 20 ottobre 2003, e degli
atti del relativo procedimento disciplinare.
2. Nella sentenza si afferma quanto segue.
2.1. Sugli asseriti vizi procedimentali: a) il provvedimento di riattivazione
del procedimento disciplinare è stato tempestivo poiché adottato il 2 aprile
2003 e perciò entro il termine di cui all'art. 5, comma 4, della legge 27 marzo
2001, n. 97 ("Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche"), ivi stabilito in novanta giorni dalla conoscenza
della sentenza della Corte di Cassazione avvenuta nella specie con il rilascio
di copia alla Questura di #################### il 24 febbraio 2003; b) il
procedimento disciplinare è stato concluso nel termine di 180 giorni di cui
all'art. 5 della legge n. 97 del 2001, da applicare per i procedimenti a carico
del personale della pubblica sicurezza in assenza di norme al riguardo nel
d.P.R. n. 737 del 1981, essendo stato iniziato con la
contestazione degli addebiti in data 17 aprile 2003 e concluso con il
provvedimento di destituzione di data 8 ottobre 2003; c) il termine di
quarantacinque giorni previsto (peraltro come non perentorio) dall'art. 19,
comma 7, del d.P.R. n. 737 del 1981 per la conclusione dell'indagine
disciplinare da parte del funzionario istruttore è stato osservato, essendo
stata trasmessa al Questore di #################### il 9 giugno 2003 la relativa
relazione conclusiva a fronte della contestazione degli addebiti il 17 aprile
precedente; d) sussiste la competenza del Questore di #################### a
promuovere il procedimento disciplinare, pur essendosi svolti i fatti durante il
servizio della ricorrente presso altra Questura, visto l'art. 19 del d. P.R. n.
737 del 1981 per il quale la detta competenza spetta al Questore della
provincia dove il dipendente presta servizio; e) la nota di contestazione di
addebiti da parte
del funzionario istruttore non è generica, essendo stati con essa puntualizzati
con precisione i fatti e il loro rilievo disciplinare (come provato dalle
dettagliate controdeduzioni dell'interessata in data 7 maggio 2003), né manca di
imparzialità la sua relazione conclusiva, poiché in essa, esposti con
completezza gli svolgimenti rilevanti e analizzate le giustificazioni fornite
dall'interessata, il conseguente apprezzamento viene rimesso alla valutazione
del Questore di ####################; f) le censure sulla composizione del
Consiglio di disciplina sono generiche e non motivate; non sussiste l'asserita
illegittimità della presenza del Segretario alle riunioni del Consiglio poiché
necessaria ai fini della verbalizzazione senza alcun coinvolgimento decisionale.
2.2. Quanto alle restanti censure, relative all'operato del Consiglio di
disciplina:
a) dagli atti emerge che le conclusioni cui è pervenuto il Consiglio non
trovano il loro automatico presupposto nella sentenza della Corte di Cassazione,
sopra richiamata, ma scaturiscono da un autonomo apprezzamento dei fatti e dei
comportamenti contestati alla ricorrente in sede disciplinare; si è perciò
proceduto correttamente, considerati, da un lato, la sentenza della Corte
Costituzionale n. 971 del 1988 e la normativa di cui all'art. 9 della legge n.
19 del 1990 e all'art. 5 della legge n. 97 del 2001, che richiedono un
siffatto, autonomo apprezzamento, e, dall'altro, la valutazione da dare alla
sentenza di improcedibilità per estinzione del reato per effetto della
prescrizione, quando non risulti completamente liberatoria per non aver dato
atto della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di assoluzione. Ne
consegue la insussistenza dell'asserito vizio di illogicità
dedotto avverso l'operato del Consiglio di disciplina, e del Capo della Polizia,
e che i comportamenti criminosi della ricorrente (falsa compilazione di modelli
di denuncia di sinistri stradali, con indebito interessamento presso il
liquidatore della compagnia di assicurazioni a favore della persona con lei
concorrente nel reato) rientrano tra quelli previsti dall'art. 7 del d.P.R. n.
737 del 1981 nonché, in quanto configuranti truffa, tra le ipotesi espressamente
previste dal successivo art. 8, relativo alla "Destituzione di diritto", non
valendo inoltre, in contrario, l'ulteriore deduzione della mancata
considerazione, come attenuante, del comportamento tenuto dalla ricorrente nel
suo servizio a ####################, asserito come incensurabile, avendo la
Commissione di disciplina rilevato l'esistenza di tre procedimenti disciplinari
a suo carico dopo la riammissione in servizio;
b) né sussiste l'asserita disparità di trattamento rispetto ad altro
dipendente, poiché richiamata genericamente e non potendosi comunque raffrontare
le responsabilità di dipendenti pubblici sottoposti a distinti procedimenti
disciplinari.
2.3. Non può essere accolta, infine, la censura di illegittimità del mancato
riconoscimento ai fini giuridici e previdenziali del periodo di sospensione
cautelare, non essendovi stata in tale periodo la prestazione di attività
lavorativa, non potendo la successiva definizione del procedimento disciplinare
far venir meno retroattivamente gli effetti della detta sospensione, non avendo
natura di retribuzione l'assegno alimentare corrisposto nel periodo.
3. Nell'appello, delle statuizioni della sentenza impugnata si censura quella
sintetizzata sopra sub 2.2. a), con riguardo alla valutazione dei comportamenti
della ricorrente data dall'Amministrazione ed alla sanzione di conseguenza
disposta, deducendo violazione degli articoli 9 della legge 7 febbraio 1990, n.
19, 5 della legge 27 marzo 2001, n. 97, 1 e 7 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n.
737, nonché eccesso di potere.
Al riguardo, richiamato che è corretto considerare la sentenza di non doversi
procedere per intervenuta prescrizione dei reati non ostativa all'avvio del
procedimento disciplinare né assimilata a sentenza di assoluzione, si deduce che
l'apprezzamento dei comportamenti della ricorrente espresso in sede
disciplinare, e accolto nel provvedimento di destituzione, è stato però
eseguito prescindendo dalla valutazione del suo effettivo coinvolgimento nei
fatti, rilevato invece come marginale nel giudizio di appello.
Il Consiglio di disciplina infatti: ha dato peso a circostanze oggettive non
direttamente attinenti alle responsabilità della ricorrente, dando rilievo in
particolare al suo rapporto personale con il dirigente della Polizia di Stato
imputato nella stessa vicenda con maggior grado di colpevolezza mentre gli
eventi in cui era stata coinvolta direttamente erano stati considerati lievi e
marginali dai giudici di merito; ha valorizzato gli episodi sfavorevoli alla
ricorrente e non quelli favorevoli, quale la sua positiva condotta a seguito del
trasferimento in altra sede; l'esame dei fatti non è stato condotto in modo
indipendente dalle contestazioni in sede penale, peraltro non sfociate in
giudicato di condanna, né il giudizio espresso è stato basato sulla
considerazione della attuale e concreta incompatibilità alla svolgimento delle
funzioni; risultando di conseguenza sproporzionata,
rispetto alla rilevanza dei fatti e comportamenti effettivamente attribuibili
alla ricorrente, l'applicazione della massima sanzione prevista dall'art. 7 del
d.P.R. n. 737 del 1981.
4. Le censure così riassunte sono infondate.
4.1. Dall'esame della relazione conclusiva del funzionario istruttore (di data
9 giugno 2003, prot. Cat. 2.8/2003) e della susseguente deliberazione del
Consiglio di disciplina (del 5 settembre 2003, prot. Cat. 2.8/Pers./CDP.2003)
recante all'unanimità la proposta della sanzione della destituzione dal servizio
ai sensi dell'art. 7, comma 2, nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981, emerge
infatti che:
i fatti ascritti alla ricorrente sono stati riportati ed esaminati con
completezza, correttamente richiamandone l'accertamento in sede penale in
relazione alla permanenza della loro effettività storica indipendentemente
dall'effetto di prescrizione dei reati, con la citazione delle tre sentenze di
cui sopra (in primo grado, in appello e della Corte di Cassazione), nella parte
relativa a tali fatti come ivi individuati e in giudizio qualificati come
costituenti i delitti oggetto di pronuncia (pagine da 2 a 7 della relazione
conclusiva suddetta);
le giustificazioni prodotte dalla ricorrente sono state altresì compiutamente
riportate ed esaminate, essendo stato riscontrato e confutato con argomentazioni
analitiche e precise quanto dalla stessa asserito sulla mancanza di volontà e
consapevolezza nella realizzazione dei delitti, sulla loro commissione in un
contesto privato, che avrebbe caratterizzato la fattispecie per l'assenza
dell'elemento del contrasto con i doveri assunti con il giuramento, sulla
insussistenza del pregiudizio di cui al n. 4 dell'art. 7 del d.P.R. n. 737 del
1981 (pagine da 8 a 11 della relazione citata);
nella deliberazione del Consiglio di disciplina, in cui sono anche valutati i
numerosi precedenti disciplinari della ricorrente, i fatti di cui sopra sono
puntualmente richiamati osservando che, nel "prolungato contesto delittuoso" di
cui si tratta "l'agente L., anche se non ha avuto un ruolo particolarmente
caratterizzante, ha fattivamente partecipato avendo comunque piena e qualificata
consapevolezza delle proprie illecite azioni, e delle loro conseguenze,
traendone inoltre, anche se non in maniera diretta, vantaggio economico..."; si
prosegue rilevando l'incidenza degli atti compiuti sul senso dell'onore e sulla
qualità morale, tanto più essenziali per l'appartenente alla Polizia di Stato,
il loro contrasto con i doveri conseguentemente assunti, il pregiudizio che ne
è derivato per lo Stato e per l'Amministrazione di appartenenza, la loro
estrema gravità per l'inserimento
dell'incolpata in un sodalizio criminale.
4.2. Da quanto sopra risulta, perciò, che la condotta della ricorrente in
relazione ai fatti delittuosi è stata valutata nella sua specificità, soppesando
le caratteristiche del ruolo da lei svolto quanto all'incidenza, alla
consapevolezza e ai vantaggi conseguiti, che sono state adeguatamente esaminate,
altresì, le giustificazioni addotte a suo favore e che i fatti, comunque
esistenti nella loro realtà storica e perciò da considerare ai fini
disciplinari, sono stati autonomamente valutati nonché commisurati anche
all'attualità giudicandoli comunque atti a fondare il giudizio di
incompatibilità adottato.
4.3. Né la conseguente sanzione della destituzione risulta viziata perché
sproporzionata alla rilevanza dei fatti, non potendosi ritenere che
comportamenti come quelli di cui si tratta non configurino, ai sensi dell'art. 7
del d.P.R. n. 737 del 1981, atti "che rivelino mancanza del senso dell'onore e
della morale" (n. 1), "in grave contrasto con i doveri assunti con il
giuramento" (n. 2) e arrecanti "per dolosa violazione dei doveri...grave
pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della pubblica sicurezza ad enti
pubblici o a privati" (n. 4), idonei, per il detto articolo, a motivare la
destituzione del dipendente della Polizia di Stato e perciò, nella specie,
correttamente assunti a ragione del provvedimento adottato, in coerenza con la
ratio della normativa, che è quella della tutela di valori particolarmente
cogenti per chi è incaricato della funzione pubblica della
prevenzione dei reati a garanzia della sicurezza dei cittadini.
5. Per quanto considerato l'appello è infondato e deve essere perciò respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel
dispositivo.P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
pronunciando sull'appello in epigrafe, n. 6269 del 2006, lo respinge.
Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio a
favore del Ministero dell'interno, appellato, che liquida in euro 2.000,00
(duemila/00), oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.