Quanto ci costa la scorta di 40 poliziotti per il deputato Berlusconi e i suoi trucchi per conservarla
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto
blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire
due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di
sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio
Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli
Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che
lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con
provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un
deputato come altri, solo molto molto costoso. Tanto che gli 80mila euro
per la scorta balneare di Fini, da settimane oggetto di furiose
polemiche, diventano briciole.
Gli uomini al seguito del Cavaliere, spiegano fonti molto qualificate,
hanno trattamenti economici doppi rispetto ai colleghi che svolgono
servizi di sicurezza ordinari. Hanno stipendi e prerogative equiparati a
quelli dei colleghi dello spionaggio e controspionaggio senza esserlo.
Siamo, per essere chiari, intorno ai cinquemila euro al mese. E sono
appunto quaranta. I conti sono presto fatti.
Nei suoi mandati, a più riprese, il Cavaliere è riuscito a cambiare le
regole sulla sicurezza e imporre uomini di fiducia provenienti dalla sua
azienda. Lo si scoprirà anni più tardi, quando i magistrati baresi
cercheranno risposte all’andirivieni incontrollato di persone dalle
ville del Cavaliere: possibile che nessuno della sicurezza controllasse
chi entra e chi esce? Si, perché il premier, proprio per tutelare la sua
“privacy”, già dal primo mandato era riuscito a sostituire gli uomini
dello Stato con quelli della security di Fininvest e Standa (da quel
giorno in poi a libro paga degli italiani). Un’impresa non semplice.
Prima di allora, infatti, nessuno poteva entrare in polizia, carabinieri
o finanza senza un regolare concorso pubblico. Per garantirsi la “sua”
scorta – che obbedisca a personalissimi criteri di fedeltà privata e
discrezione pubblica – Berlusconi ricorre allora a un escamotage senza
precedenti: grazie alle sue prerogative di Presidente del Consiglio,
s’inventa una nuova competenza ad hoc presso i Servizi, gli unici cui la
legge consente di assumere personale a chiamata diretta. Nasce così un
nucleo per la scorta del presidente che fa capo al Cesis (oggi Aisi,
Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) anziché al Viminale, anche se
con l’attività di intelligence vera e propria nulla ha a che fare.
Gli uomini d’azienda vestiranno la divisa sotto la guida dell’uomo che,
alla fine degli anni Ottanta, faceva la security alla Standa. E che di
punto in bianco si trova capo-scorta del presidente del Consiglio con la
qualifica di capo-divisione dei servizi. E si porta dietro almeno altre
cinque ex body-guard Fininvest. Col tempo la struttura è cresciuta a
ventiquattro unità, poi 31 e infine 40 che stavolta vengono in parte
attinte dalle Forze dell’Ordine, ma sempre su indicazione di quel primo
nucleo. Che tornerà regolarmente ad ogni successivo mandato. Anzi, non
smetterà più di prestare servizio.
Quegli stessi uomini, infatti, sono lì ancora oggi che il Cavaliere è
tornato ad essere un deputato. Perché? Perché ha deciso così. E’ il 27
aprile del 2006. Berlusconi ha perso le elezioni e si appresta a fare le
valigie e cedere la poltrona e la “campanella” del Consiglio dei
Ministri a Romano Prodi. Ma non ha alcuna intenzione di cedere anche
quella struttura che i magistrati baresi tre anni dopo definiranno
quantomeno “anomala” e che in fin dei conti è una sua creatura. Così,
giusto 17 giorni dopo il voto, poco prima di lasciare il Palazzo,
Berlusconi vara un altro provvedimento ad hoc che oggi giorno potrebbe
chiamarsi a buon diritto “salva-scorta”, nella migliore tradizione delle
leggi ad personam. Se ne accorgono, in ottobre, Gian Antonio Stella e
Sergio Rizzo sul Corriere, che raccontano come, non fidandosi del
professore, la scorta per il futuro Berlusconi abbia provveduto a
farsela da solo stabilendo che i capi di governo “cessati dalle
funzioni” abbiano diritto a conservare la scorta su tutto il territorio
nazionale nel massimo dispiegamento. Così facendo riesce a portarsela
via come fosse un’eredità personale, anche se era (e continua a essere)
un servizio di sicurezza privato pagato con soldi pubblici. Al costo,
ancora oggi, di due milioni e mezzo l’anno.
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