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giovedì 14 maggio 2015

N. 76 SENTENZA 15 aprile - 7 maggio 2015 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro - Personale sanitario incaricato, addetto agli istituti di prevenzione e pena - Qualificazione del rapporto. - Legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria), art. 53. - (GU n.19 del 13-5-2015 )





N. 76 SENTENZA 15 aprile - 7 maggio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Lavoro - Personale sanitario incaricato,  addetto  agli  istituti  di
  prevenzione e pena - Qualificazione del rapporto.
- Legge 9 ottobre  1970,  n.  740  (Ordinamento  delle  categorie  di
  personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non
  appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria),
  art. 53.
-  

(GU n.19 del 13-5-2015 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
  ZANON,

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  53  della
legge  9  ottobre  1970,  n.  740  (Ordinamento  delle  categorie  di
personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e  pena  non
appartenenti ai ruoli organici  dell'Amministrazione  penitenziaria),
promossi dal Tribunale  ordinario  di  Roma  con  ordinanze  dell'  8
febbraio  e  del  15  marzo  (due  ordinanze)  2013,  rispettivamente
iscritte ai nn.  109,  110  e  111  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  28,  prima
serie speciale, dell'anno 2014.
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 15  aprile  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione  di  giudice  del
lavoro, con tre distinte ordinanze (r.o. n. 109, n. 110 e n. 111  del
2014), depositate l'8 febbraio 2013 (la prima) e il 15 marzo 2013 (le
successive), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo  comma,
36, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione, questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge 9 ottobre  1970,
n. 740 (Ordinamento delle categorie di  personale  sanitario  addetto
agli istituti  di  prevenzione  e  pena  non  appartenenti  ai  ruoli
organici dell'Amministrazione penitenziaria), riguardante il servizio
di guardia infermieristica addetto agli istituti di prevenzione e  di
pena  e  non  appartenente  ai  ruoli  organici  dell'amministrazione
penitenziaria.
    Il  Tribunale  rimettente  censura  la  disposizione   "nel   suo
complesso", in quanto qualifica  come  rapporti  di  lavoro  autonomo
rapporti che la legge regola sostanzialmente come rapporti di  lavoro
subordinato e, in via gradata, nella parte (in particolare, il quarto
comma del medesimo articolo) in cui accorda ai lavoratori un compenso
orario, con esclusione di ogni altra indennita' e gratificazione e di
ogni trattamento previdenziale e assicurativo.
    Il giudice a quo  premette  di  conoscere  dei  ricorsi  proposti
contro il Ministero della giustizia  da  tre  infermieri,  che  hanno
dedotto di avere  prestato  servizio  presso  la  casa  circondariale
«Regina Coeli» di  Roma,  in  forza  di  convenzioni  di  prestazione
d'opera libero-professionale, regolate dall'art. 53  della  legge  n.
740 del 1970 e di avere svolto, secondo  il  paradigma  tipico  della
subordinazione,  mansioni  equivalenti  a  quelle  degli   infermieri
dipendenti di ruolo, inquadrati nella posizione economica B2, in base
al  contratto  collettivo  nazionale   Ministeri   e   ai   contratti
integrativi applicabili al Ministero della giustizia e  al  personale
di ruolo dell'amministrazione penitenziaria.
    Sulla scorta di tali allegazioni, i ricorrenti hanno  chiesto  di
dichiarare la natura  subordinata  del  lavoro  e  di  condannare  il
Ministero, anche a titolo di risarcimento  del  danno,  al  pagamento
delle differenze retributive e della contribuzione non versata.
    Il giudice rimettente, poste tali  premesse  di  fatto,  sospetta
della legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge n. 740 del
1970, in  quanto  impedisce  di  riqualificare  come  subordinato  il
rapporto di lavoro ivi regolato e, in via  gradata,  nella  parte  in
cui, comunque, circoscrive ad  un  compenso  orario  la  retribuzione
degli infermieri incaricati dagli istituti di prevenzione e di  pena,
configurando in termini di autonomia un rapporto di lavoro  che,  nei
fatti,  si  atteggia   secondo   le   connotazioni   precipue   della
subordinazione.
    In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che le  domande
delle parti ricorrenti presuppongono la qualificazione in termini  di
subordinazione del rapporto di lavoro,  qualificazione,  per  contro,
negata dal legislatore.
    Ove tale qualificazione fosse praticabile, i lavoratori avrebbero
diritto al controllo di adeguatezza del compenso  e  al  risarcimento
del danno ai sensi dell'art. 36, comma 2, del decreto legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche),  sia  sotto  il  profilo
della minore retribuzione ricevuta, da commisurare al trattamento del
corrispondente personale di ruolo (art. 45, comma 2,  del  d.lgs.  n.
165  del  2001),  sia  sotto  il  profilo  dell'omessa  contribuzione
previdenziale.
    La  rilevanza   della   questione   sarebbe   corroborata   dalla
considerazione che le pretese dei ricorrenti s'infrangono  contro  il
disposto del censurato art. 53, univoco nell'accordare al  lavoratore
il solo diritto ad un compenso orario, e  non  sarebbe  scalfita  dal
coacervo di eccezioni che la difesa dello Stato ha sollevato.
    Il giudice rimettente, nel disattendere tali eccezioni, argomenta
che il periodo, oggetto della  rivendicazione,  e'  almeno  in  parte
successivo al 1° luglio 1998 e ricade, pertanto, nella  giurisdizione
del giudice adito.
    Quanto all'eccezione di prescrizione decennale, non  si  potrebbe
riferire al rapporto, considerato nel suo protrarsi fino al 2008.
    Neppure l'eccezione  di  prescrizione  estintiva  ex  art.  2948,
numero 4), del codice civile, potrebbe dirsi risolutiva, visto che la
prescrizione non corre durante il rapporto di lavoro, quando non  sia
assistito dalla stabilita' reale.
    Le difese dell'amministrazione, volte a contestare  l'obbligo  di
corrispondere le somme in contesa, non si  concilierebbero,  inoltre,
con la tesi dell'avvenuto pagamento delle differenze retributive.
    Con  riguardo  all'eccepita  prescrizione,  il  giudice   a   quo
specifica  che  l'azione  risarcitoria   soggiace   al   termine   di
prescrizione decennale, vertendosi in tema di  azioni  derivanti  dal
contratto.
    La mancata instaurazione di un rapporto di lavoro  subordinato  a
tempo indeterminato non  sarebbe  d'ostacolo  al  riconoscimento  dei
diritti che scaturiscono da un rapporto di lavoro di fatto (art. 2126
cod. civ.) e al risarcimento del danno, secondo  i  canoni  descritti
dall'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001.
    Il giudice a quo, nella disamina del profilo della non  manifesta
infondatezza della questione, prende le  mosse  dalla  giurisprudenza
della Corte costituzionale e, in particolare, dalle sentenze  n.  121
del 1993 e n. 115 del 1994.
    Tali pronunce delineano una nozione sostanziale di subordinazione
e inibiscono al legislatore di negare l'inquadramento in  termini  di
subordinazione dei rapporti di lavoro che  presentino  oggettivamente
tali caratteristiche.
    Nel  caso  di  specie,  il  giudice  rimettente  attribuisce   al
legislatore l'intento di escludere il ricorrere della  subordinazione
e desume tale intento da molteplici  dati  testuali  ed  ermeneutici:
l'espressione  «si  avvale  dell'opera»,  che  evoca  la  prestazione
d'opera;  la  rubrica  della  legge,  intitolata  «Ordinamento  delle
categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione
e  pena  non  appartenente  ai  ruoli  organici  dell'Amministrazione
penitenziaria»,  sintomatica  dell'esclusione  della  subordinazione;
l'espressa negazione dei  diritti  inerenti  al  rapporto  di  lavoro
subordinato, come le ferie e il trattamento previdenziale; la realta'
effettuale,  che  vede  la  stipulazione  di   contratti   d'incarico
libero-professionale di durata,  di  volta  in  volta  rinnovati;  le
enunciazioni della giurisprudenza di legittimita', che configura come
parasubordinati rapporti di lavoro analoghi a quelli degli infermieri
incaricati.
    A tale qualificazione in termini di autonomia  farebbe  riscontro
la  natura  genuinamente  subordinata  del  rapporto,  non  potendosi
supporre, per gli infermieri  di  ruolo,  un  potere  direttivo  piu'
penetrante.
    Il  giudice  rimettente  ravvisa  i   tratti   distintivi   della
subordinazione nel fatto che gli infermieri debbano prestare  l'opera
secondo   il   turno   predisposto   dal   direttore   dell'istituto,
ottemperando    alle    prescrizioni     impartite     dall'autorita'
amministrativa,  con   riguardo   all'organizzazione   del   servizio
infermieristico e alle indicazioni del personale medico, con riguardo
alle questioni tecniche.
    Dalla   natura   subordinata    del    rapporto,    discenderebbe
l'inadeguatezza del  trattamento  retributivo,  che  consiste  in  un
compenso orario, con esclusione di ogni  altra  pretesa  economica  e
previdenziale.
    Tale inadeguatezza non soltanto si porrebbe in contrasto  con  il
precetto dell'art. 36, primo comma, Cost., ma si paleserebbe in fatto
irragionevolmente discriminatoria rispetto al trattamento retributivo
degli infermieri di ruolo che svolgono mansioni  equivalenti  e  sono
assoggettati al medesimo potere direttivo.
    Per la norma impugnata, il giudice a quo ritiene che si tratti di
incostituzionalita' "nel suo complesso".
    La normativa censurata  non  perseguirebbe  altro  obiettivo  che
eludere le tutele del lavoro subordinato e "l'empasse costituzionale"
non si potrebbe superare, riqualificando il  rapporto  di  lavoro  in
termini di subordinazione.
    Invero, anche a voler ammettere che il legislatore  non  precluda
la qualificazione  in  termini  di  subordinazione  dei  rapporti  di
lavoro, la violazione dei principi consacrati dagli  artt.  3,  primo
comma, 36, primo comma, e 38, secondo  comma,  Cost.  sarebbe  ancora
piu' flagrante.
    Accedendo a tale interpretazione, si perverrebbe al risultato  di
escludere in radice,  per  un  rapporto  di  lavoro  subordinato,  il
diritto  all'indennita'  sostitutiva   delle   ferie,   al   compenso
aggiuntivo per il lavoro domenicale, al trattamento di fine servizio,
alla copertura previdenziale.
    In  via  gradata,  dunque,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  (in  particolare  del
quarto  comma  dell'art.  53)  si  coglierebbe  nell'attribuzione  al
personale incaricato di un mero compenso orario,  con  esclusione  di
ogni  altra  indennita'  e  gratificazione  e  di  ogni   trattamento
previdenziale e assicurativo.
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha concluso per la manifesta infondatezza della questione.
    La difesa dello Stato propugna  la  ragionevolezza  delle  scelte
dettate dal legislatore, con la legge n. 740 del  1970,  in  tema  di
trattamento retributivo e previdenziale, e ricorda che questa  Corte,
nella sentenza n. 577 del 1989, con particolare riguardo al  rapporto
dei medici incaricati addetti agli istituti di prevenzione e di pena,
ha  gia'  disconosciuto  ogni  carattere   d'irragionevolezza   della
disciplina   normativa,   alla   luce    delle    peculiarita'    che
contraddistinguono tale rapporto di lavoro.
    Queste considerazioni potrebbero essere estese anche  ai  servizi
di  guardia  infermieristica,  regolamentati   con   una   disciplina
autonoma, che non attribuisce al rapporto di lavoro i caratteri della
subordinazione.
    La difesa dello Stato addebita al giudice rimettente di non  aver
valorizzato gli unici dati dirimenti che  rappresentano  i  caratteri
indefettibili della subordinazione e che non e'  dato  rinvenire  nel
caso di specie.
    In  particolare,  non  si  ravviserebbero  ne'  il   vincolo   di
soggezione  personale  del  lavoratore   al   potere   organizzativo,
direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ne' l'inserimento  del
lavoratore nel ruolo organico dell'amministrazione penitenziaria.
    L'infermiere - evidenzia la difesa  dello  Stato  -  non  avrebbe
vincoli di esclusivita'  o  d'incompatibilita'  e  potrebbe  prestare
contemporaneamente anche altrove la propria opera professionale.
    Quanto ai caratteri, che il giudice del lavoro pone  in  risalto,
sarebbero compatibili anche con la parasubordinazione, contrassegnata
dalla continuita' della collaborazione prestata e dalla coordinazione
dell'attivita' svolta dal prestatore con le finalita' perseguite  dal
committente.
    Sarebbe,   infine,   sprovvista   di   ogni   valenza    decisiva
l'organizzazione del lavoro in turni.
    Tale modulo organizzativo, nel caso  di  lavoro  infermieristico,
non denoterebbe di per se' il ricorrere della subordinazione.
    La  giurisprudenza  amministrativa  -  a   dire   dell'Avvocatura
generale dello Stato -nega la  natura  subordinata  del  rapporto  di
lavoro, quando vi sia l'obbligo di  svolgere  le  mansioni  a  favore
della pubblica  amministrazione  secondo  un  orario  prestabilito  e
secondo le direttive impartite dai responsabili dei vari servizi.
    La difesa dello Stato ritiene, alla luce  di  tali  rilievi,  che
siano prive di pregio le  doglianze  sulla  violazione  dell'art.  3,
primo  comma,  Cost.,  e  che,  di  riflesso,  non   abbiano   alcuna
consistenza le censure incentrate, peraltro senza il supporto di  una
motivazione autonoma, sulla violazione degli artt. 36, primo comma, e
38, secondo comma, Cost.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione  di  giudice  del
lavoro,  con  tre  distinte  ordinanze,  dubita  della   legittimita'
costituzionale dell'art. 53  della  legge  9  ottobre  1970,  n.  740
(Ordinamento delle categorie  di  personale  sanitario  addetto  agli
istituti di prevenzione e pena non  appartenenti  ai  ruoli  organici
dell'Amministrazione penitenziaria) "nel suo  complesso",  in  quanto
non consente di qualificare i rapporti  di  lavoro  degli  infermieri
incaricati dagli istituti di prevenzione e di pena come  rapporti  di
lavoro subordinato.
    In via gradata,  il  giudice  rimettente  censura  la  norma  (in
particolare il quarto comma), nella parte  in  cui,  anche  a  volere
ritenere che non precluda la qualificazione del  rapporto  di  lavoro
come subordinato,  limita  ad  un  compenso  orario  la  retribuzione
spettante, «con esclusione di ogni altra indennita' o gratificazione,
e di ogni trattamento previdenziale e assicurativo».
    Il giudice a quo assume che tale normativa  violi  gli  artt.  3,
primo  comma,  36,  primo  comma,  e   38,   secondo   comma,   della
Costituzione, in  quanto  impone  di  qualificare  come  autonomo  un
rapporto  di  lavoro   che   presenta   tutti   i   caratteri   della
subordinazione e, anche a volere ritenere che salvaguardi la liberta'
di   qualificazione   dell'interprete,   sancisce   un    trattamento
retributivo   e   previdenziale   irrispettoso   dei   principi    di
proporzionalita'  e  adeguatezza  e   discriminatorio   rispetto   al
trattamento degli infermieri dipendenti  di  ruolo,  inquadrati  alla
posizione economica B2, secondo  il  contratto  collettivo  nazionale
Ministeri e i contratti integrativi applicabili  al  Ministero  della
giustizia e al personale di ruolo dell'amministrazione penitenziaria.
    Tali argomentazioni sono  state  contestate  dal  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  che   ha   concluso,   nel   merito,   per
l'infondatezza della  questione,  senza  trascurare  di  eccepire  la
mancanza di  un'autonoma  motivazione  sulla  prospettata  violazione
degli artt. 36 e 38 Cost.
    La   difesa   dello   Stato   osserva   che   la   giurisprudenza
costituzionale, le pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio
di  Stato  sono  concordi  nell'ascrivere  i   rapporti   di   lavoro
controversi   all'area   dell'autonomia   e,   segnatamente,    della
parasubordinazione.
    Da tali rilievi discende l'infondatezza di tutte le censure,  che
postulano la riconducibilita' dei rapporti  di  lavoro  in  questione
alla fattispecie della subordinazione.
    2.- I giudizi di legittimita' costituzionale,  promossi  con  tre
distinte ordinanze, devono essere trattati  congiuntamente  e  decisi
con un'unica sentenza, in ragione dell'omogeneita' dei termini e  dei
motivi delle censure.
    3.- Occorre, preliminarmente, sgombrare il  campo  dall'eccezione
d'inammissibilita',  formulata  dal  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri.
    La difesa dello Stato imputa al giudice rimettente di  non  avere
offerto un'autonoma motivazione in merito alla violazione degli artt.
36, primo  comma,  e  38,  secondo  comma,  Cost.,  in  spregio  alla
giurisprudenza  di  questa  Corte,  che  richiede   una   motivazione
pertinente su ciascuno dei parametri evocati.
    Tale eccezione, che ridonderebbe in un profilo d'inammissibilita'
delle censure, non coglie nel segno.
    Dalla  lettura  delle  ordinanze  di  rimessione,  e'   possibile
evincere  un'argomentazione  perspicua  su  ciascuno  dei   parametri
costituzionali richiamati e tale argomentazione supera  lo  scrutinio
di ammissibilita' sollecitato a questa Corte.
    Nelle argomentazioni delle ordinanze, che a  tali  temi  dedicano
una trattazione unitaria, i parametri evocati (artt. 3, primo  comma,
36,   primo   comma,   e   38,   secondo   comma,   Cost.)   appaiono
indissolubilmente connessi.
    Il giudice rimettente ha sottolineato che  l'attribuzione  di  un
compenso orario, con esclusione di ogni altro trattamento retributivo
e previdenziale, e' lesiva, in pari tempo,  dei  principi  consacrati
dagli artt. 3, primo comma, 36, primo comma,  e  38,  secondo  comma,
Cost., in quanto determina un trattamento deteriore degli  infermieri
incaricati rispetto agli infermieri di ruolo e pregiudica il  diritto
di  tale  categoria  di  lavoratori  ad  una  tutela  retributiva   e
previdenziale adeguata.
    Tutti i profili, devoluti al  sindacato  di  questa  Corte,  sono
stati approfonditi, sia con riguardo  alla  paventata  disparita'  di
trattamento con  gli  infermieri  di  ruolo  che  con  riguardo  alla
proporzionalita'   e   alla   sufficienza   della   retribuzione    e
all'adeguatezza della tutela previdenziale.
    4.- La questione non e' fondata.
    Il giudice rimettente  muove  dall'assunto  che  il  legislatore,
dietro la parvenza di un'autonomia soltanto nominale,  disciplini  un
rapporto di lavoro che si configura immancabilmente come  subordinato
e che in nulla differisce dal rapporto di lavoro degli infermieri  di
ruolo.
    Secondo  tale  prospettazione,  sarebbe   insita   nella   stessa
disciplina normativa una discrepanza tra la qualificazione in termini
di  autonomia,  con  la  conseguente  esclusione  dei   diritti   che
rappresentano  il  nucleo  intangibile  della  subordinazione,  e  la
situazione reale, che e'  di  subordinazione  a  tutti  gli  effetti,
comparabile a quella dei  dipendenti  di  ruolo  dell'amministrazione
dello Stato.
    Dall'obbligo di osservare i turni predisposti dal  direttore  del
carcere e di rispettare le prescrizioni dell'autorita' amministrativa
e del personale medico, scaturisce sempre e comunque,  dal  punto  di
vista del giudice rimettente, il carattere subordinato  del  rapporto
di lavoro degli infermieri.
    Il giudice rimettente precisa che, nel caso di specie, i  singoli
rapporti di lavoro, regolati da una convenzione d'incarico denominata
ex professo come  contratto  di  prestazione  professionale,  non  si
discostano dal paradigma delineato dalla legge.
    Le convenzioni - soggiunge il giudice rimettente  -  intervengono
finanche  ad  attenuare  i  caratteri   della   subordinazione,   che
contraddistinguono gia' all'origine il tipo legale.
    La  discrepanza  sarebbe  connaturata,  pertanto,   allo   stesso
modello,  tratteggiato  dal  legislatore,  ed  e'  su  tale  modello,
integrato e recepito dalle convenzioni d'incarico, che  si  appuntano
le censure d'illegittimita' costituzionale.
    Tali argomenti non possono essere condivisi.
    5.-  Questa  Corte  ha  fugato  ogni   dubbio   di   legittimita'
costituzionale della normativa, che differenzia  il  trattamento  dei
medici incaricati, chiamati a prestare servizio presso  gli  istituti
di prevenzione  e  di  pena,  rispetto  al  trattamento  degli  altri
impiegati civili dello Stato (sentenza n. 577 del 1989).
    Si tratta, invero, di «un rapporto regolato  dal  legislatore  in
modo specifico ed autonomo», con una  scelta  che  «non  puo'  essere
ritenuta  irragionevole,  date  le  caratteristiche  particolari  del
rapporto stesso» (punto 2. del Considerato in diritto).
    Tra   le   caratteristiche,   che   rendono    irriducibile    la
particolarita' di tale rapporto di lavoro, questa Corte  annovera  la
facolta'  dei  medici  incaricati  di  «esercitare   liberamente   la
professione ed assumere altri impieghi o incarichi».
    Piu' di recente, con la sentenza n. 149 del 2010, questa Corte ha
scrutinato,  sotto  il  profilo  della  violazione  delle  competenze
statali  in  tema  di  coordinamento  della  finanza   pubblica,   la
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  2,  della   legge
dellaRegione Calabria  31  dicembre  2008,  n.  46  (Disposizioni  in
materia sanitaria).
    Tale normativa mirava ad inquadrare stabilmente nei  ruoli  della
Regione i medici  non  appartenenti  al  personale  civile  di  ruolo
dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali
prestano   la    loro    opera    presso    gli    istituti    o    i
servizidell'amministrazione stessa.
    Questa Corte ha individuato nel rapporto dei  medici  incaricati,
gia' connotato in termini di "particolarita'" dalla sentenza  n.  577
del 1989, i tratti distintivi dell'autonomia e, in particolare, della
parasubordinazione (punto 3.2. del Considerato in diritto).
    Tale inquadramento ha implicato  l'illegittimita'  costituzionale
di una disciplina che, con un  indebito  aggravio  di  spese  per  il
Servizio   sanitario   nazionale,   tramutava    in    subordinazione
l'originaria parasubordinazione.
    6.- I rilievi sulla qualificazione del  rapporto  di  lavoro  dei
medici ben si attagliano alla disciplina degli infermieri incaricati.
    La disciplina dei medici e  degli  infermieri  presenta  evidenti
assonanze,  anche   nella   formulazione   del   dettato   normativo:
l'amministrazione si avvale dell'opera degli uni  e  degli  altri  ed
entrambe queste figure professionali, per  espressa  disposizione  di
legge, non sono inserite nei ruoli organici dell'amministrazione  che
di volta in volta conferisce loro l'incarico.
    Lo  stesso  giudice  rimettente,  con   riferimento   ai   medici
incaricati, parla di posizioni "del tutto analoghe"  a  quelle  degli
infermieri e non prospetta argomenti che inducano a differenziare  le
due  fattispecie  e  a  disattendere,  per  gli  infermieri,   quelle
enunciazioni sulla natura autonoma del rapporto che,  per  i  medici,
non ritiene di confutare.
    6.1.-  Le  considerazioni,  gia'  svolte  da  questa  Corte   nel
raffronto tra i medici incaricati degli istituti di prevenzione e  di
pena e gli impiegati civili dello Stato, svelano l'infondatezza della
premessa logica delle censure d'incostituzionalita'.
    Le ordinanze di rimessione presuppongono che la condizione  degli
infermieri incaricati si possa  assimilare,  in  ogni  aspetto,  alla
condizione  degli  infermieri  dipendenti  di  ruolo:  per  gli  uni,
difatti,  non  si  potrebbe  individuare  un  potere  direttivo  piu'
pregnante di quello che conforma la prestazione degli altri.
    Tuttavia, un ostacolo invalicabile a questa assimilazione  e'  la
mancanza,  per  gli  infermieri  incaricati,  di  quei   vincoli   di
esclusivita'  e  d'incompatibilita',  che  rappresentano  un  aspetto
primario del rapporto di lavoro  degli  infermieri  dipendenti  e  si
riverberano sulla sua diversa disciplina.
    Tale differenza riveste un'importanza cruciale  alla  luce  delle
stesse affermazioni della citata sentenza  n.  577  del  1989  e  non
avvalora alcuna equiparazione tra le due categorie.
    7.-  Caduta  la  premessa  logica  dell'equiparazione   tra   due
categorie, che si rivelano dissimili in aspetti salienti,  la  stessa
qualificazione in termini di subordinazione del  rapporto  di  lavoro
degli infermieri incaricati mostra un fondamento labile.
    Con tale qualificazione confliggono molteplici elementi, posti in
luce dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione
quarta, sentenze 3 dicembre 2010, n. 8526 e 17 aprile 2002, n. 2029),
che afferma l'autonomia del rapporto di lavoro degli  infermieri,  in
consonanza con  le  pronunce  della  Corte  di  cassazione  sul  tema
contiguo del rapporto dei medici di guardia presso  gli  istituti  di
prevenzione e di pena (Corte di cassazione, sezioni  unite,  sentenza
19 marzo 1990, n. 2286, fra le piu' significative di un  orientamento
consolidato).
    7.1.- Tali elementi si compongono in un quadro coerente,  in  cui
spiccano sia il  dettato  normativo,  sia  l'assetto  negoziale  che,
attraverso le convenzioni, si stabilisce fra l'amministrazione e  gli
infermieri.
    Il dettato normativo,  pur  non  potendo  vincolare  l'interprete
circa una qualificazione antitetica al reale atteggiarsi del rapporto
di lavoro, enuclea taluni dati d'indubbia valenza.
    Agli argomenti  testuali  (il  termine  «opera»,  che  marca  una
discontinuita' rispetto alla  subordinazione,  l'attribuzione  di  un
compenso orario,  con  esclusione  di  altre  componenti  retributive
tipiche  del  lavoro  subordinato),  si  affiancano   gli   argomenti
sistematici,  che  le  disposizioni  di  legge  offrono   al   vaglio
dell'interprete.
    La legge esclude a chiare lettere, sin dall'epigrafe «Ordinamento
delle categorie di  personale  sanitario  addetto  agli  istituti  di
prevenzione   e   pena   non   appartenenti   ai    ruoli    organici
dell'Amministrazione  penitenziaria»,  che   gli   infermieri   siano
inseriti nella struttura dell'amministrazione penitenziaria: difetta,
dunque, un elemento qualificante della subordinazione.
    Congruente col dettato normativo, che smentisce l'esistenza della
subordinazione, e' l'assetto negoziale  congegnato  dalle  parti:  si
denomina espressamente come  "libero-professionale"  il  rapporto  di
lavoro in esame.
    Il nomen iuris adoperato dai contraenti, sfornito  di  un  valore
assoluto e dirimente, non puo' essere del tutto pretermesso e  rileva
come elemento sussidiario, quando si riveli  difficile,  come  accade
nel caso in esame, tracciare  il  discrimine  tra  l'autonomia  e  la
subordinazione.
    7.2.- Tali  dati  appaiono  corroborati  dall'effettiva  dinamica
negoziale,  ineludibile  banco  di  prova  nella  qualificazione  del
rapporto di lavoro.
    In un'ottica di spiccata specialita' rispetto alle comuni  regole
d'interpretazione dei contratti (artt. 1362 e  seguenti  cod.  civ.),
tale qualificazione impone di  annettere  un  rilievo  essenziale  al
comportamento delle parti nell'attuazione del  rapporto  obbligatorio
(art. 1362, comma 2, cod. civ.).
    L'organizzazione  del  lavoro  secondo  il  modulo   dei   turni,
l'obbligo di attenersi alle direttive  impartite  dal  direttore  del
carcere e dal personale medico non sono indici  inequivocabili  della
subordinazione.
    Se l'organizzazione in turni appare coessenziale alla prestazione
di lavoro, l'obbligo di rispettare le prescrizioni del direttore  del
carcere e  del  personale  medico  non  rispecchia  l'assoggettamento
dell'infermiere al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del
datore di lavoro.
    Quanto alle direttive del personale  medico,  esse  hanno  natura
eminentemente  tecnica  e  non  si  pongono  in  contraddizione   con
l'autonomia    delle    prestazioni    d'opera     concordate     con
l'amministrazione.
    L'obbligo di uniformarsi alle prescrizioni di tenore generale del
direttore del carcere, per un verso, non sminuisce l'autonomia e, per
altro verso, si spiega con la peculiarita' del contesto,  in  cui  la
prestazione  si  svolge,  caratterizzato  da  imperative  ragioni  di
sicurezza e di cautela, che finiscono con il permeare  la  disciplina
del rapporto di lavoro degli infermieri incaricati e ne  giustificano
particolarita' e limitazioni.
    E' di  palmare  evidenza  che  la  prestazione  degli  infermieri
incaricati non  possa  non  raccordarsi  con  il  servizio  sanitario
istituito  nel  carcere,  con  le  misure   di   sicurezza   disposte
dall'autorita'  amministrativa,  con  la   disciplina   regolamentare
relativa alle attivita' e ai  servizi  che  si  svolgono  all'interno
dell'istituto di prevenzione e di pena.
    A fronte di tali  connotazioni  peculiari,  che  condizionano  la
conformazione legale tipica del rapporto di lavoro e costituiscono la
ragion d'essere della sua specialita', sfuma l'importanza degli altri
indici,  ritenuti   solitamente   espressivi   della   subordinazione
(retribuzione corrisposta  secondo  cadenze  temporali  prestabilite,
prestazione  svolta  nei  locali  e  con  gli   strumenti   messi   a
disposizione dall'amministrazione penitenziaria).
    Nella  determinazione  dei  turni,  nella  vigilanza   esercitata
sull'operato degli infermieri, nell'obbligo di  comunicare  i  giorni
d'assenza, elementi che  si  potrebbero  reputare  emblematici  della
subordinazione,  si  estrinseca  il  necessario   coordinamento   con
l'attivita' dell'amministrazione  e  con  la  complessa  realta'  del
carcere, piuttosto che l'autonomia decisionale  e  organizzativa  del
datore di lavoro e il potere direttivo e disciplinare  caratteristico
della subordinazione.
    Il direttore del carcere, invero, non e' chiamato a ingerirsi  in
aspetti di dettaglio della prestazione svolta dagli  infermieri,  ne'
tanto  meno  a  esercitare  un   controllo   sull'adempimento   della
prestazione  professionale,  caratterizzata   da   un   bagaglio   di
conoscenze tecniche e d'esperienza.
    Il potere direttivo,  pur  nelle  multiformi  manifestazioni  che
presenta in concreto a seconda del contesto in cui si esplica e delle
diverse professionalita' coinvolte, si sostanzia  nell'emanazione  di
ordini  specifici,  inerenti  alla  particolare  attivita'  svolta  e
diversi dalle direttive d'indole generale, in una direzione assidua e
cogente,  in  una  vigilanza  e  in   un   controllo   costanti,   in
un'ingerenza, idonea a svilire l'autonomia del lavoratore.
    Tali elementi caratteristici del potere direttivo, che  non  puo'
sbiadire in  mero  coordinamento  della  prestazione,  esulano  dalla
fattispecie del lavoro degli infermieri incaricati.
    La   norma   censurata   delinea   tale    fattispecie    secondo
caratteristiche, che  le  convenzioni  d'incarico  riproducono  nella
vicenda controversa, con correttivi soltanto marginali.
    Tali correttivi intervengono finanche  a  temperare,  secondo  il
giudice rimettente, l'adombrata  subordinazione,  e  non  contemplano
alcuna deviazione  rispetto  al  modello  legale  tipico,  che  possa
chiamare in causa l'inderogabile statuto del lavoro subordinato.
    7.3.- Anche dai lavori preparatori della legge n. 740  del  1970,
emerge che il legislatore, per motivazioni squisitamente finanziarie,
ha  scelto  d'instaurare  rapporti  di  lavoro  autonomo  e  di   non
apprestare un apparato stabile d'infermieri, legati da un vincolo  di
dipendenza all'amministrazione dello Stato.
    L'impostazione della legge n.  740  del  1970  rimane,  nei  suoi
capisaldi, inalterata, anche con il  trasferimento  dei  rapporti  di
collaborazione  in  atto,  alla  data  del   15   marzo   2008,   dal
«Dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria»   alle   «Aziende
sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale nei  cui  territori
sono ubicati gli istituti e i servizi penitenziari» (art. 3, comma 4,
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008,
recante  «Modalita'  e  criteri  per  il  trasferimento  al  Servizio
sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro,
delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali  in
materia di sanita' penitenziaria»).
    8.- Per le ragioni fin  qui  esposte,  non  appare  rilevante  il
richiamo del giudice rimettente alle sentenze n. 121 del  1993  e  n.
115 del 1994 di questa Corte.
    Si e' inteso, in quelle pronunce, vagliare  in  modo  critico  le
scelte del legislatore,  volte  a  sottrarre  arbitrariamente  taluni
rapporti di lavoro subordinato alla sfera delle  norme  inderogabili,
espressione di principi costituzionali.
    Lo statuto protettivo, che  alla  subordinazione  si  accompagna,
determina, quale conseguenza ineludibile, l'indisponibilita' del tipo
negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte  dei  contraenti
individuali.
    Con   il   moltiplicarsi   degli   interventi   legislativi    di
qualificazione espressa dei rapporti  di  lavoro,  l'indisponibilita'
del tipo negoziale ricopre  un  ruolo  sistematico  di  rilievo,  sia
nell'opera   adeguatrice   dell'interprete,   sia   nel   vaglio   di
costituzionalita' demandato a questa Corte.
    La norma censurata, per contro,  nella  qualificazione  del  tipo
negoziale, non si prefigge una  finalita'  elusiva  della  disciplina
inderogabile che attiene al lavoro subordinato.
    Essa pone in evidenza le peculiarita' di una prestazione  d'opera
sottoposta a vincoli di controllo del committente solo in ragione del
luogo in cui la prestazione stessa si svolge,  e  non  di  un  potere
direttivo, connotato in  senso  tipico  e  speculare  all'inserimento
degli infermieri nell'organizzazione  del  lavoro  all'interno  degli
istituti di pena.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 53 della legge 9 ottobre 1970, n.  740  (Ordinamento  delle
categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione
e  pena  non  appartenenti  ai  ruoli  organici  dell'Amministrazione
penitenziaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo  comma,
36, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di  Roma,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  con  le
ordinanze di rimessione riportate in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2015.

                                F.to:
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente
                     Silvana SCIARRA, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2015.

                           Il Cancelliere
                        F.to: Roberto MILANA


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