N. 76 SENTENZA 15 aprile - 7 maggio 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Lavoro - Personale sanitario incaricato, addetto agli istituti di
prevenzione e pena - Qualificazione del rapporto.
- Legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento delle categorie di
personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non
appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria),
art. 53.
-
(GU n.19 del 13-5-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo
CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 53 della
legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento delle categorie di
personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non
appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria),
promossi dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanze dell' 8
febbraio e del 15 marzo (due ordinanze) 2013, rispettivamente
iscritte ai nn. 109, 110 e 111 del registro ordinanze 2014 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima
serie speciale, dell'anno 2014.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 aprile 2015 il Giudice
relatore Silvana Sciarra.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del
lavoro, con tre distinte ordinanze (r.o. n. 109, n. 110 e n. 111 del
2014), depositate l'8 febbraio 2013 (la prima) e il 15 marzo 2013 (le
successive), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
36, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge 9 ottobre 1970,
n. 740 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto
agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli
organici dell'Amministrazione penitenziaria), riguardante il servizio
di guardia infermieristica addetto agli istituti di prevenzione e di
pena e non appartenente ai ruoli organici dell'amministrazione
penitenziaria.
Il Tribunale rimettente censura la disposizione "nel suo
complesso", in quanto qualifica come rapporti di lavoro autonomo
rapporti che la legge regola sostanzialmente come rapporti di lavoro
subordinato e, in via gradata, nella parte (in particolare, il quarto
comma del medesimo articolo) in cui accorda ai lavoratori un compenso
orario, con esclusione di ogni altra indennita' e gratificazione e di
ogni trattamento previdenziale e assicurativo.
Il giudice a quo premette di conoscere dei ricorsi proposti
contro il Ministero della giustizia da tre infermieri, che hanno
dedotto di avere prestato servizio presso la casa circondariale
«Regina Coeli» di Roma, in forza di convenzioni di prestazione
d'opera libero-professionale, regolate dall'art. 53 della legge n.
740 del 1970 e di avere svolto, secondo il paradigma tipico della
subordinazione, mansioni equivalenti a quelle degli infermieri
dipendenti di ruolo, inquadrati nella posizione economica B2, in base
al contratto collettivo nazionale Ministeri e ai contratti
integrativi applicabili al Ministero della giustizia e al personale
di ruolo dell'amministrazione penitenziaria.
Sulla scorta di tali allegazioni, i ricorrenti hanno chiesto di
dichiarare la natura subordinata del lavoro e di condannare il
Ministero, anche a titolo di risarcimento del danno, al pagamento
delle differenze retributive e della contribuzione non versata.
Il giudice rimettente, poste tali premesse di fatto, sospetta
della legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge n. 740 del
1970, in quanto impedisce di riqualificare come subordinato il
rapporto di lavoro ivi regolato e, in via gradata, nella parte in
cui, comunque, circoscrive ad un compenso orario la retribuzione
degli infermieri incaricati dagli istituti di prevenzione e di pena,
configurando in termini di autonomia un rapporto di lavoro che, nei
fatti, si atteggia secondo le connotazioni precipue della
subordinazione.
In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che le domande
delle parti ricorrenti presuppongono la qualificazione in termini di
subordinazione del rapporto di lavoro, qualificazione, per contro,
negata dal legislatore.
Ove tale qualificazione fosse praticabile, i lavoratori avrebbero
diritto al controllo di adeguatezza del compenso e al risarcimento
del danno ai sensi dell'art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sia sotto il profilo
della minore retribuzione ricevuta, da commisurare al trattamento del
corrispondente personale di ruolo (art. 45, comma 2, del d.lgs. n.
165 del 2001), sia sotto il profilo dell'omessa contribuzione
previdenziale.
La rilevanza della questione sarebbe corroborata dalla
considerazione che le pretese dei ricorrenti s'infrangono contro il
disposto del censurato art. 53, univoco nell'accordare al lavoratore
il solo diritto ad un compenso orario, e non sarebbe scalfita dal
coacervo di eccezioni che la difesa dello Stato ha sollevato.
Il giudice rimettente, nel disattendere tali eccezioni, argomenta
che il periodo, oggetto della rivendicazione, e' almeno in parte
successivo al 1° luglio 1998 e ricade, pertanto, nella giurisdizione
del giudice adito.
Quanto all'eccezione di prescrizione decennale, non si potrebbe
riferire al rapporto, considerato nel suo protrarsi fino al 2008.
Neppure l'eccezione di prescrizione estintiva ex art. 2948,
numero 4), del codice civile, potrebbe dirsi risolutiva, visto che la
prescrizione non corre durante il rapporto di lavoro, quando non sia
assistito dalla stabilita' reale.
Le difese dell'amministrazione, volte a contestare l'obbligo di
corrispondere le somme in contesa, non si concilierebbero, inoltre,
con la tesi dell'avvenuto pagamento delle differenze retributive.
Con riguardo all'eccepita prescrizione, il giudice a quo
specifica che l'azione risarcitoria soggiace al termine di
prescrizione decennale, vertendosi in tema di azioni derivanti dal
contratto.
La mancata instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato non sarebbe d'ostacolo al riconoscimento dei
diritti che scaturiscono da un rapporto di lavoro di fatto (art. 2126
cod. civ.) e al risarcimento del danno, secondo i canoni descritti
dall'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Il giudice a quo, nella disamina del profilo della non manifesta
infondatezza della questione, prende le mosse dalla giurisprudenza
della Corte costituzionale e, in particolare, dalle sentenze n. 121
del 1993 e n. 115 del 1994.
Tali pronunce delineano una nozione sostanziale di subordinazione
e inibiscono al legislatore di negare l'inquadramento in termini di
subordinazione dei rapporti di lavoro che presentino oggettivamente
tali caratteristiche.
Nel caso di specie, il giudice rimettente attribuisce al
legislatore l'intento di escludere il ricorrere della subordinazione
e desume tale intento da molteplici dati testuali ed ermeneutici:
l'espressione «si avvale dell'opera», che evoca la prestazione
d'opera; la rubrica della legge, intitolata «Ordinamento delle
categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione
e pena non appartenente ai ruoli organici dell'Amministrazione
penitenziaria», sintomatica dell'esclusione della subordinazione;
l'espressa negazione dei diritti inerenti al rapporto di lavoro
subordinato, come le ferie e il trattamento previdenziale; la realta'
effettuale, che vede la stipulazione di contratti d'incarico
libero-professionale di durata, di volta in volta rinnovati; le
enunciazioni della giurisprudenza di legittimita', che configura come
parasubordinati rapporti di lavoro analoghi a quelli degli infermieri
incaricati.
A tale qualificazione in termini di autonomia farebbe riscontro
la natura genuinamente subordinata del rapporto, non potendosi
supporre, per gli infermieri di ruolo, un potere direttivo piu'
penetrante.
Il giudice rimettente ravvisa i tratti distintivi della
subordinazione nel fatto che gli infermieri debbano prestare l'opera
secondo il turno predisposto dal direttore dell'istituto,
ottemperando alle prescrizioni impartite dall'autorita'
amministrativa, con riguardo all'organizzazione del servizio
infermieristico e alle indicazioni del personale medico, con riguardo
alle questioni tecniche.
Dalla natura subordinata del rapporto, discenderebbe
l'inadeguatezza del trattamento retributivo, che consiste in un
compenso orario, con esclusione di ogni altra pretesa economica e
previdenziale.
Tale inadeguatezza non soltanto si porrebbe in contrasto con il
precetto dell'art. 36, primo comma, Cost., ma si paleserebbe in fatto
irragionevolmente discriminatoria rispetto al trattamento retributivo
degli infermieri di ruolo che svolgono mansioni equivalenti e sono
assoggettati al medesimo potere direttivo.
Per la norma impugnata, il giudice a quo ritiene che si tratti di
incostituzionalita' "nel suo complesso".
La normativa censurata non perseguirebbe altro obiettivo che
eludere le tutele del lavoro subordinato e "l'empasse costituzionale"
non si potrebbe superare, riqualificando il rapporto di lavoro in
termini di subordinazione.
Invero, anche a voler ammettere che il legislatore non precluda
la qualificazione in termini di subordinazione dei rapporti di
lavoro, la violazione dei principi consacrati dagli artt. 3, primo
comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. sarebbe ancora
piu' flagrante.
Accedendo a tale interpretazione, si perverrebbe al risultato di
escludere in radice, per un rapporto di lavoro subordinato, il
diritto all'indennita' sostitutiva delle ferie, al compenso
aggiuntivo per il lavoro domenicale, al trattamento di fine servizio,
alla copertura previdenziale.
In via gradata, dunque, ad avviso del giudice rimettente,
l'illegittimita' costituzionale della norma (in particolare del
quarto comma dell'art. 53) si coglierebbe nell'attribuzione al
personale incaricato di un mero compenso orario, con esclusione di
ogni altra indennita' e gratificazione e di ogni trattamento
previdenziale e assicurativo.
2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha concluso per la manifesta infondatezza della questione.
La difesa dello Stato propugna la ragionevolezza delle scelte
dettate dal legislatore, con la legge n. 740 del 1970, in tema di
trattamento retributivo e previdenziale, e ricorda che questa Corte,
nella sentenza n. 577 del 1989, con particolare riguardo al rapporto
dei medici incaricati addetti agli istituti di prevenzione e di pena,
ha gia' disconosciuto ogni carattere d'irragionevolezza della
disciplina normativa, alla luce delle peculiarita' che
contraddistinguono tale rapporto di lavoro.
Queste considerazioni potrebbero essere estese anche ai servizi
di guardia infermieristica, regolamentati con una disciplina
autonoma, che non attribuisce al rapporto di lavoro i caratteri della
subordinazione.
La difesa dello Stato addebita al giudice rimettente di non aver
valorizzato gli unici dati dirimenti che rappresentano i caratteri
indefettibili della subordinazione e che non e' dato rinvenire nel
caso di specie.
In particolare, non si ravviserebbero ne' il vincolo di
soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo,
direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ne' l'inserimento del
lavoratore nel ruolo organico dell'amministrazione penitenziaria.
L'infermiere - evidenzia la difesa dello Stato - non avrebbe
vincoli di esclusivita' o d'incompatibilita' e potrebbe prestare
contemporaneamente anche altrove la propria opera professionale.
Quanto ai caratteri, che il giudice del lavoro pone in risalto,
sarebbero compatibili anche con la parasubordinazione, contrassegnata
dalla continuita' della collaborazione prestata e dalla coordinazione
dell'attivita' svolta dal prestatore con le finalita' perseguite dal
committente.
Sarebbe, infine, sprovvista di ogni valenza decisiva
l'organizzazione del lavoro in turni.
Tale modulo organizzativo, nel caso di lavoro infermieristico,
non denoterebbe di per se' il ricorrere della subordinazione.
La giurisprudenza amministrativa - a dire dell'Avvocatura
generale dello Stato -nega la natura subordinata del rapporto di
lavoro, quando vi sia l'obbligo di svolgere le mansioni a favore
della pubblica amministrazione secondo un orario prestabilito e
secondo le direttive impartite dai responsabili dei vari servizi.
La difesa dello Stato ritiene, alla luce di tali rilievi, che
siano prive di pregio le doglianze sulla violazione dell'art. 3,
primo comma, Cost., e che, di riflesso, non abbiano alcuna
consistenza le censure incentrate, peraltro senza il supporto di una
motivazione autonoma, sulla violazione degli artt. 36, primo comma, e
38, secondo comma, Cost.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del
lavoro, con tre distinte ordinanze, dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 53 della legge 9 ottobre 1970, n. 740
(Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli
istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici
dell'Amministrazione penitenziaria) "nel suo complesso", in quanto
non consente di qualificare i rapporti di lavoro degli infermieri
incaricati dagli istituti di prevenzione e di pena come rapporti di
lavoro subordinato.
In via gradata, il giudice rimettente censura la norma (in
particolare il quarto comma), nella parte in cui, anche a volere
ritenere che non precluda la qualificazione del rapporto di lavoro
come subordinato, limita ad un compenso orario la retribuzione
spettante, «con esclusione di ogni altra indennita' o gratificazione,
e di ogni trattamento previdenziale e assicurativo».
Il giudice a quo assume che tale normativa violi gli artt. 3,
primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione, in quanto impone di qualificare come autonomo un
rapporto di lavoro che presenta tutti i caratteri della
subordinazione e, anche a volere ritenere che salvaguardi la liberta'
di qualificazione dell'interprete, sancisce un trattamento
retributivo e previdenziale irrispettoso dei principi di
proporzionalita' e adeguatezza e discriminatorio rispetto al
trattamento degli infermieri dipendenti di ruolo, inquadrati alla
posizione economica B2, secondo il contratto collettivo nazionale
Ministeri e i contratti integrativi applicabili al Ministero della
giustizia e al personale di ruolo dell'amministrazione penitenziaria.
Tali argomentazioni sono state contestate dal Presidente del
Consiglio dei ministri, che ha concluso, nel merito, per
l'infondatezza della questione, senza trascurare di eccepire la
mancanza di un'autonoma motivazione sulla prospettata violazione
degli artt. 36 e 38 Cost.
La difesa dello Stato osserva che la giurisprudenza
costituzionale, le pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio
di Stato sono concordi nell'ascrivere i rapporti di lavoro
controversi all'area dell'autonomia e, segnatamente, della
parasubordinazione.
Da tali rilievi discende l'infondatezza di tutte le censure, che
postulano la riconducibilita' dei rapporti di lavoro in questione
alla fattispecie della subordinazione.
2.- I giudizi di legittimita' costituzionale, promossi con tre
distinte ordinanze, devono essere trattati congiuntamente e decisi
con un'unica sentenza, in ragione dell'omogeneita' dei termini e dei
motivi delle censure.
3.- Occorre, preliminarmente, sgombrare il campo dall'eccezione
d'inammissibilita', formulata dal Presidente del Consiglio dei
ministri.
La difesa dello Stato imputa al giudice rimettente di non avere
offerto un'autonoma motivazione in merito alla violazione degli artt.
36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in spregio alla
giurisprudenza di questa Corte, che richiede una motivazione
pertinente su ciascuno dei parametri evocati.
Tale eccezione, che ridonderebbe in un profilo d'inammissibilita'
delle censure, non coglie nel segno.
Dalla lettura delle ordinanze di rimessione, e' possibile
evincere un'argomentazione perspicua su ciascuno dei parametri
costituzionali richiamati e tale argomentazione supera lo scrutinio
di ammissibilita' sollecitato a questa Corte.
Nelle argomentazioni delle ordinanze, che a tali temi dedicano
una trattazione unitaria, i parametri evocati (artt. 3, primo comma,
36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.) appaiono
indissolubilmente connessi.
Il giudice rimettente ha sottolineato che l'attribuzione di un
compenso orario, con esclusione di ogni altro trattamento retributivo
e previdenziale, e' lesiva, in pari tempo, dei principi consacrati
dagli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma,
Cost., in quanto determina un trattamento deteriore degli infermieri
incaricati rispetto agli infermieri di ruolo e pregiudica il diritto
di tale categoria di lavoratori ad una tutela retributiva e
previdenziale adeguata.
Tutti i profili, devoluti al sindacato di questa Corte, sono
stati approfonditi, sia con riguardo alla paventata disparita' di
trattamento con gli infermieri di ruolo che con riguardo alla
proporzionalita' e alla sufficienza della retribuzione e
all'adeguatezza della tutela previdenziale.
4.- La questione non e' fondata.
Il giudice rimettente muove dall'assunto che il legislatore,
dietro la parvenza di un'autonomia soltanto nominale, disciplini un
rapporto di lavoro che si configura immancabilmente come subordinato
e che in nulla differisce dal rapporto di lavoro degli infermieri di
ruolo.
Secondo tale prospettazione, sarebbe insita nella stessa
disciplina normativa una discrepanza tra la qualificazione in termini
di autonomia, con la conseguente esclusione dei diritti che
rappresentano il nucleo intangibile della subordinazione, e la
situazione reale, che e' di subordinazione a tutti gli effetti,
comparabile a quella dei dipendenti di ruolo dell'amministrazione
dello Stato.
Dall'obbligo di osservare i turni predisposti dal direttore del
carcere e di rispettare le prescrizioni dell'autorita' amministrativa
e del personale medico, scaturisce sempre e comunque, dal punto di
vista del giudice rimettente, il carattere subordinato del rapporto
di lavoro degli infermieri.
Il giudice rimettente precisa che, nel caso di specie, i singoli
rapporti di lavoro, regolati da una convenzione d'incarico denominata
ex professo come contratto di prestazione professionale, non si
discostano dal paradigma delineato dalla legge.
Le convenzioni - soggiunge il giudice rimettente - intervengono
finanche ad attenuare i caratteri della subordinazione, che
contraddistinguono gia' all'origine il tipo legale.
La discrepanza sarebbe connaturata, pertanto, allo stesso
modello, tratteggiato dal legislatore, ed e' su tale modello,
integrato e recepito dalle convenzioni d'incarico, che si appuntano
le censure d'illegittimita' costituzionale.
Tali argomenti non possono essere condivisi.
5.- Questa Corte ha fugato ogni dubbio di legittimita'
costituzionale della normativa, che differenzia il trattamento dei
medici incaricati, chiamati a prestare servizio presso gli istituti
di prevenzione e di pena, rispetto al trattamento degli altri
impiegati civili dello Stato (sentenza n. 577 del 1989).
Si tratta, invero, di «un rapporto regolato dal legislatore in
modo specifico ed autonomo», con una scelta che «non puo' essere
ritenuta irragionevole, date le caratteristiche particolari del
rapporto stesso» (punto 2. del Considerato in diritto).
Tra le caratteristiche, che rendono irriducibile la
particolarita' di tale rapporto di lavoro, questa Corte annovera la
facolta' dei medici incaricati di «esercitare liberamente la
professione ed assumere altri impieghi o incarichi».
Piu' di recente, con la sentenza n. 149 del 2010, questa Corte ha
scrutinato, sotto il profilo della violazione delle competenze
statali in tema di coordinamento della finanza pubblica, la
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge
dellaRegione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in
materia sanitaria).
Tale normativa mirava ad inquadrare stabilmente nei ruoli della
Regione i medici non appartenenti al personale civile di ruolo
dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali
prestano la loro opera presso gli istituti o i
servizidell'amministrazione stessa.
Questa Corte ha individuato nel rapporto dei medici incaricati,
gia' connotato in termini di "particolarita'" dalla sentenza n. 577
del 1989, i tratti distintivi dell'autonomia e, in particolare, della
parasubordinazione (punto 3.2. del Considerato in diritto).
Tale inquadramento ha implicato l'illegittimita' costituzionale
di una disciplina che, con un indebito aggravio di spese per il
Servizio sanitario nazionale, tramutava in subordinazione
l'originaria parasubordinazione.
6.- I rilievi sulla qualificazione del rapporto di lavoro dei
medici ben si attagliano alla disciplina degli infermieri incaricati.
La disciplina dei medici e degli infermieri presenta evidenti
assonanze, anche nella formulazione del dettato normativo:
l'amministrazione si avvale dell'opera degli uni e degli altri ed
entrambe queste figure professionali, per espressa disposizione di
legge, non sono inserite nei ruoli organici dell'amministrazione che
di volta in volta conferisce loro l'incarico.
Lo stesso giudice rimettente, con riferimento ai medici
incaricati, parla di posizioni "del tutto analoghe" a quelle degli
infermieri e non prospetta argomenti che inducano a differenziare le
due fattispecie e a disattendere, per gli infermieri, quelle
enunciazioni sulla natura autonoma del rapporto che, per i medici,
non ritiene di confutare.
6.1.- Le considerazioni, gia' svolte da questa Corte nel
raffronto tra i medici incaricati degli istituti di prevenzione e di
pena e gli impiegati civili dello Stato, svelano l'infondatezza della
premessa logica delle censure d'incostituzionalita'.
Le ordinanze di rimessione presuppongono che la condizione degli
infermieri incaricati si possa assimilare, in ogni aspetto, alla
condizione degli infermieri dipendenti di ruolo: per gli uni,
difatti, non si potrebbe individuare un potere direttivo piu'
pregnante di quello che conforma la prestazione degli altri.
Tuttavia, un ostacolo invalicabile a questa assimilazione e' la
mancanza, per gli infermieri incaricati, di quei vincoli di
esclusivita' e d'incompatibilita', che rappresentano un aspetto
primario del rapporto di lavoro degli infermieri dipendenti e si
riverberano sulla sua diversa disciplina.
Tale differenza riveste un'importanza cruciale alla luce delle
stesse affermazioni della citata sentenza n. 577 del 1989 e non
avvalora alcuna equiparazione tra le due categorie.
7.- Caduta la premessa logica dell'equiparazione tra due
categorie, che si rivelano dissimili in aspetti salienti, la stessa
qualificazione in termini di subordinazione del rapporto di lavoro
degli infermieri incaricati mostra un fondamento labile.
Con tale qualificazione confliggono molteplici elementi, posti in
luce dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione
quarta, sentenze 3 dicembre 2010, n. 8526 e 17 aprile 2002, n. 2029),
che afferma l'autonomia del rapporto di lavoro degli infermieri, in
consonanza con le pronunce della Corte di cassazione sul tema
contiguo del rapporto dei medici di guardia presso gli istituti di
prevenzione e di pena (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza
19 marzo 1990, n. 2286, fra le piu' significative di un orientamento
consolidato).
7.1.- Tali elementi si compongono in un quadro coerente, in cui
spiccano sia il dettato normativo, sia l'assetto negoziale che,
attraverso le convenzioni, si stabilisce fra l'amministrazione e gli
infermieri.
Il dettato normativo, pur non potendo vincolare l'interprete
circa una qualificazione antitetica al reale atteggiarsi del rapporto
di lavoro, enuclea taluni dati d'indubbia valenza.
Agli argomenti testuali (il termine «opera», che marca una
discontinuita' rispetto alla subordinazione, l'attribuzione di un
compenso orario, con esclusione di altre componenti retributive
tipiche del lavoro subordinato), si affiancano gli argomenti
sistematici, che le disposizioni di legge offrono al vaglio
dell'interprete.
La legge esclude a chiare lettere, sin dall'epigrafe «Ordinamento
delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di
prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici
dell'Amministrazione penitenziaria», che gli infermieri siano
inseriti nella struttura dell'amministrazione penitenziaria: difetta,
dunque, un elemento qualificante della subordinazione.
Congruente col dettato normativo, che smentisce l'esistenza della
subordinazione, e' l'assetto negoziale congegnato dalle parti: si
denomina espressamente come "libero-professionale" il rapporto di
lavoro in esame.
Il nomen iuris adoperato dai contraenti, sfornito di un valore
assoluto e dirimente, non puo' essere del tutto pretermesso e rileva
come elemento sussidiario, quando si riveli difficile, come accade
nel caso in esame, tracciare il discrimine tra l'autonomia e la
subordinazione.
7.2.- Tali dati appaiono corroborati dall'effettiva dinamica
negoziale, ineludibile banco di prova nella qualificazione del
rapporto di lavoro.
In un'ottica di spiccata specialita' rispetto alle comuni regole
d'interpretazione dei contratti (artt. 1362 e seguenti cod. civ.),
tale qualificazione impone di annettere un rilievo essenziale al
comportamento delle parti nell'attuazione del rapporto obbligatorio
(art. 1362, comma 2, cod. civ.).
L'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni,
l'obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del
carcere e dal personale medico non sono indici inequivocabili della
subordinazione.
Se l'organizzazione in turni appare coessenziale alla prestazione
di lavoro, l'obbligo di rispettare le prescrizioni del direttore del
carcere e del personale medico non rispecchia l'assoggettamento
dell'infermiere al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del
datore di lavoro.
Quanto alle direttive del personale medico, esse hanno natura
eminentemente tecnica e non si pongono in contraddizione con
l'autonomia delle prestazioni d'opera concordate con
l'amministrazione.
L'obbligo di uniformarsi alle prescrizioni di tenore generale del
direttore del carcere, per un verso, non sminuisce l'autonomia e, per
altro verso, si spiega con la peculiarita' del contesto, in cui la
prestazione si svolge, caratterizzato da imperative ragioni di
sicurezza e di cautela, che finiscono con il permeare la disciplina
del rapporto di lavoro degli infermieri incaricati e ne giustificano
particolarita' e limitazioni.
E' di palmare evidenza che la prestazione degli infermieri
incaricati non possa non raccordarsi con il servizio sanitario
istituito nel carcere, con le misure di sicurezza disposte
dall'autorita' amministrativa, con la disciplina regolamentare
relativa alle attivita' e ai servizi che si svolgono all'interno
dell'istituto di prevenzione e di pena.
A fronte di tali connotazioni peculiari, che condizionano la
conformazione legale tipica del rapporto di lavoro e costituiscono la
ragion d'essere della sua specialita', sfuma l'importanza degli altri
indici, ritenuti solitamente espressivi della subordinazione
(retribuzione corrisposta secondo cadenze temporali prestabilite,
prestazione svolta nei locali e con gli strumenti messi a
disposizione dall'amministrazione penitenziaria).
Nella determinazione dei turni, nella vigilanza esercitata
sull'operato degli infermieri, nell'obbligo di comunicare i giorni
d'assenza, elementi che si potrebbero reputare emblematici della
subordinazione, si estrinseca il necessario coordinamento con
l'attivita' dell'amministrazione e con la complessa realta' del
carcere, piuttosto che l'autonomia decisionale e organizzativa del
datore di lavoro e il potere direttivo e disciplinare caratteristico
della subordinazione.
Il direttore del carcere, invero, non e' chiamato a ingerirsi in
aspetti di dettaglio della prestazione svolta dagli infermieri, ne'
tanto meno a esercitare un controllo sull'adempimento della
prestazione professionale, caratterizzata da un bagaglio di
conoscenze tecniche e d'esperienza.
Il potere direttivo, pur nelle multiformi manifestazioni che
presenta in concreto a seconda del contesto in cui si esplica e delle
diverse professionalita' coinvolte, si sostanzia nell'emanazione di
ordini specifici, inerenti alla particolare attivita' svolta e
diversi dalle direttive d'indole generale, in una direzione assidua e
cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in
un'ingerenza, idonea a svilire l'autonomia del lavoratore.
Tali elementi caratteristici del potere direttivo, che non puo'
sbiadire in mero coordinamento della prestazione, esulano dalla
fattispecie del lavoro degli infermieri incaricati.
La norma censurata delinea tale fattispecie secondo
caratteristiche, che le convenzioni d'incarico riproducono nella
vicenda controversa, con correttivi soltanto marginali.
Tali correttivi intervengono finanche a temperare, secondo il
giudice rimettente, l'adombrata subordinazione, e non contemplano
alcuna deviazione rispetto al modello legale tipico, che possa
chiamare in causa l'inderogabile statuto del lavoro subordinato.
7.3.- Anche dai lavori preparatori della legge n. 740 del 1970,
emerge che il legislatore, per motivazioni squisitamente finanziarie,
ha scelto d'instaurare rapporti di lavoro autonomo e di non
apprestare un apparato stabile d'infermieri, legati da un vincolo di
dipendenza all'amministrazione dello Stato.
L'impostazione della legge n. 740 del 1970 rimane, nei suoi
capisaldi, inalterata, anche con il trasferimento dei rapporti di
collaborazione in atto, alla data del 15 marzo 2008, dal
«Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria» alle «Aziende
sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale nei cui territori
sono ubicati gli istituti e i servizi penitenziari» (art. 3, comma 4,
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008,
recante «Modalita' e criteri per il trasferimento al Servizio
sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro,
delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in
materia di sanita' penitenziaria»).
8.- Per le ragioni fin qui esposte, non appare rilevante il
richiamo del giudice rimettente alle sentenze n. 121 del 1993 e n.
115 del 1994 di questa Corte.
Si e' inteso, in quelle pronunce, vagliare in modo critico le
scelte del legislatore, volte a sottrarre arbitrariamente taluni
rapporti di lavoro subordinato alla sfera delle norme inderogabili,
espressione di principi costituzionali.
Lo statuto protettivo, che alla subordinazione si accompagna,
determina, quale conseguenza ineludibile, l'indisponibilita' del tipo
negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti
individuali.
Con il moltiplicarsi degli interventi legislativi di
qualificazione espressa dei rapporti di lavoro, l'indisponibilita'
del tipo negoziale ricopre un ruolo sistematico di rilievo, sia
nell'opera adeguatrice dell'interprete, sia nel vaglio di
costituzionalita' demandato a questa Corte.
La norma censurata, per contro, nella qualificazione del tipo
negoziale, non si prefigge una finalita' elusiva della disciplina
inderogabile che attiene al lavoro subordinato.
Essa pone in evidenza le peculiarita' di una prestazione d'opera
sottoposta a vincoli di controllo del committente solo in ragione del
luogo in cui la prestazione stessa si svolge, e non di un potere
direttivo, connotato in senso tipico e speculare all'inserimento
degli infermieri nell'organizzazione del lavoro all'interno degli
istituti di pena.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 53 della legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento delle
categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione
e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione
penitenziaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
36, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con le
ordinanze di rimessione riportate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2015.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA
Nessun commento:
Posta un commento