N. 212 SENTENZA 3 luglio - 12 settembre 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Sanzioni amministrative - Commercializzazione di prodotti sementieri
privi di requisiti o contrari a divieti - Sanzione edittale minima
di euro 4.000,00 - Denunciata irragionevolezza intrinseca,
disparita' di trattamento, violazione della funzione rieducativa
delle sanzioni (anche amministrative) nonche' del principio di
ragionevolezza nell'attivita' amministrativa - Non fondatezza delle
questioni.
- Legge 25 novembre 1971, n. 1096, art. 33, comma 1, come sostituito
dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio 2011, n.
4.
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 97.
(GU n.38 del 18-9-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma
1, della legge 25 novembre 1971, n. 1096 (Disciplina dell'attivita'
sementiera), come sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c), della
legge 3 febbraio 2011, n. 4 (Disposizioni in materia di etichettatura
e di qualita' dei prodotti alimentari), promosso dal Giudice di pace
di Pisa nel procedimento vertente tra Carlo Pesci, in proprio e nella
qualita' di titolare della ditta Toscoagrigarden di Carlo Pesci, e il
Ministero delle politiche agricole e forestali - Dipartimento
dell'Ispettorato Centrale della tutela, della qualita' e della
repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari - Ufficio Toscana
e Umbria, con ordinanza del 17 ottobre 2018, iscritta al n. 13 del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2019 il Giudice
relatore Luca Antonini.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza emessa il 17 ottobre 2018, il Giudice di pace
di Pisa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma
(recte: terzo comma), e 97 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 1, della legge 25
novembre 1971, n. 1096 (Disciplina dell'attivita' sementiera), come
sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio
2011, n. 4 (Disposizioni in materia di etichettatura e di qualita'
dei prodotti alimentari), nella parte in cui prevede una sanzione
amministrativa minima di ammontare pari a euro 4.000,00.
1.1.- La norma censurata dispone che, «[s]alvo che il fatto
costituisca reato, a chiunque vende, pone in vendita o mette
altrimenti in commercio prodotti sementieri non rispondenti ai
requisiti stabiliti, o non rispondenti a quelli indicati sulla merce,
o pone in vendita miscugli in casi non consentiti, ovvero pone in
commercio prodotti importati in confezioni non originali o
riconfezionati senza l'osservanza delle disposizioni di cui agli
ultimi tre commi dell'articolo 17, si applica la sanzione
amministrativa consistente nel pagamento di una somma stabilita in
misura proporzionale di euro 40 per ogni quintale o frazione di
quintale di prodotti sementieri e comunque per un importo non
inferiore a euro 4.000».
2.- Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio di
opposizione a ordinanza-ingiunzione promosso dal titolare di
un'impresa individuale nei confronti del Ministero delle politiche
agricole e forestali - Dipartimento dell'Ispettorato centrale della
tutela della qualita' e della repressione delle frodi dei prodotti
agroalimentari - Ufficio Toscana e Umbria.
Secondo quanto riferito dal giudice a quo, all'opponente e' stato
contestato di avere immesso in commercio sementi di erba medica con
una percentuale di germinabilita' inferiore a quella minima prevista
dal combinato disposto degli artt. 14 della legge n. 1096 del 1971 e
12 del decreto del Presidente della Repubblica 8 ottobre 1973, n.
1065 (Regolamento di esecuzione della legge 25 novembre 1971, n.
1096, concernente la disciplina della produzione e del commercio
delle sementi).
A seguito di tale contestazione, e' stata irrogata la sanzione
amministrativa di euro 4.000,00, pari al minimo edittale previsto
dalla norma denunciata.
3.- Osserva il rimettente che la condotta contestata
all'opponente riguarda l'immissione in commercio di 25 chilogrammi di
sementi, con la conseguenza che, poiche' l'ammontare della sanzione
per tale ipotesi prevista dalla norma censurata e' uguale a quello
che sarebbe stato determinato ove la medesima condotta avesse avuto a
oggetto 100 quintali di sementi, le questioni di legittimita'
costituzionale sarebbero rilevanti.
3.1.- Nel merito, il giudice a quo ritiene che l'art. 33, comma
1, della legge n. 1096 del 1971, come sostituito dall'art. 3, comma
2, lettera c), della legge n. 4 del 2011, si ponga in contrasto,
laddove stabilisce una sanzione pecuniaria di importo minimo pari a
euro 4.000,00, con i principi di adeguatezza, proporzionalita' e
ragionevolezza.
Al riguardo, egli anzitutto rileva che, poiche' il criterio di
commisurazione adottato dalla norma oggetto dell'odierno incidente di
costituzionalita' e' pari a euro 40,00 per ogni quintale, in caso di
prodotti dal peso complessivo sino a 100 quintali il suddetto minimo
edittale non e' correlato alla concreta quantita' di sementi
commercializzate, cosi' traducendosi in una sanzione sostanzialmente
fissa.
Fatta tale premessa, in ordine alla non manifesta infondatezza
sostiene che la disposizione denunciata violerebbe, in primo luogo,
l'art. 3 Cost., segnatamente sotto i profili della ragionevolezza e
della uguaglianza.
Il vulnus al canone della ragionevolezza deriverebbe, in
particolare, dalla intrinseca contraddittorieta' della norma: la sua
finalita', a parere del rimettente ravvisabile nell'esigenza di
«parametrare la sanzione alla gravita' della violazione, da
calcolarsi matematicamente su base quantitativa», sarebbe difatti
tradita dalla previsione di una sanzione non graduabile, peraltro di
ammontare largamente superiore rispetto all'importo contemplato per
il calcolo proporzionale.
Sotto il secondo profilo, invece, dalla disposizione censurata
discenderebbe una ingiustificata disparita' di trattamento, giacche'
il minimo edittale da essa stabilito si risolverebbe in una sanzione
sostanzialmente fissa e non consentirebbe, di conseguenza, l'adozione
di trattamenti sanzionatori diversificati in ragione delle differenti
quantita' di sementi oggetto delle condotte di commercializzazione
vietate: verrebbe, in tal modo, riservato lo stesso trattamento
sanzionatorio a fatti eterogenei.
3.2.- Sarebbe altresi' violato l'art. 27, terzo comma, Cost., in
relazione alla finalita' rieducativa della pena.
Tale finalita', che secondo l'assunto del giudice a quo dovrebbe
connotare anche le sanzioni amministrative, sarebbe difatti frustrata
dall'impianto sanzionatorio dettato dalla norma denunciata, dal
momento che esso indurrebbe, al contrario, a commettere violazioni
piu' gravi e, per altro verso, finirebbe per sovvertire il meccanismo
proporzionale stabilito dalla norma stessa.
3.3.- Dai rilievi che precedono deriverebbe, inoltre, la
violazione dell'art. 97 Cost., «nella parte in cui sancisce il
principio di ragionevolezza nell'attivita' amministrativa».
4.- Poiche' non sarebbe consentito al giudice ridurre l'ammontare
della sanzione a un importo inferiore al minimo edittale, il
rimettente reputa, infine, impraticabile una interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata, ritenendo
pertanto necessaria la pronuncia ablativa richiesta.
5.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e,
comunque, infondate.
5.1.- L'eccepita inammissibilita' deriverebbe, anzitutto, dalla
considerazione che le questioni sollevate riguardano la materia della
quantificazione delle sanzioni amministrative, nella quale il
legislatore gode di ampia discrezionalita', salva la manifesta
violazione del canone della ragionevolezza. Nel caso di specie,
peraltro, gli interessi tutelati dalla disposizione sarebbero
particolarmente rilevanti, dal momento che la rispondenza dei
prodotti sementieri ai requisiti prescritti dalla legge inciderebbe
anche sui beni della salute e dell'ambiente: di qui la necessita',
funzionale a garantire l'effettivita' della risposta sanzionatoria,
di prevedere una sanzione minima non irrisoria.
5.1.1.- In secondo luogo, il giudice a quo, nel dolersi della
violazione del principio di ragionevolezza, avrebbe omesso, ad avviso
dell'Avvocatura, di «individuare il parametro di riferimento cui
eventualmente commisurare la fattispecie in esame».
5.2.- Nel merito, prendendo le mosse dalla censura afferente alla
lesione dell'art. 3 Cost., la difesa dello Stato ritiene che la
questione sia infondata alla luce del principio, enunciato in
relazione ai criteri di ragionevolezza e proporzionalita', secondo
cui «la determinazione delle condotte punibili e delle relative
sanzioni, siano esse penali o amministrative, rientra nella piu'
ampia discrezionalita' legislativa, non spettando alla Corte
rimodulare le scelte punitive del legislatore ne' stabilire la
quantificazione delle sanzioni» (viene richiamata l'ordinanza n. 33
del 2001).
La previsione del limite minimo, del resto, sarebbe giustificata
dalla necessaria finalita' dissuasiva della norma sottoposta
all'odierno scrutinio, la cui realizzazione non sarebbe assicurata da
una sanzione strutturata esclusivamente nella misura proporzionale di
euro 40,00 per quintale o frazione di quintale di prodotto
sementiero.
5.3.- Sarebbe, infine, priva di fondamento anche la censura
prospettata in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost., giacche'
sulla valutazione del disvalore della condotta sanzionabile,
asseritamente consistente nella importazione di prodotti sementieri,
non influirebbe il dato quantitativo, se non per la misura eccedente
il limite stabilito dalla disposizione denunciata.
Considerato in diritto
1.- Il Giudice di pace di Pisa dubita - in riferimento agli artt.
3, 27, secondo comma (recte: terzo comma), e 97 della Costituzione -
della legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 1, della legge
25 novembre 1971, n. 1096 (Disciplina dell'attivita' sementiera),
come sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge 3
febbraio 2011, n. 4 (Disposizioni in materia di etichettatura e di
qualita' dei prodotti alimentari), nella parte in cui prevede una
sanzione amministrativa minima di ammontare pari a euro 4.000,00.
1.1.- La norma dispone che, «[s]alvo che il fatto costituisca
reato, a chiunque vende, pone in vendita o mette altrimenti in
commercio prodotti sementieri non rispondenti ai requisiti stabiliti,
o non rispondenti a quelli indicati sulla merce, o pone in vendita
miscugli in casi non consentiti ovvero pone in commercio prodotti
importati in confezioni non originali o riconfezionati senza
l'osservanza delle disposizioni di cui agli ultimi tre commi
dell'articolo 17, si applica la sanzione amministrativa consistente
nel pagamento di una somma stabilita in misura proporzionale di euro
40 per ogni quintale o frazione di quintale di prodotti sementieri e
comunque per un importo non inferiore a euro 4.000».
2.- Il vulnus all'art. 3 Cost. sarebbe apprezzabile, in
particolare, sotto i profili della irragionevolezza intrinseca e
della disparita' di trattamento.
Per un verso, infatti, la norma denunciata sarebbe intimamente
contraddittoria in quanto perseguirebbe la sola finalita' di modulare
la sanzione secondo un criterio esclusivamente proporzionale, e
precisamente sulla base della quantita' dei prodotti
commercializzati, sicche' sarebbe poi incoerente la previsione di un
minimo edittale disancorato dal peso delle merci oggetto delle
condotte vietate.
Sotto altro profilo, tale minimo si tradurrebbe, per le ipotesi
di commercializzazione di prodotti sino a 100 quintali, in una
sanzione sostanzialmente fissa, che conseguentemente colpirebbe allo
stesso modo fatti connotati da un diverso disvalore perche' aventi a
oggetto differenti quantita' di sementi: di qui la dedotta violazione
del principio di uguaglianza.
Il limite minimo previsto dalla norma oggetto del presente
incidente di costituzionalita' violerebbe, inoltre, l'art. 27, terzo
comma, Cost., compromettendo la funzione rieducativa che dovrebbe
caratterizzare anche le sanzioni amministrative.
Sarebbe, infine, leso l'art. 97 Cost., «nella parte in cui
sancisce il principio di ragionevolezza nell'attivita'
amministrativa».
3.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione d'inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato in considerazione
della discrezionalita' di cui gode il legislatore in sede di
quantificazione dei trattamenti sanzionatori.
Se e', infatti, vero che la valutazione della congruita' delle
sanzioni rientra nella discrezionalita' legislativa, cio' tuttavia
non preclude l'intervento di questa Corte «laddove le scelte
sanzionatorie adottate dal legislatore si [rivelino] manifestamente
arbitrarie o irragionevoli [...]» (sentenza n. 115 del 2019).
Deve pertanto essere riservato al merito il vaglio in ordine alla
sussistenza, o meno, della dedotta irragionevolezza del trattamento
sanzionatorio sottoposto alla cognizione di questa Corte.
L'Avvocatura stessa, del resto, nel prospettare l'inammissibilita',
finisce per contestare la fondatezza delle argomentazioni del
rimettente, adducendo considerazioni - segnatamente afferenti alla
rilevanza degli interessi tutelati dalla norma denunciata e alla
conseguente necessita' di prevedere una sanzione non irrisoria - che
attengono al merito delle questioni sollevate.
3.1.- E' parimenti infondata l'ulteriore eccezione di
inammissibilita', formulata dall'Avvocatura sulla scorta della omessa
individuazione, da parte del giudice a quo, del «parametro di
riferimento cui eventualmente commisurare la fattispecie in esame».
Non e' chiaro se la difesa dello Stato intenda riferirsi alla
mancata indicazione del tertium comparationis al fine della
valutazione nel merito del dedotto vulnus all'art. 3 Cost. oppure
alla mancata individuazione, all'interno dell'ordinamento, di una
previsione sanzionatoria idonea a fungere da punto di riferimento nel
colmare la lacuna consequenziale alla eventuale declaratoria di
incostituzionalita' della norma.
Da ambedue le prospettive, l'eccezione e', in ogni caso, priva di
pregio.
Per un verso, infatti, si deve osservare che il dedotto difetto
di ragionevolezza discenderebbe, ad avviso del giudice a quo, dalla
intrinseca contraddittorieta' della norma censurata e che l'asserita
disparita' di trattamento deriverebbe dalla equiparazione tra fatti
in assunto eterogenei ma contemplati dalla medesima disposizione:
sotto entrambi i profili, dunque, la violazione dell'art. 3 Cost.
emergerebbe da un confronto relazionale tutto interno all'art. 33,
comma 1, della legge n. 1096 del 1971, sicche' non e' necessario fare
ricorso a un tertium a essa esterno.
Per altro verso, va rilevato che il rimettente si limita a
chiedere una pronuncia caducatoria parziale, avente a oggetto il solo
limite minimo della cornice edittale, all'esito della quale
rimarrebbe comunque applicabile la sanzione, rinvenibile nell'ambito
del perimetro segnato dalla stessa disposizione denunciata, in misura
esclusivamente proporzionale: l'eventuale accoglimento delle
questioni non produrrebbe quindi una lacuna normativa e non
richiederebbe, di conseguenza, un intervento sostitutivo di questa
Corte in ordine alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.
4.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
5.- La norma posta all'attenzione di questa Corte e' contenuta
nella legge n. 1096 del 1971, che reca la disciplina dell'attivita'
sementiera e regola «la produzione a scopo di vendita e la vendita»
stessa di prodotti sementieri, per tali intendendosi «le sementi, i
tuberi, i bulbi, i rizomi e simili destinati alla riproduzione ed
alla moltiplicazione naturale delle piante» (art. 1, primo e secondo
comma).
Come si evince dall'esame dei lavori preparatori (e in
particolare dalla relazione illustrativa al disegno di legge di
iniziativa governativa, V legislatura, Atto Senato n. 784), la legge
ha la finalita' di fornire «agli operatori ed ai coltivatori le
necessarie garanzie sul valore genetico delle sementi e dei materiali
di moltiplicazione», nonche' di introdurre una «disciplina dei
controlli e delle certificazioni concernenti le sementi ammesse in
commercio». Cio' sul presupposto che «[l]e sementi rappresentano un
mezzo tecnico fondamentale per la produzione agricola ed interessano
percio', oltre i singoli che le utilizzano, anche la collettivita'
nazionale, in quanto dal loro valore genetico e biologico dipende
prevalentemente la piu' o meno qualificata produzione e quindi il
rendimento unitario delle coltivazioni»; sicche' una carente
disciplina legislativa avrebbe determinato «anche sensibili
difficolta` negli scambi internazionali, con inevitabile
deprezzamento della [...] produzione sementiera e conseguenze
commerciali ed economiche che non possono sottovalutarsi».
In questa cornice si colloca, all'interno del Capo XI, rubricato
«Vigilanza e sanzioni», l'art. 33, comma 1, che, nella formulazione
originaria, prevedeva l'irrogazione di una multa stabilita nella
misura proporzionale di lire 20.000 per ogni quintale o frazione di
quintale di prodotti sementieri, ma comunque non inferiore a lire
100.000.
Successivamente, con l'art. 3, comma 2, lettera c), della legge
n. 4 del 2011, il legislatore ha sensibilmente incrementato tali
importi, in cio' mosso, non solo dall'evidente esigenza di
parametrarli all'attualita' e dall'obiettivo, espresso nell'incipit
della disposizione e gia' desumibile dalla teste' menzionata
relazione illustrativa, «di valorizzare le produzioni di qualita'
italiane», ma anche dalla ulteriore necessita', parimenti manifestata
nell'esordio della norma che reca la novella, di «rafforzare l'azione
di repressione delle frodi alimentari».
La disposizione e' censurata, come dianzi detto, nella parte in
cui stabilisce il limite minimo edittale di euro 4.000,00.
6.- La violazione dell'art. 3 Cost. e' stata prospettata, in
particolare, sotto due profili.
6.1.- Sotto quello della irragionevolezza intrinseca, la lesione
dell'evocato parametro costituzionale deriverebbe dalla
contraddittorieta' interna alla norma: la previsione di un minimo
edittale disancorato dal peso dei prodotti oggetto della violazione
tradirebbe, infatti, la finalita', secondo il rimettente perseguita
dalla norma stessa, di modulare la gravita' della condotta, e quindi
della risposta sanzionatoria, in misura esclusivamente proporzionale.
6.1.1.- Il giudice a quo muove, tuttavia, da un postulato
erroneo.
La tesi del rimettente si fonda, in sostanza, sull'assunto
secondo cui lo scopo dell'art. 33, comma 1, della legge n. 1096 del
1971 sarebbe quello di graduare la reazione dell'ordinamento
unicamente in relazione alle quantita' dei prodotti sementieri
oggetto delle condotte illecite. La norma sarebbe, in altri termini,
finalizzata soltanto a «calcolar[e] matematicamente su base
quantitativa» la gravita' della violazione e, quindi, l'entita' della
risposta sanzionatoria, sicche' non sarebbe poi coerente prevedere un
limite minimo.
Tale finalita' viene pero' desunta dalla arbitraria scomposizione
della disposizione censurata e dalla valorizzazione, in chiave
interpretativa, di una sola delle porzioni normative da essa
espresse: quella in cui e' previsto che la sanzione consiste nel
pagamento di una somma stabilita «in misura proporzionale di euro
40,00 per ogni quintale o frazione di quintale di prodotti
sementieri».
Una esegesi non atomistica della norma, in quanto basata sulla
considerazione della sua ratio complessiva, conduce invece a un
diverso risultato.
Dopo aver dettato il descritto criterio proporzionale, l'art. 33,
comma 1, della legge n. 1096 del 1971 prosegue difatti precisando che
l'importo della sanzione deve essere «comunque [...] non inferiore a
euro 4.000».
La norma e' dunque strutturata in modo da prevedere una sanzione
proporzionale che non puo', tuttavia, essere inferiore a un limite
minimo.
E' pertanto evidente che essa considera le condotte di
commercializzazione vietate come connotate in se stesse da un
disvalore intrinseco grave, tale, come si vedra', da meritare in ogni
caso («comunque») - a prescindere quindi dalla quantita' di prodotti
sementieri che ne costituiscono l'oggetto - una sanzione di importo
minimo.
Tale struttura sanzionatoria era del resto propria anche della
versione antecedente alla novella recata dall'art. 3, comma 2,
lettera c), della legge n. 4 del 2011: la norma, infatti, se da un
canto determinava la sanzione pecuniaria in misura proporzionale,
dall'altro stabiliva che questa non potesse in ogni caso scendere al
di sotto di un limite minimo.
Con la disposizione denunciata, la lesivita' degli illeciti
sanzionati e' stata dunque valutata, contrariamente all'assunto del
rimettente, non soltanto in misura proporzionale alla quantita' dei
prodotti commercializzati, ma altresi' alla stregua del disvalore
proprio delle condotte, al quale e' stato ricollegato il minimo della
sanzione irrogabile.
Milita, d'altro canto, in favore di tale conclusione anche la
modesta entita' dell'importo (euro 40,00 per quintale) fissato per il
calcolo proporzionale: e', infatti, palese che, ove la finalita'
della norma fosse stata quella di correlare il rigore della sanzione,
come vorrebbe il giudice a quo, esclusivamente al peso dei prodotti
sementieri, tale importo non sarebbe stato quantificato in una somma
di fatto pressoche' simbolica, il cui carico afflittivo si sarebbe
rivelato per i trasgressori del tutto trascurabile, con il
conseguente - e irragionevole - sostanziale svuotamento di ogni
efficacia dissuasiva della norma stessa.
6.1.2.- Alla luce dei rilievi che precedono, deve essere esclusa
la contraddittorieta' dedotta dal rimettente, dal momento che il
precetto normativo denunciato e' specificamente finalizzato anche a
introdurre una soglia minima di deterrenza in relazione a condotte
ritenute in se stesse gravi.
6.2.- La censura in esame e' destituita di fondamento anche sotto
l'altro profilo in cui e' articolata.
Come chiarito, ad avviso del giudice a quo l'art. 3 Cost. sarebbe
violato in quanto il menzionato minimo edittale si risolverebbe in
una sanzione sostanzialmente fissa che punirebbe in modo
ingiustificatamente uguale violazioni connotate da un diverso grado
di lesivita': gli illeciti che hanno a oggetto modiche quantita' di
prodotti sementieri e quelli concernenti quantita' sino a 100
quintali.
Il vulnus deriverebbe pertanto dalla identita' del trattamento
sanzionatorio riservato a fatti in assunto eterogenei, in quanto
caratterizzati da un disvalore marcatamente differente a seconda che
riguardino un quantitativo piu' o meno consistente di merce.
6.2.1.- Tanto chiarito in merito al perimetro entro cui si muove,
sotto il profilo in esame, lo scrutinio sottoposto a questa Corte,
occorre anzitutto premettere, in linea generale, che, ogniqualvolta
la legge preveda un limite minimo edittale, a questo potranno essere
ricondotti una pluralita' di fatti e situazioni concrete che, secondo
dati di comune esperienza, sul piano fenomenico necessariamente
ammettono una molteplicita' di variabili; cio' e' tanto piu' evidente
ove, come nel caso di specie, le condotte vietate abbiano a oggetto
beni "dosabili".
Una "quota di fissita'" della sanzione e' dunque connaturale a
qualsiasi minimo edittale e, in questa prospettiva, non sarebbe
ragionevole pretendere, come in sostanza reputa il rimettente, che la
conformita' al paradigma dell'eguaglianza debba essere
indefettibilmente verificata su una base meramente naturalistica.
Del resto, anche con riguardo a sanzioni amministrative
propriamente fisse questa Corte ha in passato riconosciuto la
legittima esplicazione, nel limite della non manifesta
irragionevolezza, della discrezionalita' di cui gode il legislatore
nell'individuazione delle condotte punibili e dei relativi
trattamenti sanzionatori. E' stata cosi' esclusa
l'incostituzionalita' della sanzione della decurtazione dalla patente
di cinque punti in caso di mancato uso della cintura di sicurezza,
«che [secondo il giudice a quo contrastava] con il principio di
necessaria gradualita' della pena, essendosi sempre ammesso, anche in
sede penale, che un trattamento sanzionatorio in misura fissa non e'
di per se' contrario al principio di ragionevolezza» (ordinanza n.
204 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n. 172 del 2003 e n. 282
del 2001).
Tali considerazioni non escludono che previsioni sanzionatorie
rigide, come quella oggetto dell'odierno incidente di
costituzionalita', che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano,
fatti in qualche misura differenti, debbano rispondere al principio
di ragionevolezza, dovendo tale omologazione trovare un'adeguata
giustificazione: la giurisprudenza costituzionale piu' recente ha
infatti precisato come il principio, in origine enunciato con
riferimento alle sanzioni penali, «di proporzionalita' della sanzione
rispetto alla gravita' dell'illecito sia applicabile anche alla
generalita' delle sanzioni amministrative» (sentenza n. 112 del 2019;
nello stesso senso, sentenza n. 88 del 2019).
Questa Corte e' dunque chiamata a verificare se anche le
infrazioni meno gravi - segnatamente sotto l'aspetto quantitativo,
sulla scorta delle argomentazioni addotte dal rimettente - siano
connotate da un disvalore tale da non rendere manifestamente
irragionevole o sproporzionata la sanzione amministrativa di
ammontare pari a euro 4.000,00, nonostante la sua severita'.
Verifica, questa, che va peraltro condotta anche alla luce del
principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza
costituzionale, secondo cui la determinazione del trattamento
sanzionatorio per le singole violazioni costituisce oggetto di ampia
discrezionalita' legislativa, il cui esercizio puo' essere sindacato,
in sede di giudizio di costituzionalita', solo ove si traduca in
scelte manifestamente irragionevoli o sproporzionate (ex plurimis, in
riferimento alle sanzioni amministrative, sentenza n. 115 del 2019).
Nel caso di specie, malgrado il notevole incremento, rispetto al
passato, del rapporto tra sanzione fissa e sanzione proporzionale che
risulta dalla norma impugnata a seguito della novella disposta
dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge n. 4 del 2011, deve
escludersi, tenuto conto degli interessi tutelati, che la
discrezionalita' del legislatore si sia tradotta in una omologazione
manifestamente irragionevole di fattispecie differenti, valicando il
confine dell'arbitrarieta'.
I divieti di commercializzazione di cui all'art. 33, comma 1,
censurato, infatti, mirano - attraverso la qualificata produzione dei
prodotti sementieri, la regolamentazione della loro immissione in
commercio e la trasparenza delle informazioni contenute nei
cartellini e nelle etichette apposti sugli involucri dei prodotti
stessi - non solo a garantire il migliore rendimento delle
coltivazioni e, in tal modo, una produzione agricola di elevata
qualita', ma anche a preservare la fiducia degli operatori del
settore nell'affidabilita' delle caratteristiche e della
"redditivita'" delle sementi, fiducia che ben potrebbe essere messa
in dubbio pure dalla commercializzazione di modeste quantita' di
merce.
Inoltre, se alcune specie di sementi, come quelle di erba medica
oggetto del giudizio a quo, sono prevalentemente destinate a essere
utilizzate per produrre foraggio, con la conseguenza che le loro
caratteristiche incidono altresi' sull'allevamento, altre, come
quelle di cereali, possono essere destinate, direttamente o sotto
forma di derivati, all'alimentazione, sicche' la loro qualita' e'
suscettibile di incidere anche sulla tutela della salute.
La stessa scelta, compiuta nel 2011, di inasprire la misura della
sanzione portata all'attenzione di questa Corte e' stata dettata,
come gia' detto, oltre che dalla finalita' di «valorizzare le
produzioni di qualita' italiane», anche da quella di «rafforzare
l'azione di repressione delle frodi alimentari» (art. 3, comma 2,
della legge n. 4 del 2011).
In questa prospettiva, la severita' della sanzione censurata non
e' manifestamente irragionevole o sproporzionata, alla luce dello
scopo di fissare una soglia minima funzionale a evitare il radicale
svilimento della capacita' deterrente della norma, che altrimenti
punirebbe le condotte di commercializzazione vietate con il pagamento
della irrisoria somma di euro 40,00 per quintale.
Si deve dunque ritenere che, in virtu' della natura e della
particolare rilevanza degli interessi presidiati, gli illeciti
previsti dal censurato art. 33, comma 1, siano connotati, anche ove
abbiano a oggetto ridotte quantita' di prodotti sementieri, da un
disvalore intrinseco tale da rendere non manifestamente irragionevole
o sproporzionata la determinazione del suddetto limite minimo
edittale; e cio' anche in considerazione del fatto che si tratta di
condotte realizzate generalmente da soggetti che esercitano in
maniera non occasionale il commercio di detti prodotti.
6.2.2.- Alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve in
conclusione escludersi che la quantificazione operata dal legislatore
nell'esercizio della discrezionalita' che gli compete in sede di
dosimetria sanzionatoria abbia superato il confine della manifesta
irragionevolezza.
7.- Ad avviso del giudice a quo, il trattamento sanzionatorio
minimo previsto dalla norma censurata recherebbe un vulnus altresi'
all'art. 27, terzo comma, Cost., compromettendo la funzione
rieducativa della pena.
La finalita' rieducativa imposta dal menzionato parametro
costituzionale, che secondo il rimettente dovrebbe connotare anche le
sanzioni amministrative, sarebbe difatti frustrata in quanto
l'impianto sanzionatorio dettato dall'art. 33, comma 1, della legge
n. 1096 del 1971, come sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c),
della legge n. 4 del 2011, indurrebbe, al contrario, a commettere
violazioni piu' gravi e finirebbe, per altro verso, per sovvertire il
meccanismo proporzionale stabilito dalla norma stessa.
7.1.- Anche questa censura, con la quale peraltro vengono in
parte riproposti argomenti gia' addotti a sostegno dell'asserita
violazione dell'art. 3 Cost., e' priva di fondamento, giacche' nel
caso di specie viene in rilievo un illecito amministrativo, mentre,
per costante giurisprudenza costituzionale, l'art. 27 Cost. deve
ritenersi riferibile, contrariamente all'assunto del giudice a quo,
alla sola responsabilita' penale e non pure a quella amministrativa.
Questa Corte ha difatti affermato, in linea generale, la
«pertinenza esclusiva alle sanzioni propriamente penali» dell'art. 27
Cost. (sentenza n. 109 del 2017; nello stesso senso, ordinanze n. 286
del 2010 e n. 434 del 2007). Peraltro, l'estensione alle sanzioni
amministrative dei principi in materia di responsabilita' penale e'
stata esclusa anche con specifico riguardo alla finalita' rieducativa
prevista dal terzo comma del suddetto art. 27 Cost., ritenuta
connessa alla pena in senso stretto, in quanto «privativa, o quanto
meno limitativa, della liberta' personale» (sentenza n. 112 del 2019;
nello stesso senso, sentenza n. 281 del 2013).
8.- Secondo il rimettente, la norma denunciata lederebbe, infine,
l'art. 97 Cost., «nella parte in cui sancisce il principio di
ragionevolezza nell'attivita' amministrativa».
8.1.- L'espresso riferimento al principio di ragionevolezza,
valutato unitamente al rilievo che a fondamento della censura non
sono state addotte autonome argomentazioni, induce a ritenere che
questa sia meramente "ancillare" rispetto a quelle prospettate in
riferimento all'art. 3 Cost., delle quali condivide, pertanto, la
sorte (sentenza n. 46 del 2014).
Al pari della questione inerente alla violazione dell'art. 3
Cost., anche quella in esame deve, conseguentemente, essere
dichiarata infondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 33, comma 1, della legge 25 novembre 1971, n. 1096
(Disciplina dell'attivita' sementiera), come sostituito dall'art. 3,
comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio 2011, n. 4 (Disposizioni
in materia di etichettatura e di qualita' dei prodotti alimentari),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 97 della
Costituzione, dal Giudice di pace di Pisa con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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mercoledì 18 settembre 2019
N. 212 SENTENZA 3 luglio - 12 settembre 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sanzioni amministrative - Commercializzazione di prodotti sementieri privi di requisiti o contrari a divieti - Sanzione edittale minima di euro 4.000,00 - Denunciata irragionevolezza intrinseca, disparita' di trattamento, violazione della funzione rieducativa delle sanzioni (anche amministrative) nonche' del principio di ragionevolezza nell'attivita' amministrativa - Non fondatezza delle questioni. - Legge 25 novembre 1971, n. 1096, art. 33, comma 1, come sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio 2011, n. 4. - Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 97. (GU n.38 del 18-9-2019 )
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