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mercoledì 18 settembre 2019

N. 212 SENTENZA 3 luglio - 12 settembre 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sanzioni amministrative - Commercializzazione di prodotti sementieri privi di requisiti o contrari a divieti - Sanzione edittale minima di euro 4.000,00 - Denunciata irragionevolezza intrinseca, disparita' di trattamento, violazione della funzione rieducativa delle sanzioni (anche amministrative) nonche' del principio di ragionevolezza nell'attivita' amministrativa - Non fondatezza delle questioni. - Legge 25 novembre 1971, n. 1096, art. 33, comma 1, come sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio 2011, n. 4. - Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 97. (GU n.38 del 18-9-2019 )

N. 212 SENTENZA 3 luglio - 12 settembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Sanzioni amministrative - Commercializzazione di prodotti  sementieri
  privi di requisiti o contrari a divieti - Sanzione edittale  minima
  di  euro  4.000,00  -   Denunciata   irragionevolezza   intrinseca,
  disparita' di trattamento, violazione  della  funzione  rieducativa
  delle sanzioni (anche  amministrative)  nonche'  del  principio  di
  ragionevolezza nell'attivita' amministrativa - Non fondatezza delle
  questioni.
- Legge 25 novembre 1971, n. 1096, art. 33, comma 1, come  sostituito
  dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio  2011,  n.
  4.
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 97.
(GU n.38 del 18-9-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  33,  comma
1, della legge 25 novembre 1971, n. 1096  (Disciplina  dell'attivita'
sementiera), come sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c),  della
legge 3 febbraio 2011, n. 4 (Disposizioni in materia di etichettatura
e di qualita' dei prodotti alimentari), promosso dal Giudice di  pace
di Pisa nel procedimento vertente tra Carlo Pesci, in proprio e nella
qualita' di titolare della ditta Toscoagrigarden di Carlo Pesci, e il
Ministero  delle  politiche  agricole  e  forestali  -   Dipartimento
dell'Ispettorato  Centrale  della  tutela,  della  qualita'  e  della
repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari - Ufficio Toscana
e Umbria, con ordinanza del 17 ottobre 2018, iscritta al  n.  13  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del  3  luglio  2019  il  Giudice
relatore Luca Antonini.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza emessa il 17 ottobre 2018, il Giudice  di  pace
di Pisa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo  comma
(recte:  terzo  comma),  e  97  della  Costituzione,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma  1,  della  legge  25
novembre 1971, n. 1096 (Disciplina dell'attivita'  sementiera),  come
sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge  3  febbraio
2011, n. 4 (Disposizioni in materia di etichettatura  e  di  qualita'
dei prodotti alimentari), nella parte in  cui  prevede  una  sanzione
amministrativa minima di ammontare pari a euro 4.000,00.
    1.1.- La norma censurata  dispone  che,  «[s]alvo  che  il  fatto
costituisca  reato,  a  chiunque  vende,  pone  in  vendita  o  mette
altrimenti  in  commercio  prodotti  sementieri  non  rispondenti  ai
requisiti stabiliti, o non rispondenti a quelli indicati sulla merce,
o pone in vendita miscugli in casi non  consentiti,  ovvero  pone  in
commercio  prodotti  importati  in   confezioni   non   originali   o
riconfezionati senza l'osservanza  delle  disposizioni  di  cui  agli
ultimi  tre  commi  dell'articolo  17,   si   applica   la   sanzione
amministrativa consistente nel pagamento di una  somma  stabilita  in
misura proporzionale di euro 40  per  ogni  quintale  o  frazione  di
quintale di  prodotti  sementieri  e  comunque  per  un  importo  non
inferiore a euro 4.000».
    2.-  Le  questioni  sono  sorte  nel  corso  di  un  giudizio  di
opposizione  a  ordinanza-ingiunzione  promosso   dal   titolare   di
un'impresa individuale nei confronti del  Ministero  delle  politiche
agricole e forestali - Dipartimento dell'Ispettorato  centrale  della
tutela della qualita' e della repressione delle  frodi  dei  prodotti
agroalimentari - Ufficio Toscana e Umbria.
    Secondo quanto riferito dal giudice a quo, all'opponente e' stato
contestato di avere immesso in commercio sementi di erba  medica  con
una percentuale di germinabilita' inferiore a quella minima  prevista
dal combinato disposto degli artt. 14 della legge n. 1096 del 1971  e
12 del decreto del Presidente della Repubblica  8  ottobre  1973,  n.
1065 (Regolamento di esecuzione della  legge  25  novembre  1971,  n.
1096, concernente la disciplina  della  produzione  e  del  commercio
delle sementi).
    A seguito di tale contestazione, e' stata  irrogata  la  sanzione
amministrativa di euro 4.000,00, pari  al  minimo  edittale  previsto
dalla norma denunciata.
    3.-  Osserva   il   rimettente   che   la   condotta   contestata
all'opponente riguarda l'immissione in commercio di 25 chilogrammi di
sementi, con la conseguenza che, poiche' l'ammontare  della  sanzione
per tale ipotesi prevista dalla norma censurata e'  uguale  a  quello
che sarebbe stato determinato ove la medesima condotta avesse avuto a
oggetto  100  quintali  di  sementi,  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sarebbero rilevanti.
    3.1.- Nel merito, il giudice a quo ritiene che l'art.  33,  comma
1, della legge n. 1096 del 1971, come sostituito dall'art.  3,  comma
2, lettera c), della legge n. 4 del  2011,  si  ponga  in  contrasto,
laddove stabilisce una sanzione pecuniaria di importo minimo  pari  a
euro 4.000,00, con i  principi  di  adeguatezza,  proporzionalita'  e
ragionevolezza.
    Al riguardo, egli anzitutto rileva che, poiche'  il  criterio  di
commisurazione adottato dalla norma oggetto dell'odierno incidente di
costituzionalita' e' pari a euro 40,00 per ogni quintale, in caso  di
prodotti dal peso complessivo sino a 100 quintali il suddetto  minimo
edittale  non  e'  correlato  alla  concreta  quantita'  di   sementi
commercializzate, cosi' traducendosi in una sanzione  sostanzialmente
fissa.
    Fatta tale premessa, in ordine alla  non  manifesta  infondatezza
sostiene che la disposizione denunciata violerebbe, in  primo  luogo,
l'art. 3 Cost., segnatamente sotto i profili della  ragionevolezza  e
della uguaglianza.
    Il  vulnus  al  canone  della  ragionevolezza   deriverebbe,   in
particolare, dalla intrinseca contraddittorieta' della norma: la  sua
finalita', a  parere  del  rimettente  ravvisabile  nell'esigenza  di
«parametrare  la  sanzione  alla  gravita'   della   violazione,   da
calcolarsi matematicamente su  base  quantitativa»,  sarebbe  difatti
tradita dalla previsione di una sanzione non graduabile, peraltro  di
ammontare largamente superiore rispetto all'importo  contemplato  per
il calcolo proporzionale.
    Sotto il secondo profilo, invece,  dalla  disposizione  censurata
discenderebbe una ingiustificata disparita' di trattamento,  giacche'
il minimo edittale da essa stabilito si risolverebbe in una  sanzione
sostanzialmente fissa e non consentirebbe, di conseguenza, l'adozione
di trattamenti sanzionatori diversificati in ragione delle differenti
quantita' di sementi oggetto delle  condotte  di  commercializzazione
vietate: verrebbe, in  tal  modo,  riservato  lo  stesso  trattamento
sanzionatorio a fatti eterogenei.
    3.2.- Sarebbe altresi' violato l'art. 27, terzo comma, Cost.,  in
relazione alla finalita' rieducativa della pena.
    Tale finalita', che secondo l'assunto del giudice a quo  dovrebbe
connotare anche le sanzioni amministrative, sarebbe difatti frustrata
dall'impianto  sanzionatorio  dettato  dalla  norma  denunciata,  dal
momento che esso indurrebbe, al contrario,  a  commettere  violazioni
piu' gravi e, per altro verso, finirebbe per sovvertire il meccanismo
proporzionale stabilito dalla norma stessa.
    3.3.-  Dai  rilievi  che  precedono  deriverebbe,   inoltre,   la
violazione dell'art. 97  Cost.,  «nella  parte  in  cui  sancisce  il
principio di ragionevolezza nell'attivita' amministrativa».
    4.- Poiche' non sarebbe consentito al giudice ridurre l'ammontare
della  sanzione  a  un  importo  inferiore  al  minimo  edittale,  il
rimettente  reputa,   infine,   impraticabile   una   interpretazione
costituzionalmente  orientata  della   norma   censurata,   ritenendo
pertanto necessaria la pronuncia ablativa richiesta.
    5.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate   inammissibili   e,
comunque, infondate.
    5.1.- L'eccepita inammissibilita' deriverebbe,  anzitutto,  dalla
considerazione che le questioni sollevate riguardano la materia della
quantificazione  delle  sanzioni  amministrative,  nella   quale   il
legislatore  gode  di  ampia  discrezionalita',  salva  la  manifesta
violazione del canone  della  ragionevolezza.  Nel  caso  di  specie,
peraltro,  gli  interessi  tutelati  dalla   disposizione   sarebbero
particolarmente  rilevanti,  dal  momento  che  la  rispondenza   dei
prodotti sementieri ai requisiti prescritti dalla  legge  inciderebbe
anche sui beni della salute e dell'ambiente: di  qui  la  necessita',
funzionale a garantire l'effettivita' della  risposta  sanzionatoria,
di prevedere una sanzione minima non irrisoria.
    5.1.1.- In secondo luogo, il giudice a  quo,  nel  dolersi  della
violazione del principio di ragionevolezza, avrebbe omesso, ad avviso
dell'Avvocatura, di «individuare  il  parametro  di  riferimento  cui
eventualmente commisurare la fattispecie in esame».
    5.2.- Nel merito, prendendo le mosse dalla censura afferente alla
lesione dell'art. 3 Cost., la  difesa  dello  Stato  ritiene  che  la
questione  sia  infondata  alla  luce  del  principio,  enunciato  in
relazione ai criteri di ragionevolezza  e  proporzionalita',  secondo
cui «la determinazione  delle  condotte  punibili  e  delle  relative
sanzioni, siano esse penali  o  amministrative,  rientra  nella  piu'
ampia  discrezionalita'  legislativa,  non   spettando   alla   Corte
rimodulare le  scelte  punitive  del  legislatore  ne'  stabilire  la
quantificazione delle sanzioni» (viene richiamata l'ordinanza  n.  33
del 2001).
    La previsione del limite minimo, del resto, sarebbe  giustificata
dalla  necessaria  finalita'  dissuasiva   della   norma   sottoposta
all'odierno scrutinio, la cui realizzazione non sarebbe assicurata da
una sanzione strutturata esclusivamente nella misura proporzionale di
euro  40,00  per  quintale  o  frazione  di  quintale   di   prodotto
sementiero.
    5.3.- Sarebbe, infine,  priva  di  fondamento  anche  la  censura
prospettata in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost.,  giacche'
sulla  valutazione  del  disvalore   della   condotta   sanzionabile,
asseritamente consistente nella importazione di prodotti  sementieri,
non influirebbe il dato quantitativo, se non per la misura  eccedente
il limite stabilito dalla disposizione denunciata.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Giudice di pace di Pisa dubita - in riferimento agli artt.
3, 27, secondo comma (recte: terzo comma), e 97 della Costituzione  -
della legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 1, della  legge
25 novembre 1971, n.  1096  (Disciplina  dell'attivita'  sementiera),
come sostituito dall'art. 3, comma  2,  lettera  c),  della  legge  3
febbraio 2011, n. 4 (Disposizioni in materia di  etichettatura  e  di
qualita' dei prodotti alimentari), nella parte  in  cui  prevede  una
sanzione amministrativa minima di ammontare pari a euro 4.000,00.
    1.1.- La norma dispone che, «[s]alvo  che  il  fatto  costituisca
reato, a chiunque vende,  pone  in  vendita  o  mette  altrimenti  in
commercio prodotti sementieri non rispondenti ai requisiti stabiliti,
o non rispondenti a quelli indicati sulla merce, o  pone  in  vendita
miscugli in casi non consentiti ovvero  pone  in  commercio  prodotti
importati  in  confezioni  non  originali  o   riconfezionati   senza
l'osservanza  delle  disposizioni  di  cui  agli  ultimi  tre   commi
dell'articolo 17, si applica la sanzione  amministrativa  consistente
nel pagamento di una somma stabilita in misura proporzionale di  euro
40 per ogni quintale o frazione di quintale di prodotti sementieri  e
comunque per un importo non inferiore a euro 4.000».
    2.-  Il  vulnus  all'art.  3  Cost.  sarebbe   apprezzabile,   in
particolare, sotto i  profili  della  irragionevolezza  intrinseca  e
della disparita' di trattamento.
    Per un verso, infatti, la norma  denunciata  sarebbe  intimamente
contraddittoria in quanto perseguirebbe la sola finalita' di modulare
la sanzione  secondo  un  criterio  esclusivamente  proporzionale,  e
precisamente   sulla    base    della    quantita'    dei    prodotti
commercializzati, sicche' sarebbe poi incoerente la previsione di  un
minimo edittale  disancorato  dal  peso  delle  merci  oggetto  delle
condotte vietate.
    Sotto altro profilo, tale minimo si tradurrebbe, per  le  ipotesi
di commercializzazione di  prodotti  sino  a  100  quintali,  in  una
sanzione sostanzialmente fissa, che conseguentemente colpirebbe  allo
stesso modo fatti connotati da un diverso disvalore perche' aventi  a
oggetto differenti quantita' di sementi: di qui la dedotta violazione
del principio di uguaglianza.
    Il limite  minimo  previsto  dalla  norma  oggetto  del  presente
incidente di costituzionalita' violerebbe, inoltre, l'art. 27,  terzo
comma, Cost., compromettendo la  funzione  rieducativa  che  dovrebbe
caratterizzare anche le sanzioni amministrative.
    Sarebbe, infine, leso  l'art.  97  Cost.,  «nella  parte  in  cui
sancisce    il    principio    di    ragionevolezza    nell'attivita'
amministrativa».
    3.- Va preliminarmente disattesa  l'eccezione  d'inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  in  considerazione
della  discrezionalita'  di  cui  gode  il  legislatore  in  sede  di
quantificazione dei trattamenti sanzionatori.
    Se e', infatti, vero che la valutazione  della  congruita'  delle
sanzioni rientra nella discrezionalita'  legislativa,  cio'  tuttavia
non  preclude  l'intervento  di  questa  Corte  «laddove  le   scelte
sanzionatorie adottate dal legislatore si  [rivelino]  manifestamente
arbitrarie o irragionevoli [...]» (sentenza n. 115 del 2019).
    Deve pertanto essere riservato al merito il vaglio in ordine alla
sussistenza, o meno, della dedotta irragionevolezza  del  trattamento
sanzionatorio   sottoposto   alla   cognizione   di   questa   Corte.
L'Avvocatura stessa, del resto, nel  prospettare  l'inammissibilita',
finisce  per  contestare  la  fondatezza  delle  argomentazioni   del
rimettente, adducendo considerazioni -  segnatamente  afferenti  alla
rilevanza degli interessi tutelati  dalla  norma  denunciata  e  alla
conseguente necessita' di prevedere una sanzione non irrisoria -  che
attengono al merito delle questioni sollevate.
    3.1.-   E'   parimenti   infondata   l'ulteriore   eccezione   di
inammissibilita', formulata dall'Avvocatura sulla scorta della omessa
individuazione, da  parte  del  giudice  a  quo,  del  «parametro  di
riferimento cui eventualmente commisurare la fattispecie in esame».
    Non e' chiaro se la difesa dello  Stato  intenda  riferirsi  alla
mancata  indicazione  del  tertium  comparationis   al   fine   della
valutazione nel merito del dedotto vulnus  all'art.  3  Cost.  oppure
alla mancata individuazione,  all'interno  dell'ordinamento,  di  una
previsione sanzionatoria idonea a fungere da punto di riferimento nel
colmare la  lacuna  consequenziale  alla  eventuale  declaratoria  di
incostituzionalita' della norma.
    Da ambedue le prospettive, l'eccezione e', in ogni caso, priva di
pregio.
    Per un verso, infatti, si deve osservare che il  dedotto  difetto
di ragionevolezza discenderebbe, ad avviso del giudice a  quo,  dalla
intrinseca contraddittorieta' della norma censurata e che  l'asserita
disparita' di trattamento deriverebbe dalla equiparazione  tra  fatti
in assunto eterogenei ma  contemplati  dalla  medesima  disposizione:
sotto entrambi i profili, dunque, la  violazione  dell'art.  3  Cost.
emergerebbe da un confronto relazionale tutto  interno  all'art.  33,
comma 1, della legge n. 1096 del 1971, sicche' non e' necessario fare
ricorso a un tertium a essa esterno.
    Per altro verso, va  rilevato  che  il  rimettente  si  limita  a
chiedere una pronuncia caducatoria parziale, avente a oggetto il solo
limite  minimo  della  cornice  edittale,   all'esito   della   quale
rimarrebbe comunque applicabile la sanzione, rinvenibile  nell'ambito
del perimetro segnato dalla stessa disposizione denunciata, in misura
esclusivamente   proporzionale:   l'eventuale   accoglimento    delle
questioni  non  produrrebbe  quindi  una  lacuna  normativa   e   non
richiederebbe, di conseguenza, un intervento  sostitutivo  di  questa
Corte in ordine alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.
    4.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
    5.- La norma posta all'attenzione di questa  Corte  e'  contenuta
nella legge n. 1096 del 1971, che reca la  disciplina  dell'attivita'
sementiera e regola «la produzione a scopo di vendita e  la  vendita»
stessa di prodotti sementieri, per tali intendendosi «le  sementi,  i
tuberi, i bulbi, i rizomi e simili  destinati  alla  riproduzione  ed
alla moltiplicazione naturale delle piante» (art. 1, primo e  secondo
comma).
    Come  si  evince  dall'esame  dei  lavori   preparatori   (e   in
particolare dalla relazione  illustrativa  al  disegno  di  legge  di
iniziativa governativa, V legislatura, Atto Senato n. 784), la  legge
ha la finalita' di fornire  «agli  operatori  ed  ai  coltivatori  le
necessarie garanzie sul valore genetico delle sementi e dei materiali
di  moltiplicazione»,  nonche'  di  introdurre  una  «disciplina  dei
controlli e delle certificazioni concernenti le  sementi  ammesse  in
commercio». Cio' sul presupposto che «[l]e sementi  rappresentano  un
mezzo tecnico fondamentale per la produzione agricola ed  interessano
percio', oltre i singoli che le utilizzano,  anche  la  collettivita'
nazionale, in quanto dal loro valore  genetico  e  biologico  dipende
prevalentemente la piu' o meno qualificata  produzione  e  quindi  il
rendimento  unitario  delle  coltivazioni»;   sicche'   una   carente
disciplina   legislativa   avrebbe   determinato   «anche   sensibili
difficolta`   negli   scambi    internazionali,    con    inevitabile
deprezzamento  della  [...]  produzione  sementiera   e   conseguenze
commerciali ed economiche che non possono sottovalutarsi».
    In questa cornice si colloca, all'interno del Capo XI,  rubricato
«Vigilanza e sanzioni», l'art. 33, comma 1, che,  nella  formulazione
originaria, prevedeva l'irrogazione  di  una  multa  stabilita  nella
misura proporzionale di lire 20.000 per ogni quintale o  frazione  di
quintale di prodotti sementieri, ma comunque  non  inferiore  a  lire
100.000.
    Successivamente, con l'art. 3, comma 2, lettera c),  della  legge
n. 4 del 2011, il  legislatore  ha  sensibilmente  incrementato  tali
importi,  in  cio'  mosso,  non  solo   dall'evidente   esigenza   di
parametrarli all'attualita' e dall'obiettivo,  espresso  nell'incipit
della  disposizione  e  gia'  desumibile  dalla   teste'   menzionata
relazione illustrativa, «di valorizzare  le  produzioni  di  qualita'
italiane», ma anche dalla ulteriore necessita', parimenti manifestata
nell'esordio della norma che reca la novella, di «rafforzare l'azione
di repressione delle frodi alimentari».
    La disposizione e' censurata, come dianzi detto, nella  parte  in
cui stabilisce il limite minimo edittale di euro 4.000,00.
    6.- La violazione dell'art. 3  Cost.  e'  stata  prospettata,  in
particolare, sotto due profili.
    6.1.- Sotto quello della irragionevolezza intrinseca, la  lesione
dell'evocato    parametro    costituzionale     deriverebbe     dalla
contraddittorieta' interna alla norma: la  previsione  di  un  minimo
edittale disancorato dal peso dei prodotti oggetto  della  violazione
tradirebbe, infatti, la finalita', secondo il  rimettente  perseguita
dalla norma stessa, di modulare la gravita' della condotta, e  quindi
della risposta sanzionatoria, in misura esclusivamente proporzionale.
    6.1.1.- Il  giudice  a  quo  muove,  tuttavia,  da  un  postulato
erroneo.
    La tesi  del  rimettente  si  fonda,  in  sostanza,  sull'assunto
secondo cui lo scopo dell'art. 33, comma 1, della legge n.  1096  del
1971  sarebbe  quello  di  graduare  la   reazione   dell'ordinamento
unicamente  in  relazione  alle  quantita'  dei  prodotti  sementieri
oggetto delle condotte illecite. La norma sarebbe, in altri  termini,
finalizzata  soltanto  a   «calcolar[e]   matematicamente   su   base
quantitativa» la gravita' della violazione e, quindi, l'entita' della
risposta sanzionatoria, sicche' non sarebbe poi coerente prevedere un
limite minimo.
    Tale finalita' viene pero' desunta dalla arbitraria scomposizione
della  disposizione  censurata  e  dalla  valorizzazione,  in  chiave
interpretativa,  di  una  sola  delle  porzioni  normative  da   essa
espresse: quella in cui e' previsto  che  la  sanzione  consiste  nel
pagamento di una somma stabilita «in  misura  proporzionale  di  euro
40,00  per  ogni  quintale  o  frazione  di  quintale   di   prodotti
sementieri».
    Una esegesi non atomistica della norma, in  quanto  basata  sulla
considerazione della sua  ratio  complessiva,  conduce  invece  a  un
diverso risultato.
    Dopo aver dettato il descritto criterio proporzionale, l'art. 33,
comma 1, della legge n. 1096 del 1971 prosegue difatti precisando che
l'importo della sanzione deve essere «comunque [...] non inferiore  a
euro 4.000».
    La norma e' dunque strutturata in modo da prevedere una  sanzione
proporzionale che non puo', tuttavia, essere inferiore  a  un  limite
minimo.
    E'  pertanto  evidente  che  essa  considera   le   condotte   di
commercializzazione  vietate  come  connotate  in  se  stesse  da  un
disvalore intrinseco grave, tale, come si vedra', da meritare in ogni
caso («comunque») - a prescindere quindi dalla quantita' di  prodotti
sementieri che ne costituiscono l'oggetto - una sanzione  di  importo
minimo.
    Tale struttura sanzionatoria era del resto  propria  anche  della
versione antecedente  alla  novella  recata  dall'art.  3,  comma  2,
lettera c), della legge n. 4 del 2011: la norma, infatti,  se  da  un
canto determinava la sanzione  pecuniaria  in  misura  proporzionale,
dall'altro stabiliva che questa non potesse in ogni caso scendere  al
di sotto di un limite minimo.
    Con la  disposizione  denunciata,  la  lesivita'  degli  illeciti
sanzionati e' stata dunque valutata, contrariamente  all'assunto  del
rimettente, non soltanto in misura proporzionale alla  quantita'  dei
prodotti commercializzati, ma altresi'  alla  stregua  del  disvalore
proprio delle condotte, al quale e' stato ricollegato il minimo della
sanzione irrogabile.
    Milita, d'altro canto, in favore di  tale  conclusione  anche  la
modesta entita' dell'importo (euro 40,00 per quintale) fissato per il
calcolo proporzionale: e', infatti,  palese  che,  ove  la  finalita'
della norma fosse stata quella di correlare il rigore della sanzione,
come vorrebbe il giudice a quo, esclusivamente al peso  dei  prodotti
sementieri, tale importo non sarebbe stato quantificato in una  somma
di fatto pressoche' simbolica, il cui carico  afflittivo  si  sarebbe
rivelato  per  i  trasgressori  del  tutto   trascurabile,   con   il
conseguente - e  irragionevole  -  sostanziale  svuotamento  di  ogni
efficacia dissuasiva della norma stessa.
    6.1.2.- Alla luce dei rilievi che precedono, deve essere  esclusa
la contraddittorieta' dedotta dal  rimettente,  dal  momento  che  il
precetto normativo denunciato e' specificamente finalizzato  anche  a
introdurre una soglia minima di deterrenza in  relazione  a  condotte
ritenute in se stesse gravi.
    6.2.- La censura in esame e' destituita di fondamento anche sotto
l'altro profilo in cui e' articolata.
    Come chiarito, ad avviso del giudice a quo l'art. 3 Cost. sarebbe
violato in quanto il menzionato minimo edittale  si  risolverebbe  in
una  sanzione   sostanzialmente   fissa   che   punirebbe   in   modo
ingiustificatamente uguale violazioni connotate da un  diverso  grado
di lesivita': gli illeciti che hanno a oggetto modiche  quantita'  di
prodotti  sementieri  e  quelli  concernenti  quantita'  sino  a  100
quintali.
    Il vulnus deriverebbe pertanto dalla  identita'  del  trattamento
sanzionatorio riservato a fatti  in  assunto  eterogenei,  in  quanto
caratterizzati da un disvalore marcatamente differente a seconda  che
riguardino un quantitativo piu' o meno consistente di merce.
    6.2.1.- Tanto chiarito in merito al perimetro entro cui si muove,
sotto il profilo in esame, lo scrutinio sottoposto  a  questa  Corte,
occorre anzitutto premettere, in linea generale,  che,  ogniqualvolta
la legge preveda un limite minimo edittale, a questo potranno  essere
ricondotti una pluralita' di fatti e situazioni concrete che, secondo
dati di  comune  esperienza,  sul  piano  fenomenico  necessariamente
ammettono una molteplicita' di variabili; cio' e' tanto piu' evidente
ove, come nel caso di specie, le condotte vietate abbiano  a  oggetto
beni "dosabili".
    Una "quota di fissita'" della sanzione e'  dunque  connaturale  a
qualsiasi minimo edittale  e,  in  questa  prospettiva,  non  sarebbe
ragionevole pretendere, come in sostanza reputa il rimettente, che la
conformita'    al    paradigma    dell'eguaglianza    debba    essere
indefettibilmente verificata su una base meramente naturalistica.
    Del  resto,  anche  con  riguardo   a   sanzioni   amministrative
propriamente  fisse  questa  Corte  ha  in  passato  riconosciuto  la
legittima   esplicazione,   nel   limite    della    non    manifesta
irragionevolezza, della discrezionalita' di cui gode  il  legislatore
nell'individuazione  delle   condotte   punibili   e   dei   relativi
trattamenti     sanzionatori.     E'     stata     cosi'      esclusa
l'incostituzionalita' della sanzione della decurtazione dalla patente
di cinque punti in caso di mancato uso della  cintura  di  sicurezza,
«che [secondo il giudice a  quo  contrastava]  con  il  principio  di
necessaria gradualita' della pena, essendosi sempre ammesso, anche in
sede penale, che un trattamento sanzionatorio in misura fissa non  e'
di per se' contrario al principio di  ragionevolezza»  (ordinanza  n.
204 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n. 172 del 2003 e n.  282
del 2001).
    Tali considerazioni non escludono  che  previsioni  sanzionatorie
rigide,   come   quella    oggetto    dell'odierno    incidente    di
costituzionalita', che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano,
fatti in qualche misura differenti, debbano rispondere  al  principio
di ragionevolezza,  dovendo  tale  omologazione  trovare  un'adeguata
giustificazione: la giurisprudenza  costituzionale  piu'  recente  ha
infatti  precisato  come  il  principio,  in  origine  enunciato  con
riferimento alle sanzioni penali, «di proporzionalita' della sanzione
rispetto alla  gravita'  dell'illecito  sia  applicabile  anche  alla
generalita' delle sanzioni amministrative» (sentenza n. 112 del 2019;
nello stesso senso, sentenza n. 88 del 2019).
    Questa  Corte  e'  dunque  chiamata  a  verificare  se  anche  le
infrazioni meno gravi - segnatamente  sotto  l'aspetto  quantitativo,
sulla scorta delle argomentazioni  addotte  dal  rimettente  -  siano
connotate  da  un  disvalore  tale  da  non  rendere   manifestamente
irragionevole  o  sproporzionata  la   sanzione   amministrativa   di
ammontare pari a euro 4.000,00, nonostante la sua severita'.
    Verifica, questa, che va peraltro condotta anche  alla  luce  del
principio,    costantemente    affermato     dalla     giurisprudenza
costituzionale,  secondo  cui  la  determinazione   del   trattamento
sanzionatorio per le singole violazioni costituisce oggetto di  ampia
discrezionalita' legislativa, il cui esercizio puo' essere sindacato,
in sede di giudizio di costituzionalita',  solo  ove  si  traduca  in
scelte manifestamente irragionevoli o sproporzionate (ex plurimis, in
riferimento alle sanzioni amministrative, sentenza n. 115 del 2019).
    Nel caso di specie, malgrado il notevole incremento, rispetto  al
passato, del rapporto tra sanzione fissa e sanzione proporzionale che
risulta dalla  norma  impugnata  a  seguito  della  novella  disposta
dall'art. 3, comma 2, lettera c), della legge n.  4  del  2011,  deve
escludersi,  tenuto  conto   degli   interessi   tutelati,   che   la
discrezionalita' del legislatore si sia tradotta in una  omologazione
manifestamente irragionevole di fattispecie differenti, valicando  il
confine dell'arbitrarieta'.
    I divieti di commercializzazione di cui  all'art.  33,  comma  1,
censurato, infatti, mirano - attraverso la qualificata produzione dei
prodotti sementieri, la regolamentazione  della  loro  immissione  in
commercio  e  la  trasparenza  delle   informazioni   contenute   nei
cartellini e nelle etichette apposti  sugli  involucri  dei  prodotti
stessi  -  non  solo  a  garantire  il  migliore   rendimento   delle
coltivazioni e, in tal  modo,  una  produzione  agricola  di  elevata
qualita', ma anche  a  preservare  la  fiducia  degli  operatori  del
settore   nell'affidabilita'   delle    caratteristiche    e    della
"redditivita'" delle sementi, fiducia che ben potrebbe  essere  messa
in dubbio pure dalla  commercializzazione  di  modeste  quantita'  di
merce.
    Inoltre, se alcune specie di sementi, come quelle di erba  medica
oggetto del giudizio a quo, sono prevalentemente destinate  a  essere
utilizzate per produrre foraggio, con  la  conseguenza  che  le  loro
caratteristiche  incidono  altresi'  sull'allevamento,  altre,   come
quelle di cereali, possono essere  destinate,  direttamente  o  sotto
forma di derivati, all'alimentazione, sicche'  la  loro  qualita'  e'
suscettibile di incidere anche sulla tutela della salute.
    La stessa scelta, compiuta nel 2011, di inasprire la misura della
sanzione portata all'attenzione di questa  Corte  e'  stata  dettata,
come gia'  detto,  oltre  che  dalla  finalita'  di  «valorizzare  le
produzioni di qualita' italiane»,  anche  da  quella  di  «rafforzare
l'azione di repressione delle frodi alimentari»  (art.  3,  comma  2,
della legge n. 4 del 2011).
    In questa prospettiva, la severita' della sanzione censurata  non
e' manifestamente irragionevole o  sproporzionata,  alla  luce  dello
scopo di fissare una soglia minima funzionale a evitare  il  radicale
svilimento della capacita' deterrente  della  norma,  che  altrimenti
punirebbe le condotte di commercializzazione vietate con il pagamento
della irrisoria somma di euro 40,00 per quintale.
    Si deve dunque ritenere che,  in  virtu'  della  natura  e  della
particolare  rilevanza  degli  interessi  presidiati,  gli   illeciti
previsti dal censurato art. 33, comma 1, siano connotati,  anche  ove
abbiano a oggetto ridotte quantita' di  prodotti  sementieri,  da  un
disvalore intrinseco tale da rendere non manifestamente irragionevole
o  sproporzionata  la  determinazione  del  suddetto  limite   minimo
edittale; e cio' anche in considerazione del fatto che si  tratta  di
condotte  realizzate  generalmente  da  soggetti  che  esercitano  in
maniera non occasionale il commercio di detti prodotti.
    6.2.2.- Alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve  in
conclusione escludersi che la quantificazione operata dal legislatore
nell'esercizio della discrezionalita' che  gli  compete  in  sede  di
dosimetria sanzionatoria abbia superato il  confine  della  manifesta
irragionevolezza.
    7.- Ad avviso del giudice a  quo,  il  trattamento  sanzionatorio
minimo previsto dalla norma censurata recherebbe un  vulnus  altresi'
all'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,   compromettendo   la   funzione
rieducativa della pena.
    La  finalita'  rieducativa  imposta  dal   menzionato   parametro
costituzionale, che secondo il rimettente dovrebbe connotare anche le
sanzioni  amministrative,  sarebbe  difatti   frustrata   in   quanto
l'impianto sanzionatorio dettato dall'art. 33, comma 1,  della  legge
n. 1096 del 1971, come sostituito dall'art. 3, comma 2,  lettera  c),
della legge n. 4 del 2011, indurrebbe,  al  contrario,  a  commettere
violazioni piu' gravi e finirebbe, per altro verso, per sovvertire il
meccanismo proporzionale stabilito dalla norma stessa.
    7.1.- Anche questa censura, con  la  quale  peraltro  vengono  in
parte riproposti argomenti  gia'  addotti  a  sostegno  dell'asserita
violazione dell'art. 3 Cost., e' priva di  fondamento,  giacche'  nel
caso di specie viene in rilievo un illecito  amministrativo,  mentre,
per costante giurisprudenza  costituzionale,  l'art.  27  Cost.  deve
ritenersi riferibile, contrariamente all'assunto del giudice  a  quo,
alla sola responsabilita' penale e non pure a quella amministrativa.
    Questa  Corte  ha  difatti  affermato,  in  linea  generale,   la
«pertinenza esclusiva alle sanzioni propriamente penali» dell'art. 27
Cost. (sentenza n. 109 del 2017; nello stesso senso, ordinanze n. 286
del 2010 e n. 434 del 2007).  Peraltro,  l'estensione  alle  sanzioni
amministrative dei principi in materia di responsabilita'  penale  e'
stata esclusa anche con specifico riguardo alla finalita' rieducativa
prevista dal  terzo  comma  del  suddetto  art.  27  Cost.,  ritenuta
connessa alla pena in senso stretto, in quanto «privativa,  o  quanto
meno limitativa, della liberta' personale» (sentenza n. 112 del 2019;
nello stesso senso, sentenza n. 281 del 2013).
    8.- Secondo il rimettente, la norma denunciata lederebbe, infine,
l'art. 97 Cost.,  «nella  parte  in  cui  sancisce  il  principio  di
ragionevolezza nell'attivita' amministrativa».
    8.1.- L'espresso  riferimento  al  principio  di  ragionevolezza,
valutato unitamente al rilievo che a  fondamento  della  censura  non
sono state addotte autonome argomentazioni,  induce  a  ritenere  che
questa sia meramente "ancillare" rispetto  a  quelle  prospettate  in
riferimento all'art. 3 Cost., delle  quali  condivide,  pertanto,  la
sorte (sentenza n. 46 del 2014).
    Al pari della questione  inerente  alla  violazione  dell'art.  3
Cost.,  anche  quella  in  esame   deve,   conseguentemente,   essere
dichiarata infondata.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 33,  comma  1,  della  legge  25  novembre  1971,  n.  1096
(Disciplina dell'attivita' sementiera), come sostituito dall'art.  3,
comma 2, lettera c), della legge 3 febbraio 2011, n. 4  (Disposizioni
in materia di etichettatura e di qualita' dei  prodotti  alimentari),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e  97  della
Costituzione, dal Giudice di pace di Pisa con l'ordinanza indicata in
epigrafe.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2019.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Luca ANTONINI, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA

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