Corte d’Appello 2023- addotto inadempimento all'obbligo vaccinale contro il virus "Covid-19".
Corte d'Appello Milano Sez. lavoro, Sent., 03-11-2023
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI MILANO
SEZIONE LAVORO
composta dai magistrati
Dott.ssa Monica Vitali - Presidente
Dott.ssa Benedetta Pattumelli - Consigliere rel.
Avv.to Daniela Macaluso - Consigliere G.A.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza del Tribunale di MILANO n. 1599/2023, estensore giudice DOTT.SSA JULIE MARTINI, discussa all'udienza del 23.10.2023, e promossa da:
x
APPELLANTE
CONTRO
x
APPELLATA
I procuratori delle parti, come sopra costituiti, così precisavano le
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atto depositato il 13.7.2023, la x (di seguito, la "X") proponeva impugnazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, mediante la quale il TRIBUNALE di MILANO aveva dichiarato l'illegittimità della sospensione, dalla stessa disposta in data 13.5.2022 nei confronti dell'OSS X, per addotto inadempimento all'obbligo vaccinale contro il virus "Covid-19".
In particolare, il primo Giudice aveva preliminarmente rilevato la sopravvenuta riammissione in servizio della ricorrente dall'1.11.2022 con conseguente cessazione della materia del contendere in ordine alla relativa domanda.
Nel merito, era stato osservato nella sentenza come - pacificamente - T. avesse contratto il virus il 20 gennaio 2022 e fosse stata dichiarata guarita il 31 gennaio 2022, all'esito di tampone negativo, con conseguente rilascio del c.d. Green Pass, valido dal 31.1.2022 al 19 luglio 2022.
Su tali presupposti, il TRIBUNALE aveva affermato che, alla data del provvedimento di sospensione emesso il 13 maggio 2022, la dipendente non era tenuta a vaccinarsi, né avrebbe potuto farlo, secondo la disciplina all'epoca vigente, sino al 20 luglio 2022, avendo in precedenza ricevuto la somministrazione di due dosi vaccinali.
Secondo la pronuncia di primo grado, l'illegittimità della sospensione emergeva dalla normativa invocata dalla stessa datrice di lavoro, con particolare riguardo all'art. 8 D.L. n. 24 del 24 marzo 2022, nella versione applicabile ratione temporis, e alle note ministeriali del 17 febbraio 2022 e del 29 marzo 2022.
In base a tali fonti, proseguiva la motivazione, T. - avendo contratto l'infezione dopo il completamento di un ciclo primario di vaccinazione - avrebbe potuto effettuare la terza e ultima dose di vaccino dopo 120 giorni dalla data del test diagnostico positivo, come espressamente riconosciuto dalla stessa parte convenuta.
Il TRIBUNALE aveva, pertanto, rilevato come l'impugnato provvedimento di sospensione fosse stato illegittimamente adottato anteriormente alla scadenza del citato termine, decorso nel caso di specie a partire dal 22.1.2022.
Per l'effetto, la X era stata condannata a pagare alla ricorrente in primo grado tutte le retribuzioni maturate dalla sospensione sino al ripristino del rapporto di lavoro nonchè, in ragione della soccombenza, a rifonderle le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.600,00, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA.
Con un primo, articolato motivo di gravame l'appellante contestava l'impossibilità per la dipendente di vaccinarsi fino al compimento del suddetto termine di 120 giorni, a suo avviso affermata dal TRIBUNALE in assenza di alcun appiglio normativo.
Veniva, in proposito, richiamato nell'atto di appello il disposto dell'art. 8 D.L. n. 24 del 24 marzo 2022, secondo cui, in caso di intervenuta guarigione, l'Ordine professionale doveva disporre la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine durante il quale la vaccinazione era stata differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della Salute.
Nell'ottica del gravame, l'operatore sanitario, quand'anche in possesso di green pass, doveva comunque sottoporsi a vaccinazione, una volta decorsi i termini previsti dal legislatore e dalle circolari ministeriali, pari a "120 giorni dalla data del test diagnostico positivo".
In secondo luogo, il TRIBUNALE avrebbe errato nel limitarsi a dichiarare l'integrale illegittimità della sospensione, solo perché adottata - per "un errore nel conteggio" - 7 giorni prima del decorso del citato termine di 120 giorni.
Ad avviso della X, che a propria discolpa evidenziava di avere "oltre 2000 dipendenti", l'erronea anticipazione del provvedimento avrebbe potuto - al più - rendere illegittimo il provvedimento datoriale limitatamente al periodo intercorso dal 13 al 20 maggio 2022, avendo la dipendente pacificamente omesso di vaccinarsi anche dopo tale data.
Pertanto, l'appellante chiedeva che la Corte d'Appello, in riforma della gravata sentenza, respingesse le domande proposte in primo grado da T., condannandola alla restituzione delle somme versate in esecuzione della stessa, con il favore delle spese di entrambe le fasi processuali.
L'appellata resisteva mediante memoria depositata l'11.10.2023, eccependo preliminarmente l'inammissibilità delle domande avversarie di limitazione temporale della declaratoria di illegittimità della sospensione, in quanto nuova, e di restituzione delle retribuzioni maturate durante la stessa, poiché erogate in esecuzione dell'ordinanza cautelare e oggetto di espressa riserva di separata azione giudiziale; nel merito, la stessa chiedeva il rigetto dell'impugnazione, della quale contestava integralmente la fondatezza, e la conferma della sentenza impugnata, con il favore delle spese.
All'udienza del 23.10.2023, la causa veniva decisa come da dispositivo in calce trascritto.
L'impugnazione è solo in parte fondata e merita, pertanto, accoglimento entro i limiti ed in virtù dei motivi di seguito esposti.
All'esame delle questioni oggetto del gravame giova premettere una sintesi della vicenda per cui è causa, nei passaggi rilevanti ai fini della decisione.
T., dipendente della X appellante in qualità di OSS, riceveva le prime due dosi del vaccino contro il COVID-19 il 23 marzo ed il 31 maggio 2021, ma non si sottoponeva alla terza dose, c.d. "booster" (doc. 6 ric. cautelare).
Il 21.1.22, l'odierna appellata risultava positiva al virus.
Il 31.1.22, a seguito dell'accertata guarigione, le veniva rilasciata la certificazione c.d. green pass, con le diciture "valida in U.E. fino alla data di fine validità" (fissata al 20.7.22) e "valida in Italia dalla data di inizio validità senza necessità di ulteriori dosi di richiamo" (doc. 7 bis ric. cautelare).
Il 13.5.22, la X datrice di lavoro la sospendeva per inadempimento dell'obbligo vaccinale.
Con decorrenza dal 1.11.22, T. veniva riammessa in servizio (previo breve periodo di aspettativa retribuita) in seguito all'entrata in vigore del D.L. n. 162 del 2022 che aveva abrogato l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie (doc. 4, conv. I gr.).
Avendo il TRIBUNALE ritenuto la sospensione prematura rispetto alla data di esigibilità della terza dose di vaccino , l'appellante ne ha (fra l'altro) invocato la limitazione temporale alla sola epoca successiva, decorsa a partire dal 21.5.2022, 120 giorno successivo all'infezione.
Tanto premesso, vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità, avanzate dall'appellata nella propria memoria difensiva.
La novità della richiesta di riduzione del periodo di legittima sospensione non riveste, ad avviso della Corte, la portata preclusiva sostenuta da T., essendo compresa nell'originaria opposizione all'azione avversaria e vertendo il giudizio sul rapporto di lavoro nel suo complessivo svolgimento anziché sulla mera legittimità dell'atto datoriale nel momento della sua emanazione, come vorrebbe invece l'odierna appellata.
L'eccepito carattere di novità difetta altresì nella domanda restitutoria, avanzata dalla X con riguardo alle retribuzioni erogate in ragione della dichiarata illegittimità della sospensione.
Per pacifica giurisprudenza "la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, in quanto conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello" (così, da ultimo, Cass. 21.8.2023, n. 24896; conf. Cass. 29.10.2020, n. 23972, secondo cui detta restituzione "può anche essere disposta d'ufficio dal giudice"; Cass. 24.5.2019, n. 14253; Cass. ord. 21.11.2019, n. 30495).
Né vale, in contrario, affermare che il pagamento sia avvenuto in esecuzione dell'ordinanza cautelare, emessa ante causam, e non già della sentenza di primo grado.
Se, infatti, è vero che le retribuzioni maturate durante la sospensione sono state corrisposte il 3.10.2022 ed il 1.12.2022 (doc. 3 conv. I gr.), prima dell'emanazione della sentenza, avvenuta il 4.5.2023, è - tuttavia - evidente come solo quest'ultima abbia definito il merito della controversia con la relativa pronuncia di condanna, la cui invocata riforma determina l'obbligo restitutorio in capo alla destinataria delle provvisorie erogazioni.
Trova, quindi, piena applicazione al caso di specie il richiamato principio giurisprudenziale, cui il Collegio intende uniformarsi considerandolo del tutto condivisibile.
Tanto premesso, ritiene la Corte che il gravame sia fondato limitatamente al periodo di sospensione successivo alla data del 21.5.2022, prima della quale la sottoposizione della dipendente alla terza dose di vaccino non era esigibile.
E’ noto, infatti, come l'art. 8 D.L. del 24 marzo 2022, n. 24, prevedesse che, in caso di intervenuta guarigione, la sospensione stabilita dall'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 (come modificato e successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), D.L. 26 novembre 2021, n. 172) cessasse "sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della Salute".
La fonte secondaria, oggetto del rinvio operato dalla citata disposizione, va individuata - restando irrilevante la formale denominazione - nella nota ministeriale del 29.3.2022, con cui si stabiliva che "la somministrazione di un vaccino anche al fine dell'adempimento dell'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario non puòritenersi esigibile (…) per 120 giorni dalla data del test diagnostico positivo in caso di infezione successiva al completamento di un ciclo primario".
Contrariamente a quanto sostenuto dall'appellata, non appare, invece, pertinente la circolare n. 0032884-21/07/2021- DGPRE-DGPRE-P, mediante la quale il Ministero della Salute ammetteva che fosse "possibile considerare la somministrazione di un'unica dose di vaccino anti-SARSCoV- 2/COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione".
La stessa riguarda, all'evidenza, ipotesi del tutto differenti dal caso di specie, nel quale non si tratta dell'eventuale somministrazione di "un'unica dose di vaccino " ai soggetti con pregressa infezione, bensì dei tempi di sottoposizione alla terza dose da parte di chi - ricevute le prime due - abbia successivamente contratto il virus.
La circolare da ultimo citata, inoltre, non prevede alcun termine dilatorio - come richiesto dal D.L. n. 24 del 2022 (riguardante appunto il "termine in cui la vaccinazione è differita") - bensì, all'opposto, un termine anticipatorio, pari a 6 o al massimo 12 mesi dalla guarigione, "entro" (e non già dopo) il quale eseguire l'ipotizzata unica dose.
In nessun modo, pertanto, detta circolare può integrare la fonte primaria rilevante ai fini della decisione - il citato art. 8 D.L. n. 24 del 2022 - laddove questa prevede la cessazione della sospensione durante il lasso temporale di attesa per la somministrazione del vaccino successivo alla guarigione.
Altrettanto inconferente risulta il richiamo, compiuto dall'appellante, alla disciplina del c.d. green pass, con specifico riguardo all'art. 9 comma 4 bis D.L. 22 aprile 2021, n. 52, conv. Con mod. in L. 17 giugno 2021, n. 87, introdotto con L. 4 marzo 2022 n. 18, secondo il quale: "a coloro che sono stati identificati come casi accertati positivi al Sars Cov -2 a seguito del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della relativa dose di richiamo è rilasciata altresì la certificazione verde Covid- 19 di cui al comma 2 lettera c) bis che ha validità a decorrere dalla avvenuta guarigione senza necessità di ulteriori dosi di richiamo".
Trattasi, infatti, di disposizione volta a regolare, in via generale, la distinta materia del rilascio e della validità della citata certificazione, come tale inidonea a modificare la precedente norma di carattere speciale, applicabile al caso di specie, concernente l'obbligo vaccinale imposto agli "esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario", a pena di "immediata sospensione" dalle relative prestazioni.
La disciplina così ricostruita evidenzia, ad avviso della Corte, la legittimità della sospensione limitatamente all'epoca successiva alla scadenza del citato termine di 120 giorni e, pertanto, a far tempo dal 22.5.2022, senza che rilevi - in senso contrario - la mancata adozione di alcun ulteriore provvedimento tramite la prevista procedura, la quale, come già affermato da questa Corte con sentenza n. 218/2023 (Pres. Est. VITALI), "non ha efficacia costitutiva, ma dichiarativa, in quanto volta ad accertare l'inadempimento all'obbligo vaccinale da parte del personale che ne era tenuto".
Tale precedente, condiviso dal Collegio e qui richiamato ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., ha altresì negato il contrasto delle prescrizioni vaccinali con i principi costituzionali e sovranazionali, prospettato in questa sede dall'odierna appellata.
Nella citata pronuncia è stato al riguardo affermato:
"per quanto riguarda gli aspetti di incostituzionalità dell'obbligo vaccinale a carico del personale sanitario e parasanitario operante presso strutture residenziali ospitanti soggetti fragili e di contrarietà al diritto eurounitario ed internazionale illustrati nel secondo motivo di impugnazione - … - decisivo ed assorbente è l'intervento sul punto della Corte Costituzionale. Con la sentenza 9 febbraio 2023 n.15 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 bis comma 1 e dell'art. 4 commi 1, 4 e 5 del D.L. n. 44 del 2021, come convertito - come modificati dal D.L. n. 172 del 2021, come convertito, e dal D.L. 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella L. 19 maggio 2022, n. 52 - sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., nonché le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 comma 7 del D.L. n. 44 del 2021, come convertito - come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b) del D.L. n. 172 del 2021, come convertito, nonché come richiamato dall'art. 4 ter comma 2, del medesimo D.L. n. 44 del 2021 - sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., e, infine, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 ter comma 4, e 4 comma 5 del D.L. n. 44 del 2021 - come convertito, il secondo come modificato dall'art. 1 comma 1 lettera b) del D.L. n. 172 del 2021 - sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 II comma Cost., da vari tribunali in funzione di giudici del lavoro. Per quanto qui rileva, in rapporto alle questioni oggetto di gravame, i giudici delle leggi così hanno motivato la decisione che si richiama: "il contemperamento del diritto alla salute del singolo (comprensivo del profilo negativo di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con l'interesse della collettività costituisce il contenuto proprio dell'art. 32 Cost. (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990) e rappresenta una specifica concretizzazione dei doveri di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., nella quale si manifesta "la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente" (sentenza n. 75 del 1992). E la sentenza n. 218 del 1994 ha avuto modo di affermare che la tutela della salute implica anche il"dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari". 10.3.1.- Le misure approntate dal legislatore non possono, nel caso di specie, non essere valutate tenendo conto della situazione determinata da "un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari" (sentenza n. 37 del 2021). (…) Può quindi affermarsi che le disposizioni qui censurate hanno operato un contemperamento del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività. L'estensione dell'obbligo vaccinale ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie (le quali vengono in rilievo nel giudizio a quo, potendosi comunque riferire la medesima valutazione a tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private) ha costituito, in tale prospettiva, attuazione dell'art. 32 Cost., inteso quest'ultimo come comprensivo del dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, prevenendo il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 in danno delle categorie più fragili. E si è trattato di decisione idonea allo scopo che il legislatore si era prefisso, in quanto l'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari ha consentito di perseguire, oltre che la tutela della salute di una delle categorie più esposte al contagio, "il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l'interruzione di servizi essenziali per la collettività" (sentenza n. 268 del 2017). In particolare, era necessario assumere iniziative che, nel loro complesso, consentissero di proteggere la salute dei singoli e, ad un tempo, di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione per la mancanza di operatori sanitari. In proposito, è agevole rilevare che il contagio subito dal personale sanitario ha ricadute non solo sulla salute dei singoli, potendo dallo stesso derivare la compromissione del funzionamento del servizio sanitario nazionale in un periodo in cui, come visto, era indispensabile poter su di esso fare affidamento per assicurare cure adeguate ad una imprevedibile quantità di malati. (…) 11.3.- Non può certamente ritenersi che la previsione, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e sociosanitarie, dell'obbligo di sottoporsi a test diagnostici dell'infezione da SARS-CoV-2 con una elevata frequenza, anziché al vaccino , costituisca un'alternativa idonea ad evidenziare la irragionevolezza o la non proporzionalità della soluzione prescelta dal legislatore. Invero, la soluzione alternativa proposta dal rimettente è stata utilizzata in ambiti più generali, per l'accesso ai luoghi pubblici da parte di persone non appartenenti a categorie soggette a vaccinazione obbligatoria. Tuttavia, non può non considerarsi, innanzitutto, che, nel caso degli operatori sanitari, tale soluzione sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire lamalattia (specie grave) degli stessi operatori, con il conseguente rischio di compromettere il funzionamento del servizio sanitario nazionale. Inoltre, l'effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza particolarmente ravvicinata (e cioè ogni due o tre giorni) avrebbe avuto costi insostenibili e avrebbe comportato uno sforzo difficilmente tollerabile per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia (in tal senso vedi anche le considerazioni contenute nella sentenza n. 14 del 2023). (…) Non appare perciò irragionevole la scelta legislativa di estendere l'obbligo vaccinale ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, e, in genere, ai lavoratori del settore della sanità, per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti ed evitato di propendere per l'opzione alternativa (…) di prescrivere la sottoposizione dei lavoratori di tale comparto a periodici test molecolari o antigenici per la rilevazione di SARS-CoV-2. 11.4.- La decisione del legislatore risulta altresì non sproporzionata. La conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo è rappresentata dalla sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, che è destinata a venire meno in caso di adempimento dell'obbligo e, comunque, per la cessazione dello stato di crisi epidemiologica. Il correlato sacrificio del diritto dell'operatore sanitario non ha la natura e gli effetti di una sanzione (come di seguito si chiarirà ai punti 12.1. e 14.4.), non eccede quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, è stato costantemente modulato in base all'andamento della situazione sanitaria e si rivela altresì idoneo e necessario a questo stesso fine. 11.5.- Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, deve essere dichiarata non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 bis comma 1 e 4 commi 1, 4 e 5, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito e successivamente modificato. 12.- La questione è altresì non fondata con riferimento agli artt. 4 e 35 Cost. 12.1.- All'inosservanza dell'obbligo vaccinale, la legge impositiva dello stesso attribuisce rilevanza meramente sinallagmatica, cioè solo sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, quale evento determinante la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative che comportassero, in qualsiasi altra forma e in considerazione delle necessità dell'ambiente di cura, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Essendo la vaccinazione elevata dalla legge a requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati, il datore di lavoro, messo a conoscenza della accertata inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è stato tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale, ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale o comunque fino al termine stabilito dalla stessa legge. In tal senso, la sospensione del lavoratore non vaccinato, prevista dalla disposizione censurata, è in sintonia con l'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 del codice civile e dall'art. 18 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81(Attuazione dell'articolo 1 della L. 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), con valenza integrativa del contenuto sinallagmatico del contratto individuale di lavoro. Avendo riguardo alla posizione dei lavoratori, la vaccinazione anti SARSCoV-2 ha, a sua volta, ampliato il novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall'art. 20 del D.Lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività. 12.2.- Il diritto fondamentale al lavoro, garantito nei principi enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost., avuto riguardo al dipendente che abbia scelto di non adempiere all'obbligo vaccinale, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall'art. 32 Cost., non implica necessariamente il diritto di svolgere l'attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. Non è dunque in discussione il diritto del lavoratore, esercente una professione sanitaria o operatore di interesse sanitario, o impiegato in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie, che non abbia inteso assolvere all'obbligo vaccinale, di rendere la propria prestazione lavorativa. È piuttosto da verificare se il legislatore, disponendo la sospensione del lavoratore dal servizio fino all'assolvimento di detto obbligo, o fino al completamento del piano vaccinale nazionale, o ancora fino al termine stabilito dalla stessa normativa, pur nell'ampio margine di apprezzamento di cui dispone al fine di dettare i tempi ed i modi del bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4, 32 e 35 Cost., abbia trascurato il rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenze n. 125 del 2022, n. 59 del 2021 e n. 194 del 2018). Il che, per le ragioni esposte (supra, punti 11.1. e seguenti), deve escludersi. (…) Connotandosi la vaccinazione come "requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati", la mancata sottoposizione ad essa ha dato luogo a una sopravvenuta provvisoria impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative comportanti il rischio di diffusione del contagio. Il datore di lavoro, venuto a conoscenza della inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è stato vincolato ad adottare il provvedimento di sospensione dal servizio. 13.4.-A fronte dell'iniziale soluzione prescelta nella versione originaria dell'art. 4, comma 8, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito, che onerava il datore di lavoro ad adibire, "ove possibile, a mansioni, anche inferiori", purché diverse da quelle che implicassero contatti interpersonali o comportassero il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, a seguito della modifica introdotta dal D.L. n. 172 del 2021, come convertito, sulla base dei dati prodotti dall'ISS nel novembre 2021, il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro, nei rapporti riguardanti lavoratori esercenti le professioni sanitarie o operatori di interesse sanitario, o impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie (a differenza di quanto stabilito per il personale docente ed educativo della scuola), uno sforzo di cooperazione volto alla utilizzazione del personaleinadempiente in altre mansioni, mediante adozione di diverse modalità di esecuzione delle rispettive prestazioni lavorative. La disciplina censurata poggia, quindi, sull'evidente presupposto che per i menzionati comparti lavorativi, con riferimento ai quali la legge ha avvertito la speciale esigenza di mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, ovvero di servizi svolti a contatto con persone in situazione di fragilità, non poteva obbligarsi il datore di lavoro ad adibire i soggetti che non avessero inteso vaccinarsi a mansioni comunque idonee ad evitare il rischio di diffusione del contagio da SARSCoV-2, come è invece richiesto dall'art. 4, comma 7, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito, per i soggetti che avessero dovuto omettere o differire la vaccinazione in ragione di un accertato pericolo per la salute. La disposizione censurata si fonda sul rilievo che un più ampio dovere datoriale di cosiddetto repêchage, quale quello auspicato dai rimettenti, non fosse compatibile con le specificità di tali organizzazioni aziendali, se non al rischio di mettere in pericolo la salute del lavoratore stesso, degli altri lavoratori e dei terzi, portatori di interessi costituzionali prevalenti sull'interesse del dipendente di adempiere per poter ricevere la retribuzione. Le disposizioni censurate hanno escluso, cioè, l'opportunità di addossare al datore un obbligo generalizzato di adottare accomodamenti organizzativi, non ravvisando, in rapporto alle categorie professionali in esame, le condizioni della fungibilità e della sia pur parziale idoneità lavorativa residua del dipendente non vaccinato, condizioni sempre necessarie, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, per giustificare la permanenza di un apprezzabile interesse datoriale a una diversa prestazione lavorativa. 13.5.- È vero, del resto, che la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto. Parimenti, poiché il datore di lavoro può eccepire l'inosservanza dell'obbligo di sicurezza da parte del lavoratore e pertanto rifiutarsi di ricevere la sua prestazione fino a quando questi non provveda a vaccinarsi, neppure egli è stato costretto dal legislatore ad adeguare la propria organizzazione per assegnare al dipendente mansioni che non comportassero il rischio di contagio da SARS-CoV-2; ciò tanto più comprensibilmente nel contesto di quegli specifici comparti normativamente selezionati per la particolare incidenza del fine di tutela della salute pubblica e del mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione dei rispettivi servizi, svolti a contatto consoggetti in situazione di fragilità. (…) Il bilanciamento dei principi sottesi agli artt. 4, 32 e 35 Cost., realizzato dal legislatore nella individuazione dei tempi e dei modi della vaccinazione, risulta perciò esercitato negli artt. 4, comma 7, e 4-ter, comma 3, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito, in modo non irragionevole. (…) Il diverso trattamento normativo cui sono soggetti i lavoratori esercenti le professioni sanitarie o operatori di interesse sanitario, o impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, è giustificato dal maggior rischio di contagio sia per se stessi che per le persone particolarmente fragili in relazione al loro stato di salute o all'età avanzata; e ciò costituisce ragione sufficiente per regolare diversamente le conseguenze della mancata sottoposizione a vaccinazione rispetto a lavoratori, quali quelli occupati negli istituti scolastici, che rendono le loro prestazioni in situazioni non omogenee, così come rispetto a lavoratori che siano esentati dalla vaccinazione per motivi di salute".
Nello stesso senso, questa Corte si è successivamente pronunciata con sentenza n. 236/2023 (Pres. Est. M.).
All'orientamento, così formatosi, il Collegio ritiene di dare continuità, per la sua conformità ai principi fondamentali dell'ordinamento, come interpretati dalla Consulta nella citata decisione.
Va in proposito ricordato che "la sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio, in quanto il riferimento ai precedenti conformi contenuto nell'art. 118 disp. att. c.p.c. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell'ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile" (Cass. n. 17640/2016; conf. Cass. Ord. 20.10.2021, n. 29017).
Le motivazioni, poste a base della medesima pronuncia della Corte Costituzionale, consentono di superare anche i rilievi dell'appellata in ordine all'affermato contrasto della disciplina nazionale con la CEDU, sotto gli specifici profili dell'efficacia del vaccino ; della proporzionalità dell'ingerenza nella vita privata del cittadino e della sanzione prevista in caso di non osservanza dell'obbligo vaccinale, nonché del divieto di discriminazione al fine del godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione medesima.
Con particolare riguardo al primo di tali aspetti (essendo gli altri già trattati nei passi sopra riportati), giova rammentare come la Consulta, nella citata pronuncia n. 15/2023, abbia così argomentato:
"non va dimenticato che la connotazione medico-scientifica degli elementi in base ai quali il legislatore deve operare le proprie scelte non esclude la sindacabilità delle stesse da parte di questa Corte (sentenza n. 282 del 2002), ma il sindacato riguarda, in tal caso, la coerenza della disciplina con il dato scientifico posto a disposizione, oltre che la nonirragionevolezza e la proporzionalità della disciplina medesima. 8.2.− Questa Corte accerta, innanzitutto, se il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, si sia tenuto all'interno di un'area di attendibilità scientifica, alla luce delle migliori conoscenze raggiunte in quel momento storico, quali definite dalle autorità medico-scientifiche istituzionalmente preposte. Ciò che la Corte può e deve verificare, pertanto, è, innanzitutto, se la scelta del legislatore di introdurre l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della L. n. 43 del 2006, anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia suffragata e coerente, o meno, rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza n. 5 del 2018), quali tratte dagli organismi nazionali e sovranazionali istituzionalmente preposti al settore. E in questa scelta, come già affermato da questa Corte, "la tempestività della risposta all'evoluzione della curva epidemiologica è fattore decisivo ai fini della sua efficacia" (sentenza n. 37 del 2021). Dover effettuare una scelta tempestiva comporta che essa venga fatta, necessariamente, allo stato delle conoscenze scientifiche del momento e nella consapevolezza della loro fisiologica provvisorietà. Del resto, tutte le volte che una decisione implichi valutazioni tecnico-scientifiche, il legislatore sceglie tra le possibili opzioni che la scienza offre in quel momento storico. E la scelta tra le possibili opzioni, che inevitabilmente racchiudono una intensità diversa e quindi un diverso grado di limitazione dei diritti, è esercizio di discrezionalità politica che, nei limiti della sua ragionevolezza e proporzionalità, non può essere sostituita da una diversa scelta di questa Corte. D'altro canto, è innegabile che ogni legge elaborata sulla base di conoscenze medico-scientifiche è per sua natura transitoria, perché adottata allo stato delle conoscenze del momento e destinata ad essere superata a seguito dell'evoluzione medico-scientifica. E però, di contro, proprio perché il legislatore deve esercitare la propria discrezionalità sulla base delle conoscenze medico-scientifiche fornite dalle autorità di settore al momento dell'assunzione della decisione, è fondamentale una piena valorizzazione della "dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario" (sentenza n. 5 del 2018). Come chiarito già in passato da questa Corte, un intervento non irragionevole alla luce delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche in atto non esclude, e anzi impone, che, mutate le condizioni, la scelta possa (e debba) essere rivalutata e riconsiderata. La disciplina, dunque, può e deve mutare in base all'evoluzione della situazione sanitaria che si fronteggia e delle conoscenze scientifiche acquisite. La genetica e originaria transitorietà della disciplina, così come la previsione di elementi di flessibilizzazione e monitoraggi che consentano l'adeguamento delle misure all'evoluzione della situazione di fatto che è destinata a fronteggiare, sono elementi che incidono sulla verifica della legittimità costituzionale della normativa (sentenza n. 5 del 2018). Sul punto, si evidenzia sin d'ora che l'art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, come convertito, ha subíto nel tempo diverse modifiche, in relazione tanto alle conseguenzelegate all'inadempimento dell'obbligo vaccinale, quanto, soprattutto, all'individuazione della durata dell'obbligo. E anzi, è l'intera disciplina relativa alla gestione della pandemia ad aver subito continue modifiche in risposta all'evoluzione della situazione sanitaria nonché delle conoscenze mediche. Basti pensare alle limitazioni imposte alla libertà di circolazione, al diritto allo studio e all'esercizio delle attività produttive e lavorative, che sono state nel tempo modificate e infine revocate, sempre sulla base dell'andamento della situazione epidemiologico-sanitaria e dell'evoluzione degli strumenti offerti dalla scienza medica per fronteggiarla. In particolare, per quanto qui di più stretto interesse, la disposizione censurata, nella sua versione originaria (oggetto della questione in esame), prevedeva una precisa scadenza dell'obbligo vaccinale, fissata al 31 dicembre 2021. Tale termine è stato più volte modificato, proprio in base all'andamento dei contagi e all'evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre 2022, per poi essere infine anticipato (rispetto a quest'ultima data) al 1 novembre 2022. Siffatta anticipazione è stata disposta con il D.L. n. 162 del 2022, come convertito, in considerazione, per quanto si legge nel preambolo dello stesso, "dell'andamento della situazione epidemiologica che registra una diminuzione dell'incidenza dei casi di contagio da COVID-19 e una stabilizzazione della trasmissibilità sebbene al di sopra della soglia epidemica e della necessità di riavviare un progressivo ritorno alla normalità nell'attuale fase post pandemica, nella quale l'obiettivo da perseguire è il controllo efficace dell'endemia". A ciò si aggiunga che, con specifico riferimento al sistema di monitoraggio per le reazioni conseguenti ai vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, da un lato sono stati predisposti specifici monitoraggi sull'andamento epidemiologico da parte del Ministero della salute (secondo quanto previsto dal D.P.C.M. 26 aprile 2020, recante "Ulteriori disposizioni attuative del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale", rispetto al quale si segnala in particolare il decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020, recante "Adozione dei criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario di cui all'allegato 10 del D.P.C.M. del 26 aprile 2020"; dall'altro, sono state attuate le relative attività di sorveglianza da parte dell'AIFA con cadenza trimestrale, che confluiscono in rapporti concernenti tutti i dati sulle reazioni determinate dalla somministrazione dei vaccini. 9.- Tanto premesso, dunque, sul costante adeguamento della disciplina in esame all'andamento della situazione epidemiologico-sanitaria e all'evoluzione delle conoscenze medico-scientifiche, è opportuno procedere a un'analisi, sia pur di tipo sintetico, di queste ultime. Infatti, come detto, il sindacato richiesto a questa Corte presuppone di verificare se il legislatore - utilizzando il dato medico-scientifico posto a disposizione dalle autorità di settore - si sia mantenuto in un'area di "attendibilità scientifica" e se abbia assunto una decisione non irragionevole nonché idonea e non sproporzionata rispetto alla finalità perseguita. 10.- Per far ciò occorreconfrontarsi, innanzitutto, con i contributi elaborati dall'AIFA, dall'ISS, dal Segretariato generale del Ministero della salute, dalla Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute e dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria, tutti depositati dall'Avvocatura generale dello Stato in allegato all'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. 10.1.- Il principale dato medico-scientifico garantito dalle autorità istituzionali nazionali ed europee, preposte al settore, è costituito, fin dal momento dell'adozione della disposizione censurata e a tutt'oggi, dalla natura non sperimentale del vaccino e dalla sua efficacia, oltre che dalla sua sicurezza. 10.2.- Relativamente ai primi due profili - che lo stesso giudice rimettente sostanzialmente non contesta - convergono le conclusioni dell'AIFA, dell'ISS e del Segretariato generale del Ministero della salute. Viene innanzitutto attestato che i "vaccini anti COVID-19 non possono in alcun modo considerarsi sperimentali", poiché "i vaccini attualmente in uso nella campagna vaccinale in Italia … sono vaccini regolarmente immessi in commercio dopo aver completato l'iter per determinarne qualità, sicurezza ed efficacia" (così, testualmente, la nota dell'ISS sopra menzionata, pagina 2). Come attestato più dettagliatamente dall'AIFA, tali vaccini sono oggetto di autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate (CMA), sulla base di un protocollo preesistente e già utilizzato in passato in ambito europeo per una serie di medicinali destinati a soddisfare un elevato bisogno terapeutico insoddisfatto (così la nota dell'AIFA sopra menzionata, pagina 9). Ciò posto, l'Unione europea ha quindi ritenuto che, a fronte di minacce gravi per la salute pubblica, quale è senz'altro la pandemia, la scelta tecnica di ricorrere alla CMA rappresentasse la scelta migliore al fine di garantire la tutela della salute. E ciò in quanto "questa autorizzazione certifica che la sicurezza, l'efficacia e la qualità dei medicinali autorizzati, nel caso specifico del vaccino , sono comprovate e che i benefici sono superiori ai rischi" (pagina 8 della nota dell'AIFA). Sempre secondo quanto attestato dall'AIFA, nessuna delle fasi dello sviluppo pre-clinico e clinico (test di qualità, valutazione dell'efficacia e del profilo di sicurezza) dei vaccini è stata omessa e il numero dei pazienti coinvolti negli studi clinici è lo stesso di quello relativo a vaccini sviluppati con tempistiche standard. È stato infatti possibile "affiancare temporalmente le diverse fasi di sviluppo clinico e di arruolare negli studi di fase 3 un numero molto elevato (decine di migliaia) di partecipanti" (pagina 10 della nota dell'AIFA). Sull'efficacia della vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 si sofferma l'ISS, esponendo che "la vaccinazione anti-COVID-19 costituisce una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno dimostrato l'elevata efficacia dei vaccini anti-COVlD-19 disponibili ad oggi, sia nella popolazione generale sia in specifici sottogruppi di categorie a rischio, inclusi gli operatori sanitari" (pagine 2 e 3 della nota dell'ISS). Al di là della fisiologica eterogeneità delle risposte immunitarie dei singoli individui e della maggiore capacità della variante Omicron di eludere l'immunità rispetto alle varianti precedenti, viene attestato che "la protezione rimane elevataspecialmente nei confronti della malattia severa o peggior esito" (pagina 3 della nota dell'ISS). L'ISS chiarisce, inoltre, che "anche se l'efficacia vaccinale non è pari al l00%, ma del resto nessun vaccino ha una tale efficacia, l'elevata circolazione del virus SARS-CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile" (pagina 5 della nota dell'ISS). 10.3.- Quanto al profilo della sicurezza, l'AIFA, come sopra riportato, sostiene con chiarezza che la CMA "certifica che la sicurezza, l'efficacia e la qualità dei medicinali autorizzati, nel caso specifico del vaccino , sono comprovate e che i benefici sono superiori ai rischi". Inoltre - affrontando specificamente le criticità segnalate dal Collegio rimettente - l'Agenzia attesta l'assoluta attendibilità del sistema di raccolta dati, basato sulla farmacovigilanza passiva (pagine da 16 a 23 della nota dell'AIFA), e, soprattutto, evidenzia la differenza tra "segnalazioni di eventi avversi dopo vaccini anti-COVID-19" e "analisi del segnale" (pagine da 23 a 25 della nota dell'AIFA). Alla base della segnalazione dell'evento avverso vi è infatti il solo criterio temporale, il quale, tuttavia, è condizione necessaria ma non sufficiente a stabilire un nesso causale fra vaccinazione ed evento (pagine da 23 a 25 della nota dell'AIFA). Secondo le conclusioni esposte, "la maggior parte delle reazioni avverse ai vaccini sono non gravi e con esito in risoluzione completa. Le reazioni avverse gravi hanno una frequenza da rara a molto rara e non configurano un rischio tale da superare i benefici della vaccinazione. Non è stato inoltre osservato alcun eccesso di decessi a seguito di vaccinazione e il numero di casi in cui la vaccinazione può aver contribuito all'esito fatale dell'evento avverso è estremamente esiguo e comunque non tale da inficiare il beneficio di tali medicinali" (pagine 26 e 27 della nota dell'AIFA). Sempre relativamente al profilo della sicurezza, l'ISS, a sua volta, attesta che "ad oggi miliardi di persone nel mondo sono state vaccinate contro COVID-19. I vaccini anti SARS-CoV-2 approvati sono stati attentamente testati e continuano ad essere monitorati costantemente. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno confermato la sicurezza dei vaccini anti-COVID-19" (pagina 6 della nota dell'ISS). Si segnala, infine, la mole di dati di sicurezza relativi ai soggetti che hanno ricevuto un vaccino per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, posto che, secondo l'EMA, fino all'inizio di aprile 2022 sono state più di 868 milioni le dosi di vaccini somministrate alle persone nell'UE e nello Spazio economico europeo (SEE), concludendo nel senso che "dai dati emerge che la stragrande maggioranza degli effetti collaterali noti dei vaccini COVID-19 sono lievi e di breve durata. Problemi di sicurezza classificabili come gravi sono estremamente rari" (pagina 8 della nota dell'ISS). 11.- Alla luce dei dati sin qui ripercorsi, deve ritenersi che le autorità scientifiche attestino concordemente la sicurezza dei vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 oggetto di CMA e la loro efficacia nella riduzione della circolazione del virus (come emerge dalla diminuzione del numero dei contagi, nonché del numero di casi ricoverati, in area medica e in terapia intensiva, e dall'entità dei decessi associati al SARS-CoV-2 relativi al periodo che parte dall'inizio della campagna di vaccinazione di massa risalente a marzo-aprile 2021). Ed è su questi dati scientifici - forniti dalleautorità di settore e che non possono perciò essere sostituiti con dati provenienti da fonti diverse, ancorché riferibili a "esperti" del settore - che si è basata la scelta politica del legislatore; legislatore che altrimenti, anziché alle autorità istituzionali, avrebbe dovuto affidarsi a "esperti" non è dato vedere con quali criteri scelti. Appare evidente, dunque, in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l'idoneità dell'obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso, "a fronte di "un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque" (sentenza n. 127 del 2022)" (sentenza n. 171 del 2022), caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio. 12.- Tale valutazione di non irragionevolezza e idoneità allo scopo vale con particolare riferimento agli esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della L. n. 43 del 2006. E infatti, l'obbligo vaccinale per tali soggetti consente di perseguire, oltre che la tutela della salute di una delle categorie più esposte al contagio, "il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l'interruzione di servizi essenziali per la collettività" (sentenza n. 268 del 2017)".
Le motivazioni tutte, poste a base della sentenza del Giudice delle Leggi, consentono, pertanto, di superare sotto ogni aspetto le censure svolte da T. in ordine all'affermato contrasto della disciplina in esame rispetto ai principi fondamentali dell'ordinamento interno e sovranazionale.
In virtù delle considerazioni che precedono, in parziale riforma della gravata sentenza, va dichiarata l'illegittimità della sospensione disposta nei riguardi di X, limitatamente al periodo decorso dal 13.5.2022 al 22.5.2022, con conseguente condanna di quest'ultima alla restituzione di quanto percepito, in relazione al periodo successivo, in esecuzione della sentenza di primo grado (v. doc. 3, X I gr.).
La reciproca soccombenza integra ad avviso della Corte gli estremi per l'integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
In parziale riforma della sentenza n. 1599/2023 del Tribunale di MILANO, dichiara l'illegittimità della sospensione disposta nei riguardi di X limitatamente al periodo decorso dal 13.5.2022 al 22.5.2022;
conferma le restanti statuizioni di merito;
condanna l'appellata a restituire all'appellante quanto percepito, in relazione al periodo successivo, in esecuzione della sentenza di primo grado;
spese del doppio grado compensate.
Così deciso in Milano, il 23 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2023.
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