I veri problemi che Monti non affronta
di Pierre Carniti
L’ammirazione
che circonda il premier Mario Monti appare esagerata. Non fosse altro perché
non ha ancora avuto il tempo
di affrontare i veri problemi italiani. Tantomeno di risolverli. Eppure è elogiato
dai leader occidentali, dalla stampa internazionale, dall’establishment
nazionale, che lo considerano il
salvatore dell’Italia e persino dell’eurozona.
Evidentemente
la sua formazione economica, la sua padronanza dell’inglese, i suoi modi sobri
e diretti suscitano considerazione e rispetto. Tanto maggiore per l’evidente
contrasto con il suo predecessore. Troppo incline alla cialtroneria, alle
barzellette, alla superficialità, al fascino femminile. Tuttavia, malgrado
questi apprezzamenti, non si può non riconoscere che i pregi ed i difetti dell’Italia rimangono in
larga misura quelli di prima e le prospettive economiche sono rimaste le stesse
di novembre. Quando cioè il premier ed il “governo tecnico” sono entrati in
carica.
In
effetti, finora Monti è riuscito a fare poco o nulla per migliorare le
prospettive di crescita. Anzi, si è addirittura “incartato” intorno a problemi
apparenti. Come alcune pseudo liberalizzazioni, o l’articolo 18 dello Statuto.
Ben sapendo che l’aumento delle licenze dei taxi o delle farmacie, così come la
querelle sull’articolo 18, non
spostano di una virgola i problemi della crescita. Tuttavia, per come sono
state enfatizzate queste faccende marginali, si può capire che se il governo
non riuscisse a portare a casa qualcosa finirebbe per accreditare l’impressione
di non essere riuscito a combinare alcunché. E’ quindi comprensibile che cerchi
di scongiurare questo esito. Possibilmente senza esagerare.
Resta
in ogni caso il fatto che l’operazione simpatia lanciata da Monti e dal suo
governo, per corteggiare i mercati e gli opinion
leader e convincerli che le scelte
fatte sono quelle giuste, migliora certamente l’immagine dell’Italia, ma lascia
immutati i problemi di fondo sulla competitività e la crescita del paese.
Soprattutto tenuto conto che l’economia italiana, da tempo in affanno (negli
ultimi dieci anni la crescita è stata in media dello 0,4 per cento), è oppressa
da: corruzione, evasione fiscale, criminalità organizzata, basso tasso di
natalità, aumento del numero delle persone a “rischio povertà”, scarsi livelli
di istruzione, infrastrutture inadeguate, enorme debito pubblico. Al catalogo
si può anche aggiungere: il collasso della giustizia civile, una burocrazia
inconcludente, un tasso di occupazione che ci mantiene assai lontani dal resto
d’Europa. Naturalmente l’elenco potrebbe continuare ed ogni commentatore
avrebbe probabilmente una opinione diversa su quale sia il problema più grave.
Ad
ogni modo, e sia pure con dispiacere, si deve riconoscere che è questa la vera Italia. O per
lo meno una sua grossa fetta. Che purtroppo il rispetto ed il consenso,
manifestato a livello internazionale, nei confronti del premier italiano non è
sufficiente ad intaccare. Tant’è vero che, anche secondo l’ultimo sondaggio
trimestrale svolto dalla Reuters tra gli economisti, l’arrivo di Monti non ha
migliorato né le aspettative di crescita e nemmeno le attese per la tenuta per
i conti pubblici italiani. Al punto che, per quanto riguarda la crescita, dallo
zero del precedente sondaggio la previsione sull’andamento del Pil per il 2012
è addirittura precipitata al -1,2 per
cento, mentre il disavanzo è stato stimato al 2,2 per cento del Pil. In linea
con il 2,3 per cento precedente. Ma significativamente al di sopra
dell’obiettivo del governo che è dell’1,6 per cento. Proprio sulla base di
queste previsioni negative nessuno degli interpellati ha ritenuto possibile
aspettarsi che Monti possa raggiungere, come promesso, il pareggio di bilancio
nel 2013.
Si
può naturalmente supporre che le previsioni degli economisti abbiano lo stesso
grado di attendibilità di quelle delle chiromanti. Tuttavia, i problemi ci sono
e continuano a restare incombenti. Basti pensare alla assoluta mancanza di una
qualunque politica industriale. Che necessiterebbe dell’individuazione di 5 – 6
settori nei quali l’Italia potrebbe competere con successo sui mercati
internazionali, concentrando e destinando a questo proposito i trasferimenti
pubblici alle imprese, oggi invece sostanzialmente sperperati con una
distribuzione a pioggia. Senza altra ragione che non sia un puro calcolo
politico-elettorale. Basti pensare all’assenza di un sostegno adeguato alla
ricerca. A cominciare dalle tecnologie più innovative. Basti infine pensare
alla carenza di una vera politica energetica.
In
proposito è sufficiente ricordare che nel 1999, quando ha adottato l’euro,
l’Italia aveva un saldo positivo della bilancia commerciale pari a 22 miliardi
di dollari. Da allora la situazione è cambiata radicalmente perché oggi ha
invece un deficit di 36 miliardi di dollari. Questo cambiamento è dovuto a
molti fattori. Compreso l’aumento delle importazioni dalla Cina. Ma il più
importante è stato il rincaro del petrolio. Infatti, nonostante un calo delle
importazioni di circa 390 mila barili al giorno rispetto al 1999, oggi l’Italia
spende circa 55 miliardi di dollari all’anno per il petrolio importato, contro
i 12 miliardi del 1999. Questa differenza è quasi pari all’attuale deficit
della bilancia commerciale.
A
questo riguardo è possibile fare qualcosa di concreto? Le soluzioni
percorribili non sono certo un segreto. Il dato da cui partire è che
complessivamente ricaviamo un nono di energia utile dalla quantità di energia
primaria impiegata derivante: da combustibili fossili, biomasse, fonti
energetiche rinnovabili. La differenza è dovuta a perdite ed inefficienze nei
processi di conversione e trasmissione. Perciò, aumentando l’efficienza, si
potrebbe ottenere la stessa energia, ma bruciando meno combustibile. Si
dovrebbero inoltre definire obiettivi di tutela ambientale per migliorare
l’utilizzo del consumo di energia dai combustibili fossili. Ad esempio; si può
tassare maggiormente il petrolio per favorire una riduzione del consumo
energetico; si possono abbassare i limiti di velocità sulle strade; si può incoraggiare
l’uso dei mezzi di trasporto pubblico (che, naturalmente, vanno resi
disponibili); si possono destinare crediti d’imposta allo sviluppo di fonti di
energia rinnovabili. Magari incoraggiando l’impiego di tecnologie alternative
(che in Italia sono già disponibili) rispetto alle importazioni di pannelli
solari dalla Cina.
Ovviamente
è un cambiamento che durerà decenni e che dunque supera l’orizzonte di
permanenza del governo Monti. Ma questa non è certamente una buona ragione per
non cominciare subito. Per non iniziare ad agire immediatamente. Invece
purtroppo si insiste e si perde tempo soprattutto in operazioni di “facciata”.
Che lasciano sempre solo il
tempo che trovano.
Se
tutto questo non bastasse, si deve anche fare i conti con la questione cruciale del debito pubblico. Che è il nodo scorsoio
stretto al collo dell’economia italiana. Problema che, se non affrontato con
una misura straordinaria, in grado di ridurre drasticamente lo stock
accumulato, trascinerà inevitabilmente a fondo tutta l’economia. Anche perché
l’idea che la faccenda possa essere risolta semplicemente con politiche di
bilancio restrittive non sta assolutamente in piedi. Del resto è lo stesso
viceministro dell’economia Vittorio Grilli a riconoscerlo. Sia ammettendo che
le proposte in discussione non serviranno a migliorare l’economia per almeno
tre anni, che sottolineando, allo stesso tempo, la inconsistenza dei piani per
la riduzione del debito. Per essere ancora più chiaro, ha anche fatto notare
che (in anni di politica di bilancio prudente e restrittiva) il debito è passato dal 121 per cento del Pil
del 1995 a
meno del 104 per cento del 2007.
In sostanza in 12 anni di politiche restrittive (tant’è vero che l’economia non è
cresciuta) si è riusciti a diminuire il debito solo dell’1,4 per cento
all’anno. Cioè meno della metà di quanto ci siamo invece impegnati a fare,
sottoscrivendo il “fiscal compact”
con l’Europa.
Stando
così le cose l’Italia rimane ai piedi del muro. Sia per quanto riguarda la
crescita che la riduzione del debito. Se ne deve dedurre che il governo Monti,
per contribuire davvero a tirare fuori l’Italia dai guai, dovrebbe dedicare
meno tempo ed energie ai problemi
apparenti, per concentrarsi su quelli veri. Anche quando la loro
soluzione dovesse superare la durata del suo governo. Se ciò dovesse
verificarsi, come sarebbe assolutamente auspicabile, all’apprezzamento della
élite del potere (interna ed internazionale), potrebbe allora verosimilmente
aggiungersi anche quello dei tanti italiani. I quali invece non riescono ancora
ad intravedere alcuna prospettiva di uscita dal tunnel. Anche perché
finora, specie chi sta in basso nella
scala sociale, è stato soprattutto costretto a peggiorare le proprie condizioni
di vita. Essendosi dovuto sobbarcare la parte prevalente dei costi di
aggiustamento dei conti pubblici.
13-2-12 da www.eguaglianzaeliberta.it
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