Translate

domenica 16 febbraio 2014

TAR: riconoscimento del diritto dei ricorrenti agli incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013




IMPIEGO PUBBLICO
T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 18-03-2013, n. 2758
IMPIEGO PUBBLICO
Pensioni, stipendi e salari
(aumenti periodici)


Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2922 del 2012, proposto dai 775 ricorrenti indicati nell'elenco allegato, composto da 4 pagine, che fa parte integrante della presente sentenza, tutti rappresentati e difesi giuste procure in calce al ricorso introduttivo del giudizio, dagli Avv.ti Francesco (Lpd) e Federico (Lpd), anche disgiuntamente tra loro, entrambi del foro di Firenze, ed elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio dell'avv. Jenny (Lpd), in Viale (Lpd) n. 78.
contro
Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per il riconoscimento del diritto dei ricorrenti agli incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013, previa, se del caso, declaratoria di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevede che "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (...), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010", per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della costituzione e, per l'effetto, sospensione del giudizio e rinvio alla corte costituzionale;
e per il riconoscimento del diritto al risarcimento danni di ogni singolo ricorrente per non aver potuto beneficiare dei suddetti incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013, da parametrare in base all'ultimo incremento effettivamente goduto e relativo agli anni 2008-2011, oltre all'adeguamento ISTAT.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2013 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del giudizio i ricorrenti - dipendenti del Ministero degli Interni ed, in particolare, appartenenti alla Polizia di Stato -, hanno rappresentato che è sempre stato loro riconosciuto l'adeguamento economico biennale degli stipendi a partire dall'entrata in vigore del D.P.R. 27 aprile 1984, n. 69, relativo al quadriennio 1982-1985.
In tal senso, da ultimo, si è provveduto con il D.P.R. 1 ottobre 2010, n. 184, che recepisce l'accordo sindacale per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e con il provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento militare (biennio economico 2008-2009).
L'art. 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni con L. 30 luglio 2010, n. 122, prevede che nel triennio 2011-2013 "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (..), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010".
Quindi, stando al contenuto letterale della suddetta norma, deve ritenersi che per gli anni 2011-2013 ai ricorrenti non verrà riconosciuto alcun incremento stipendiale, come, invece, accaduto, per ogni biennio, a partire dall'entrata in vigore del citato D.P.R. n. 69 del 1984.
A parere dei ricorrenti, ove così fosse da interpretare la suddetta norma, essa sarebbe del tutto illegittima per contrasto con norme di rango costituzionale. Per tale ragione, gli interessati hanno sollevato questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione.
L'Amministrazione resistente si è costituita in giudizio per affermare l'infondatezza del ricorso
All'udienza del 17 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione
1. I ricorrenti hanno basato le proprie domande di accertamento del diritto agli incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013 e di risarcimento danni, sull'asserita illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, con L. 30 luglio 2010, n. 122, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione, deducendo quanto di seguito indicato.
I) - Violazione e falsa applicazione artt. 2 e 3 e 53 della Costituzione; irragionevolezza e disparità di trattamento; violazione del principio di capacità contributiva e di progressività nell'imposizione tributaria.
L'articolo 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, nel prevedere che "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso trattamento accessorio (...), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010", determina, a prescindere dalla qualificazione normativa, un decremento patrimoniale a carico dei ricorrenti.
Infatti, nel vedersi negato l'adeguamento del proprio stipendio, contrariamente a quanto fino ad oggi sempre riconosciuto a salvaguardia del valore sostanziale (e non soltanto nominale) della retribuzione, i ricorrenti sono, di fatto, sottoposti ad un prelievo occulto la cui natura non può che ascriversi ad una prestazione patrimoniale imposta dallo Stato avente natura essenzialmente tributaria.
Trattandosi di una vera e propria imposizione tributaria la stessa avrebbe dovuto sottostare ai principi stabiliti dall'art. 53 della Costituzione.
Tale norma, nel legittimare il potere impositivo dello Stato, impone che il prelievo debba essere rivolto, a parità di redditi incisi, a "Tutti" i cittadini (cd. principio di generalità delle imposte), in ragione della propria capacità contributiva, in un sistema informato a criteri di progressività.
Più precisamente, la norma in parola prevede, al primo comma, che "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"; mentre, al secondo comma, stabilisce che "Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".
Ebbene, la norma contenuta nel citato articolo 9 si pone in contrasto con i principi dettati dall'articolo 53 della Costituzione.
Per quanto riguarda il primo comma dell'art. 53 Cost., i Costituenti hanno inteso introdurre un criterio di uguaglianza sostanziale fra i soggetti sottoponibili ad imposizione, in ragione della loro capacità contributiva.
Il termine indefinito "Tutti" costituisce espressione del principio di universalità del tributo che, in armonia con il principio di eguaglianza affermato dall'art. 3 della Costituzione, deve colpire, ricorrendone i presupposti, tutti i soggetti, senza distinzioni.
Pertanto, il citato articolo 9, nell'introdurre un prelievo tributario (occulto), avrebbe dovuto, ai fini della propria legittimità costituzionale, soggiacere alle disposizioni dell'art. 53 Cost., ovvero avrebbe dovuto rivolgersi nei confronti di "Tutti" coloro che manifestino la medesima capacita contributiva, a prescindere cioè dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro.
In sostanza, il legislatore del 2010 avrebbe dovuto comprendere nell'indubbia portata impositiva dell'articolo 9, non soltanto una singola categoria di dipendenti pubblici (nella specie i dipendenti della Polizia di Stato), ma anche tutte le altre categorie di pubblico impiego, nonché quelle di dipendenti privati.
Tale tesi trova conforto nell'ordinanza n. 1162, del 23 giugno 2011, del TAR Campania, sede di Salerno, sez. n. 1, con la quale, nel rimettere davanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità relativa al comma 22, dell'art. 9, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, i giudici campani hanno affermato, da un lato, la natura di prelievo occulto delle previsioni di cui al medesimo articolo 9 e, dall'altro, hanno sottolineato il contrasto con il primo comma dell'art. 53 Cost..
Infatti, nell'ordinanza si legge "che (trattandosi obiettivamente, come non è dato di dubitare anche alla luce del contesto normativo in cui è stata codificata, di prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli ant. 23 e 53 della Carta costituzionale), la sua previsione (esclusivamente rimessa, al di là del nomen juris utilizzato, alla normativa primaria, in forza dei principi di legalità e sostanzialità dei tributi) avrebbe dovuto gravare, a parità di redditi incisi, su "tutti" i cittadini (c.d. principio di generalità della imposte), in ragione della loro capacita contributiva, in un sistema informato a criteri di progressività (c.d. principio di progressività)"; e che "riguardando la contestata misura riduttiva della indennità integrativa speciale (...) è lecito opinare che si tratti, in sostanza, di selettivo ed odioso tributo speciale ratione subiecti (verisimilmente ma abusivamente alternativo ad una omogenea, proporzionata e generalizzata accentuazione del carico fiscale imposta dalle valorizzate contingenze finanziarie).".
I Giudici campani non si sono limitati ad una mera enunciazione di principio, ma hanno qualificano come illegittime costituzionalmente tutte le disposizioni tributarie che incidono solamente nei confronti di alcune (e non tutte) le categorie dei lavoratori, sottolineandone l'evidente contrasto non solo nei riguardi dell'art. 53, comma 1, Cost., ma anche in riferimento all'art. 3 (principio di uguaglianza) e all'art. 2 (principio di solidarietà) della Costituzione.
Al riguardo, è stato sottolineato che: "avuto riguardo al comune e condiviso intendimento del requisito della capacità contributiva scolpito all'art. 53 Cost. quale "valore" diretto ad orientare, nel quadro di una complessiva "razionalità" impositiva, la discrezionalità del legislatore in ordine alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni tributari - deve ritenersi che limite espresso all'azione impositiva sia quello per cui "a situazioni uguali corrispondano tributi uguali": di tal che, anche alla luce del correlato principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2, il sacrificio patrimoniale che - per non implausibili e contingenti ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parità di capacità reddituale, altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole (arg. ex Corte Cost. ord. 14 luglio 1999, n. 299; e cfr. Id. 18 luglio 1997, n. 245)".
Appare chiaro che il citato articolo 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 - nella parte in cui (contrariamente a quanto accaduto, per ogni biennio, a partire dall'entrata in vigore del D.P.R. n. 69 del 1984) non riconosce alcun incremento stipendiale nei confronti della sola categoria cui appartengono i ricorrenti - si pone, quale norma impositiva occulta, in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza, solidarietà e capacità contributiva (artt. 3, 2 e 53 della Costituzione).
Inoltre, posto che il medesimo articolo 9 configura in capo ai ricorrenti un prelievo occulto, esso finisce per porsi in contrasto anche con l'altro fondamentale principio dettato dalla Carta Costituzionale in materia impositiva; ossia quello di progressività.
In particolare, il secondo comma dell'art. 53 è stato pensato dai Costituenti per accentuare l'impronta solidaristica cui risulta ispirato il dovere di concorrere alle spese pubbliche sulla base della capacità contributiva ed, al contempo, è teso a realizzare il principio di uguaglianza sostanziale.
È evidente, infatti, che la sottoposizione ad obblighi impositivi non proporzionali, bensì crescenti in funzione dell'aumento della base imponibile, tiene conto della circostanza per cui il sacrificio recato al singolo dal concorso alle spese pubbliche risulta tanto maggiore quanto minore è la ricchezza posseduta, e viceversa.
Quindi, la norma in contestazione avrebbe dovuto, nel rispetto del secondo comma del medesimo art. 53 Cost., porre in essere un prelievo progressivo nei confronti dei ricorrenti.
Ma cosi non è stato, posto che con il tributo occulto in questione il legislatore del 2010 ha colpito in modo proporzionale (senza in alcun modo tener conto di determinanti parametri retributivi quali, ad esempio, l'anzianità di servizio) tutti i dipendenti della Polizia di Stato, finendo per applicare un prelievo che gli stessi giudici campani, in fattispecie assimilabile a quella oggetto di causa, hanno definito come "tributo sostanzialmente regressivo, poiché (essendo, come è noto, l'indennità integrativa speciale ex art. 3 L. n. 27 del 1981 corrisposta in misura uguale ad ogni magistrato, indipendentemente dall'anzianità di servizio) finisce per colpire (in violazione del canone di cui al 2 comma dell' 53 Cost.) in misura minore i magistrati con retribuzione complessiva elevata ed in misura maggiore i magistrati con retribuzione complessiva inferiore".
II) - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36 della Costituzione; violazione del principio di adeguata retribuzione.
In base ai contratti collettivi stipulati a partire dal 1984, l'incremento economico biennale è sempre stato riconosciuto ai dipendenti della Polizia di Stato e, quindi, rappresenta un elemento costante della retribuzione, avente anche la funzione di mantenere intatta la capacità di spesa e l'entità sostanziale dello stipendio all'aumentare del costo della vita.
Pertanto, detto incremento stipendiale, oltre ad essere un diritto acquisito e costituente parte integrante della retribuzione spettante ad ogni singolo dipendente, svolge la funzione di garantire a quest'ultimo il diritto costituzionalmente garantito alla percezione di una retribuzione congrua ed adeguata alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente a soddisfare i propri bisogni e quelli della propria famiglia.
Ai sensi dell'art. 36, comma 1, della Costituzione, infatti, "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".
Appare chiaro che, benché il rapporto di lavoro si configuri come rapporto sinallagmatico e, quindi, soggiacente al principio di equivalenza (delle prestazioni), l'art. 36 Cost. arricchisce tale rapporto sinallagmatico con l'introduzione del principio della cd. sufficienza della retribuzione.
In tal senso, la sufficienza richiede un livello retributivo collegato al minimo vitale del lavoratore, tale da permettere a quest'ultimo un tenore di vita socialmente adeguato tenendo conto anche del contesto storico ed ambientale in cui lo stesso vive.
Così, si comprende anche il riferimento esplicito dell'art. 36 Cost. alla "famiglia": la garanzia della giusta retribuzione deve riguardare non soltanto il singolo lavoratore, ma anche soggetti esterni al rapporto lavorativo come, ad esempio, i membri della sua famiglia.
Inoltre, l'art. 36 Cost. pone anche l'ulteriore fondamentale principio della proporzionalità, teso in sostanza ad esplicitare la correlazione della retribuzione rispetto sia alle mansioni svolte dal lavoratore che al tempo dedicato da quest'ultimo al lavoro stesso.
In sostanza, la retribuzione non riveste solo un carattere corrispettivo, ma realizza anche una vera e propria finalità previdenziale.
La normativa susseguitasi a partire dal 1984 ha costituito attuazione positiva dei diritti, delle garanzie e dei principi costituzionalmente richiamati. Infatti, l'aumento stipendiale (previsto dal D.P.R. 27 aprile 1984, n. 69, relativo al quadriennio 1982-1985 ed il D.P.R. 1 ottobre 2010, n. 184) si configura come la concreta attuazione degli interessi sottostanti al principio di sufficienza della retribuzione che impone che al lavoratore debba essere assicurata "un'esistenza libera e dignitosa".
Sotto altro profilo, in riferimento al principio di proporzionalità, l'aumento stipendiale altro non è che l'adeguamento alle diverse mansioni svolte ed al relativo tempo impiegato dal lavoratore.
Così correttamente inquadrato, si comprende che il trattamento economico dei dipendenti della Polizia di Stato deve essere generalmente certo, costante e non soggetto a diminuzioni che minerebbero inevitabilmente quelle insopprimibili garanzie stabilite dalla Carta costituzionale.
Con l'entrata in vigore del citato articolo 9 del D.L. n. 78 del 2010, invece, ai ricorrenti è stato decurtato illegittimamente il loro stipendio, violando quanto previsto all'art. 36 Cost..
Ciò, malgrado l'incremento stipendiale rappresenti parte integrante della retribuzione media del dipendente della Polizia di Stato, come risulta dal fatto che la legislazione vigente, a far data dal 1984, ha avuto l'evidente intento di rendere effettivi e dare attuazione ai principi di cui all'art. 36 Cost..
In assenza, infatti, degli incrementi stipendiali il potere d'acquisto della retribuzione dei ricorrenti si sarebbe inevitabilmente assottigliata, contraddicendo le garanzie poste dalla Costituzione.
In sostanza, l'aumento stipendiale altro non è che un mero adeguamento della retribuzione media al costo della vita ed al costo del denaro.
In termini giuridici, siamo di fronte ad un vero e proprio "diritto quesito" e, quindi, il blocco dell'aumento stipendiale rappresenta una vera e propria decurtazione dello stipendio e fa si che i dipendenti della Polizia di Stato percepiscano - negli anni presi a riferimento dal medesimo articolo 9 - una retribuzione, in termini sostanziali, inferiore a quella che hanno sempre percepito a partire dal 1984.
Al riguardo, nella richiamata ordinanza del TAR Campania, Sezione di Salerno, n. 1162/ 2011, si legge: "che, in definitiva, alla luce degli evocati principi e direttive costituzionali, deve ritenersi che il trattamento economico dei magistrati debba essere (oltreché "adeguato" alla quantità e qualità del lavoro prestato, come imposto, in termini generali, dall'art. 36 della Costituzione) certo e costante, e in generale non soggetto a decurtazioni".
In definitiva, la norma in esame non fa altro che introdurre una riduzione del trattamento retributivo che oltre ad appalesarsi irragionevole e fonte di disparità di trattamento, (contrastante con i canoni di sufficienza, proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione) costituisce un tributo occulto non conforme al principio di capacità contributiva e, pertanto, in contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione.
2. La difesa erariale ha sostenuto la correttezza dell'operato dell'Amministrazione e l'infondatezza del ricorso.
3. Il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile in quanto la situazione pregiudizievole per i ricorrenti, venutasi a creare a causa dell'entrata in vigore del contestato primo comma dell'articolo 9 del D.L. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni, con L. 30 luglio 2010, n. 122, risulta essersi modificata (a vantaggio degli stessi ricorrenti) a seguito dell'entrata in vigore di norme e atti amministrativi sopravvenuti.
Con il citato articolo 9, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, si è stabilito che, per il triennio 2011-2013, "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (...), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010".
Tuttavia, già l'art. 8, co. 11-bis, del medesimo D.L. n. 78 del 2010, ha previsto che "Al fine di tenere conto della specificità del comparto sicurezza-difesa e delle peculiari esigenze del comparto del soccorso pubblico, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo con una dotazione di 80 milioni di Euro annui per ciascuno degli anni 2011 e 2012 destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco interessato alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 21. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, sono individuate le misure e la ripartizione tra i Ministeri dell'interno, della difesa, delle infrastrutture e dei trasporti, della giustizia, dell'economia e delle finanze e delle politiche agricole alimentari e forestali delle risorse del fondo di cui al primo periodo. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Ai relativi oneri si fa fronte mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'attuazione dei commi 13-bis, 13-ter e 13-quater dell'articolo 38.".
A tali disposizioni, ha fatto seguito l'art. 1, del D.L. 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 2011, n. 74, il quale prevede che "1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 9 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, e in particolare dai commi 1 e 21 del predetto articolo, la dotazione del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del citato D.L. n. 78 del 2010, è incrementata, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, di 115 milioni di Euro. 2. La dotazione del fondo di cui al comma 1 può essere ulteriormente incrementata, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della difesa e dell'interno, con quota parte delle risorse corrispondenti alle minori spese effettuate, rispetto al precedente anno, in conseguenza delle missioni internazionali di pace, e delle risorse di cui al comma 7, lettera a), dell'articolo 2 del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 novembre 2008, n. 181, relativo al Fondo unico giustizia. Le risorse di cui al presente comma sono attribuite in modo da assicurare trattamenti omogenei al personale delle Forze armate e a quello delle Forze di polizia. 3. Il fondo di cui al comma 1, come incrementato ai sensi del presente articolo, è destinato alla corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche con riferimento al personale interessato alla corresponsione, per i medesimi anni, dell'assegno funzionale, del trattamento economico superiore correlato all'anzianità di servizio senza demerito, compresa quella nella qualifica o nel grado, degli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni, nonché degli emolumenti corrispondenti previsti per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché all'applicazione dell'articolo 9, commi 1 e 21, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122. Si applicano le disposizioni di cui al secondo e terzo periodo del citato articolo 8, comma 11-bis, del D.L. n. 78 del 2010. 4. All'onere derivante dal comma 3 si provvede mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2011, 2012 e 2013, dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 155, ultimo periodo, della L. 24 dicembre 2003, n. 350. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.".
In sostanza, con tali disposizioni, si è previsto di eliminare gli effetti negativi derivanti dall'applicazione della norma contestata dai ricorrenti, mediante l'istituzione del fondo di dotazione indicato, posto che il terzo comma del citato articolo 1 del D.L. n. 27 del 2011, ha stabilito che tale fondo (come incrementato dalla medesima fonte normativa), sarebbe stato destinato alla corresponsione di assegni una tantum al personale (tra gli altri) delle Forze di polizia, destinatario dell'applicazione dell'articolo 9, commi 1 e 21, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
La ripartizione del fondo indicato è, in concreto, avvenuta mediante il D.P.C.M. 27 ottobre 2011(recante Ripartizione del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, pubblicato nella Gazz. Uff. 14 dicembre 2011, n. 290).
Tale decreto è stato emanato in applicazione dell'art. 8, comma 11-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 (con il quale è stato, appunto, istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 80 milioni di Euro annui per ciascuno degli anni 2011 e 2012, destinato a finanziare le misure perequative in favore del personale di Forze armate, Forze di polizia e Corpo nazionale dei vigili del fuoco, interessato all'applicazione dell'art. 9, comma 21, del medesimo decreto-legge) e dell'art. 1 del D.L. 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 2011, n. 74 (che, oltre ad incrementare il predetto fondo di 115 milioni di Euro, per ciascuno degli anni 2011 è 2012, ha previsto una dotazione di 115 milioni di Euro anche per l'anno 2013 e, contestualmente, ha esteso la destinazione del medesimo fondo al finanziamento di assegni una tantum in favore dello stesso personale interessato alla corresponsione delle indennità ivi previste, nonché all'applicazione dell'art. 9, commi 1 e 21, del richiamato D.L. n. 78 del 2010).
Con il D.P.C.M. 27 ottobre 2011, è stata data concreta attuazione alle misure perequative in questione e si è provveduto alla ripartizione delle risorse tra i Ministeri dell'Interno, della Difesa, delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Giustizia, dell'Economia e delle Finanze e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013 (e, quindi, per l'intero periodo oggetto delle domande giudiziali proposte dai ricorrenti con il ricorso introduttivo del giudizio), pari a complessivi 195 milioni di Euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 e 115 milioni di Euro per l'anno 2013, destinando al Ministero dell'Interno - Polizia di Stato -, Euro 28.673.630 per il 2011, Euro 27.200.043 per il 2012 ed Euro 16.279.093 per il 2013.
Le norme indicate ed il citato decreto presidenziale hanno autorizzato l'Amministrazione ad attribuire, con successivi decreti ministeriali, assegni una tantum al personale delle Forze di polizia per evitare, tra l'altro, proprio gli effetti pregiudizievoli derivanti dall'applicazione dell'articolo 9, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010 e, quindi, i ricorrenti, al momento della presentazione del ricorso (notificato il 21 marzo 2012) non avevano interesse a contestare tale disposizione proponendo le domande contenute nel ricorso introduttivo del giudizio.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per difetto di interesse.
5. Sussistono gravi ed eccezionali motivi - legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate - per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo dichiara inammissibile il ricorso per difetto di interesse;
- dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere



Nessun commento: