Cassazione 2023-“azione di accertamento negativo del credito
contributivo”
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 22/03/2023) 05-07-2023,
n. 18954
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -
Dott. MARCHESE Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. GNANI Alessandro - Consigliere -
Dott. SOLAINI Luca - Consigliere -
Dott. CERULO Angelo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15233/2018 R.G. proposto da:
(Omissis) Snc di (Omissis), elettivamente domiciliata in
ROMA, x;
- ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'AVVOCATURA CENTRALE dell'ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D'ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO
MARITATO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 29/2018 della CORTE D'APPELLO di
FIRENZE depositata il 12/03/2018 R.G.N. 52/2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del
22/03/2023 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.
Svolgimento del processo
1. la Corte di appello di Firenze, in accoglimento del
gravame dell'Inps e in riforma della decisione di primo grado, ha respinto
l'azione di accertamento negativo del credito contributivo, oggetto di un
verbale ispettivo, proposta dall'odierna società ricorrente;
2. premesso che la pretesa creditoria dell'INPS scaturiva,
in parte, dalla violazione del cd. minimale contributivo, la Corte territoriale
ha osservato come le cause di sospensione convenzionale del rapporto di lavoro
-e quindi anche dell'obbligo retributivo- intanto fossero idonee a ridurre il
quantum dell'obbligo contributivo in quanto corrispondenti a quelle tipizzate
dalla contrattazione collettiva; nel caso di specie, non ricorrevano le ipotesi
previste dal contratto e sussisteva, pertanto, l'obbligazione contributiva,
oggetto dell'accertamento ispettivo;
3. quanto alle trasferte, la Corte di appello, da un lato,
ha giudicato il regolamento aziendale inidoneo a giustificare gli importi
corrisposti in busta paga a tale titolo; dall'altro, ha osservato come la
documentazione prodotta non provasse, a monte, lo svolgimento della prestazione
fuori dalla sede di lavoro. A tale riguardo, non poteva valere la testimonianza
assunta, per la sua assoluta genericità;
4. ha proposto ricorso per cassazione, la società in
epigrafe, con tre motivi, resistito dall'Inps, con controricorso;
5. parte ricorrente ha depositato memoria;
6. all'adunanza camerale, il Collegio ha riservato il deposito
dell'ordinanza nel termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, comma 2,
c.p.c.).
Motivi della decisione
7. con il primo motivo - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3
- è dedotta la violazione e/o falsa applicazione del DL n. 338 del 1989, art.
1, convertito con modificazioni in L. n. 389 del 1989, nonchè degli artt. 115 e
116 c.p.c.;
8. le censure, nel complesso, investono la questione della
intervenuta e concordata sospensione della prestazione lavorativa e la
statuizione secondo cui sussisterebbe, comunque, l'obbligo contributivo sulla
retribuzione dovuta per contratto collettivo e non su quella effettivamente
corrisposta;
9. il motivo -che devolve alla Corte la questione del cd.
minimale contributivo- è infondato;
10. secondo la giurisprudenza consolidatasi dopo Cass., sez.
un., n. 11199 del 2002, l'importo della retribuzione da assumere come base di
calcolo dei contributi previdenziali, ai sensi del D.L. n. 338 del 1989, art. 1
(conv. con L. n. 389 del 1989), non può essere inferiore all'importo del c.d.
"minimale contributivo", ossia all'importo di quella retribuzione che
ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in
applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali
più rappresentative su base nazionale. Tale regola è espressione del principio
di autonomia del rapporto contributivo rispetto all'obbligazione retributiva,
in virtù del quale l'obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un
importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di
lavoro e com'è stato chiarito da Cass. n. 15120 del 2019 la sua operatività
concerne non soltanto l'ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma
altresì l'orario di lavoro da prendere a parametro, che dev'essere l'orario di lavoro
normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale,
se superiore): è infatti evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite
meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione
dovuta venisse modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere
rispetto del minimale contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe
vulnerata la stessa idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze
previdenziali e assistenziali per le quali è stato istituito (v. in tal senso
già Corte Cost. n. 342 del 1992);
11. ciò equivale a dire che non sussiste alcuna possibilità
per i datori di lavoro di modulare l'obbligazione contributiva in funzione
dell'orario o della stessa presenza al lavoro che abbiano concordato con i loro
dipendenti: l'obbligazione relativa ai contributi deve piuttosto ritenersi
svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e semmai connotata da
caratteri di predeterminabilità e oggettività, anche in funzione della possibilità
di un controllo da parte dell'ente previdenziale, per modo che rimane dovuta
nell'intero ammontare previsto dal contratto collettivo anche nei casi di
assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa che
costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera
scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal
contratto collettivo medesimo, quali malattia, maternità, infortunio,
aspettativa, permessi, cassa integrazione (così, espressamente, Cass. n. 4676
del 2021 e Cass. n. 15120 del 2019, sulla scorta di quanto già affermato da
Cass. n. 13650 del 2019 che ha in tal senso superato il diverso principio
affermato da Cass. n. 24109 del 2018);
12. il cit. D.L. n. 338 del 1989, art. 1, infatti, nel
prevedere che la retribuzione da assumere quale base di calcolo dei contributi
previdenziali non possa essere "inferiore all'importo delle retribuzioni
stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da
accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione
di importo superiore a quella prevista dal contratto collettivo", non si
limita a ribadire quanto già desumibile dalla L. n. 153 del 1969, art. 12,
ossia che l'imponibile contributivo si determina sul "dovuto" e non
su quanto "di fatto erogato", ma pone il diverso e ulteriore
principio per cui la retribuzione "dovuta" in relazione al sinallagma
del rapporto di lavoro risulta rilevante solo se è superiore ai minimi previsti
dal contratto collettivo, mentre in caso contrario non rileva e vale la misura
minima determinata dal contratto collettivo. Vale a dire che non ogni
alterazione del sinallagma funzionale del rapporto di lavoro, per quanto possa
incidere sull'an e sul quantum dell'obbligazione retributiva, è rilevante ai
fini della commisurazione dell'obbligazione contributiva: quest'ultima segue
infatti proprie regole, potendo risultare dovuta perfino in assenza di alcun
obbligo retributivo a carico del datore di lavoro (così testualmente, Cass. n.
4676 del 2021 che richiama, in proposito, Cass. n. 4899 del 2017);
13. si è, quindi, affermato che "finanche la forza
maggiore non imputabile al datore di lavoro, pur potendo liberare il lavoratore
dall'obbligo della prestazione ed il datore di lavoro dall'obbligo di
corrispondere la retribuzione, non acquista rilevanza ai fini della
determinazione dell'obbligazione contributiva se non in quanto vi sia una
clausola del contratto collettivo di settore che attribuisca alla "forza
maggiore" la qualità di causa di sospensione del rapporto di lavoro"
(Cass. n. 4676 del 2021 cit.);
14. agli indicati principi si è conformata la sentenza
impugnata. Agli stessi va assicurata continuità in questa sede, dovendo solo
precisarsi che le anzidette conclusioni non sono suscettibili di essere messe
in discussione dalle argomentazioni contenute in una recente pronuncia che, a
proposito della regola del minimale contributivo, farebbe salva l'ipotesi in
cui "la controprestazione non sia stata resa per assenza del lavoratore o
sospensione concordata, da provarsi da parte del datore" (Cass. n.22127
del 2022); indipendentemente dal fatto che l'espressa affermazione costituisce
mero obiter dictum, essa è resa attraverso il richiamo di Cass. n. 13650 del
2019 e di Cass. n. 4676 del 2021 che, invece, criticamente hanno inteso
superare proprio l'affermazione in questione;
15. con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5 - è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 153 del
1969, art. 12; del D.Lgs. n. 314 del 1997, artt. 3 e 6; del D.P.R. n. 917 del
1946, art. 48 nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine
all'erronea applicazione del CCNL metalmeccanici artigiani e sull'an debendi
della contribuzione previdenziale, stante la pacifica erogazione delle somme a
titolo di rimborsi spese;
16. con il terzo motivo -ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3
è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. nonchè la
violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. "in ordine alle norme già
censurate con il primo motivo" nonchè ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5
omesso esame su un fatto controverso e decisivo, con riferimento alla
documentazione prodotta e alle modalità indicate dalla corte territoriale per
l'assolvimento dell'onere probatorio;
17. i due motivi possono congiuntamente esaminarsi, per la
loro intima connessione;
18. con entrambi i motivi di censura, parte ricorrente
critica la statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto che i compensi,
indicati nei documenti datoriali come corrisposti a titolo di trasferta, non
configurassero, invece, somme riconosciute a detto titolo o per rimborsi spese
di viaggi sostenuti e che, pertanto, in relazione alle stesse, non ricorressero
i presupposti per una riduzione contributiva;
19. i rilievi sono inammissibili per più profili. Gli
stessi, da un lato, sono carenti di specificità, per la mancata trascrizione
del contratto collettivo e del documento (regolamento aziendale) su cui si
fondano e, dall'altro, investendo il giudizio di merito con cui la Corte
territoriale ha escluso i presupposti fattuali delle trasferte, non incrinano
il ragionamento decisorio con censure riconducibili al paradigma normativo
dell'art. 360 c.p.c., n. 5, come tracciato dalle sezioni unite di questa Corte
(Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014);
20. sufficienti le considerazioni esposte, è il caso
comunque di rimarcare -quanto al piano della distribuzione dell'onere della
prova pure controverso- che spetta al datore di lavoro la prova che un
determinato compenso sia stato corrisposto al lavoratore a titolo di trasferta
e/o di rimborso spese e non di retribuzione (v., per esempio, Cass. n. 26267
del 2020 sulla scia di Cass. n. 18160 del 2018 e di Cass. n. 13011 del 2017);
21. si tratta dell'applicazione di un principio che accomuna
tutte le situazioni incidenti, in senso riduttivo, sull'obbligo contributivo
previdenziale, per il tratto comune della loro natura eccezionale rispetto alla
regola generale costituita dall'obbligo del pagamento integrale della
contribuzione sulle somme corrisposte ai lavoratori. E', quindi, logico
individuare nella parte interessata a godere di una agevolazione contributiva
quella gravata dell'onere di individuare la specifica fattispecie esonerativa e
di dimostrare la sussistenza dei relativi requisiti;
22. sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso va
complessivamente rigettato;
23. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo;
24. sussistono, altresì, i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00, per compensi
professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura
del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2023
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