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domenica 9 luglio 2023

Cassazione 2023-“azione di accertamento negativo del credito contributivo”

 

Cassazione 2023-“azione di accertamento negativo del credito contributivo”

 

 

Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 22/03/2023) 05-07-2023, n. 18954

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -

Dott. MARCHESE Gabriella - rel. Consigliere -

Dott. GNANI Alessandro - Consigliere -

Dott. SOLAINI Luca - Consigliere -

Dott. CERULO Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15233/2018 R.G. proposto da:

(Omissis) Snc di (Omissis), elettivamente domiciliata in ROMA, x;

- ricorrente -

contro

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'AVVOCATURA CENTRALE dell'ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D'ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO;

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 29/2018 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE depositata il 12/03/2018 R.G.N. 52/2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/03/2023 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.

Svolgimento del processo

1. la Corte di appello di Firenze, in accoglimento del gravame dell'Inps e in riforma della decisione di primo grado, ha respinto l'azione di accertamento negativo del credito contributivo, oggetto di un verbale ispettivo, proposta dall'odierna società ricorrente;

2. premesso che la pretesa creditoria dell'INPS scaturiva, in parte, dalla violazione del cd. minimale contributivo, la Corte territoriale ha osservato come le cause di sospensione convenzionale del rapporto di lavoro -e quindi anche dell'obbligo retributivo- intanto fossero idonee a ridurre il quantum dell'obbligo contributivo in quanto corrispondenti a quelle tipizzate dalla contrattazione collettiva; nel caso di specie, non ricorrevano le ipotesi previste dal contratto e sussisteva, pertanto, l'obbligazione contributiva, oggetto dell'accertamento ispettivo;

3. quanto alle trasferte, la Corte di appello, da un lato, ha giudicato il regolamento aziendale inidoneo a giustificare gli importi corrisposti in busta paga a tale titolo; dall'altro, ha osservato come la documentazione prodotta non provasse, a monte, lo svolgimento della prestazione fuori dalla sede di lavoro. A tale riguardo, non poteva valere la testimonianza assunta, per la sua assoluta genericità;

4. ha proposto ricorso per cassazione, la società in epigrafe, con tre motivi, resistito dall'Inps, con controricorso;

5. parte ricorrente ha depositato memoria;

6. all'adunanza camerale, il Collegio ha riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, comma 2, c.p.c.).

Motivi della decisione

7. con il primo motivo - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 - è dedotta la violazione e/o falsa applicazione del DL n. 338 del 1989, art. 1, convertito con modificazioni in L. n. 389 del 1989, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

8. le censure, nel complesso, investono la questione della intervenuta e concordata sospensione della prestazione lavorativa e la statuizione secondo cui sussisterebbe, comunque, l'obbligo contributivo sulla retribuzione dovuta per contratto collettivo e non su quella effettivamente corrisposta;

9. il motivo -che devolve alla Corte la questione del cd. minimale contributivo- è infondato;

10. secondo la giurisprudenza consolidatasi dopo Cass., sez. un., n. 11199 del 2002, l'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali, ai sensi del D.L. n. 338 del 1989, art. 1 (conv. con L. n. 389 del 1989), non può essere inferiore all'importo del c.d. "minimale contributivo", ossia all'importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale. Tale regola è espressione del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all'obbligazione retributiva, in virtù del quale l'obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro e com'è stato chiarito da Cass. n. 15120 del 2019 la sua operatività concerne non soltanto l'ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l'orario di lavoro da prendere a parametro, che dev'essere l'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore): è infatti evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere rispetto del minimale contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe vulnerata la stessa idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze previdenziali e assistenziali per le quali è stato istituito (v. in tal senso già Corte Cost. n. 342 del 1992);

11. ciò equivale a dire che non sussiste alcuna possibilità per i datori di lavoro di modulare l'obbligazione contributiva in funzione dell'orario o della stessa presenza al lavoro che abbiano concordato con i loro dipendenti: l'obbligazione relativa ai contributi deve piuttosto ritenersi svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e semmai connotata da caratteri di predeterminabilità e oggettività, anche in funzione della possibilità di un controllo da parte dell'ente previdenziale, per modo che rimane dovuta nell'intero ammontare previsto dal contratto collettivo anche nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo medesimo, quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione (così, espressamente, Cass. n. 4676 del 2021 e Cass. n. 15120 del 2019, sulla scorta di quanto già affermato da Cass. n. 13650 del 2019 che ha in tal senso superato il diverso principio affermato da Cass. n. 24109 del 2018);

12. il cit. D.L. n. 338 del 1989, art. 1, infatti, nel prevedere che la retribuzione da assumere quale base di calcolo dei contributi previdenziali non possa essere "inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quella prevista dal contratto collettivo", non si limita a ribadire quanto già desumibile dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, ossia che l'imponibile contributivo si determina sul "dovuto" e non su quanto "di fatto erogato", ma pone il diverso e ulteriore principio per cui la retribuzione "dovuta" in relazione al sinallagma del rapporto di lavoro risulta rilevante solo se è superiore ai minimi previsti dal contratto collettivo, mentre in caso contrario non rileva e vale la misura minima determinata dal contratto collettivo. Vale a dire che non ogni alterazione del sinallagma funzionale del rapporto di lavoro, per quanto possa incidere sull'an e sul quantum dell'obbligazione retributiva, è rilevante ai fini della commisurazione dell'obbligazione contributiva: quest'ultima segue infatti proprie regole, potendo risultare dovuta perfino in assenza di alcun obbligo retributivo a carico del datore di lavoro (così testualmente, Cass. n. 4676 del 2021 che richiama, in proposito, Cass. n. 4899 del 2017);

13. si è, quindi, affermato che "finanche la forza maggiore non imputabile al datore di lavoro, pur potendo liberare il lavoratore dall'obbligo della prestazione ed il datore di lavoro dall'obbligo di corrispondere la retribuzione, non acquista rilevanza ai fini della determinazione dell'obbligazione contributiva se non in quanto vi sia una clausola del contratto collettivo di settore che attribuisca alla "forza maggiore" la qualità di causa di sospensione del rapporto di lavoro" (Cass. n. 4676 del 2021 cit.);

14. agli indicati principi si è conformata la sentenza impugnata. Agli stessi va assicurata continuità in questa sede, dovendo solo precisarsi che le anzidette conclusioni non sono suscettibili di essere messe in discussione dalle argomentazioni contenute in una recente pronuncia che, a proposito della regola del minimale contributivo, farebbe salva l'ipotesi in cui "la controprestazione non sia stata resa per assenza del lavoratore o sospensione concordata, da provarsi da parte del datore" (Cass. n.22127 del 2022); indipendentemente dal fatto che l'espressa affermazione costituisce mero obiter dictum, essa è resa attraverso il richiamo di Cass. n. 13650 del 2019 e di Cass. n. 4676 del 2021 che, invece, criticamente hanno inteso superare proprio l'affermazione in questione;

15. con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 - è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 153 del 1969, art. 12; del D.Lgs. n. 314 del 1997, artt. 3 e 6; del D.P.R. n. 917 del 1946, art. 48 nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine all'erronea applicazione del CCNL metalmeccanici artigiani e sull'an debendi della contribuzione previdenziale, stante la pacifica erogazione delle somme a titolo di rimborsi spese;

16. con il terzo motivo -ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. "in ordine alle norme già censurate con il primo motivo" nonchè ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame su un fatto controverso e decisivo, con riferimento alla documentazione prodotta e alle modalità indicate dalla corte territoriale per l'assolvimento dell'onere probatorio;

17. i due motivi possono congiuntamente esaminarsi, per la loro intima connessione;

18. con entrambi i motivi di censura, parte ricorrente critica la statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto che i compensi, indicati nei documenti datoriali come corrisposti a titolo di trasferta, non configurassero, invece, somme riconosciute a detto titolo o per rimborsi spese di viaggi sostenuti e che, pertanto, in relazione alle stesse, non ricorressero i presupposti per una riduzione contributiva;

19. i rilievi sono inammissibili per più profili. Gli stessi, da un lato, sono carenti di specificità, per la mancata trascrizione del contratto collettivo e del documento (regolamento aziendale) su cui si fondano e, dall'altro, investendo il giudizio di merito con cui la Corte territoriale ha escluso i presupposti fattuali delle trasferte, non incrinano il ragionamento decisorio con censure riconducibili al paradigma normativo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, come tracciato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014);

20. sufficienti le considerazioni esposte, è il caso comunque di rimarcare -quanto al piano della distribuzione dell'onere della prova pure controverso- che spetta al datore di lavoro la prova che un determinato compenso sia stato corrisposto al lavoratore a titolo di trasferta e/o di rimborso spese e non di retribuzione (v., per esempio, Cass. n. 26267 del 2020 sulla scia di Cass. n. 18160 del 2018 e di Cass. n. 13011 del 2017);

21. si tratta dell'applicazione di un principio che accomuna tutte le situazioni incidenti, in senso riduttivo, sull'obbligo contributivo previdenziale, per il tratto comune della loro natura eccezionale rispetto alla regola generale costituita dall'obbligo del pagamento integrale della contribuzione sulle somme corrisposte ai lavoratori. E', quindi, logico individuare nella parte interessata a godere di una agevolazione contributiva quella gravata dell'onere di individuare la specifica fattispecie esonerativa e di dimostrare la sussistenza dei relativi requisiti;

22. sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso va complessivamente rigettato;

23. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

24. sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00, per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2023

 


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