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DISCORSO AL REICHSTAG
Il Führer israeliano ha tenuto il suo discorso al Reichstag statunitense, tra gli applausi scroscianti delle due ali del Partito Unico Nazisionista Americano. 58 standing ovation, una al minuto. Solo cinquanta rappresentanti hanno deciso di non partecipare, e tra questi la candidata dem alla presidenza, Kamala Harris. Squallida mossa elettoralistica, per la vice-presidente di un fanatico guerrafondaio, autodefinitosi sionista nell'anima, che ha sostenuto attivamente con armi e denaro la campagna genocida contro i civili palestinesi a Gaza.
Il discorso del Führer è stato sfrontatamente ributtante, degno di chi l'ha pronunciato, e talmente stracolmo di menzogne sfacciate da non meritare alcuna analisi nel dettaglio. Due cose però risultano evidenti. La prima è che gli Stati Uniti, in questa triste fase del proprio declino, sono pronti a sostenere entusiasticamente chiunque stia dalla loro parte, che si tratti degli ukronazisti dell'Azov o dei nazisionisti del Likud. Non importa quanto possano far schifo, né quanto possano essere abietti: quel che conta è che siano fedeli al declinante impero. Tanto più quando si tratta degli ultimi, veri alleati rimasti in Medio Oriente.
La seconda è che con questa arringa, e soprattutto con l'entusiasmo che l'ha accolta, si è fatto un significativo passo verso una più vasta guerra regionale. L'ossessiva indicazione dell'Iran come il nemico barbarico da abbattere, porta dritta verso il conflitto con Teheran.
Il discorso al Reichstag è come un cocktail molotov lanciato su un deposito di benzina. E le standing ovation significano che Washington ha definitivamente seppellito ogni ipotesi di favorire un cambio della guardia a Tel Aviv. Si terranno il piccolo Führer, e lo sosterranno nel suo delirio biblico di guerra e sangue.
Questa fase di interregno, con una sostanziale vacatio dei poteri presidenziali, fa degli USA un'anatra zoppa, che può ancor più facilmente essere trascinata in una folle avventura. Dalla Palestina la fiammata rischia di divampare in Libano, in Iraq, in Yemen, in Iran - e quindi inevitabilmente in Siria, in Giordania...
Le belve, quando sentono avvicinarsi la fine, perdono quel po' di senno insito nell'istinto animale, e diventano feroci.
Anche la terza, come la seconda, potrebbe scoppiare per i deliri di un Führer impazzito.
𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐦𝐢 𝐬𝐮 𝐓𝐞𝐥𝐞𝐠𝐫𝐚𝐦!
Il Führer israeliano ha tenuto il suo discorso al Reichstag statunitense, tra gli applausi scroscianti delle due ali del Partito Unico Nazisionista Americano. 58 standing ovation, una al minuto. Solo cinquanta rappresentanti hanno deciso di non partecipare, e tra questi la candidata dem alla presidenza, Kamala Harris. Squallida mossa elettoralistica, per la vice-presidente di un fanatico guerrafondaio, autodefinitosi sionista nell'anima, che ha sostenuto attivamente con armi e denaro la campagna genocida contro i civili palestinesi a Gaza.
Il discorso del Führer è stato sfrontatamente ributtante, degno di chi l'ha pronunciato, e talmente stracolmo di menzogne sfacciate da non meritare alcuna analisi nel dettaglio. Due cose però risultano evidenti. La prima è che gli Stati Uniti, in questa triste fase del proprio declino, sono pronti a sostenere entusiasticamente chiunque stia dalla loro parte, che si tratti degli ukronazisti dell'Azov o dei nazisionisti del Likud. Non importa quanto possano far schifo, né quanto possano essere abietti: quel che conta è che siano fedeli al declinante impero. Tanto più quando si tratta degli ultimi, veri alleati rimasti in Medio Oriente.
La seconda è che con questa arringa, e soprattutto con l'entusiasmo che l'ha accolta, si è fatto un significativo passo verso una più vasta guerra regionale. L'ossessiva indicazione dell'Iran come il nemico barbarico da abbattere, porta dritta verso il conflitto con Teheran.
Il discorso al Reichstag è come un cocktail molotov lanciato su un deposito di benzina. E le standing ovation significano che Washington ha definitivamente seppellito ogni ipotesi di favorire un cambio della guardia a Tel Aviv. Si terranno il piccolo Führer, e lo sosterranno nel suo delirio biblico di guerra e sangue.
Questa fase di interregno, con una sostanziale vacatio dei poteri presidenziali, fa degli USA un'anatra zoppa, che può ancor più facilmente essere trascinata in una folle avventura. Dalla Palestina la fiammata rischia di divampare in Libano, in Iraq, in Yemen, in Iran - e quindi inevitabilmente in Siria, in Giordania...
Le belve, quando sentono avvicinarsi la fine, perdono quel po' di senno insito nell'istinto animale, e diventano feroci.
Anche la terza, come la seconda, potrebbe scoppiare per i deliri di un Führer impazzito.
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