INFORTUNI SUL LAVORO
App. Trento, 13-05-2011
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il Giudice monocratico del Tribunale di Trento, con sentenza 20.11.2009,
giudicando con il rito abbreviato condizionato all'audizione della parte offesa,
ritenuta la penale responsabilità, ha condannato #################### nella
qualità di socio al 50% della #################### S.n.c. per l'infortunio
occorso al fratello, ####################, che il (...), lavorando presso il
macchinario Toupie mod. TS. 119 utilizzato per tagliare listelli di legno,
nell'occasione privo della prevista protezione, subiva lesioni personali gravi
consistite nella parziale amputazione del 2 dito della mano destra e ferite al 3
4 5 dito con prognosi di 59 giorni. Il Giudicante ha ritenuto:
- che l'imputato fosse il destinatario delle norme antinfortunistiche,oltre che
in base alle disposizioni normative (art. 4D.P.R. 547/55) anche sulla base della
modifica dell'atto costitutivo della società, depositata nell'anno 1998 che lo
indicava quale responsabile della sicurezza ed in particolare del controllo
della prevenzione di infortuni e malattie professionali, nonché dell'osservanza
delle norme riguardanti la salute, la sicurezza e la tutela ambientale;
- che la dinamica dell'incidente deve ricondursi alla mancata protezione delle
lame del macchinario utilizzato, rimossa in precedenza dallo stesso infortunato,
####################, senza peraltro avvertire il fratello,
- che il comportamento colposo ascritto al socio #################### deve
ravvisarsi nella violazione dell'art. 71d.lgs. 81/08,alla cui vigilanza
sull'osservanza era tenuto l'imputato in virtù della posizione di garanzia
rivestita, vigilanza che avrebbe potuto comodamente espletare trattandosi di
impresa di ridotte dimensioni (un solo dipendente) in cui entrambi i soci
lavoravano quotidianamente,
- che per il profilo soggettivo deve ritenersi la prevedibilità della condotta
dannosa stante la pericolosità del macchinario utilizzato.
Escluso che la condotta del socio lavoratore possa aver avuto rilevanza
esclusiva nella causazione dell'evento, il Giudice, concesse le attenuanti
generiche, ha condannato l'imputato, con la diminuzione per il rito, alla pena
di mesi uno giorni dieci di reclusione.
Propone tempestivo appello il Difensore di #################### censurando
l'affermazione di responsabilità ed in particolare, in primo luogo, la ritenuta
sussistenza della posizione di garanzia in capo all'imputato. Evidenziando la
peculiarità del caso costituito dalla posizione dell'infortunato di socio e
legale rappresentante della società al pari del fratello e non di semplice
lavoratore, lamenta la mancata considerazione della natura ed efficacia
dell'atto in base al quale il primo giudice ha ritenuto sussistente la posizione
di garanzia dell'imputato. Tale atto pone in capo all'imputato il controllo
della prevenzione infortuni e non ha efficacia liberatoria nei confronti del
socio infortunatosi, non prevedendo alcun trasferimento di funzioni in capo al
#################### Inoltre, l'atto non prevede la disponibilità di mezzi
finanziari e sul piano pratico non risulta aver mai avuto alcuna effettività.
Dalle deposizioni di #################### e del dipendente ####################
si desume, infatti, come anche nell'ambito della sicurezza del lavoro le
decisioni fossero sempre assunte insieme dai fratelli Bo., mentre, all'interno
dell'azienda, sussisteva una precisa divisione dei compiti tra i due soci,
ditalchè ciascuno di essi agiva in totale autonomia nel settore di competenza.
Lamenta, inoltre, la valutazione del primo Giudice circa la condotta mantenuta
dalla parte offesa. Il macchinario in cui si verificò l'infortunio era di
competenza pressoché esclusiva dell'infortunato e questi aveva deciso,
all'insaputa del fratello, di sostituire il presidio antinfortunistico da lui
stesso realizzato, con quello, originale, in dotazione del macchinario. La
qualità di socio - datore di lavoro dello stesso infortunato non può far
invocare l'efficacia liberatoria della delega, permanendo comunque il dovere di
controllo sull'adempimento dei doveri del delegato. L'infortunato, nel caso, era
il primo destinatario delle norme antinfortunistiche e la sua negligente e
gravemente incauta condotta ha assunto i caratteri della abnormità ed
eccezionalità tale da escludere la responsabilità del socio. Difetta quindi il
requisito della colpevolezza. Ancora, la Difesa evidenzia come la condotta
omissiva dell'imputato sarebbe consistita nel consentire al fratello/socio
l'utilizzo di un macchinario privo della prevista protezione, mentre è la stessa
p.o. ad affermare di avere riposizionato in loco la protezione originaria in
dotazione del macchinario. Detto macchinario è conforme ai requisiti di legge,
come attestato dalla certificazione CEE, il che consentiva un giustificato
affidamento della falegnameria in relazione al suo utilizzo.
Chiede pertanto l'assoluzione del proprio assistito.
In via subordinata deduce l'erronea applicazione dell'art. 62 bis, 62 n. 6 c.p.,
l'eccessività della pena e la mancata concessione della non menzione della
condanna. Chiede, in via ulteriormente subordinata, l'applicazione della sola
pena pecuniaria. All'odierna udienza camerale, nell'assenza dell'appellante,
all'esito della discussione le parti hanno concluso come in atti. L'appello è
infondato in punto di responsabilità.
La sentenza di primo grado adeguatamente e condivisibilmente motivata può essere
integralmente richiamata, mentre i motivi d'appello costituiscono la mera
riproposizione di argomentazioni difensive già confutate dal primo Giudice. In
particolare, quanto alla posizione di garanzia, osserva la Corte come, secondo
costante giurisprudenza di legittimità; "l'obbligo di adottare le misure idonee
e necessarie alla tutela dell'integrità fisica dei lavoratori, quando si tratti
di società di persone e non risulti l'espressa delega a persona di particolare
competenza nel settore della sicurezza, incombe su ciascun socio" (Sez. 4,
Sentenza n. 32193 del 26/05/2009 Ud. (dep. 06/08/2009) Rv. 245113; Sez. 4, n.
18683 del 27/02/2004 Ud. - dep. 22/04/2004 - Rv. 228361; conf. Sez. 3, n. 26122
del 12/04/2005 Ud. - dep. 15/07/2005 - Rv. 23195). Infatti, la normativa
individua tra i beneficiari delle
norme di tutela, oltre ai lavoratori dipendenti, anche i soci lavoratori, (anche
di fatto), ditalché "il socio lavoratore è contemporaneamente soggetto tutelato
e destinatario delle norme antinfortunistiche".
Nel caso di specie, a maggior ragione deve ritenersi sussistente la posizione di
garanzia dell'imputato, in quanto risulta come proprio ####################
fosse stato espressamente indicato, nello statuto (cfr. modifica all'atto
costitutivo della società 30.10.2008) quale responsabile della sicurezza e
prevenzione antinfortunistica. Non si tratta, come pare ritenere il Difensore,
di una delega alla funzione indicata, ma di una norma statutaria che,
conferendogli la qualità di responsabile, vale a confermare la posizione di
garanzia rivestita, indipendentemente dalle prassi adottate all'interno
dell'azienda. A nulla rilevano, pertanto i rilievi prospettati circa l'assenza
di autonomia decisionale e di spesa del #################### che potrebbero
avere incidenza solo nell'ipotesi di rilascio di delega di funzioni (cfr. Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 44890 del 21/10/2009).
Né peraltro, nel caso, è in discussione l'eventuale responsabilità
dell'infortunato nell'incidente occorsogli, come pare ritenere il Difensore,
poiché anche il concorso colposo dello stesso, vuoi per la qualità di socio,
vuoi per l'imprudenza nella condotta mantenuta, non sarebbero comunque
sufficienti ad esimere da responsabilità l'altro socio, sia in quanto a sua
volta responsabile per la posizione rivestita, sia perché, come nel caso,
espressamente onerato dalla posizione di garanzia.
Nel merito, la decisione impugnata appare sostanzialmente corretta ed la
motivazione fornisce, con argomentazioni basate su una compiuta valutazione
delle risultanze probatorie, una persuasiva risposta ai quesiti concernenti
l'infortunio oggetto del processo: il Tribunale, dopo aver analizzato tutti gli
aspetti della vicenda (posizione di garanzia del Bo., disposizioni di legge
violate e dinamica dell'infortunio) ha ampiamente e diffusamente esposto le
ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità
dell'imputato.
Per completezza, tuttavia, appaiono necessarie alcune precisazioni in relazione
alle questioni sollevate dall'appellante.
In primo luogo va osservato che soltanto nelle dichiarazioni rese all'udienza
#################### ha affermato di aver rimosso la protezione da lui stesso
predisposta per le lame del macchinario e di averla sostituita con quella,
originaria, in dotazione. Al contrario, risulta accertato (cfr. dichiarazioni
dello stesso Bo. all'UOPSA in data 26.11.2008, dichiarazioni di
#################### 14.1.2009, accertamento ispettivo compiuto il 15.10.2008,
nonché i rilievi fotografici allo stesso allegati) che, al momento
dell'infortunio, il macchinario in questione era totalmente privo della
protezione costituita da una falsa guida per chiudere lo spazio tra le due guide
e rendere inaccessibile la fresa. In particolare l'assenza di protezione è
riscontrabile nella foto n. 2 scattata dagli Ispettori del Lavoro intervenuti
nell'immediatezza del fatto, dalle dichiarazioni dello stesso Bo. ora richiamate
e, soprattutto,
dalle sommarie informazioni del dipendente Li. è desumibile come detta
protezione fosse stata rimossa diversi mesi addietro e come, solo dopo
l'infortunio e la relativa visita ispettiva, fosse stata posizionata in sede.
Consegue che la difforme versione resa all'udienza dalla parte offesa, circa la
presenza della protezione "originale" del macchinario altro non costituisce se
non un tentativo di minimizzare la responsabilità del fratello imputato.
Pare dunque evidente che la responsabilità di #################### deve
ritenersi sussistente avuto riguardo ai principi espressi dalla giurisprudenza
di legittimità circa gli obblighi e le responsabilità del datore di lavoro in
relazione all'uso, da parte del lavoratori, degli strumenti previsti dalla legge
per la prevenzione degli infortuni. Sostiene la Suprema Corte che: "le norme
dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire la
insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non
solo dagli incidenti derivanti dalla di lui disattenzione, ma anche in
riferimento a quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello
stesso. Ne consegue, pertanto, che il datore di lavoro è sempre responsabile
dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di apportare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di
queste misure il dipendente ne faccia effettivamente uso" (Sez. 4, n. 16380 del
03/10/1990 Ud. - dep. 10/12/1990 - imp. Ma., Rv. 185986). Analogamente le
Sezioni Unite della Suprema Corte, enunciando il principio secondo il quale: "al
fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati
D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, ex art. 4 a garantire la sicurezza dello
svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le
direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con
prudente e continua diligenza la puntuale osservanza" (Cass. SU 21 maggio 1988,
lori), valgono a confermare l'assunto.
Nel caso, oltre al comportamento certamente imprudente e negligente del socio
lavoratore, deve ritenersi accertato che abbia contribuito alla diretta
causazione dell'infortunio l'omissione da parte del "datore di lavoro" (cioè di
colui che rivestiva la posizione di garanzia) del controllo sulla osservanza
delle norme antinfortunistiche, consentendo così la manomissione del macchinario
e l'inosservanza da parte del socio lavoratore finanche delle norme di comune
prudenza.
Peraltro, non può fondatamente ritenersi che la condotta imprudente del socio
#################### abbia rivestito quei caratteri di abnormità e eccezionalità
tali da escludere la sussistenza del nesso causale tra violazione imputata ed
evento: l'attività svolta da #################### e le modalità di espletamento
come dallo stesso descritta, appaiono del tutto usuali, né risulta realizzata
una condotta del tutto anomala, esorbitante dal procedimenti di lavoro cui era
addetto ovvero l'inosservanza, da parte sua, di precise disposizioni
antinfortunistiche o di ordini esecutivi.
Infine, la ricostruzione del fatto come sopra precisata vale ad escludere
qualsiasi valenza alla tesi difensiva volta a dimostrare come la presenza di una
certificazione di conformità del macchinario alle norme CEE, e la presenza
dell'originaria protezione prevista, avesse creato un affidamento in capo al
debitore di garanzia sulla presenza di sufficienti presidi antinfortunistici.
Peraltro, anche a prescindere dall'accertata assenza di qualsiasi presidio sul
macchinario al momento dell'incidente, pare opportuno rammentare come la
costante giurisprudenza di legittimità non ritenga sufficiente la presenza sul
macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella
notorietà e competenza del costruttore, ad esonerare da responsabilità del
soggetto destinatario del precetto antinfortunistico, che, invece è tenuto ad
accertare la corrispondenza ai requisiti di
legge dei macchinari utilizzati (Cass. Sez. Sez. 4, Sentenza n. 37060 del
12/06/2008 Ud. (dep. 30/09/2008) Rv. 241020 Vi. e altro).
La sentenza deve dunque essere confermata in punto di responsabilità. Resta da
considerare la quantificazione della pena, reputata dall'appellante eccessiva e
non attestata sulla sola pena pecuniaria, come sarebbe stato equo considerando
la peculiarità della situazione ed il modestissimo grado di colpa del prevenuto.
La Corte non ritiene fondata la richiesta di determinazione della sola pena
pecuniaria, avuto riguardo alla gravità del fatto e delle conseguenze derivatene
e, tuttavia ritiene maggiormente adeguata ai parametri dell'art. 133 c.p. una
riduzione della pena inflitta dal primo Giudice. Va, peraltro, evidenziato
come,in realtà, il Giudicante abbia ritenuta la prevalenza delle attenuanti
generiche sulle aggravanti pur non esplicitando tale giudizio di valenza (non si
comprenderebbe altrimenti la quantificazione della pena inferiore ai minimi
edittali).
La pena inflitta può essere rideterminata, tenuto conto dell'elevato grado del
contributo colposo della vittima alla realizzazione dell'evento muovendo dalla
pena base, valutate le attenuanti prevalenti, di mesi uno di reclusione, ridotta
per il rito a giorni venti di reclusione.P.Q.M.
Visto l'art. 599 c.p.p.,
in parziale riforma della sentenza impugnata, specificato che le concesse
attenuanti generiche vanno valutate prevalenti sulla contestata aggravante,
riduce al pena a giorni venti di reclusione. Conferma nel resto.
Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.
Così deciso in Trento il 15 aprile 2011.
Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2011.