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mercoledì 6 giugno 2018

N. 112 SENTENZA 18 aprile - 30 maggio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Raddoppio dei termini di prescrizione per i reati di frana colposa di cui all'art. 449 cod. pen., in relazione all'art. 426 cod. pen., e di naufragio colposo di cui all'art. 449 cod. pen., in relazione all'art. 428 cod. pen. - Codice penale, art. 157, sesto comma. - (GU n.23 del 6-6-2018 )

N. 112 SENTENZA 18 aprile - 30 maggio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e pene - Raddoppio dei termini di prescrizione per i  reati  di
  frana colposa di cui all'art. 449 cod. pen., in relazione  all'art.
  426 cod. pen., e di naufragio colposo  di  cui  all'art.  449  cod.
  pen., in relazione all'art. 428 cod. pen.
- Codice penale, art. 157, sesto comma.

(GU n.23 del 6-6-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  157,  sesto
comma,  del  codice  penale,  promossi  con  ordinanze  della   Corte
d'appello di L'Aquila e della Corte di Cassazione del 21 ottobre 2015
e del 21 gennaio 2016, iscritte rispettivamente ai nn. 17  e  58  del
registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica nn. 6 e 12, prima serie speciale, dell'anno 2016.
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 18  aprile  2018  il  Giudice
relatore Franco Modugno.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 21 ottobre 2015 (r.o. n. 17 del  2016),  la
Corte d'appello di L'Aquila ha sollevato, in riferimento  all'art.  3
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 157, sesto comma, del codice penale,  nella  parte  in  cui
prevede che il termine di prescrizione del  reato  di  frana  colposa
(art. 449 in riferimento all'art. 426 cod. pen.) e' raddoppiato.
    La corte rimettente riferisce di  essere  investita  dell'appello
avverso la sentenza del 25 giugno 2013, con  la  quale  il  Tribunale
ordinario di Teramo  aveva  condannato  due  persone  per  il  reato,
commesso in  cooperazione  colposa  (art.  113  cod.  pen.),  di  cui
all'art. 449 in riferimento all'art. 426 cod. pen., accertato  il  17
febbraio  2006,  assolvendo  altri  tre   imputati   dalla   medesima
imputazione perche' il fatto non costituisce reato.
    Contro tale sentenza avevano proposto appello: a) i difensori dei
due imputati condannati, chiedendo l'assoluzione dei loro  assistiti;
b) il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale  ordinario  di
Teramo, chiedendo la condanna  dei  tre  imputati  assolti  in  primo
grado; c) il difensore della parte civile, chiedendo che uno di  tali
ultimi imputati fosse condannato  al  risarcimento  del  danno  e  al
pagamento di una provvisionale.
    Cio' premesso, il giudice a quo osserva, in  punto  di  rilevanza
della questione, che, discutendosi di fatti risalenti al 17  febbraio
2006,  sarebbe  ampiamente  decorso,  alla  data  dell'ordinanza   di
rimessione, il termine di prescrizione  risultante  dall'applicazione
della regola generale enunciata  dall'art.  157,  primo  comma,  cod.
pen., come sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), secondo la quale il  tempo  necessario  a  prescrivere
corrisponde al massimo della pena edittale prevista dalla legge,  con
una soglia minima di sei anni per i delitti e di quattro anni per  le
contravvenzioni. In quanto punito con la pena massima di cinque  anni
di reclusione, il delitto di frana colposa, per cui  si  procede,  si
prescriverebbe, infatti, in sei anni,  aumentati  di  un  quarto  per
l'intervento di atti interruttivi, ai sensi  dell'art.  161,  secondo
comma, cod. pen.
    Sarebbe pertanto evidente l'incidenza sul giudizio principale del
raddoppio dei termini di prescrizione dei reati di cui  all'art.  449
cod. pen., disposto dal sesto comma dello stesso art. 157 cod.  pen.:
raddoppio  a  fronte  del  quale  il  delitto  in   discussione   non
risulterebbe, viceversa, ancora prescritto.
    Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, la corte rimettente
rileva  che,  per  effetto  della  norma   denunciata,   il   termine
prescrizionale  del  delitto  di  frana  colposa  viene   ad   essere
parificato a quello della corrispondente fattispecie dolosa,  per  la
quale l'art. 426 cod. pen. stabilisce la pena massima di dodici  anni
di reclusione.
    La previsione di un identico  termine  prescrizionale  tanto  per
l'ipotesi dolosa, quanto per quella colposa del  medesimo  delitto  -
alle quali  pure  lo  stesso  legislatore  attribuisce  un  disvalore
nettamente differenziato, come dimostra il divario fra le  rispettive
pene edittali - scardinerebbe «la scala  della  complessiva  gravita'
delle due fattispecie criminose,  avuto  riguardo  alla  riconosciuta
natura sostanziale dell'istituto della prescrizione», con  «manifesto
vulnus dei principi di ragionevolezza  ed  eguaglianza».  Una  simile
disciplina   non   potrebbe   essere,   infatti,   giustificata    da
considerazioni relative al grado dell'allarme sociale generato  dalle
fattispecie in parola, giacche', se pure «i  danni  ai  beni  comuni»
prodotti dai reati dolosi  e  dai  reati  colposi  sono  in  astratto
identici, ben diverso e' il disvalore che l'ordinamento annette  alla
rispettiva componente psicologica.
    Con la sentenza n. 143 del  2014,  la  Corte  costituzionale  ha,
d'altronde, gia' dichiarato illegittimo l'art. 157, sesto comma, cod.
pen., per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede il
raddoppio del termine di prescrizione del reato di incendio  colposo,
di cui al combinato disposto degli artt. 449 e 423  cod.  pen.  Cio',
sul rilievo che la prescrizione costituisce un  istituto  di  diritto
sostanziale e che la discrezionalita'  legislativa  in  materia  deve
essere esercitata nel rispetto del principio di ragionevolezza  e  in
modo da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento
fra fattispecie omogenee.
    2.- Con ordinanza del 21 gennaio 2016 (r.o. n. 58 del  2016),  la
Corte  di  cassazione,  sezione  quarta  penale,  ha  sollevato,   in
riferimento   all'art.   3   Cost.,   questione    di    legittimita'
costituzionale del medesimo art. 157, sesto comma, cod.  pen.,  nella
parte in cui prevede che il termine  di  prescrizione  del  reato  di
naufragio colposo (art. 449 in riferimento all'art. 428 cod. pen.) e'
raddoppiato.
    La corte rimettente riferisce di essere investita del ricorso per
cassazione proposto dagli imputati avverso la  sentenza  della  Corte
d'appello di Napoli che - confermando, per questa parte,  l'appellata
sentenza del  Tribunale  ordinario  di  Napoli  -  aveva  ritenuto  i
ricorrenti responsabili del reato di cui agli artt. 113, 428  e  449,
secondo comma, cod. pen., per avere, in cooperazione tra loro,  nelle
rispettive qualita' di comandante e di marinaio timoniere di una nave
cisterna, cagionato, a seguito di  collisione,  il  naufragio  di  un
motopeschereccio, nonche' del reato di cui agli artt. 113 e 589  cod.
pen., per aver causato, in tale occasione, la morte  di  tre  persone
presenti a bordo del natante; reati commessi il 29 giugno 2005.
    A sostegno dell'impugnazione, i ricorrenti  avevano  dedotto  una
articolata serie di motivi, intesi a denunciare, in  particolare,  il
difetto o la manifesta illogicita' della motivazione  della  sentenza
impugnata riguardo alla sussistenza del nesso di  causalita'  tra  le
omissioni  addebitate  ai  ricorrenti   stessi   e   l'evento,   alla
sussistenza della responsabilita' in capo al marinaio timoniere, alla
esclusione della responsabilita' di due marinai del motopeschereccio,
alla quantificazione della percentuale  di  corresponsabilita'  degli
imputati nella determinazione dell'evento, alle statuizioni civili  e
alla quantificazione della pena.
    Ad  avviso  della  corte  rimettente,  i  motivi  proposti   «non
appa[rirebbero]  tutti  manifestamente  infondati».  Non   emergendo,
peraltro, alla luce delle pronunce di merito, l'evidenza della  prova
che consentirebbe l'adozione di una decisione liberatoria nel  merito
ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura  penale,  occorrerebbe
valutare se sia intervenuta, o non,  la  prescrizione  dei  reati  in
contestazione.
    La risposta sarebbe senz'altro affermativa quanto al  delitto  di
omicidio colposo plurimo. Tenuto conto della data di commissione  del
reato (29 giugno 2005) e dei ventotto  giorni  di  sospensione  della
prescrizione intervenuti nel corso del giudizio  di  primo  grado  in
correlazione   all'astensione   degli    avvocati,    tale    delitto
risulterebbe, infatti, prescritto il 26 gennaio 2013.
    A diversa conclusione  dovrebbe  invece  pervenirsi,  sulla  base
della  normativa  vigente,  con  riguardo  al  delitto  di  naufragio
colposo.  Al  riguardo,  sebbene  il  capo  di   imputazione   faccia
riferimento agli artt. 428  e  449,  secondo  comma,  cod.  pen.,  la
contestazione in punto di  fatto,  la  dosimetria  della  pena  e  la
circostanza che sia stato ritenuto  piu'  grave  il  delitto  di  cui
all'art. 589 cod.  pen.  lascerebbero  chiaramente  intendere  che  i
giudici di merito hanno inteso, in realta',  riferirsi  al  combinato
disposto degli artt. 428 e 449, primo comma, cod.  pen.  Cio',  sulla
base della condivisibile interpretazione secondo cui la  disposizione
del secondo comma dell'art. 449 cod. pen., nel prevedere il raddoppio
della pena nei casi  di  naufragio  o  di  sommersione  di  una  nave
«adibita a trasporto di persone», intende far riferimento ai soggetti
ulteriori rispetto ai membri dell'equipaggio.  Ogni  diversa  opzione
ermeneutica priverebbe, del resto, di significato  la  specificazione
«adibita a trasporto di persone», tramite la quale il legislatore  ha
voluto evidentemente sottoporre a una pena piu'  severa  i  fatti  di
naufragio o di sommersione che mettano in pericolo anche la vita  dei
terzi trasportati. Di qui, dunque, l'inapplicabilita' della  sanzione
piu' grave  nel  caso  in  esame,  concernente  il  naufragio  di  un
peschereccio, destinato al solo trasporto dell'equipaggio.
    Ricondotta  la  vicenda  oggetto  di  giudizio  alla  fattispecie
criminosa di cui agli artt. 428 e 449, primo  comma,  cod.  pen.,  il
reato si prescriverebbe, sulla base del disposto dell'art. 157, sesto
comma, cod. pen., solo il 27 luglio 2020.
    L'art. 449 cod. pen., sotto  la  rubrica  «[d]elitti  colposi  di
danno», punisce, infatti, al primo comma, con la reclusione da uno  a
cinque anni «[c]hiunque, al  di  fuori  delle  ipotesi  previste  nel
secondo comma dell'articolo 423-bis, cagiona per colpa un incendio, o
un altro  disastro  preveduto  dal  capo  primo  di  questo  titolo».
All'epoca del fatto, il termine massimo di prescrizione applicabile a
tale reato, ai sensi dell'art. 161,  secondo  comma,  cod.  pen.,  in
presenza di atti interruttivi, sarebbe stato di quindici anni (mentre
quello del reato di naufragio doloso, di cui all'art. 428 cod.  pen.,
era di ventidue anni e sei mesi).
    La legge n. 251 del 2005 ha modificato,  tuttavia,  profondamente
la disciplina della  prescrizione,  stabilendo  che  questa,  in  via
generale, estingue  il  reato  decorso  il  tempo  corrispondente  al
massimo della pena edittale stabilita dalla legge e, comunque sia, un
tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e  di  quattro
anni nel caso di contravvenzione, ancorche' puniti con la  sola  pena
pecuniaria. In deroga a  tale  regola  generale,  l'art.  157,  sesto
comma, cod. pen. dispone,  peraltro,  il  raddoppio  dei  termini  di
prescrizione di una serie di reati, tra cui quelli previsti dall'art.
449 cod. pen.
    A fronte di  cio',  il  termine  di  prescrizione  del  reato  in
questione - che in base alla regola generale sarebbe pari a sei  anni
- diviene di dodici anni, aumentabili fino a quindici in presenza  di
atti interruttivi in base al novellato art. 161, secondo comma,  cod.
pen., cosi'  come  nella  disciplina  previgente.  Tale  termine  non
sarebbe, pertanto, ancora decorso.
    La  corte  rimettente  dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale  della  censurata  disposizione  sul   raddoppio   dei
termini, nella parte in cui  e'  riferita  al  delitto  di  naufragio
colposo.
    La questione risulterebbe rilevante, giacche', se non vi fosse il
raddoppio, troverebbe applicazione - in base all'art. 10, commi  2  e
3, della legge n. 251 del 2005 - la disposizione di cui al  novellato
art. 157, primo, secondo e terzo comma, cod.  pen.,  in  quanto  piu'
favorevole, con un termine massimo di prescrizione di  sette  anni  e
mezzo, gia' interamente spirato.
    Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
rileva che, con la sentenza n. 143 del 2014, la Corte  costituzionale
ha dichiarato illegittimo l'art. 157, sesto comma, cod.  pen.,  nella
parte in cui prevede il raddoppio dei termini di  cui  ai  precedenti
commi dello stesso articolo  con  riguardo  al  delitto  di  incendio
colposo, di cui all'art. 449 in riferimento all'art. 423 cod. pen. La
Corte ha rilevato come la previsione della norma censurata  determini
una anomalia di ordine sistematico, facendo si'  che  il  termine  di
prescrizione  dell'incendio  colposo  risulti  addirittura  superiore
rispetto a  quello  della  fattispecie  dolosa,  identica  sul  piano
oggettivo: soluzione che -  tenuto  conto  della  natura  sostanziale
dell'istituto  della  prescrizione,  nell'attuale  configurazione   -
travalica i limiti del  legittimo  esercizio  della  discrezionalita'
legislativa,  la  quale  deve  svolgersi  sempre  nel  rispetto   del
principio  di  ragionevolezza  e   in   modo   da   non   determinare
ingiustificabili disparita' di trattamento tra fattispecie omogenee.
    Ad analoga conclusione  dovrebbe  pervenirsi,  secondo  la  corte
rimettente, anche con riguardo al delitto di naufragio colposo.
    In base alla regola generale  dettata  dal  novellato  art.  157,
primo comma, cod. pen.,  il  delitto  di  naufragio  doloso,  di  cui
all'art. 428 cod. pen., in quanto punito con la pena della reclusione
da cinque a dodici anni, si prescrive nel  termine  di  dodici  anni,
aumentabili sino a quindici anni in presenza di atti interruttivi. Di
conseguenza, il termine prescrizionale relativo al naufragio  colposo
risulta attualmente identico a quello previsto per la  corrispondente
fattispecie dolosa.
    Anche in  questo  caso,  il  raddoppio  del  tempo  necessario  a
prescrivere si porrebbe, quindi, in contrasto  con  l'art.  3  Cost.,
venendo scardinata «la scala della  complessiva  gravita'  delle  due
fattispecie criminose», espressa dal netto scarto tra  le  rispettive
pene edittali.
    Ne', d'altra parte, il riscontrato vulnus costituzionale potrebbe
essere  rimosso  in  via  di  interpretazione.   Dovrebbe,   infatti,
escludersi che il «portato demolitorio» della citata sentenza n.  143
del 2014, basato su una analisi comparativa specifica  delle  cornici
edittali dei delitti di incendio,  doloso  e  colposo,  possa  essere
esteso ad altri e distinti delitti colposi di danno.
    3.- In entrambi  i  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, sulla base di
analoghe  considerazioni,  che  le  questioni  siano  dichiarate  non
fondate.
    Secondo la difesa dell'interveniente, la circostanza che i  reati
di frana dolosa e di naufragio doloso  siano  piu'  gravi,  sotto  il
profilo del coefficiente psicologico,  rispetto  a  quelli  di  frana
colposa e di naufragio colposo non  escluderebbe  che  la  scelta  di
prevedere per i secondi  un  eguale  termine  di  prescrizione  debba
ritenersi ragionevole. Per comune esperienza, infatti, l'accertamento
dei fatti integrativi  dei  delitti  di  frana  e  naufragio  colposi
richiede   lunghe   e   complesse   attivita'   di   indagine,    che
fisiologicamente  determinano  un  allungamento  della   durata   del
processo.
    Ne' sarebbe pertinente il richiamo dei rimettenti  alla  sentenza
n. 143 del 2014, con la quale la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto
irragionevole  la  scelta  legislativa  di  sottoporre  il  reato  di
incendio colposo, per effetto del censurato meccanismo del raddoppio,
a un termine di prescrizione ampiamente superiore a  quello  previsto
per il delitto di incendio doloso. Cio' non  implicherebbe,  infatti,
l'incostituzionalita' della previsione, per la  fattispecie  colposa,
del medesimo termine valevole per la fattispecie dolosa, laddove tale
opzione  legislativa  risulti,  come  nella  specie,   obiettivamente
giustificata.
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato,  in
ambedue  i  giudizi,   una   memoria,   rilevando   come   la   Corte
costituzionale, con la sentenza n. 265 del 2017, abbia dichiarato non
fondate  questioni  di   legittimita'   costituzionale,   basate   su
considerazioni analoghe a quelle  svolte  dagli  odierni  rimettenti,
dell'art. 157, sesto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede  il
raddoppio del termine di  prescrizione  «per  il  reato  di  disastro
ambientale» [recte: del delitto di  crollo  di  costruzioni  o  altro
disastro colposo, di cui all'art. 449  in  riferimento  all'art.  434
cod. pen.]: raddoppio che rende il  termine  prescrizionale  di  tale
fattispecie colposa anch'esso identico a quello della  corrispondente
fattispecie dolosa.

                       Considerato in diritto

    1.-  La  Corte  d'appello  di  L'Aquila  dubita,  in  riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 157, sesto comma, del codice penale,  nella  parte  in  cui
prevede che il termine di prescrizione del  reato  di  frana  colposa
(art. 449 in riferimento all'art. 426 cod. pen.) e' raddoppiato.
    La  medesima  disposizione   e'   sottoposta   a   scrutinio   di
legittimita' costituzionale,  in  relazione  allo  stesso  parametro,
anche dalla Corte di cassazione, sezione quarta penale,  nella  parte
in cui prevede il raddoppio del termine di prescrizione del reato  di
naufragio colposo (art. 449 in riferimento all'art. 428 cod. pen.).
    Le Corti  rimettenti  denunciano  come  lesivo  dei  principi  di
eguaglianza e  di  ragionevolezza  il  fatto  che,  per  effetto  del
censurato meccanismo del raddoppio,  il  termine  prescrizionale  dei
delitti colposi dianzi  indicati  risulti  identico  a  quello  delle
corrispondenti fattispecie dolose, punite in modo sensibilmente  piu'
severo in ragione del loro maggior disvalore.
    2.- Le due ordinanze di rimessione sollevano  questioni  analoghe
relative alla medesima disposizione, sicche' i relativi giudizi vanno
riuniti per essere definiti con unica decisione.
    3.- Le questioni non sono fondate.
    Occorre ricordare che, nel disegno originario del codice  penale,
il tempo di prescrizione dei reati era determinato  tramite  la  loro
ripartizione in sei "fasce di gravita'"  decrescente,  in  base  alla
pena edittale  massima,  a  ciascuna  delle  quali  corrispondeva  un
termine prescrizionale via via piu' ridotto.
    Nel riformare l'istituto della prescrizione, la legge 5  dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di  giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di prescrizione) ha sostituito tale criterio con una regola unitaria.
In base ad essa, il tempo necessario a prescrivere e' pari al massimo
della pena edittale dei singoli reati, salva  la  previsione  di  una
soglia minima di sei anni per i delitti e  di  quattro  anni  per  le
contravvenzioni (art. 157, primo comma, cod. pen., come novellato).
    La nuova regola ha  comportato,  sul  piano  degli  effetti,  una
sensibile e generalizzata diminuzione dei termini di prescrizione dei
reati di media gravita': contrazione che e' andata a cumularsi con la
riduzione -  contemporaneamente  disposta  -  dell'effetto  dilatorio
massimo degli atti interruttivi. A seguito  della  riforma,  infatti,
ove intervengano atti di interruzione della prescrizione, il relativo
termine non puo' prolungarsi, comunque sia,  di  oltre  un  quarto  -
anziche' della meta', come nel sistema anteriore  -  fatta  eccezione
per talune specifiche ipotesi (artt. 160, terzo comma, e 161, secondo
comma, cod. pen.).
    Al fine  di  limitare  gli  inconvenienti  a  cio'  connessi,  il
legislatore della legge n. 251 del 2005 ha ritenuto, quindi, di dover
introdurre un correttivo. Ha stabilito, cioe', che per alcune  figure
criminose -  ritenute  di  particolare  allarme  sociale  e  tali  da
richiedere complesse indagini probatorie - il termine di prescrizione
risultante dall'applicazione della regola generale  dianzi  ricordata
(oltre che di quelle enunciate dai successivi commi dello stesso art.
157 cod. pen.) e' raddoppiato (nuovo  art.  157,  sesto  comma,  cod.
pen., disposizione oggi censurata).
    Tra i reati coinvolti nel regime di raddoppio - il cui elenco  e'
stato successivamente  ampliato  da  plurime  novelle  legislative  -
figurano i delitti colposi di danno contro  la  pubblica  incolumita'
previsti dall'art. 449 cod. pen. (cosiddetti disastri colposi).  Tale
disposizione punisce, al primo comma, con  la  reclusione  da  uno  a
cinque anni «[c]hiunque, al  di  fuori  delle  ipotesi  previste  nel
secondo comma dell'articolo 423-bis, cagiona per colpa un incendio, o
un altro disastro» tra quelli contemplati nel Capo I  del  Titolo  VI
del Libro secondo  del  codice,  concernente  i  «delitti  di  comune
pericolo mediante violenza».
    In questo modo, si e' generata pero' una anomalia. Per alcuni fra
i reati in questione il termine  di  prescrizione  della  fattispecie
colposa  e'  divenuto,  infatti,   piu'   lungo   di   quello   della
corrispondente ipotesi dolosa (identica quanto a condotta ed  evento,
stante la tecnica di  descrizione  della  fattispecie  mediante  mero
rinvio, utilizzata nel citato art. 449 cod. pen.).
    Il fenomeno era particolarmente vistoso rispetto  al  delitto  di
incendio. Se commesso con dolo, il reato si prescriveva, infatti,  in
sette anni (durata massima della pena  prevista  dall'art.  423  cod.
pen.); se realizzato con colpa, in  un  tempo  largamente  superiore,
ossia in dodici anni. Il termine minimo di prescrizione  dei  delitti
(sei anni) - operante nella specie, discutendosi di reato punito  con
pena detentiva massima inferiore a tale soglia - risultava,  infatti,
raddoppiato dalla norma censurata.
    4.- Con la sentenza n. 143 del 2014 - richiamata da entrambi  gli
odierni rimettenti a sostegno delle loro censure -  questa  Corte  ha
ritenuto la suddetta anomalia contrastante con l'art. 3 Cost.
    Al riguardo, si e' rilevato come  l'istituto  della  prescrizione
abbia, nel  nostro  ordinamento,  natura  sostanziale  (ex  plurimis,
sentenze n. 324 del 2008 e n. 393 del 2006, nonche', piu' di recente,
ordinanza n. 24 del 2017), trovando la sua ratio, da un  lato,  nella
cessazione, con il passar del tempo,  dell'allarme  sociale  generato
dal reato (sentenze n. 393 del 2006 e n. 202 del 1971,  ordinanza  n.
337 del 1999); dall'altro, nel  "diritto  all'oblio"  dei  cittadini,
quando il  reato  non  sia  cosi'  grave  da  escludere  tale  tutela
(sentenza n.  23  del  2013).  Tali  finalita'  si  riflettono  nella
tradizionale scelta di correlare il tempo  necessario  a  prescrivere
alla gravita' del reato, segnata dal livello della pena edittale.
    Il legislatore - si e' ulteriormente osservato  -  e'  certamente
abilitato a introdurre deroghe alla regola  generale  da  lui  stesso
dettata, nella quale non  puo'  scorgersi  una  forma  necessaria  di
attuazione dei principi costituzionali (sentenza  n.  455  del  1998,
ordinanza n. 288 del 1999). Resta in  facolta'  del  legislatore,  in
specie, stabilire termini  di  prescrizione  piu'  lunghi  di  quelli
ordinari per  determinati  reati,  in  ragione  sia  del  particolare
allarme  sociale  da  essi  generato,  che   conferisca   loro   «una
"resistenza all'oblio" nella coscienza comune piu' che  proporzionale
all'energia  della  risposta  sanzionatoria»;  sia   della   speciale
complessita' delle indagini richieste per  l'accertamento  dei  fatti
integrativi dei reati stessi e della laboriosita' della loro verifica
processuale, «cui corrisponde un fisiologico allungamento  dei  tempi
necessari per pervenire alla sentenza definitiva»  (sentenza  n.  143
del 2014).
    La  discrezionalita'   legislativa   in   materia   deve   essere
esercitata, peraltro, sempre nei limiti del rispetto del principio di
ragionevolezza e in modo tale  da  non  determinare  ingiustificabili
sperequazioni di trattamento tra fattispecie  omogenee,  come  invece
era  avvenuto  nel  caso  dell'incendio.  Riguardo   a   questo,   il
legislatore aveva, infatti, ribaltato  la  «scala  di  gravita'»  dei
reati,  sottoponendo  la  fattispecie  ontologicamente  meno   grave,
perche' connotata dalla colpa,  a  un  termine  prescrizionale  quasi
doppio di quello valevole per la fattispecie piu' grave, identica sul
piano oggettivo, ma connotata dal dolo.
    Un  simile  assetto  non  poteva  essere  giustificato  ne'   con
considerazioni  legate  al  grado   di   allarme   sociale,   essendo
impensabile che un fatto di  incendio  commesso  per  colpa  "resista
all'oblio" nella coscienza sociale assai piu' a  lungo  dello  stesso
fatto commesso con dolo (e,  dunque,  con  atteggiamento  psicologico
maggiormente pregno di connotazioni negative);  ne'  con  ragioni  di
ordine probatorio, essendo egualmente insostenibile  che  causare  un
incendio con colpa, anziche' con dolo, innalzi  verticalmente,  nella
generalita' dei casi, il  tasso  di  complessita'  dell'attivita'  di
accertamento dell'illecito (sentenza n. 143 del 2014).
    5.- Secondo  gli  odierni  rimettenti,  analoghe  conclusioni  si
imporrebbero anche in relazione ai delitti  di  frana  colposa  e  di
naufragio    colposo,    risultanti    dal    combinato     disposto,
rispettivamente, degli artt. 449 e 426 cod. pen. e degli artt. 449  e
428 cod. pen.
    Le ipotesi in questione presentano, peraltro, un evidente  tratto
differenziale rispetto a quella scrutinata dalla sentenza n. 143  del
2014. Stante il  livello  delle  pene  edittali,  il  meccanismo  del
raddoppio rende il termine di prescrizione dei delitti in parola, non
gia' nettamente piu' lungo (com'era per l'incendio),  ma  esattamente
uguale a quello dei corrispondenti delitti dolosi.
    Il reato di frana dolosa si  prescrive,  infatti,  in  base  alla
regola generale dell'art. 157, primo comma, cod. pen., in dodici anni
(massimo edittale della pena previsto dall'art. 426  cod.  pen.).  Lo
stesso tempo di dodici anni occorre per la prescrizione  del  delitto
di frana colposa. Il termine ordinario di sei anni -  termine  minimo
di prescrizione dei delitti, applicabile nella specie  in  quanto  la
pena massima prevista dall'art. 449, primo comma, cod. pen. e',  come
detto, di cinque anni - viene, infatti, raddoppiato dal  sesto  comma
dell'art. 157 cod. pen.
    Identico discorso vale con riferimento al delitto  di  naufragio,
laddove questo riguardi una nave non adibita a trasporto di  persone:
ipotesi che viene in  rilievo  nel  giudizio  principale  di  cui  e'
investita  la  rimettente  sezione  quarta  penale  della  Corte   di
cassazione e alla quale risultano, di fatto, chiaramente circoscritte
le sue censure. Anche in questo caso, tanto  la  fattispecie  dolosa,
quanto quella colposa si prescrivono nello stesso termine  di  dodici
anni (diversa e' la situazione ove si tratti  di  naufragio  di  nave
adibita a trasporto di persone, la cui causazione per colpa e' punita
dal secondo comma dell'art. 449 cod. pen. con  pena  doppia:  il  che
implica che  il  termine  prescrizionale  della  fattispecie  colposa
lieviti a venti anni).
    Ad avviso dei giudici a quibus, il tratto differenziale ora posto
in evidenza non cambierebbe le cose. Sarebbe irragionevole  e  lesivo
del principio di uguaglianza che fatti identici, quanto a condotta ed
evento, ma puniti in modo sensibilmente diverso in ragione del  grado
di partecipazione psicologica del  reo,  siano  trattati  esattamente
allo stesso modo dal punto di vista della prescrizione.
    6.-  Questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo,  peraltro,  di  negare
validita' alla tesi dei rimettenti con la sentenza n. 265  del  2017,
successiva alle ordinanze di rimessione.
    Con la citata pronuncia, questa Corte ha dichiarato,  in  specie,
non  fondate  analoghe  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 157,  sesto  comma,  cod.  pen.,  sollevate  con  specifico
riguardo al  delitto  di  crollo  di  costruzioni  o  altro  disastro
colposo, di cui al combinato disposto degli artt. 449 e 434 cod. pen.
(cosiddetto disastro innominato  colposo):  delitto  il  cui  termine
prescrizionale risulta anch'esso perfettamente uguale, in conseguenza
del raddoppio, a quello dell'omologa figura dolosa.
    Nell'occasione, si e' osservato come nella sentenza  n.  143  del
2014 non  si  fosse  in  alcun  modo  prospettata  «una  inderogabile
esigenza costituzionale di scaglionare i  termini  prescrizionali  in
senso inverso rispetto a quanto la legge n. 251 del 2005 aveva  fatto
con riguardo al delitto di incendio: nel senso,  cioe',  che  occorra
stabilire, senza possibilita' di eccezioni, per l'ipotesi colposa  un
termine diverso e piu' breve  di  quello  valevole  per  la  versione
dolosa del medesimo reato» (sentenza n. 265 del 2017).
    In effetti, l'equiparazione del termine prescrizionale delle  due
forme di realizzazione dello stesso delitto - dolosa e colposa -  non
rappresenta affatto una "anomalia"  introdotta  per  la  prima  volta
dalla legge n. 251 del 2005.  Al  contrario,  il  fenomeno  era  gia'
ampiamente noto al sistema  anteriore.  L'originario  criterio  delle
"fasce di gravita'" dei reati comportava, infatti, che  quante  volte
le pene edittali massime del delitto doloso e del suo  corrispondente
colposo ricadessero entrambe nella  medesima  "fascia",  il  relativo
tempo di prescrizione  risultava  identico.  Come  si  ricorda  nella
stessa sentenza n. 143 del 2014, cio' si verificava anche  e  proprio
in relazione al delitto di incendio: prima della  legge  n.  251  del
2005, incendio colposo e incendio doloso si prescrivevano ambedue  in
dieci anni.
    Peraltro, anche dopo l'abbandono del criterio "per fasce" permane
nell'ordinamento un ragguardevole numero  di  casi  di  equiparazione
(indipendenti dal censurato meccanismo del raddoppio).  Cio'  avviene
segnatamente per effetto della soglia dei  sei  anni,  quale  termine
minimo di prescrizione dei delitti,  attualmente  previsto  dall'art.
157, primo comma, cod. pen.  Nelle  numerose  ipotesi  -  rinvenibili
anche nello stesso ambito dei delitti contro la pubblica  incolumita'
- in cui le pene  massime  del  delitto  doloso  e  del  suo  omologo
colposo, benche' sensibilmente differenziate, non eccedano,  comunque
sia, i sei anni, entrambe le fattispecie si prescrivono nello  stesso
tempo (sei anni, appunto).
    Cio' posto, al fine di ritenere che tale fenomeno  contrasti  con
l'art. 3 Cost. non  giova  richiamare  la  natura  sostanziale  della
prescrizione,  in  uno  all'esigenza  di   differenziare   situazioni
dissimili sul piano della componente psicologica. A differenziare  la
fattispecie dolosa da quella colposa, assicurando la proporzionalita'
del trattamento sanzionatorio al disvalore  del  fatto,  provvede  la
pena. Non e' imprescindibile che alla diversificazione delle risposte
punitive si coniughi, sempre e comunque sia, quello  dei  termini  di
prescrizione.
    Il  legislatore  puo'   bene   ritenere,   infatti,   nella   sua
discrezionalita', che «in rapporto a determinati delitti  colposi  la
"resistenza all'oblio" nella  coscienza  sociale  e  la  complessita'
dell'accertamento  dei  fatti  siano  omologabili  a   quelle   della
corrispondente  ipotesi   dolosa,   giustificando,   con   cio',   la
sottoposizione di entrambi ad un identico termine prescrizionale»:  e
cio' anche in via di deroga alla disciplina generale (sentenza n. 265
del 2017).
    Questa Corte ha rilevato, altresi', come il discorso  valesse  in
modo particolare con  riguardo  al  delitto  di  disastro  innominato
colposo, al quale era riferito  nell'occasione  lo  scrutinio.  Prima
della recente introduzione dei nuovi delitti in materia  di  ambiente
ad opera della legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni  in  materia
di delitti  contro  l'ambiente),  tale  figura  criminosa  e'  stata,
infatti,  ampiamente  utilizzata  dalla  giurisprudenza  in  funzione
punitiva dei fatti di cosiddetto disastro  ambientale:  fatti  che  -
anche nell'ipotesi colposa - generano nell'attuale momento storico un
particolare allarme sociale e i cui effetti si manifestano  spesso  a
notevole distanza di tempo, richiedendo nella  generalita'  dei  casi
accertamenti complessi tanto nella  fase  delle  indagini  quanto  in
quella processuale.
    E' ben comprensibile, dunque, la preoccupazione  del  legislatore
della legge n. 251 del 2005 di evitare che, per effetto  della  nuova
regola di determinazione  del  tempo  necessario  a  prescrivere,  si
determinasse un drastico abbattimento del termine prescrizionale  del
disastro innominato colposo, il quale sarebbe  rimasto,  in  pratica,
quasi dimezzato, passando da dieci a  sei  anni:  esito  che  avrebbe
impedito, in una larga percentuale di casi, di definire  il  processo
prima dell'estinzione del reato.
    Tale  preoccupazione  si  era,  d'altro  canto,  «nel   frangente
tradotta nella previsione di un regime che resta entro il confine del
legittimo esercizio della discrezionalita'  legislativa  in  materia,
proprio perche' implica la semplice equiparazione  di  detto  termine
prescrizionale a quello della fattispecie dolosa, e non gia'  -  come
per  l'incendio  -  lo  "scavalcamento"  di  quest'ultimo  (soluzione
costituzionalmente ingiustificabile, per le  ragioni  indicate  nella
sentenza n. 143 del 2014)» (sentenza n. 265 del 2017).
    7.-  Le  considerazioni  ora  ricordate  risultano   estensibili,
mutatis mutandis,  anche  alle  figure  della  frana  colposa  e  del
naufragio colposo (di nave  non  adibita  a  trasporto  di  persone),
oggetto delle odierne questioni.
    Tali   fattispecie   delittuose    individuano    "disastri"    -
rispettivamente,  di  tipo  naturalistico  e  relativi  ai  trasporti
marittimi -  idonei  anch'essi  a  suscitare,  pur  quando  provocati
colposamente, un marcato allarme sociale e forieri, al tempo  stesso,
nella generalita' dei casi,  di  problematiche  assai  complesse  sul
piano dell'accertamento tanto  del  nesso  causale  tra  condotta  ed
evento, quanto della colpa, tenuto conto della pluralita' di  fattori
che possono  condizionare  la  verificazione  del  disastro  e  delle
difficolta'  che  spesso  presenta   la   dimostrazione   della   sua
prevedibilita' da parte dell'agente  e  dell'incidenza  delle  regole
cautelari al cui rispetto egli era tenuto.
    Anche con riferimento alle figure delittuose in discorso  ben  si
giustifica, quindi, l'intento del legislatore di evitare, tramite  il
meccanismo del raddoppio, che le nuove  regole  introdotte  nel  2005
provocassero una energica compressione dei termini prescrizionali (da
dieci  a  sei  anni):  compressione  equivalente  addirittura  a   un
dimezzamento  "secco",  se  cumulata  alla  limitazione  dell'effetto
dilatorio massimo degli atti interruttivi  (dai  precedenti  quindici
anni a soli sette anni e mezzo).
    Pure con riguardo  ai  delitti  considerati,  d'altro  canto,  la
preoccupazione sottesa alla previsione del sesto comma dell'art.  157
cod. pen. si e' concretamente tradotta in un regime che -  alla  luce
di quanto posto in evidenza dalla sentenza n. 265 del  2017  -  resta
all'interno del confine entro il quale puo' ragionevolmente  spaziare
la  discrezionalita'  legislativa  in  materia.  Come  nel  caso  del
disastro innominato, il raddoppio implica,  infatti,  l'equiparazione
del termine prescrizionale della fattispecie colposa a  quello  della
fattispecie dolosa, e non gia' lo "scavalcamento" di quest'ultimo.
    8.- Sulla base delle considerazioni che precedono,  le  questioni
vanno dichiarate, dunque, non fondate.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art.  157,  sesto  comma,  del  codice  penale,  sollevate,   in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte  d'appello  di
L'Aquila e dalla Corte di cassazione con  le  ordinanze  indicate  in
epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Franco MODUGNO, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA

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