TAR 2018: chiesto
“annullamento del decreto del Capo della Polizia 19 settembre 2007,
n. 333-D/xxx, che ha disposto la sospensione cautelare dal servizio
del ricorrente, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 737/81, e
per il risarcimento del danno subìto.”
Pubblicato il
05/09/2018
N. 09153/2018
REG.PROV.COLL.
N. 00639/2008
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima
Quater)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 639 del 2008, proposto da
xxx xxx,
rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano, Filippo
Lubrano, Lorenzo Maria Cioccolini, Francesco Era, con domicilio
fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso lo studio dell’Avv.Enrico
Lubrano in Roma, via Flaminia, 79;
contro
Ministero
dell'Interno, Capo della Polizia di Stato non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto del Capo
della Polizia 19 settembre 2007, n. 333-D/xxx, che ha disposto la
sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, ai sensi dell’art.
9, comma 2, del D.P.R. 737/81, e per il risarcimento del danno
subìto.
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2018 la dott.ssa Ines
Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in
epigrafe, notificato in data 24 dicembre 2007, parte ricorrente ha
impugnato - deducendone l’illegittimità sotto vari profili - il
decreto adottato dal Capo della Polizia 19 settembre 2007, n.
333-D/xxx, con cui veniva disposta nei propri confronti la
sospensione cautelare dal servizio ai sensi dell’art. 9, comma 2,
del D.P.R. 737/81 con cui, a seguito della pubblicazione di sentenza
penale di condanna da parte del Tribunale di xxxx in data 19 giugno
2007 per reati commessi in qualità di Presidente dell'Associazione
sportiva "xxxx” l’amministrazione disponeva la sospensione
cautelare dal servizio ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R.
737/81.
Argomenta infatti il
ricorrente che, per i medesimi fatti, il Dirigente del Comparto di
Polizia Ferroviaria di xxxx con provvedimento del 10 febbraio 2003,
prot. n. 2.8/853 aveva già comminato la sospensione cautelare
obbligatoria dal servizio ai sensi dell’art. 9, comma 1, del D.P.R.
737/81, con efficacia decorrente dal 7 febbraio 2003 fino alla
definizione del procedimento penale e comunque per un periodo non
superiore a 5 anni.
Ed infatti, il
presupposto dei due provvedimenti sarebbe costituito dalla medesima
circostanza dell’essere stato il Sig.xxx dapprima indagato e
sottoposto a misura restrittiva della libertà cautelare giusta
ordinanza n.rg. 479/2003 emanata dal GIP di xxxx, per i capi di
imputazione meglio descritti agli atti di causa (ai quali si ritiene
sufficiente riportarsi per relationem, in ossequio al principio di
necessità, proporzionalità e pertinenza di cui all’art.11 del
Codice in materia di trattamento dei dati personali-D.lgs.
n.196/2003) e, quindi, sottoposto a sentenza penale di condanna per
parte di tali reati.
Ed invero,
successivamente all’ordinanza di custodia cautelare – avente ad
oggetto capi di imputazione relativi a reati asseritamente commessi
dal xxx sia in qualità di pubblico ufficiale (c.d.” “reati
propri”) che in qualità di privato cittadino (c.d. “reati
impropri”) il P.M. decideva di procedere separatamente. In
particolare, per i reati di cui agli art.640 bis e 483 c.p., commessi
dal xxx in qualità di privato (e precisamente di Presidente
dell'Associazione sportiva "xxxx”) il procedimento r.g. n.
2584/2003 si concludeva con sentenza penale di condanna, pronunziata
il 18 giugno 2007, alla pena di anni 5 e interdizione dai pubblici
uffici.
Ne conseguirebbe,
pertanto, la violazione del c.d. “ne bis in idem”, non potendo
essere il ricorrente sottoposto a distinti provvedimenti di
sospensione cautelare dal servizio per i medesimi fatti oltre che, in
via subordinata, la violazione dell’art.9 comma 2 del D.P.R. 737/81
atteso che la sospensione cautelare dal servizio sarebbe priva di
adeguata motivazione oltre che sproporzionata rispetto ai fatti
commessi, attesa la complessiva sospensione cautelare dal servizio
per circa 10 anni.
Il ricorrente ha
pertanto concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento
impugnato e la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei
danni subìti per effetto dell’illegittimità del provvedimento.
Con successiva
memoria, notificata a controparte il 18 luglio 2017 e depositata il
24 luglio 2017, parte ricorrente ha precisato la domanda risarcitoria
nel senso della richiesta di ricostruzione della carriera a partire
dal 26 ottobre 2007 – cioè dal momento della decorrenza
dell'efficacia del provvedimento di sospensione cautelare dal
servizio - sino all'avvenuta destituzione dal servizio avvenuta nel
20 giugno 2011, con Decreto n. 333-D/36378.
L’amministrazione
non si è costituita in giudizio.
Con ordinanza
collegiale del 17 ottobre 2017, n. 10415 il Collegio, ritenendo la
controversia non ancora matura per la decisione, ha ordinato al
Ministero dell’interno di produrre una relazione sui fatti di
causa, corredata da ogni utile documentazione; a fronte
dell’inottemperanza dell’amministrazione, i medesimi adempimenti
sono stati reiterati con ordinanza del 21 marzo 2018 n.3165 con
espresso avviso che, perdurando l’inadempimento, le questioni poste
dal ricorrente saranno decise ai sensi dell’art. 116, comma 2,
c.p.c..
L’amministrazione
non ha ottemperato e, nell’odierna udienza, la causa è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare,
va rilevata la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del
ricorso nella parte caducatoria, atteso che – come evidenziato
nella memoria di parte ricorrente- il provvedimento di sospensione
cautelare dal servizio in epigrafe ha già esplicato interamente i
propri effetti, essendo intervenuto in data 20 giugno 2011 il Decreto
n. 333-D/36378 di definitiva destituzione dal servizio del Sig.xxx.
La presente
decisione, pertanto, viene adottata ai sensi dell’art.34 comma 3
c.p.a., sussistendo l’interesse ai fini risarcitori, come da
domanda formulata con il ricorso introduttivo e ulteriormente
integrata con memoria depositata il 24 luglio 2017, notificata a
controparte.
Tanto premesso, il
ricorso non merita accoglimento.
Come è noto,
infatti, l'art. 9 d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante sanzioni
disciplinari per il personale di pubblica sicurezza e
regolamentazione dei relativi procedimenti) dispone che:
l'appartenente ai
ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine
o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di
carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con
provvedimento del capo dell'ufficio dal quale gerarchicamente
dipende, che deve, altresì, riferire immediatamente alla direzione
centrale del personale presso il dipartimento della pubblica
sicurezza (comma 1);
fuori dai casi
previsti nel comma precedente, l'appartenente ai ruoli
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a
procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente
grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del
Ministro su rapporto motivato del capo dell'ufficio dal quale dipende
(…)” (comma 2).
Come emerge
chiaramente dalla lettera della legge, fuori dai casi di sospensione
obbligatoria – prevista nei casi in cui il dipendente sia “colto
da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di
carcerazione preventiva” – presupposti ai quali corrisponde,
nell’attuale formulazione del codice procedura penale, la
sottoposizione a misure restrittive della libertà personale- la
legge affida all'organo di vertice dell’Amministrazione della
sicurezza un potere discrezionale lato nel disporre la sospensione
cautelare dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento
penale, sol che sia particolarmente grave il titolo del reato per il
quale si procede.
Ai fini della
motivazione del provvedimento in questione, pertanto, è sufficiente
che venga richiamato, anche per relationem, il titolo del reato per
il quale il dipendente risulti sottoposto a procedimento penale e che
tale titolo di reato sia stato ritenuto “grave”.
La valutazione circa
la “gravità” del reato, in particolare, è rimessa alla
valutazione dell’organo di vertice dell’amministrazione e non è
soggetta a sindacato del Giudice amministrativo, salvo che non appaia
manifestamente irrazionale o sproporzionata.
Per quanto attiene
al caso di specie, ad avviso del Collegio la “gravità” dei reati
non è esclusa dal fatto che la sentenza penale del 18.07.2007, posta
a presupposto della sospensione facoltativa dal servizio, attenga a
reati commessi dal Sig.xxx in qualità di privato cittadino (truffa
aggravata per conseguimento erogazioni pubbliche da parte della
Provincia Autonoma di xxxx e falsità ideologica commessa da privato
in atto pubblico) in quanto all’epoca dei fatti il predetto
svolgeva servizio di Vice- Sovrintendente della Polizia di Stato in
servizio presso il posto di Polizia Ferroviaria di Bressanone (BZ).
Inoltre, sempre ai
fini della valutazione della “gravità” della condotta, non può
non essere evidenziato che in ordine a tali fatti il ricorrente non
veniva semplicemente indagato (come ritenuto sufficiente dal
legislatore nell’art.9 comma 2 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737)
ma condannato alla pena di anni 5 anni di reclusione con interdizione
dai pubblici uffici.
Ne deriva che la
valutazione effettuata dall’amministrazione appare immune dai
profili di illegittimità evidenziati, trattandosi di reati che,
anche alla luce anche dell’entità della pena comminata, appaiono
senz’altro “gravi” in quanto idonei a fare emerge una obiettiva
situazione di conflitto fra interessi privati ed attività pubblica,
di strumentalizzazione della propria posizione rivestita nel contesto
dell’attività della forza di polizia, ben suscettibile di poter
essere considerata in contrasto con i fini istituzionali e quindi non
tollerabile da parte della Polizia di Stato, costituendo una condotta
opposta a quella esemplare e rispettosa della legalità che dovrebbe
tenere un soggetto appartenente alla Polizia di Stato, la cui
funzione è proprio quella di prevenire e combattere la criminalità.
Né può ritenersi
fondata la censura relativa alla violazione del c.d. “ne bis in
idem”, argomentata da parte ricorrente anche con riferimento al
principio affermato dalla CEDU -sentenza della Sezione Seconda, 4
marzo 2014, ricorso n. 18460/2010, c.d. Grande Stevens.
Infatti – posto
che il principio in questione, previsto dall’art.649 c.p.p. si
riferisce esclusivamente al divieto di sottoposizione ad un nuovo
giudizio penale per l’imputato prosciolto o condannato con sentenza
irrevocabile per il medesimo fatto e che, ad esempio, tale principio
non è stato ritenuto preclusivo all’applicazione per il medesimo
fatto anche di una sanzione amministrativa (v.Cass.Pen., III,
n.25815/2016) – non può essere invocato nel caso in esame; in ogni
caso, volendo applicare il medesimo principio anche alla applicazione
di provvedimenti cautelari amministrativi, non potrebbe non
evidenziarsi che ai fini della preclusione connessa al principio "ne
bis in idem", l'identità del fatto sussiste quando vi sia
corrispondenza storico-naturalistica non soltanto nella
configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi
costitutivi (condotta, evento, nesso causale), ma anche con riguardo
alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
A volere trasporre
tale principio in campo amministrativistico dovrebbe concludersi che
il medesimo provvedimento cautelare non può essere comminato a
fronte degli stessi presupposti fattuali e giuridici, condizione che
non si ravvisa nel caso in esame, essendo i provvedimenti di
sospensione obbligatoria dal servizio e quella facoltativa, previsti
rispettivamente dai commi 1 e 2 dell’art.9 del d.P.R. 25 ottobre
1981, n. 737, conseguenza di presupposti differenti.
Ed invero, la
sospensione cautelare obbligatoria dal servizio di cui al comma 1
dell’art.9 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 costituisce
provvedimento vincolato strettamente connesso e limitato al periodo
di restrizione della libertà personale subìto dal dipendente.
La sospensione
facoltativa dal servizio, di cui al comma 2 del medesimo art.9 del
d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, presuppone invece esclusivamente che
il dipendente sia “sottoposto a procedimento penale” e che si
tratti di “un reato grave”: ciò significa che se da un lato al
fine dell’applicazione di tale misura (cautelare) è sufficiente la
sottoposizione a procedimento penale e non occorre che sia stato
emanato alcun provvedimento restrittivo, dall’altro anche ove sia
precedentemente intervenuta la sospensione obbligatoria dal servizio,
qualora permangano le esigenze cautelari ciò non preclude la
successiva applicazione della sospensione facoltativa nelle more
della definizione definitiva del rapporto tra dipendente e
amministrazione mediante l’adozione di un provvedimento che si
concretizzi nella eventuale sanzione adottata in esito al
procedimento disciplinare (Cons. Stato, Ad. Plen. 16 giugno 1999, n.
15; Sez. VI, 3 luglio 2001, n. 3659).
Né può essere
accolta la censura con cui parte ricorrente deduce che la sommatoria
della sospensione obbligatoria e di quella facoltativa (comminata in
data 19 settembre 2007 senza neppure attendere la scadenza del
decorso quinquennale della sospensione obbligatoria in data 7
febbraio 2008), abbia finito per sottoporre il ricorrente alla
sospensione dal servizio per un periodo complessivamente superiore ai
5 anni, così snaturando la natura cautelare di tali provvedimenti,
in violazione del termine di durata massima della sospensione di cui
all’art.9, comma 2, della legge n.19 del 7 febbraio 1990.
Infatti, secondo
quanto recentemente ritenuto dalla Corte di Cassazione in tema di
procedimento disciplinare a carico dei dipendenti pubblici, il
termine quinquennale di efficacia della sospensione cautelare dal
servizio a causa del procedimento penale, previsto dall'art. 9, comma
2, legge 7 febbraio 1990, n. 19, si riferisce unicamente alla
sospensione obbligatoria, per cui nel relativo computo non può
cumularsi la sospensione facoltativa, conformemente
all'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 447 del 1995 (Cass. civ. Sez. lavoro, 04-09-2014, n. 18673).
L’unico profilo
per cui, in conclusione, potrebbe ritenersi fondato il ricorso è
quello relativo alla illegittimità del provvedimento di sospensione
cautelare facoltativa comminato in data 19 settembre 2007 quando
ancora non era scaduto il provvedimento di sospensione obbligatoria
(scadente in data 7 febbraio 2008), con parziale sovrapposizione dei
due provvedimenti per circa 4 mesi.
E tuttavia, tale
profilo di censura va ritenuto inammissibile per carenza di interesse
ai fini risarcitori, atteso che il provvedimento di destituzione dal
servizio ha effetto retroattivo, fin dal momento della sospensione
cautelare dal servizio (Cons. Stato Sez. VI, 27-04-2018, n. 2575) con
la conseguenza che il ricorrente, per effetto dell’intervenuta
destituzione anche con riferimento al periodo in oggetto non potrebbe
vantare alcuna pretesa economica.
In conclusione, il
ricorso deve essere respinto.
In considerazione
della mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione nulla
si dispone per le spese.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
ai sensi dell’art.34 comma 3 c.p.a., lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo,
Presidente
Mariangela Caminiti,
Consigliere
Ines Simona
Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Ines Simona
Immacolata Pisano
Salvatore Mezzacapo
IL SEGRETARIO
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