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mercoledì 19 febbraio 2020

N. 18 SENTENZA 15 gennaio - 14 febbraio 2020 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare speciale - Concessione alle condannate madri di figli affetti da handicap grave ritualmente accertato ai sensi della legge n. 104 del 1992 - Omessa previsione - Disparita' di trattamento rispetto alle condannate madri di figli minori di anni dieci, incidenza sulle relazioni costitutive della persona umana e violazione del principio della tutela della maternita' - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-quinquies, comma 1. - Costituzione, artt. 3, primo e secondo comma, e 31, secondo comma. (GU n.8 del 19-2-2020 )



N. 18 SENTENZA 15 gennaio - 14 febbraio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Ordinamento  penitenziario  -  Detenzione  domiciliare   speciale   -
  Concessione alle condannate madri  di  figli  affetti  da  handicap
  grave ritualmente accertato ai sensi della legge n. 104 del 1992  -
  Omessa  previsione  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto   alle
  condannate madri di figli minori di  anni  dieci,  incidenza  sulle
  relazioni  costitutive  della  persona  umana  e   violazione   del
  principio  della   tutela   della   maternita'   -   Illegittimita'
  costituzionale in parte qua.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-quinquies, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, primo e secondo comma, e 31, secondo comma.
(GU n.8 del 19-2-2020 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel   giudizio   di   legittimita'    costituzionale    dell'art.
47-quinquies, comma 1, della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  promosso  dalla  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, nel procedimento relativo a A.  F.,
con ordinanza del 26 aprile 2019, iscritta al  n.  109  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visto l'atto di costituzione di A. F.;
    udito nell'udienza  pubblica  del  15  gennaio  2020  il  Giudice
relatore Marta Cartabia;
    udito l'avvocato Simona Polimeni per A. F.;
    deliberato nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 26 aprile 2019, iscritta al n. 109 del reg.
ord.  2019,  la  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e  31,
secondo  comma,  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1, della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta'), «nella parte  in
cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare  speciale
anche nei confronti  della  condannata  madre  di  prole  affetta  da
handicap totalmente invalidante».
    La  Corte  di  cassazione  riferisce   di   essere   chiamata   a
pronunciarsi sul ricorso di una  detenuta  condannata  per  reati  di
associazione a delinquere di tipo mafioso,  estorsione  continuata  e
ricettazione a una pena che, inflitta il 30 aprile 2015, scade,  allo
stato, il 13 novembre 2024.
    Il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria
impugnato  dalla  detenuta  aveva  rigettato  una  sua   istanza   di
detenzione domiciliare  speciale  ai  sensi  dell'art.  47-quinquies,
comma  1,  ordin.  penit.,  proposta  in  funzione   della   cura   e
dell'assistenza a una figlia affetta da grave  disabilita'  nata  nel
1994, e dunque di eta' superiore ai dieci anni.
    La Corte di cassazione ritiene che il tribunale  di  sorveglianza
abbia ineccepibilmente verificato, sulla base delle  deduzioni  della
madre, della documentazione dalla medesima fornita e degli  esiti  di
una perizia appositamente disposta, che la figlia della condannata e'
affetta da handicap totale di ordine fisico, a seguito della  precoce
insorgenza della patologia, non reversibile, descritta dal  tribunale
come una paralisi cerebrale infantile di ordine bilaterale  che,  pur
conservando le funzioni  intellettive  della  ragazza,  da  ritenersi
corrispondenti   all'eta'   anagrafica,    l'ha    resa    totalmente
impossibilitata a deambulare e bisognosa dell'aiuto permanente di  un
accompagnatore.
    La Corte di  cassazione  ricorda  inoltre  che  il  tribunale  di
sorveglianza aveva  negato  alla  condannata  l'accesso  alla  misura
alternativa   della   detenzione   domiciliare   speciale   non    in
considerazione  della  natura  dei  reati  per  i  quali  era   stata
condannata,  parzialmente  riconducibili  alla  categoria  dei  reati
ostativi di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. (dato  che  la
sentenza costituzionale n. 239 del 2014  ha  dichiarato  contraria  a
Costituzione questa preclusione alla  concessione  della  misura),  e
neanche perche' vi fosse un problema  di  previa  espiazione  di  una
quota/parte della pena inflitta (dato che la sentenza  costituzionale
n. 76  del  2017  ha  caducato  questa  previsione,  valevole  per  i
condannati per i reati ostativi di cui sempre all'art.  4-bis,  comma
1, ordin. penit.), bensi' soltanto perche' l'art. 47-quinquies, comma
1, ordin. penit.,  impedisce  l'accesso  delle  madri  detenute  alla
misura alternativa della detenzione domiciliare  speciale  quando  il
figlio, alla data dell'istanza, ha superato il decimo anno  di  eta'.
Secondo il  tribunale  di  sorveglianza,  inoltre,  la  figlia  della
detenuta, pur fisicamente invalida al  100  per  cento,  non  avrebbe
potuto essere equiparata, sotto il profilo cognitivo-comportamentale,
vale a dire per "eta' mentale", a un soggetto inferiore ai dieci anni
di eta'.
    Contro tale provvedimento la detenuta aveva proposto ricorso  per
cassazione eccependo  tra  l'altro,  sia  pure  in  via  subordinata,
l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione.
    La Corte di cassazione, respinti i motivi principali del ricorso,
afferma che l'esegesi dell'art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit.,
accolta dal tribunale di sorveglianza  riflette  un'adeguata  lettura
dello stato attuale del diritto positivo, ed esclude, sulla scorta di
diversi motivati argomenti sia di natura testuale - con richiamo alla
sentenza di questa Corte n.  350  del  2003  e  a  un  precedente  di
legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima penale, 19  dicembre
2017-5 giugno 2018, n. 25164) - sia di carattere storico sistematico,
che  l'art.  47-quinquies,  comma  1,  ordin.  penit.,  possa  essere
interpretato  nel  senso  che,  alle  condizioni  ivi  previste,   la
detenzione  domiciliare  possa  essere  accordata,  oltre  che   alle
detenute madri di prole di eta' inferiore ai dieci anni,  anche  alle
detenute madri di figli di eta' superiore ai dieci anni ma  portatori
di handicap totalmente invalidante.
    2.- Dopo avere argomentato sulla impossibilita'  di  procedere  a
una interpretazione conforme a Costituzione, la Corte  di  cassazione
solleva   questioni   di   legittimita'   costituzionale    dell'art.
47-quinquies, comma 1, ordin. penit., traendo alimento per i dubbi di
costituzionalita'   dalle   argomentazioni   contenute   nella   gia'
richiamata sentenza di questa Corte n. 350 del  2003,  relativa  alla
detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1, lettere a)  e
b), ordin. penit., la quale sarebbe omogenea per funzione alla misura
della detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquies
ordin. penit., mirando entrambe a favorire il  pieno  sviluppo  della
personalita' del figlio del  soggetto  condannato  a  pena  detentiva
attraverso  la  realizzazione  del  suo  interesse  a  realizzare  un
rapporto quanto piu' normale possibile con il genitore  (si  richiama
altresi' la sentenza n. 239 del 2014).
    Anche   la   disposizione   ora   sottoposta   al   giudizio   di
costituzionalita',   infatti,   al   pari   di   quella    dichiarata
incostituzionale  con  la  sentenza  n.  350  del  2003,  prevede  la
possibilita' di un trattamento sanzionatorio che  non  interrompa  il
continuum educativo-assistenziale del  genitore  con  il  figlio,  ma
tuttavia la limita all'ipotesi del minore di eta' inferiore  a  dieci
anni e non considera la condizione del  figlio  gravemente  invalido,
rispetto alla quale il riferimento all'eta' non potrebbe assumere  un
rilievo  dirimente,  perche'  la  sua  salute  psico-fisica   sarebbe
suscettibile di essere in egual misura pregiudicata dall'assenza  del
genitore, detenuto  in  carcere,  non  essendo  indifferente  per  il
disabile grave, a qualsiasi eta', che le cure  e  l'assistenza  siano
prestate da persone diverse dal genitore medesimo.
    3.-  Secondo  la   Corte   di   cassazione   rimettente   sarebbe
innanzitutto violato l'art. 3, primo comma, Cost. «sotto il profilo -
gia' ritenuto dalla pronuncia costituzionale n. 350 del 2003 -  della
intrinseca irragionevolezza di un sistema rigidamente legato all'eta'
del minore, in  cui,  ai  fini  della  concessione  della  detenzione
domiciliare  in  esame,  non  si  consenta  affatto   di   apprezzare
l'esistenza di situazioni omogenee a quella  espressamente  regolata,
in cui si palesi la  medesima  necessita'  di  assicurare  al  figlio
l'effettiva presenza, e il pregnante sostegno,  del  genitore,  quali
sono le situazioni in cui il figlio appaia portatore di  un  handicap
totalmente invalidante».
    La piena equiparabilita' delle due situazioni sarebbe confermata,
secondo il giudice a quo, da «indici legislativi, emersi in  sede  di
ulteriore aggiornamento del diritto penitenziario».  In  particolare,
la legge 16 aprile 2015, n. 47  (Modifiche  al  codice  di  procedura
penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge
26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita  a  persone  affette  da
handicap in situazione di gravita'), incidendo sulla conformazione di
un istituto di recente conio, quale quello  delle  visite  al  minore
infermo da parte del genitore detenuto (art. 21-ter  ordin.  penit.),
ha esteso tale possibilita', tra l'altro, al caso del figlio  affetto
da handicap grave ai sensi  dell'art.  3,  comma  3,  della  legge  5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,  l'integrazione
sociale  e  i  diritti  delle  persone   handicappate),   ritualmente
accertato in base alla medesima  legge.  Analoga  estensione  tuttora
difetta in  seno  all'art.  47-quinquies  ordin.  penit.,  a  riprova
dell'ingiustificata discriminazione in esso viceversa insita.
    4.- Sarebbero inoltre violati gli artt. 3, secondo comma,  e  31,
secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  l'indebita  compressione   delle
finalita' di protezione dell'istituto  medesimo,  realizzata  tramite
l'irragionevole restrizione dei suoi spazi applicativi, in  grado  di
compromettere l'anzidetto valore  di  promozione  della  personalita'
umana, si porrebbe in potenziale  contraddizione  con  il  «programma
costituzionale» (la cui violazione, in effetti, era  stata  parimenti
accertata dalla sentenza n. 350 del 2003).
    Secondo il giudice rimettente, infine, le questioni  cosi'  poste
sarebbero sicuramente  rilevanti,  dato  che  dal  loro  accoglimento
discenderebbe la necessita' di  annullare  con  rinvio  la  decisione
impugnata, in modo che il tribunale di  sorveglianza  -  superata  la
preclusione costituita  dall'eta'  della  prole  -  possa,  in  piena
autonomia di apprezzamento,  compiere  le  ulteriori  valutazioni  in
punto di assenza di pericolosita'  sociale  della  richiedente  e  di
adeguatezza genitoriale rispetto alla  finalita'  rieducativa  dovute
sulla  base  della  costante  giurisprudenza  di   legittimita'   (si
richiamano Corte di cassazione, sezione  prima  penale,  sentenze  19
luglio-16 ottobre 2018, n. 47092; 19 dicembre 2017-5 giugno 2018,  n.
25164 e 7 marzo-19 settembre 2013,  n.  38731).  Ogni  diverso  esito
dell'incidente di costituzionalita', secondo il  giudice  rimettente,
sarebbe viceversa ostativo a una favorevole delibazione del  proposto
ricorso per cassazione.
    5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
nel giudizio davanti a questa Corte.
    6.- Con atto depositato in data 29 luglio 2019 si  e'  costituita
A.  F.,  parte  del  giudizio  a  quo,  ribadendo   le   censure   di
incostituzionalita'   sollevate   dalla   Corte   di   cassazione   e
riservandosi di depositare successiva memoria.
    7.- Con memoria depositata in data 29  novembre  2019,  la  parte
costituita,  insistendo  sulle  proprie   conclusioni,   ricostruisce
l'evoluzione da tempo in atto  in  tema  di  detenzione  domiciliare,
richiamando la giurisprudenza di questa Corte.
    In punto di fatto la difesa della detenuta precisa che  nel  caso
di specie l'intero nucleo familiare della detenuta si trova in regime
di  detenzione,  e  che  la  detenuta  stessa  beneficia  in  maniera
altalenante dei permessi ex art. 21-ter ordin. penit., per la  visita
alla figlia disabile, dato che quest'ultima  previsione  non  prevede
quel limite di eta' che invece la disposizione sottoposta al giudizio
di  costituzionalita'  rigidamente  pone.  Inoltre,  a  dimostrazione
dell'incostituzionalita'  di  tale  disposizione,  si  sostiene,  tra
l'altro, che le esigenze di cura di figli gravemente malati e affetti
da patologie invalidanti sarebbero molto piu' impegnative  di  quelle
dei figli di eta' minore di dieci anni versanti in normali condizioni
di salute,  e  non  sarebbero  soddisfatte  da  quella  presenza  non
costante del genitore nell'abitazione familiare che  la  disposizione
dell'art.  21-ter  ordin.   penit.,   consente,   ma   al   contrario
richiederebbero «una pressoche' totale dedizione al figlio  ammalato,
che appunto vede nei genitori l'unico punto di riferimento,  le  sole
persone dalle quali ricevere amore, conforto, aiuto e sostegno».

                       Considerato in diritto

    1.- La Corte di cassazione, sezione prima  penale,  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies,  comma  1,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
nella parte in  cui  non  prevede  la  concessione  della  detenzione
domiciliare speciale anche nei confronti della  condannata  madre  di
prole affetta da handicap totalmente invalidante, come nel caso della
detenuta parte del giudizio a quo, la cui  figlia  e'  portatrice  di
handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5  febbraio
1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e
i diritti delle persone handicappate).
    La  norma  censurata,   limitando   l'accesso   alla   detenzione
domiciliare speciale alle «condannate madri  di  prole  di  eta'  non
superiore ad anni dieci» - sempre che ricorrano le  altre  condizioni
da essa previste - contrasterebbe, nella prospettazione  della  Corte
di cassazione, con l'art. 3, primo comma, della  Costituzione,  sotto
il  profilo  «della  intrinseca  irragionevolezza   di   un   sistema
rigidamente legato  all'eta'  del  minore,  in  cui,  ai  fini  della
concessione della detenzione domiciliare in esame,  non  si  consenta
affatto di apprezzare l'esistenza di  situazioni  omogenee  a  quella
espressamente regolata, in cui si palesi la  medesima  necessita'  di
assicurare al figlio l'effettiva presenza, e il  pregnante  sostegno,
del genitore, quali sono  le  situazioni  in  cui  il  figlio  appaia
portatore di un handicap totalmente  invalidante»;  nonche'  con  gli
artt. 3, secondo  comma,  e  31,  secondo  comma,  Cost.,  in  quanto
l'irragionevole restrizione dei suoi  spazi  applicativi  sarebbe  di
ostacolo alla piena realizzazione  della  personalita'  del  disabile
grave.
    2.- Non sussistendo alcun  profilo  di  inammissibilita',  questa
Corte puo' procedere senz'altro all'esame nel merito delle  questioni
sollevate.
    3.- Le questioni sono fondate.
    3.1.-  La  disciplina  della  detenzione  domiciliare   speciale,
contenuta nell'art. 47-quinquies della legge  n.  354  del  1975,  e'
stata introdotta dall'art. 3, comma 1, della legge 8 marzo  2001,  n.
40 (Misure alternative alla detenzione  a  tutela  del  rapporto  tra
detenute  e  figli  minori)  ed  e'  stata  in  seguito  parzialmente
modificata dal legislatore con l'art. 3, comma 2, lettere  a)  e  b),
della legge 21 aprile 2011, n. 62, recante «Modifiche  al  codice  di
procedura penale e alla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  e  altre
disposizioni a  tutela  del  rapporto  tra  detenute  madri  e  figli
minori». Tale istituto e' finalizzato ad ampliare, oltre  i  casi  in
cui puo' essere concessa la detenzione domiciliare ordinaria ai sensi
dell'art.  47-ter,  comma  1,   lettera   a),   ordin.   penit.,   la
possibilita', per le madri condannate a pena detentiva,  di  scontare
quest'ultima con  modalita'  esecutive  extracarcerarie,  per  meglio
tutelare il loro rapporto con i figli.
    Infatti, il richiamato art. 47-ter, comma 1, lettera  a),  ordin.
penit., relativo  alla  detenzione  domiciliare  ordinaria,  si  puo'
applicare quando la madre debba scontare la pena della reclusione non
superiore a quattro anni,  anche  se  costituente  parte  residua  di
maggior pena, nonche' la pena dell'arresto.
    Viceversa, la detenzione domiciliare  speciale  non  incontra  il
limite  relativo  alla  durata   della   pena,   in   quanto   l'art.
47-quinquies, comma 1, ordin. penit., prevede, per quanto  rileva  in
questa sede,  che  «[q]uando  non  ricorrono  le  condizioni  di  cui
all'articolo 47-ter,  le  condannate  madri  di  prole  di  eta'  non
superiore ad anni dieci, se non  sussiste  un  concreto  pericolo  di
commissione di ulteriori delitti  e  se  vi  e'  la  possibilita'  di
ripristinare la convivenza con i figli,  possono  essere  ammesse  ad
espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata
dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di
provvedere alla cura e alla assistenza dei figli».
    In tal modo,  il  legislatore  ha  consentito  anche  alle  madri
condannate a pene detentive superiori a quattro anni,  o  che  devono
ancora scontare piu' di quattro anni di reclusione, di accedere  alla
detenzione domiciliare speciale, a condizione pero' che i  figli  non
abbiano superato i dieci anni di eta'.
    3.2.- Tale condizione, relativa all'eta' dei figli, sussisteva in
origine  anche  per  la  detenzione  domiciliare  ordinaria,  di  cui
all'art. 47-ter. Tuttavia questa Corte, con la sentenza  n.  350  del
2003, ha inciso su tale disposizione estendendo  la  possibilita'  di
concedere la detenzione domiciliare  ordinaria  nei  confronti  della
madre condannata, convivente con un figlio portatore  di  disabilita'
totalmente invalidante, anche se di eta'  superiore  ai  dieci  anni.
Successivamente  il  legislatore,  nel  sostituire  per  intero,  tra
l'altro, la disciplina  di  cui  al  comma  1  dell'art.  47-ter,  ha
riprodotto il contenuto normativo su cui aveva inciso la sentenza  n.
350 del 2003 (art. 7, comma 3, della legge 5 dicembre 2005,  n.  251,
recante «Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio  1975,  n.
354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione»), ma  non  ha  fatto  venire  meno  l'effetto  di  tale
sentenza, dovendo l'addizione da essa introdotta riferirsi anche alla
nuova disposizione, che riproduce la medesima  norma  su  cui  questa
Corte  si   e'   pronunciata   (come   emerge   pacificamente   dalla
giurisprudenza di legittimita': Corte di  cassazione,  sezione  prima
penale, sentenze 14 maggio-30 settembre 2019, n.  39991;  31  ottobre
2018-10 gennaio 2019, n. 1029; 19 dicembre  2017-5  giugno  2018,  n.
25164; 18 settembre-13 ottobre 2015, n. 41190; 29 maggio-20 settembre
2012, n. 36247; nonche', tra le altre, Corte di  cassazione,  sezione
quarta penale, 4 aprile-19 maggio 2006, n. 17405).
    Il  giudice  rimettente  rileva  un   vizio   di   illegittimita'
costituzionale nella asimmetria che si e'  venuta  a  creare  tra  la
detenzione domiciliare ordinaria di  cui  all'art.  47-ter  e  quella
speciale di cui all'art. 47-quinquies ordin. penit., in quanto - allo
stato attuale - le due misure, pur perseguendo la medesima finalita',
presentano differenze quanto ai presupposti per la fruizione, essendo
esclusa,  per  la  sola  detenzione  domiciliare  speciale   qui   in
discussione, la possibilita' di accedervi nel caso in cui  il  figlio
abbia un'eta' superiore ai dieci anni, ma sia affetto da  disabilita'
totalmente invalidante.
    3.3.- In  effetti,  in  riferimento  alle  finalita'  perseguite,
questa Corte ha gia' sottolineato che entrambe le misure,  oltre  che
alla rieducazione del condannato, sono  primariamente  indirizzate  a
consentire la cura dei figli e a preservarne il rapporto con la madre
(cosi' la sentenza n. 211 del 2018; per la  equiparazione  delle  due
misure sotto il profilo delle finalita' perseguite dalla legge e  del
loro contenuto, pur nella differenza  dei  presupposti  per  la  loro
applicazione, si  veda  anche  la  sentenza  n.  177  del  2009).  In
particolare, pronunciandosi sulla detenzione  domiciliare  ordinaria,
questa Corte ha affermato che  essa  ha  lo  scopo  di  favorire  «le
esigenze di sviluppo e formazione del bambino il cui  soddisfacimento
potrebbe essere gravemente  pregiudicato  dall'assenza  della  figura
genitoriale» (sentenza n. 350 del 2003).  Con  specifico  riferimento
all'istituto della detenzione domiciliare speciale, questa  Corte  ha
ripetuto che nell'istituto «assume rilievo prioritario la  tutela  di
un  soggetto  debole,  distinto  dal  condannato  e   particolarmente
meritevole di protezione, qual e' il minore» (sentenza n. 76 del 2017
e, analogamente, sentenza n. 239 del 2014).
    Se tale e' la finalita' che accomuna le  due  misure,  incentrata
sulla tutela di un soggetto debole, peraltro  estraneo  alle  vicende
che hanno portato alla  condanna,  ne  consegue,  come  correttamente
deduce la Corte  rimettente,  l'illegittimita'  costituzionale  della
preclusione della detenzione domiciliare speciale per  le  madri  con
figli di eta' superiore ai dieci  anni,  ma  affetti  da  disabilita'
totalmente invalidante.
    4.- Decisivi anche per le questioni oggi  in  giudizio  sono  gli
argomenti sviluppati da questa Corte nella sentenza n. 350  del  2003
gia' menzionata, con la quale e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale, in riferimento all'art. 3,  primo  e  secondo  comma,
Cost., dell'art. 47-ter, comma 1, lettera a),  ordin.  penit.,  nella
parte in cui non prevede la concessione della detenzione  domiciliare
ordinaria «anche nei confronti della madre condannata,  e,  nei  casi
previsti dal comma 1, lettera b), del  padre  condannato,  conviventi
con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante».
    A fondamento di  tale  decisione,  questa  Corte  aveva  posto  a
confronto le esigenze di cura del figlio minore  di  dieci  anni  con
quelle  del  figlio  gravemente  disabile  di  qualsiasi   eta'.   In
proposito,  aveva  affermato  che  nel  caso  del  figlio  gravemente
invalido «il  riferimento  all'eta'  non  puo'  assumere  un  rilievo
dirimente, in considerazione delle  particolari  esigenze  di  tutela
psico-fisica  il  cui  soddisfacimento  si  rivela  strumentale   nel
processo rivolto  a  favorire  lo  sviluppo  della  personalita'  del
soggetto. La salute psico-fisica di questo  puo'  essere  infatti,  e
notevolmente, pregiudicata  dall'assenza  della  madre,  detenuta  in
carcere, e dalla mancanza di cure da parte  di  questa,  non  essendo
indifferente per il disabile grave, a qualsiasi eta', che le  cure  e
l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore».
    La Corte aveva percio'  ritenuto  che  precludere  la  detenzione
domiciliare dopo il compimento dei dieci  anni  di  eta'  del  figlio
recasse una violazione sia al primo sia al secondo comma dell'art.  3
Cost., alla luce del perdurante bisogno di cura e  di  assistenza  da
parte dei genitori del figlio totalmente disabile. La Corte ravvisava
una violazione del primo  comma  dell'art.  3  Cost.,  in  quanto  la
disposizione censurata stabiliva «un trattamento difforme rispetto  a
situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra  loro,  quali  sono
quella della madre di un figlio incapace perche'  minore  degli  anni
dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno sul piano fisico,
e quella della madre di un figlio disabile e incapace  di  provvedere
da solo  anche  alle  sue  piu'  elementari  esigenze,  il  quale,  a
qualsiasi eta', ha maggiore e continua necessita' di essere assistito
dalla madre rispetto ad  un  bambino  di  eta'  inferiore  agli  anni
dieci».  Inoltre,  risultava  violato  anche  il  secondo  comma  del
medesimo art. 3 Cost., perche' l'esecuzione della  pena  nella  forma
della detenzione domiciliare e' volta «al fine di favorire  il  pieno
sviluppo della personalita' del figlio», sicche' «la possibilita'  di
concedere  la  detenzione   domiciliare   al   genitore   condannato,
convivente con un figlio totalmente handicappato,  appare  funzionale
all'impegno della Repubblica, sancito nel secondo comma  dell'art.  3
della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine  sociale  che
impediscono il pieno sviluppo della personalita'».
    Non e' inutile notare  in  proposito  che  la  giurisprudenza  di
legittimita' che ha dato seguito a quella  sentenza  ha  poi  aderito
agli argomenti svolti da  questa  Corte,  osservando  come  l'assenza
della madre, per  il  figlio  gravemente  invalido,  costituisca  «un
pregiudizio ancora piu' grave» di quanto non lo  sia  per  il  figlio
sano di eta' inferiore ai dieci anni (Corte  di  cassazione,  sezione
prima penale, 18 settembre-13 ottobre 2015, n. 41190).
    5.- Considerazioni  del  tutto  analoghe  a  quelle  spese  nella
sentenza n. 350 del 2003 a  proposito  della  detenzione  domiciliare
ordinaria inducono ora questa Corte  a  giudicare  costituzionalmente
illegittima la disciplina della detenzione domiciliare  speciale,  di
cui al censurato art. 47-quinquies, comma  1,  ordin.  penit.,  nella
parte in cui esclude dal suo ambito di applicazione le madri detenute
di figli gravemente disabili di qualunque eta', quale  e'  la  figlia
della detenuta parte del giudizio principale, portatrice di  handicap
grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
    Analogamente a quanto  affermato  a  proposito  della  detenzione
domiciliare ordinaria, questa Corte ritiene che il limite di eta' dei
dieci anni previsto dall'art. 47-quinquies, comma 1,  ordin.  penit.,
contrasti con i principi costituzionali di cui all'art.  3,  primo  e
secondo comma, Cost., unitamente a quello di cui all'art. 31, secondo
comma, Cost., pure invocato dalla Corte rimettente,  che  prevede  la
tutela della maternita', cioe' del legame tra madre e figlio che  non
puo' considerarsi esaurito dopo le prime fasi di  vita  del  bambino.
Tali principi esigono che una  misura  alternativa  alla  detenzione,
qual  e'  quella  prevista  dall'art.  47-quinquies   -   finalizzata
principalmente a tutelare il figlio, terzo  incolpevole  e  bisognoso
del rapporto quotidiano e delle cure del detenuto - debba  estendersi
all'ipotesi del figlio portatore di disabilita' con «connotazione  di
gravita'» ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992,
il quale si trova sempre in condizioni di particolare  vulnerabilita'
fisica  e  psichica  indipendentemente   dall'eta'.   Nei   casi   di
disabilita' grave, l'autonomia personale e' cosi' ridotta «da rendere
necessario un intervento  assistenziale  permanente,  continuativo  e
globale nella sfera individuale o in quella di relazione» a qualunque
eta' (art. 3, comma 3, della legge n.  104  del  1992).  Il  dato  di
esperienza, anzi, rivela che le condizioni di vita e di salute  delle
persone colpite da disabilita'  grave  tendono  ad  aggravarsi  e  ad
acuirsi con l'avanzare dell'eta'.  Sicche'  delimitare  il  beneficio
penitenziario in questione  in  ragione  di  un  parametro  meramente
anagrafico e' costituzionalmente  illegittimo  quando  si  tratta  di
persona gravemente disabile.
    6.- Occorre ancora osservare che la giurisprudenza costituzionale
ravvisa nelle relazioni umane,  specie  di  tipo  familiare,  fattori
determinanti per il  pieno  sviluppo  e  la  tutela  effettiva  delle
persone piu' fragili,  e  cio'  in  base  al  principio  personalista
garantito dalla nostra Costituzione,  letto  anche  alla  luce  degli
strumenti internazionali, tra i quali, in questo ambito,  soprattutto
la Convenzione delle Nazioni Unite  sui  diritti  delle  persone  con
disabilita', fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e  resa
esecutiva con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (in tale ultimo senso,  le
sentenze n. 83 del 2019 e n. 2 del 2016).
    Questa Corte, infatti, in linea con una  giurisprudenza  ricca  e
costante, ha affermato che «una tutela  piena  dei  soggetti  deboli»
richiede anche «la  continuita'  delle  relazioni  costitutive  della
personalita' umana»  (sentenza  n.  203  del  2013),  e  ha  altresi'
ulteriormente ribadito che  il  diritto  del  disabile  di  «ricevere
assistenza nell'ambito della sua comunita' di vita»  rappresenta  «il
fulcro delle  tutele  apprestate  dal  legislatore  e  finalizzate  a
rimuovere gli ostacoli suscettibili di  impedire  il  pieno  sviluppo
della persona umana» (sentenza n. 232 del 2018).
    Puo'  essere  utile  aggiungere  che   di   recente   lo   stesso
legislatore,   in   dichiarata   attuazione   dei   citati   principi
costituzionali e internazionali, con la legge 22 giugno 2016, n.  112
(Disposizioni in materia di assistenza in favore  delle  persone  con
disabilita' grave prive del sostegno familiare), cosiddetta legge del
"Dopo di noi", ha ritenuto che proprio in relazione alle persone  con
grave disabilita' il sostegno offerto  dai  genitori  e'  essenziale,
preoccupandosi di  stabilire  che,  alla  morte  dei  genitori  o  al
sopravvenire  dell'incapacita'  di   assistere   il   figlio,   siano
predisposte le necessarie «misure di assistenza,  cura  e  protezione
nel superiore interesse delle persone con disabilita'  grave»,  volte
ad  assicurarne  «il  benessere,  la  piena  inclusione   sociale   e
l'autonomia», ulteriori rispetto ai livelli essenziali di  assistenza
e agli altri interventi di cura e di sostegno comunque gia'  previsti
dalla legislazione vigente in favore delle  persone  con  disabilita'
(artt. 1 e 2).
    7.-  Sulla  base  delle  considerazioni  che  precedono,   l'art.
47-quinquies,  comma  1,  ordin.  penit.,  deve   essere   dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3,  primo
e secondo comma, e 31, secondo comma, Cost., nella parte in  cui  non
prevede  la  possibilita'  di  concedere  la  detenzione  domiciliare
speciale anche nei confronti delle condannate madri di figli  affetti
da disabilita' grave ai sensi dell'art. 3, comma 3,  della  legge  n.
104 del 1992, ritualmente accertato in base alla medesima legge.
    E' appena il caso di aggiungere che la presente dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale non incide  sugli  ulteriori  requisiti
per la concessione della misura. Restano pertanto ferme le previsioni
dell'art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit., che stabiliscono  che
le detenute possono essere ammesse alla detenzione domiciliare  nella
propria abitazione, o in altro luogo di  privata  dimora,  ovvero  in
luogo di cura, assistenza o accoglienza, solo  «se  non  sussiste  un
concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti»  (ovvero,  nei
casi previsti dall'art. 47-quinquies,  comma  1-bis,  ordin.  penit.,
solo  «se  non  sussiste  un  concreto  pericolo  di  commissione  di
ulteriori delitti o di fuga»).
    Questa Corte non puo' fare a meno di ribadire, come gia' in altre
precedenti analoghe occasioni (sentenze n. 187 e n. 99 del  2019,  n.
211 del 2018, n. 76 del 2017 e n. 239  del  2014),  che  in  sede  di
valutazione  in  concreto  dei  presupposti  di   concessione   della
detenzione domiciliare e di determinazione delle  concrete  modalita'
del suo svolgimento, il tribunale di sorveglianza  sara'  chiamato  a
contemperare ragionevolmente tutti i beni in gioco:  le  esigenze  di
cura del disabile, cosi' come quelle parimenti imprescindibili  della
difesa sociale e di contrasto alla criminalita'. Nella stessa  linea,
del resto, la Corte  di  cassazione  richiede  esplicitamente  che  i
provvedimenti che valutano le istanze di detenzione domiciliare della
madre  condannata  diano  conto  di  avere  compiuto  la   necessaria
«verifica comparativa complessa», bilanciando in concreto le esigenze
della sicurezza e della difesa sociale con quelle del soggetto debole
diverso dal condannato e particolarmente bisognoso di  assistenza  da
parte della madre (cosi' Corte di cassazione, sezione  prima  penale,
27 marzo-17 giugno 2019, n. 26681; Corte di cassazione, sezione prima
penale, 10 ottobre-24 novembre 2017,  n.  53426;  ma  anche,  tra  le
altre,  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  7   marzo-19
settembre 2013, n. 38731).
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  47-quinquies,
comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), nella parte in cui non prevede la concessione  della
detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madri di  figli
affetti da handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della  legge
5   febbraio   1992,   n.   104   (Legge-quadro   per   l'assistenza,
l'integrazione sociale  e  i  diritti  delle  persone  handicappate),
ritualmente accertato in base alla medesima legge.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2020.

                                F.to:
                     Marta CARTABIA, Presidente
                             e Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2020.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA 

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