N. 18 SENTENZA 15 gennaio - 14 febbraio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare speciale -
Concessione alle condannate madri di figli affetti da handicap
grave ritualmente accertato ai sensi della legge n. 104 del 1992 -
Omessa previsione - Disparita' di trattamento rispetto alle
condannate madri di figli minori di anni dieci, incidenza sulle
relazioni costitutive della persona umana e violazione del
principio della tutela della maternita' - Illegittimita'
costituzionale in parte qua.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-quinquies, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, primo e secondo comma, e 31, secondo comma.
(GU n.8 del 19-2-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.
47-quinquies, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta'), promosso dalla Corte di
cassazione, sezione prima penale, nel procedimento relativo a A. F.,
con ordinanza del 26 aprile 2019, iscritta al n. 109 del registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto di costituzione di A. F.;
udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 2020 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
udito l'avvocato Simona Polimeni per A. F.;
deliberato nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 26 aprile 2019, iscritta al n. 109 del reg.
ord. 2019, la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 31,
secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1, della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta'), «nella parte in
cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale
anche nei confronti della condannata madre di prole affetta da
handicap totalmente invalidante».
La Corte di cassazione riferisce di essere chiamata a
pronunciarsi sul ricorso di una detenuta condannata per reati di
associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione continuata e
ricettazione a una pena che, inflitta il 30 aprile 2015, scade, allo
stato, il 13 novembre 2024.
Il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria
impugnato dalla detenuta aveva rigettato una sua istanza di
detenzione domiciliare speciale ai sensi dell'art. 47-quinquies,
comma 1, ordin. penit., proposta in funzione della cura e
dell'assistenza a una figlia affetta da grave disabilita' nata nel
1994, e dunque di eta' superiore ai dieci anni.
La Corte di cassazione ritiene che il tribunale di sorveglianza
abbia ineccepibilmente verificato, sulla base delle deduzioni della
madre, della documentazione dalla medesima fornita e degli esiti di
una perizia appositamente disposta, che la figlia della condannata e'
affetta da handicap totale di ordine fisico, a seguito della precoce
insorgenza della patologia, non reversibile, descritta dal tribunale
come una paralisi cerebrale infantile di ordine bilaterale che, pur
conservando le funzioni intellettive della ragazza, da ritenersi
corrispondenti all'eta' anagrafica, l'ha resa totalmente
impossibilitata a deambulare e bisognosa dell'aiuto permanente di un
accompagnatore.
La Corte di cassazione ricorda inoltre che il tribunale di
sorveglianza aveva negato alla condannata l'accesso alla misura
alternativa della detenzione domiciliare speciale non in
considerazione della natura dei reati per i quali era stata
condannata, parzialmente riconducibili alla categoria dei reati
ostativi di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. (dato che la
sentenza costituzionale n. 239 del 2014 ha dichiarato contraria a
Costituzione questa preclusione alla concessione della misura), e
neanche perche' vi fosse un problema di previa espiazione di una
quota/parte della pena inflitta (dato che la sentenza costituzionale
n. 76 del 2017 ha caducato questa previsione, valevole per i
condannati per i reati ostativi di cui sempre all'art. 4-bis, comma
1, ordin. penit.), bensi' soltanto perche' l'art. 47-quinquies, comma
1, ordin. penit., impedisce l'accesso delle madri detenute alla
misura alternativa della detenzione domiciliare speciale quando il
figlio, alla data dell'istanza, ha superato il decimo anno di eta'.
Secondo il tribunale di sorveglianza, inoltre, la figlia della
detenuta, pur fisicamente invalida al 100 per cento, non avrebbe
potuto essere equiparata, sotto il profilo cognitivo-comportamentale,
vale a dire per "eta' mentale", a un soggetto inferiore ai dieci anni
di eta'.
Contro tale provvedimento la detenuta aveva proposto ricorso per
cassazione eccependo tra l'altro, sia pure in via subordinata,
l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione.
La Corte di cassazione, respinti i motivi principali del ricorso,
afferma che l'esegesi dell'art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit.,
accolta dal tribunale di sorveglianza riflette un'adeguata lettura
dello stato attuale del diritto positivo, ed esclude, sulla scorta di
diversi motivati argomenti sia di natura testuale - con richiamo alla
sentenza di questa Corte n. 350 del 2003 e a un precedente di
legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima penale, 19 dicembre
2017-5 giugno 2018, n. 25164) - sia di carattere storico sistematico,
che l'art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit., possa essere
interpretato nel senso che, alle condizioni ivi previste, la
detenzione domiciliare possa essere accordata, oltre che alle
detenute madri di prole di eta' inferiore ai dieci anni, anche alle
detenute madri di figli di eta' superiore ai dieci anni ma portatori
di handicap totalmente invalidante.
2.- Dopo avere argomentato sulla impossibilita' di procedere a
una interpretazione conforme a Costituzione, la Corte di cassazione
solleva questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
47-quinquies, comma 1, ordin. penit., traendo alimento per i dubbi di
costituzionalita' dalle argomentazioni contenute nella gia'
richiamata sentenza di questa Corte n. 350 del 2003, relativa alla
detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1, lettere a) e
b), ordin. penit., la quale sarebbe omogenea per funzione alla misura
della detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquies
ordin. penit., mirando entrambe a favorire il pieno sviluppo della
personalita' del figlio del soggetto condannato a pena detentiva
attraverso la realizzazione del suo interesse a realizzare un
rapporto quanto piu' normale possibile con il genitore (si richiama
altresi' la sentenza n. 239 del 2014).
Anche la disposizione ora sottoposta al giudizio di
costituzionalita', infatti, al pari di quella dichiarata
incostituzionale con la sentenza n. 350 del 2003, prevede la
possibilita' di un trattamento sanzionatorio che non interrompa il
continuum educativo-assistenziale del genitore con il figlio, ma
tuttavia la limita all'ipotesi del minore di eta' inferiore a dieci
anni e non considera la condizione del figlio gravemente invalido,
rispetto alla quale il riferimento all'eta' non potrebbe assumere un
rilievo dirimente, perche' la sua salute psico-fisica sarebbe
suscettibile di essere in egual misura pregiudicata dall'assenza del
genitore, detenuto in carcere, non essendo indifferente per il
disabile grave, a qualsiasi eta', che le cure e l'assistenza siano
prestate da persone diverse dal genitore medesimo.
3.- Secondo la Corte di cassazione rimettente sarebbe
innanzitutto violato l'art. 3, primo comma, Cost. «sotto il profilo -
gia' ritenuto dalla pronuncia costituzionale n. 350 del 2003 - della
intrinseca irragionevolezza di un sistema rigidamente legato all'eta'
del minore, in cui, ai fini della concessione della detenzione
domiciliare in esame, non si consenta affatto di apprezzare
l'esistenza di situazioni omogenee a quella espressamente regolata,
in cui si palesi la medesima necessita' di assicurare al figlio
l'effettiva presenza, e il pregnante sostegno, del genitore, quali
sono le situazioni in cui il figlio appaia portatore di un handicap
totalmente invalidante».
La piena equiparabilita' delle due situazioni sarebbe confermata,
secondo il giudice a quo, da «indici legislativi, emersi in sede di
ulteriore aggiornamento del diritto penitenziario». In particolare,
la legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura
penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge
26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da
handicap in situazione di gravita'), incidendo sulla conformazione di
un istituto di recente conio, quale quello delle visite al minore
infermo da parte del genitore detenuto (art. 21-ter ordin. penit.),
ha esteso tale possibilita', tra l'altro, al caso del figlio affetto
da handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate), ritualmente
accertato in base alla medesima legge. Analoga estensione tuttora
difetta in seno all'art. 47-quinquies ordin. penit., a riprova
dell'ingiustificata discriminazione in esso viceversa insita.
4.- Sarebbero inoltre violati gli artt. 3, secondo comma, e 31,
secondo comma, Cost., in quanto l'indebita compressione delle
finalita' di protezione dell'istituto medesimo, realizzata tramite
l'irragionevole restrizione dei suoi spazi applicativi, in grado di
compromettere l'anzidetto valore di promozione della personalita'
umana, si porrebbe in potenziale contraddizione con il «programma
costituzionale» (la cui violazione, in effetti, era stata parimenti
accertata dalla sentenza n. 350 del 2003).
Secondo il giudice rimettente, infine, le questioni cosi' poste
sarebbero sicuramente rilevanti, dato che dal loro accoglimento
discenderebbe la necessita' di annullare con rinvio la decisione
impugnata, in modo che il tribunale di sorveglianza - superata la
preclusione costituita dall'eta' della prole - possa, in piena
autonomia di apprezzamento, compiere le ulteriori valutazioni in
punto di assenza di pericolosita' sociale della richiedente e di
adeguatezza genitoriale rispetto alla finalita' rieducativa dovute
sulla base della costante giurisprudenza di legittimita' (si
richiamano Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 19
luglio-16 ottobre 2018, n. 47092; 19 dicembre 2017-5 giugno 2018, n.
25164 e 7 marzo-19 settembre 2013, n. 38731). Ogni diverso esito
dell'incidente di costituzionalita', secondo il giudice rimettente,
sarebbe viceversa ostativo a una favorevole delibazione del proposto
ricorso per cassazione.
5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non e' intervenuto
nel giudizio davanti a questa Corte.
6.- Con atto depositato in data 29 luglio 2019 si e' costituita
A. F., parte del giudizio a quo, ribadendo le censure di
incostituzionalita' sollevate dalla Corte di cassazione e
riservandosi di depositare successiva memoria.
7.- Con memoria depositata in data 29 novembre 2019, la parte
costituita, insistendo sulle proprie conclusioni, ricostruisce
l'evoluzione da tempo in atto in tema di detenzione domiciliare,
richiamando la giurisprudenza di questa Corte.
In punto di fatto la difesa della detenuta precisa che nel caso
di specie l'intero nucleo familiare della detenuta si trova in regime
di detenzione, e che la detenuta stessa beneficia in maniera
altalenante dei permessi ex art. 21-ter ordin. penit., per la visita
alla figlia disabile, dato che quest'ultima previsione non prevede
quel limite di eta' che invece la disposizione sottoposta al giudizio
di costituzionalita' rigidamente pone. Inoltre, a dimostrazione
dell'incostituzionalita' di tale disposizione, si sostiene, tra
l'altro, che le esigenze di cura di figli gravemente malati e affetti
da patologie invalidanti sarebbero molto piu' impegnative di quelle
dei figli di eta' minore di dieci anni versanti in normali condizioni
di salute, e non sarebbero soddisfatte da quella presenza non
costante del genitore nell'abitazione familiare che la disposizione
dell'art. 21-ter ordin. penit., consente, ma al contrario
richiederebbero «una pressoche' totale dedizione al figlio ammalato,
che appunto vede nei genitori l'unico punto di riferimento, le sole
persone dalle quali ricevere amore, conforto, aiuto e sostegno».
Considerato in diritto
1.- La Corte di cassazione, sezione prima penale, dubita della
legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1, della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione
domiciliare speciale anche nei confronti della condannata madre di
prole affetta da handicap totalmente invalidante, come nel caso della
detenuta parte del giudizio a quo, la cui figlia e' portatrice di
handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio
1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e
i diritti delle persone handicappate).
La norma censurata, limitando l'accesso alla detenzione
domiciliare speciale alle «condannate madri di prole di eta' non
superiore ad anni dieci» - sempre che ricorrano le altre condizioni
da essa previste - contrasterebbe, nella prospettazione della Corte
di cassazione, con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto
il profilo «della intrinseca irragionevolezza di un sistema
rigidamente legato all'eta' del minore, in cui, ai fini della
concessione della detenzione domiciliare in esame, non si consenta
affatto di apprezzare l'esistenza di situazioni omogenee a quella
espressamente regolata, in cui si palesi la medesima necessita' di
assicurare al figlio l'effettiva presenza, e il pregnante sostegno,
del genitore, quali sono le situazioni in cui il figlio appaia
portatore di un handicap totalmente invalidante»; nonche' con gli
artt. 3, secondo comma, e 31, secondo comma, Cost., in quanto
l'irragionevole restrizione dei suoi spazi applicativi sarebbe di
ostacolo alla piena realizzazione della personalita' del disabile
grave.
2.- Non sussistendo alcun profilo di inammissibilita', questa
Corte puo' procedere senz'altro all'esame nel merito delle questioni
sollevate.
3.- Le questioni sono fondate.
3.1.- La disciplina della detenzione domiciliare speciale,
contenuta nell'art. 47-quinquies della legge n. 354 del 1975, e'
stata introdotta dall'art. 3, comma 1, della legge 8 marzo 2001, n.
40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra
detenute e figli minori) ed e' stata in seguito parzialmente
modificata dal legislatore con l'art. 3, comma 2, lettere a) e b),
della legge 21 aprile 2011, n. 62, recante «Modifiche al codice di
procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre
disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli
minori». Tale istituto e' finalizzato ad ampliare, oltre i casi in
cui puo' essere concessa la detenzione domiciliare ordinaria ai sensi
dell'art. 47-ter, comma 1, lettera a), ordin. penit., la
possibilita', per le madri condannate a pena detentiva, di scontare
quest'ultima con modalita' esecutive extracarcerarie, per meglio
tutelare il loro rapporto con i figli.
Infatti, il richiamato art. 47-ter, comma 1, lettera a), ordin.
penit., relativo alla detenzione domiciliare ordinaria, si puo'
applicare quando la madre debba scontare la pena della reclusione non
superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di
maggior pena, nonche' la pena dell'arresto.
Viceversa, la detenzione domiciliare speciale non incontra il
limite relativo alla durata della pena, in quanto l'art.
47-quinquies, comma 1, ordin. penit., prevede, per quanto rileva in
questa sede, che «[q]uando non ricorrono le condizioni di cui
all'articolo 47-ter, le condannate madri di prole di eta' non
superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di
commissione di ulteriori delitti e se vi e' la possibilita' di
ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad
espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata
dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di
provvedere alla cura e alla assistenza dei figli».
In tal modo, il legislatore ha consentito anche alle madri
condannate a pene detentive superiori a quattro anni, o che devono
ancora scontare piu' di quattro anni di reclusione, di accedere alla
detenzione domiciliare speciale, a condizione pero' che i figli non
abbiano superato i dieci anni di eta'.
3.2.- Tale condizione, relativa all'eta' dei figli, sussisteva in
origine anche per la detenzione domiciliare ordinaria, di cui
all'art. 47-ter. Tuttavia questa Corte, con la sentenza n. 350 del
2003, ha inciso su tale disposizione estendendo la possibilita' di
concedere la detenzione domiciliare ordinaria nei confronti della
madre condannata, convivente con un figlio portatore di disabilita'
totalmente invalidante, anche se di eta' superiore ai dieci anni.
Successivamente il legislatore, nel sostituire per intero, tra
l'altro, la disciplina di cui al comma 1 dell'art. 47-ter, ha
riprodotto il contenuto normativo su cui aveva inciso la sentenza n.
350 del 2003 (art. 7, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251,
recante «Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.
354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione»), ma non ha fatto venire meno l'effetto di tale
sentenza, dovendo l'addizione da essa introdotta riferirsi anche alla
nuova disposizione, che riproduce la medesima norma su cui questa
Corte si e' pronunciata (come emerge pacificamente dalla
giurisprudenza di legittimita': Corte di cassazione, sezione prima
penale, sentenze 14 maggio-30 settembre 2019, n. 39991; 31 ottobre
2018-10 gennaio 2019, n. 1029; 19 dicembre 2017-5 giugno 2018, n.
25164; 18 settembre-13 ottobre 2015, n. 41190; 29 maggio-20 settembre
2012, n. 36247; nonche', tra le altre, Corte di cassazione, sezione
quarta penale, 4 aprile-19 maggio 2006, n. 17405).
Il giudice rimettente rileva un vizio di illegittimita'
costituzionale nella asimmetria che si e' venuta a creare tra la
detenzione domiciliare ordinaria di cui all'art. 47-ter e quella
speciale di cui all'art. 47-quinquies ordin. penit., in quanto - allo
stato attuale - le due misure, pur perseguendo la medesima finalita',
presentano differenze quanto ai presupposti per la fruizione, essendo
esclusa, per la sola detenzione domiciliare speciale qui in
discussione, la possibilita' di accedervi nel caso in cui il figlio
abbia un'eta' superiore ai dieci anni, ma sia affetto da disabilita'
totalmente invalidante.
3.3.- In effetti, in riferimento alle finalita' perseguite,
questa Corte ha gia' sottolineato che entrambe le misure, oltre che
alla rieducazione del condannato, sono primariamente indirizzate a
consentire la cura dei figli e a preservarne il rapporto con la madre
(cosi' la sentenza n. 211 del 2018; per la equiparazione delle due
misure sotto il profilo delle finalita' perseguite dalla legge e del
loro contenuto, pur nella differenza dei presupposti per la loro
applicazione, si veda anche la sentenza n. 177 del 2009). In
particolare, pronunciandosi sulla detenzione domiciliare ordinaria,
questa Corte ha affermato che essa ha lo scopo di favorire «le
esigenze di sviluppo e formazione del bambino il cui soddisfacimento
potrebbe essere gravemente pregiudicato dall'assenza della figura
genitoriale» (sentenza n. 350 del 2003). Con specifico riferimento
all'istituto della detenzione domiciliare speciale, questa Corte ha
ripetuto che nell'istituto «assume rilievo prioritario la tutela di
un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente
meritevole di protezione, qual e' il minore» (sentenza n. 76 del 2017
e, analogamente, sentenza n. 239 del 2014).
Se tale e' la finalita' che accomuna le due misure, incentrata
sulla tutela di un soggetto debole, peraltro estraneo alle vicende
che hanno portato alla condanna, ne consegue, come correttamente
deduce la Corte rimettente, l'illegittimita' costituzionale della
preclusione della detenzione domiciliare speciale per le madri con
figli di eta' superiore ai dieci anni, ma affetti da disabilita'
totalmente invalidante.
4.- Decisivi anche per le questioni oggi in giudizio sono gli
argomenti sviluppati da questa Corte nella sentenza n. 350 del 2003
gia' menzionata, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita'
costituzionale, in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma,
Cost., dell'art. 47-ter, comma 1, lettera a), ordin. penit., nella
parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare
ordinaria «anche nei confronti della madre condannata, e, nei casi
previsti dal comma 1, lettera b), del padre condannato, conviventi
con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante».
A fondamento di tale decisione, questa Corte aveva posto a
confronto le esigenze di cura del figlio minore di dieci anni con
quelle del figlio gravemente disabile di qualsiasi eta'. In
proposito, aveva affermato che nel caso del figlio gravemente
invalido «il riferimento all'eta' non puo' assumere un rilievo
dirimente, in considerazione delle particolari esigenze di tutela
psico-fisica il cui soddisfacimento si rivela strumentale nel
processo rivolto a favorire lo sviluppo della personalita' del
soggetto. La salute psico-fisica di questo puo' essere infatti, e
notevolmente, pregiudicata dall'assenza della madre, detenuta in
carcere, e dalla mancanza di cure da parte di questa, non essendo
indifferente per il disabile grave, a qualsiasi eta', che le cure e
l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore».
La Corte aveva percio' ritenuto che precludere la detenzione
domiciliare dopo il compimento dei dieci anni di eta' del figlio
recasse una violazione sia al primo sia al secondo comma dell'art. 3
Cost., alla luce del perdurante bisogno di cura e di assistenza da
parte dei genitori del figlio totalmente disabile. La Corte ravvisava
una violazione del primo comma dell'art. 3 Cost., in quanto la
disposizione censurata stabiliva «un trattamento difforme rispetto a
situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono
quella della madre di un figlio incapace perche' minore degli anni
dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno sul piano fisico,
e quella della madre di un figlio disabile e incapace di provvedere
da solo anche alle sue piu' elementari esigenze, il quale, a
qualsiasi eta', ha maggiore e continua necessita' di essere assistito
dalla madre rispetto ad un bambino di eta' inferiore agli anni
dieci». Inoltre, risultava violato anche il secondo comma del
medesimo art. 3 Cost., perche' l'esecuzione della pena nella forma
della detenzione domiciliare e' volta «al fine di favorire il pieno
sviluppo della personalita' del figlio», sicche' «la possibilita' di
concedere la detenzione domiciliare al genitore condannato,
convivente con un figlio totalmente handicappato, appare funzionale
all'impegno della Repubblica, sancito nel secondo comma dell'art. 3
della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che
impediscono il pieno sviluppo della personalita'».
Non e' inutile notare in proposito che la giurisprudenza di
legittimita' che ha dato seguito a quella sentenza ha poi aderito
agli argomenti svolti da questa Corte, osservando come l'assenza
della madre, per il figlio gravemente invalido, costituisca «un
pregiudizio ancora piu' grave» di quanto non lo sia per il figlio
sano di eta' inferiore ai dieci anni (Corte di cassazione, sezione
prima penale, 18 settembre-13 ottobre 2015, n. 41190).
5.- Considerazioni del tutto analoghe a quelle spese nella
sentenza n. 350 del 2003 a proposito della detenzione domiciliare
ordinaria inducono ora questa Corte a giudicare costituzionalmente
illegittima la disciplina della detenzione domiciliare speciale, di
cui al censurato art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit., nella
parte in cui esclude dal suo ambito di applicazione le madri detenute
di figli gravemente disabili di qualunque eta', quale e' la figlia
della detenuta parte del giudizio principale, portatrice di handicap
grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
Analogamente a quanto affermato a proposito della detenzione
domiciliare ordinaria, questa Corte ritiene che il limite di eta' dei
dieci anni previsto dall'art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit.,
contrasti con i principi costituzionali di cui all'art. 3, primo e
secondo comma, Cost., unitamente a quello di cui all'art. 31, secondo
comma, Cost., pure invocato dalla Corte rimettente, che prevede la
tutela della maternita', cioe' del legame tra madre e figlio che non
puo' considerarsi esaurito dopo le prime fasi di vita del bambino.
Tali principi esigono che una misura alternativa alla detenzione,
qual e' quella prevista dall'art. 47-quinquies - finalizzata
principalmente a tutelare il figlio, terzo incolpevole e bisognoso
del rapporto quotidiano e delle cure del detenuto - debba estendersi
all'ipotesi del figlio portatore di disabilita' con «connotazione di
gravita'» ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992,
il quale si trova sempre in condizioni di particolare vulnerabilita'
fisica e psichica indipendentemente dall'eta'. Nei casi di
disabilita' grave, l'autonomia personale e' cosi' ridotta «da rendere
necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e
globale nella sfera individuale o in quella di relazione» a qualunque
eta' (art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992). Il dato di
esperienza, anzi, rivela che le condizioni di vita e di salute delle
persone colpite da disabilita' grave tendono ad aggravarsi e ad
acuirsi con l'avanzare dell'eta'. Sicche' delimitare il beneficio
penitenziario in questione in ragione di un parametro meramente
anagrafico e' costituzionalmente illegittimo quando si tratta di
persona gravemente disabile.
6.- Occorre ancora osservare che la giurisprudenza costituzionale
ravvisa nelle relazioni umane, specie di tipo familiare, fattori
determinanti per il pieno sviluppo e la tutela effettiva delle
persone piu' fragili, e cio' in base al principio personalista
garantito dalla nostra Costituzione, letto anche alla luce degli
strumenti internazionali, tra i quali, in questo ambito, soprattutto
la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilita', fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa
esecutiva con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (in tale ultimo senso, le
sentenze n. 83 del 2019 e n. 2 del 2016).
Questa Corte, infatti, in linea con una giurisprudenza ricca e
costante, ha affermato che «una tutela piena dei soggetti deboli»
richiede anche «la continuita' delle relazioni costitutive della
personalita' umana» (sentenza n. 203 del 2013), e ha altresi'
ulteriormente ribadito che il diritto del disabile di «ricevere
assistenza nell'ambito della sua comunita' di vita» rappresenta «il
fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a
rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo
della persona umana» (sentenza n. 232 del 2018).
Puo' essere utile aggiungere che di recente lo stesso
legislatore, in dichiarata attuazione dei citati principi
costituzionali e internazionali, con la legge 22 giugno 2016, n. 112
(Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con
disabilita' grave prive del sostegno familiare), cosiddetta legge del
"Dopo di noi", ha ritenuto che proprio in relazione alle persone con
grave disabilita' il sostegno offerto dai genitori e' essenziale,
preoccupandosi di stabilire che, alla morte dei genitori o al
sopravvenire dell'incapacita' di assistere il figlio, siano
predisposte le necessarie «misure di assistenza, cura e protezione
nel superiore interesse delle persone con disabilita' grave», volte
ad assicurarne «il benessere, la piena inclusione sociale e
l'autonomia», ulteriori rispetto ai livelli essenziali di assistenza
e agli altri interventi di cura e di sostegno comunque gia' previsti
dalla legislazione vigente in favore delle persone con disabilita'
(artt. 1 e 2).
7.- Sulla base delle considerazioni che precedono, l'art.
47-quinquies, comma 1, ordin. penit., deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, primo
e secondo comma, e 31, secondo comma, Cost., nella parte in cui non
prevede la possibilita' di concedere la detenzione domiciliare
speciale anche nei confronti delle condannate madri di figli affetti
da disabilita' grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n.
104 del 1992, ritualmente accertato in base alla medesima legge.
E' appena il caso di aggiungere che la presente dichiarazione di
illegittimita' costituzionale non incide sugli ulteriori requisiti
per la concessione della misura. Restano pertanto ferme le previsioni
dell'art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit., che stabiliscono che
le detenute possono essere ammesse alla detenzione domiciliare nella
propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in
luogo di cura, assistenza o accoglienza, solo «se non sussiste un
concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» (ovvero, nei
casi previsti dall'art. 47-quinquies, comma 1-bis, ordin. penit.,
solo «se non sussiste un concreto pericolo di commissione di
ulteriori delitti o di fuga»).
Questa Corte non puo' fare a meno di ribadire, come gia' in altre
precedenti analoghe occasioni (sentenze n. 187 e n. 99 del 2019, n.
211 del 2018, n. 76 del 2017 e n. 239 del 2014), che in sede di
valutazione in concreto dei presupposti di concessione della
detenzione domiciliare e di determinazione delle concrete modalita'
del suo svolgimento, il tribunale di sorveglianza sara' chiamato a
contemperare ragionevolmente tutti i beni in gioco: le esigenze di
cura del disabile, cosi' come quelle parimenti imprescindibili della
difesa sociale e di contrasto alla criminalita'. Nella stessa linea,
del resto, la Corte di cassazione richiede esplicitamente che i
provvedimenti che valutano le istanze di detenzione domiciliare della
madre condannata diano conto di avere compiuto la necessaria
«verifica comparativa complessa», bilanciando in concreto le esigenze
della sicurezza e della difesa sociale con quelle del soggetto debole
diverso dal condannato e particolarmente bisognoso di assistenza da
parte della madre (cosi' Corte di cassazione, sezione prima penale,
27 marzo-17 giugno 2019, n. 26681; Corte di cassazione, sezione prima
penale, 10 ottobre-24 novembre 2017, n. 53426; ma anche, tra le
altre, Corte di cassazione, sezione prima penale, 7 marzo-19
settembre 2013, n. 38731).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies,
comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della liberta'), nella parte in cui non prevede la concessione della
detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madri di figli
affetti da handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge
5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,
l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate),
ritualmente accertato in base alla medesima legge.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
e Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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