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mercoledì 4 marzo 2020

OTTIMA ANALISI DEL COLONNELLO Salvino Paternò

No, non sono gli specialisti di balistica, i maestri di tiro e gli esperti di tecniche di intervento che ogni volta, come funghi ammuffiti, spuntano sui social e nelle TV. Secondo loro il Carabiniere ha agito spropositatamente, potendo attingere l’aggressore su parti del corpo non vitali. E certo! D’altronde è risaputo che l’interno di un autoveicolo e l’oscurità notturna offrono le migliori condizioni ambientali e di visibilità per mirare con precisione. Per non parlare dello stress emotivo derivante da un’arma spianata alla tempia; è indubbio che tale circostanza conferisca all’operatore la calma e la rilassatezza necessaria per sparare al pari di un cecchino comodamente disteso sui tetti di un edificio… o no?
Ma a questo punto, mi chiedo, non sarebbe stato ancora più opportuno che l’agente mirasse alla pistola impugnata dall’aggressore facendogliela schizzare dalle mani? Tex Willer lo fa ogni volta! Per quale motivo non l’ha fatto anche lui? E come mai non ha riconosciuto grazie all’olfatto o all’udito che la pistola impugnata era una semplice riproduzione di quelle vere? E perché non indossava gli occhiali laser e ad infrarossi che gli avrebbero permesso di vedere il volto del rapinatore nascosto dal casco, comprendendo così che si trattava di un minore?
No, non sono questi fessi che mi disturbano. A questi ci sono abituato.
E non è neanche l’accusa mossa dalla magistratura, che nel volgere di poche ore si trasforma da eccesso colposo in legittima difesa a omicidio volontario. La prossima quale sarà? Tentata strage?
Certo, è un atto dovuto, dovuto da parte di coloro che, comodamente seduti nella poltrona della propria scrivania, vagliano il comportamento di colui che, nella frazione di pochi secondi, ha dovuto valutare se, con una pistola puntata in faccia, ricorreva la condizione di “attualità del pericolo” prevista dalla legge. Sorseggiando seraficamente un caffè, poi, valutano se ricorreva anche la condizione di “inevitabilità”, e cioè se, in quelle condizioni di estremo pericolo, prima di estrarre l’arma e sparare, c’era il tempo di identificarsi e intimare la resa. Tra un aperitivo e l’altro, infine, vagliano se ricorreva la condizione di “proporzionalità” tra offesa e difesa, e cioè, se in quella situazione convulsa, con l’adrenalina che scorreva nelle vene, il cuore che batteva nel petto togliendo il respiro e appannando la vista, c’era la lucidità per valutare i danni che si stavano infliggendo, calcolare le traiettorie, analizzare i movimenti spasmodici del criminale nell’oscurità, per rendersi conto se, mentre il grilletto veniva tirato, era di spalle o di fronte.
No, non mi secca l’operato della magistratura. Anche a questo ci sono abituato.
Quello che mi dà veramente fastidio è l’atteggiamento di coloro che accomunano i due protagonisti della vicenda asserendo che “sono entrambi vittime della stessa tragedia”.
Eh no, cari miei, non c’è nulla, ma proprio nulla, in comune tra il rapinatore ed il Carabiniere. Tra chi aggredisce e chi si difende. Tra chi protegge le istituzioni e, a rischio della propria vita, tutela la società e chi invece la distrugge, la deruba, la sfregia. Sono due vite differenti, poste agli antipodi. Non c’è alcuna assimilazione tra l’etica delle forze dell’ordine e la subcultura di coloro che si nutrono a pane e gomorra, che reputano naturale rapinare la gente in mezzo alla strada e distruggere un ospedale che non è in grado di compiere il miracolo di far risorgere un morto.
Tenetevi i vostri eroi, ammantati di cinica prepotenza e sopraffazione, e lasciateci i nostri valori di sacrificio, onore, impegno e fedeltà.
Scagliatevi pure contro il Carabiniere, offendetelo , vituperatelo , minacciatelo pure, ma non provatevi a metterlo sullo stesso piano di un delinquente… a tale denigrazione non ci abitueremo mai!»


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