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sabato 12 maggio 2018

TAR aprile 2018: “per l'annullamento del silenzio-rifiuto e inadempimento formatosi con riferimento all'istanza di accesso ex artt. 22 e ss. l. 241/90 formulata dal ricorrente il 20 novembre 2017, e l’accertamento del diritto del medesimo alla cognizione ed estrazione di copia dei documenti ivi elencati, con emanazione del conseguente ordine di esibizione nei confronti dell’Amministrazione, ovvero, in subordine, pe l’accertamento dle diritto a ottenere una determinazione in ordine ai provvedimenti richiesti.”



TAR aprile 2018: “per l'annullamento del silenzio-rifiuto e inadempimento formatosi con riferimento all'istanza di accesso ex artt. 22 e ss. l. 241/90 formulata dal ricorrente il 20 novembre 2017, e l’accertamento del diritto del medesimo alla cognizione ed estrazione di copia dei documenti ivi elencati, con emanazione del conseguente ordine di esibizione nei confronti dell’Amministrazione, ovvero, in subordine, pe l’accertamento dle diritto a ottenere una determinazione in ordine ai provvedimenti richiesti.”

Pubblicato il 28/04/2018
N. 04695/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01087/2018 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1087 del 2018, proposto da:
xxx xxx, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Carlo Parente Zamparelli, Angelo Corsi, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Emilia, n.81;
contro

Ministero della giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
per l'annullamento

del silenzio-rifiuto e inadempimento formatosi con riferimento all'istanza di accesso ex artt. 22 e ss. l. 241/90 formulata dal ricorrente il 20 novembre 2017, e l’accertamento del diritto del medesimo alla cognizione ed estrazione di copia dei documenti ivi elencati, con emanazione del conseguente ordine di esibizione nei confronti dell’Amministrazione, ovvero, in subordine, pe l’accertamento dle diritto a ottenere una determinazione in ordine ai provvedimenti richiesti.


Visto il ricorso;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 6 aprile 2018 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’odierna azione, proposta ai sensi degli artt. 31 e 117 del c.p.a., il ricorrente espone che con sentenza 23 gennaio 2014, n. 1459, questo Tribunale ha accolto, riunendoli, due ricorsi da lui proposti nei confronti del Ministero della giustizia per l’ottenimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato dal tardivo arruolamento nel Corpo della polizia penitenziaria (12 aprile 2002 anziché 7 dicembre 1997) e per la determinazione della esatta decorrenza giuridica dell’inquadramento con il grado di agente.

Espone ancora il ricorrente che nell’anno 2016 il Ministero della giustizia gli ha erogato le somme dovute in ottemperanza della predetta statuizione, senza però specificare i calcoli effettuati e le componenti degli importi corrisposti, con ciò pregiudicandogli la possibilità di verificare la legittimità dei presupposti conteggi.

Illustra indi il ricorrente di aver formulato il 20 novembre 2017 istanza all’Amministrazione per “visionare ed ottenere copia di tutta la documentazione da cui si evinca il dettaglio analitico degli importi corrisposti a titolo di risarcimento danni, nonchè la specifica dei seguenti conteggi: - il calcolo delle somme versate a titolo di mancata retribuzione (quale differenza tra le retribuzioni che sarebbero spettate al ricorrente, ove assunto dal 7 dicembre 1997, e le retribuzioni effettivamente percepite); - il calcolo delle somme versate a titolo di TFR e di contributi previdenziali ed assicurativi; - il calcolo delle somme versate a titolo di rivalutazione secondo gli indici Istat per il periodo decorrente dal 7 dicembre 1997 fino alla data di pubblicazione della sentenza; - il calcolo delle somme versate a titolo di interessi legali, progressivamente rivalutate giorno per giorno e computate fino alla data del saldo; - il calcolo delle ritenute operate ai fini fiscali nonché dell’aliquota Irpef applicata”, senza ottenere alcuna risposta.

Avverso tale inerzia, che ritiene illegittima, il ricorrente formula le censure di eccesso di potere, violazione e falsa applicazione degli artt. 2-22-23-24-25 della l. 241/90 e s.m.i., violazione dei principi di pubblicità, imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa, manifesta ingiustizia, carenza di motivazione.

Conclude il ricorrente per l'annullamento del silenzio-rifiuto e inadempimento formatosi con riferimento alla predetta istanza di accesso, per l’accertamento del diritto del medesimo alla cognizione ed estrazione di copia dei documenti ivi elencati, con emanazione del conseguente ordine di esibizione nei confronti dell’Amministrazione, ovvero, in subordine, per l’accertamento del diritto a ottenere una determinazione in ordine ai provvedimenti richiesti.

Costituitasi in giudizio, l’intimata Amministrazione non formula specifiche difese.

2. Il ricorso, che richiama contestualmente e indifferentemente principi afferenti ai diversi ambiti dell’accesso agli atti amministrativi e al silenzio della pubblica amministrazione, è inammissibile.

2.1. Quanto all’accesso, si rammenta che, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi “il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione … nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso”.

Costituisce dunque principio fondamentale dell’istituto quello per cui l'ostensione degli atti non può ridondare in una attività di elaborazione di dati, della cui ricerca debba farsi carico la stessa Amministrazione, seppur sulla base di criteri indicati dal richiedente, che contrasterebbe con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso l’esercizio del relativo diritto, il buon andamento dell’attività amministrativa, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività (tra altre, Tar Lazio, Roma, II, 10 settembre 2015, n. 11180; I-quater, 24 novembre 2016, n. 11777).

In altre parole, è inammissibile l’accesso che, essendo estraneo al mero reperimento di un documento già formato e in possesso dell’Amministrazione, richiede un’elaborazione che è attività che non può essere richiesta all’Amministrazione (C. Stato, V, 30 maggio 2016, n. 2271; Tar Lazio, Roma, II-bis, 27 luglio 2017, n. 9023).

Ed è proprio una siffatta attività che il ricorrente intende addossare all’Amministrazione con l’odierna azione.

E ciò sull’erroneo presupposto della sussistenza in capo all’Amministrazione di un obbligo di dargli puntuale contezza dell’esattezza dell’avvenuto soddisfacimento dell’obbligazione, che non è dato ravvisare, sia tenuto conto del fatto che l’onere di verificare l’esattezza del soddisfacimento dell’obbligazione grava sul creditore, sia considerato che nella specie, a fronte dei vari parametri indicati dalla sentenza di cui sopra per la determinazione del quantum del risarcimento, non viene neanche ipotizzata una qualche ragione a sostegno dell’eventuale erroneità dei conteggi effettuati dall’Amministrazione, di talchè, anche sotto tale ultimo profilo, l’odierna azione si rivela inammissibile, stante la natura meramente esplorativa dell’interesse azionato con l’accesso, e ulteriormente valutato che, anche ove si versasse nella predetta ipotesi, la via giudiziale da adire sarebbe quella dell’ottemperanza.

2.2. Quanto invece al silenzio, il cui rito è stato espressamente evocato in ricorso, la giurisprudenza afferma, in linea generale e con riguardo all’obbligo di provvedere dell’Amministrazione sull’istanza del privato, che esso sussiste, oltre che nei casi previsti dalla legge, anche nelle ipotesi che discendono da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, e, ai sensi dell'art. 2 della l n. 241 del 1990, allorché ragioni di giustizia ovvero rapporti esistenti tra amministrazione e amministrati impongano l'adozione di un provvedimento, soprattutto al fine di consentire a quest’ultimo di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni (C. Stato, III, 14 novembre 2014, n. 5601; V, 9 marzo 2015, n. 1182), in tal modo riconoscendo che, indipendentemente dall’esistenza di specifiche norme che impongano all’amministrazione di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta “esigenze di giustizia sostanziale impongano l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa a una esplicita pronuncia” (C. Stato, IV, 14 dicembre 2004, n. 7975; VI, 11 maggio 2007, n. 2318; IV, 4 dicembre 2012, n. 6183).

I predetti principi attengono peraltro all’attività provvedimentale dell’Amministrazione vera e propria, ovvero all’ambito nel quale gli uffici pubblici provvedono sulle fattispecie di loro competenza, dettando la regola del caso specifico in armonia alle previsioni di legge che si rendono alle stesse applicabili.

In altre parole, deve trattarsi di potestas agendi direttamente correlata alla funzione strumentale del potere rispetto alla cura dell'interesse pubblico, la cui rilevanza sul piano dell'ordinamento generale rende doverosa l'azione amministrativa (Tar Campania, Napoli, VI, 10 gennaio 2018, n. 177), non di attività di natura conoscitiva, relazionale et similia.

Ora, nel caso in esame, nel quale l’Amministrazione, come riferito nello stesso ricorso, ha soddisfatto il credito nascente in capo al ricorrente per effetto della sopra menzionata sentenza, non è dato ravvisare quale sia l’attività provvedimentale che l’Amministrazione possa o debba ancora porre in essere nei confronti del medesimo.

3. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della mancata formulazione di difese da parte dell’Amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater),

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo dichiara inammissibile.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Mezzacapo, Presidente

Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

Fabio Mattei, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Anna Bottiglieri Salvatore Mezzacapo
IL SEGRETARIO



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