Pubblicato il
08/05/2018
N. 05068/2018
REG.PROV.COLL.
N. 05143/2012
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 5143 del 2012, proposto da
xxx xxx,
rappresentato e difeso dagli avvocati Laura Furno, Luca Santini, con
domicilio eletto presso lo studio Luca Santini in Roma, viale Carso,
23;
contro
Ministero
dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello
Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
-del provvedimento
del Ministero dell’Interno del 30 dicembre 2011, not. in data 2
aprile 2012, con il quale è stato disposto il rigetto del ricorso
gerarchico proposto avverso il provvedimento di revoca della licenza
di porto d'armi per difesa personale a tariffa ridotta ed il divieto
di detenzione di armi e munizioni.
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2018 il dott. Alessandro
Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in
epigrafe, l’odierno ricorrente impugna il provvedimento del
Ministero dell’Interno del 30 dicembre 2011, notificato in data 2
aprile 2012, con il quale è stato disposto il rigetto del ricorso
gerarchico proposto avverso il provvedimento di revoca della licenza
di porto d'armi per difesa personale a tariffa ridotta ed il divieto
di detenzione di armi e munizioni.
Deduce il ricorrente
i seguenti fatti.
Il sig. xxx xxx è
stato titolare di licenzia di porto di pistola dal 1996 e, durante il
periodo che va dal 1996 al 2010, ha svolto volontariamente attività
di guardia giurata venatoria nel Nucleo Provinciale di Torino.
Il ricorrente è
incensurato non essendo mai incorso in pregiudizi di carattere
penale; nel 1995 egli veniva sottoposto a procedimento penale per il
reato di cui all’art. 588 c.p. La posizione del ricorrente,
tuttavia, veniva stralciata ed archiviata per mancanza dei
presupposti per l’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti
in data 17 aprile 1996.
Dal 1995 al 2010, il
ricorrente ha svolto attività lavorativa come addetto alla sicurezza
industriale e, in particolare, ha lavorato presso la Sirio –
Sicurezza industriale s.r.l dal 1999 al 2010.
A fine giugno del
2010, il ricorrente vedeva interrompersi il rapporto di lavoro con la
predetta azienda. Il licenziamento avveniva poiché l’azienda
contestava al lavoratore di aver tenuto, in orario di lavoro, una
“condotta di estrema gravità”, lesiva della “dignità della
lavoratrice destinataria”. Tale condotta veniva ritenuta “tale da
determinare una situazione di rilevante disagio alla persona e
lesione alla integrità della sfera sessuale”.
Sul punto, il
ricorrente ritiene che tale situazione sia da riferirsi al fatto che
egli aveva spontaneamente riferito ai propri superiori di aver
compiuto un atto di autoerotismo all’interno dello spogliatoio
femminile in orario notturno.
Il racconto di tale
fatto, che il ricorrente assume non essere corrispondente al vero,
risulta motivato dalla volontà dello stesso ricorrente di ottenere
il trasferimento presso altra sede ove non avrebbe più dovuto
svolgere il turno di notte.
Contrariamente a
quanto atteso dal sottoscritto, tuttavia, il racconto del fatto
conduceva al licenziamento del lavoratore.
A seguito
dell’avvenuto licenziamento, il ricorrente adiva il competente
Giudice del Lavoro contestando la legittimità del suo
allontanamento.
In data 5 agosto
2010, l’esponente e la Società datrice di lavoro siglavano avanti
al Tribunale di Torino un verbale di conciliazione e transazione
mettendo così fine alla vertenza. Nonostante la chiusura della
vicenda con l’azienda in relazione al tale supposto episodio, in
data 4.8.10, il personale della Questura di Torino, Commissariato di
P.S. “Madonna di Campagna” si recava presso l’abitazione del
ricorrente ove provvedeva all’acquisizione delle armi da questi
legalmente detenute, nonché del porto d’armi n. 780084 e n.
746177-M (uso sportivo).
In data 20 settembre
2010, il ricorrente riceveva la comunicazione del Prefetto di Torino
del 9 settembre 2010, emessa ai sensi degli art. 7 e 8 L. 241/90, ove
si dava comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca della
licenza di porto di pistola uso difesa personale con conseguente
divieto di detenzione di armi e munizioni, ciò in quanto il titolare
“ha messo in atto comportamenti non consoni sia alla qualifica di
guardia particolare giurata volontaria che alla autorizzazioni in
materia di porto e detenzione di armi”.
A seguito di tale
notifica l’esponente faceva pervenire memoria difensiva. Nonostante
ciò, in data 15 novembre 2010, gli veniva notificato provvedimento
adottato dal Prefetto di Torino n. 4264/g Area I ter del 2 novembre
2010, con il quale il Prefetto disponeva la revoca della licenza di
porto di pistola ad uso difesa personale a tariffa ridotta,
rilasciata per lo svolgimento dell’attività volontaria di guardia
venatoria ed ittica ed altresì vietava la detenzione di qualsiasi
tipo di arma e di munizione.
Avverso tale
provvedimento, l’esponente proponeva ricorso gerarchico avanti al
Ministero dell’Interno che con provvedimento Prot. n. 557/ PAS.
635.10171.81 del 30 dicembre 2011, notificato il 2 aprile 2012,
disponeva il rigetto del ricorso gerarchico presentato dal ricorrente
in data 13.12.10.
Si è costituita in
giudizio l’Amministrazione resistente.
Alla udienza del 24
aprile 2018, il ricorso è stato trattenuto in decisione dal
Collegio.
Il ricorso è
infondato.
L'art. 39, R.D. n.
773/1931 dispone che “Il Prefetto ha facoltà di vietare la
detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai
termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di
abusarne”. L'art. 43, R.D. n. 773/1931 dispone che “oltre a
quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza
di portare armi: a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per
delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero
per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina
o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva
della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o
per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine
pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di
guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza
può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli
sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non
dà affidamento di non abusare delle armi”.
Osserva il Collegio,
in particolare, che il potere riconosciuto all’Amministrazione in
materia di armi, è connotato da elevata discrezionalità, in
considerazione dei rischi di commissione di illeciti connessi al
possesso delle stesse. Ne consegue che il rinnovo della licenza di
porto di fucile, così come il diniego di detenere armi o munizioni,
non richiede un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo
sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne,
sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di
fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576;
sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521).
Si tratta, dunque,
di un giudizio prognostico che ben può essere basato su elementi
anche soltanto di carattere indiziario, stante il potenziale pericolo
per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di
utilizzo delle armi possedute (cfr. Cons. Stato sez. VI, 11 dicembre
2009, n. 7774 e 29 gennaio 2010, n. 379).
Nel caso di specie,
non appare sussistente alcun vizio di istruttoria o di motivazione
considerato che, come riportato nei provvedimenti impugnati, dagli
atti di istruttoria effettuati è emerso un comportamento anomalo del
ricorrente durante svolgimento dell’attività lavorativa.
Sotto tale profilo,
dunque, appare corretta la motivazione del provvedimento
relativamente alla assenza delle condizioni, in capo al ricorrente,
per la detenzione di armi, munizioni e materia esplodente.
Del resto, occorre
anche sottolineare che l'orientamento della giurisprudenza appare
consolidato nell'affermare che “anche un comportamento non
penalmente sanzionabile può costituire espressione di una capacità
di abuso dell'arma e, quindi, venire assunto a sintomo di
pericolosità sociale” (Cons. Stato, sez. I, n. 3010 del
22.10.2003) e che “la valutazione discrezionale attraverso la quale
l'Autorità di P.S previene il verificarsi di situazioni di pericolo
o di danno nei confronti della collettività, ove congruamente
motivata non è sindacabile in sede di legittimità a meno che non
risulti improntata a criteri illogici o arbitrari” (Cons. Stato,
sez. I, n. 2840 del 20.11.2002; Cons. Stato, sez. I, n. 3803 del
15.1.2003).
La valutazione
compiuta dall'Amministrazione, tenuto conto dell'ampia
discrezionalità di cui gode a tal riguardo, riposa, dunque,
sufficientemente sulla situazione del ricorrente che evidenzia la
presenza di elementi suscettibili di incidere sul requisito della
affidabilità nell’uso delle armi.
Sotto tale profilo,
dunque, il Collegio rileva la legittimità della motivazione e
dell’istruttoria posta a fondamento del provvedimento impugnato che
ha dato rilievo preminente al menzionato comportamento anomalo del
ricorrente nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Appare, peraltro,
evidente che, in sede di eventuale presentazione di una nuova istanza
volta alla autorizzazione al possesso di armi, le eventuali
circostanze fattuali modificate potranno essere valutate dalla
competente Autorità amministrativa, che dovrà verificarle alla luce
della complessiva condotta del richiedente, al fine di valutare se
ricorrano o meno le condizioni di legge ai fini del rilascio della
autorizzazione.
Conseguentemente e
per i motivi esposti, il ricorso è infondato e, pertanto, deve
essere respinto.
Le spese, in
considerazione della sussistenza di giusti motivi, possono essere
compensate per intero tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Germana
Panzironi, Presidente
Alessandro
Tomassetti, Consigliere, Estensore
Francesca
Romano, Referendario
L'ESTENSORE IL
PRESIDENTE
Alessandro
Tomassetti Germana Panzironi
IL SEGRETARIO
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