Translate
giovedì 18 aprile 2019
N. 79 SENTENZA 20 marzo - 9 aprile 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Enti pubblici ‒ Tempi, modalita' e inquadramento del personale a seguito della riorganizzazione della Croce rossa italiana da ente di diritto pubblico in Associazione di volontariato, in regime di diritto privato. - Decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma dell'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8. - (GU n.16 del 17-4-2019 )
N. 79 SENTENZA 20 marzo - 9 aprile 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Enti pubblici ‒ Tempi, modalita' e inquadramento del personale a
seguito della riorganizzazione della Croce rossa italiana da ente
di diritto pubblico in Associazione di volontariato, in regime di
diritto privato.
- Decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante
«Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa
(C.R.I.) a norma dell'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183»,
artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8.
-
(GU n.16 del 17-4-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3,
4, 5, 6 e 8 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178,
recante «Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce
Rossa (C.R.I.), a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010,
n. 183», promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
sezione terza, nel procedimento vertente tra Pasquale Mancuso e altri
e il Ministero della difesa e altri, con ordinanza del 19 luglio
2017, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 2017 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie
speciale, dell'anno 2017.
Visti l'atto di costituzione di Pasquale Mancuso e altri, l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' gli
atti di intervento ad adiuvandum di Massimo Cipullo e altri (ivi
compreso Fabrizio Spagnuolo), di David Ambrosini e altri e di Luigi
Siciliano e altri, questi ultimi due fuori termine;
udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Paolo Leone per Massimo Cipullo e altri,
Salvatore Sfrecola per Fabrizio Spagnuolo, Vincenzo Gigante per Luigi
Siciliano e altri, Francesco Foggia per Pasquale Mancuso e altri e
gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e Leonello Mariani per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017),
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2,
3, 4 e 8, nonche', anche autonomamente, degli artt. 5 e 6 del decreto
legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione
dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma
dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per violazione
degli artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all'art. 2 della
legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di
incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nonche' per
violazione degli artt. 3, 97 e 117 (recte: primo comma), Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato
con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.- Il giudice rimettente premette, in narrativa, che con due
ricorsi successivamente riuniti (n. 8540 e n. 8541 del 2016),
entrambi notificati il 21 luglio 2016, numerosi appartenenti al Corpo
militare della Croce Rossa Italiana (da ora in poi: CRI) hanno
impugnato dinanzi al TAR Lazio il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 25 marzo 2016 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 155 del 5 luglio
2016), recante «Criteri e modalita' di equiparazione fra i livelli di
inquadramento del personale gia' appartenente al corpo militare e
quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile
con contratto a tempo determinato della associazione italiana della
Croce Rossa», adottato nell'ambito della trasformazione della CRI da
ente pubblico non economico ad associazione dotata di personalita'
giuridica di diritto privato, la cui entrata in vigore ha
rappresentato, ai sensi dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del
2012, il dies a quo del collocamento in congedo del personale in
questione. Nel giudizio principale sono stati altresi' impugnati
«"ogni atto presupposto [...] o comunque collegato", ivi compresi i
pareri del Ministero dell'economia (nota n. 7124 del 21 settembre
2015), del Ministero della difesa (nota n. 36224 del 23 settembre
2015) e della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica (note n. 54978 del 30 settembre 2015; note
DICA 13536 del 23 giugno 2016 e 11614 del 31 maggio 2016)», nonche' i
conseguenti provvedimenti individuali di congedo, i cui estremi,
tuttavia, il rimettente ammette essere «ancora non conosciuti».
3.- I ricorrenti hanno contestato l'ultima fase della
trasformazione della CRI, avviata con la legge n. 183 del 2010 e
portata a compimento dal d.lgs. n. 178 del 2012 e dai successivi
decreti attuativi, tra cui i provvedimenti di determinazione dei
criteri di inquadramento del personale militare nel ruolo civile e di
congedo del medesimo personale dal Corpo militare. I ricorrenti hanno
prospettato, con riferimento a detti provvedimenti, ritenuti
direttamente incidenti sul loro trattamento giuridico ed economico,
varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere, proponendo
altresi' eccezioni di illegittimita' costituzionale del d.lgs. n. 178
del 2012, in accoglimento delle quali il giudice a quo ha sollevato
le questioni dianzi indicate.
4.- In punto di rilevanza, il Collegio rimettente ritiene che il
d.P.C.m. 25 marzo 2016, cosi' come i provvedimenti presupposti e
collegati, impugnati nel giudizio a quo, siano stati adottati in modo
conforme all'iter procedurale tracciato dal d.lgs. n. 178 del 2012,
con la conseguenza che l'eventuale declaratoria di illegittimita' del
suddetto decreto legislativo condurrebbe, inevitabilmente,
all'accoglimento del ricorso nel giudizio principale, mentre, al
rigetto delle medesime questioni non potrebbe che seguire quello
delle domande dei ricorrenti.
5.- In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente si
sofferma anzitutto sulla denunciata violazione dell'art. 76 Cost. da
parte del d.lgs. n. 178 del 2012, osservando che l'art. 2, comma 1,
della legge n. 183 del 2010 avrebbe delegato il Governo «ad adottare
[...] uno o piu' decreti legislativi, finalizzati alla
riorganizzazione degli enti, istituti e societa' vigilati dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della
salute, nonche' alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei
predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e societa', ferme
restando [...] le funzioni loro attribuite», secondo principi e
criteri direttivi cosi' riassunti dallo stesso rimettente: a)
semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della struttura
amministrativa, in base ai principi di efficacia, efficienza ed
economicita' dell'attivita' amministrativa, «ferme restando le
specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale in servizio»;
b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese; c) ridefinizione
del rapporto di vigilanza, in base a indirizzi e direttive delle
amministrazioni vigilanti; d) organizzazione del casellario centrale
infortuni; e) obbligo degli enti e istituti vigilati di adeguare i
propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi emanati in
attuazione della medesima legge delega.
5.1.- Il giudice a quo sottolinea come, pur «a fronte di tali
disposizioni - che non sembrano suggerire interventi totalmente
innovativi, ne' certamente soppressivi, degli enti da riorganizzare -
il decreto legislativo n. 178 del 2012» operi, invece, «un'integrale
rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa
Italiana».
Tale riorganizzazione comporta, in base all'art. 2 del medesimo
d.lgs., che la CRI, dal 1° gennaio, assuma la denominazione di «Ente
strumentale alla Croce Rossa italiana», mantenendo una personalita'
giuridica di diritto pubblico e, in virtu' dell'art. 8 del d.lgs. n.
178 del 2012, che, «a far data dal 1° gennaio 2018» detto Ente
strumentale sia soppresso e posto in liquidazione, «con subentro in
tutti i rapporti attivi e passivi di una neo-istituita "Associazione
della Croce Rossa italiana", promossa dai soci della C.R.I. e dotata
di personalita' giuridica di diritto privato».
Tale Associazione privata opera come movimento volontario di
soccorso, alla stregua di una onlus, ed e' destinataria di una
peculiare disciplina per quanto riguarda il Corpo militare ausiliario
delle Forze armate. L'art. 5 del d.lgs. n. 178 del 2012 riduce,
infatti, il Corpo militare della CRI da oltre 800 a 300 unita',
distinguendo, da un lato, il Corpo militare volontario e, dall'altro,
il preesistente Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa,
caratterizzati entrambi dalla presenza di personale esclusivamente
volontario, sottratto ai codici penali militari e alle disposizioni
in materia militare, fatta eccezione per la categoria del congedo.
5.2.- In base allo stesso art. 5, comma 5, il personale del
pregresso Corpo militare della CRI, costituito da unita' gia' in
servizio continuativo per effetto di provvedimenti di assegnazione a
tempo indeterminato «transita [...] in un ruolo ad esaurimento
nell'ambito del personale civile della CRI e successivamente
dell'Ente ed e' collocato in congedo, nonche' iscritto a domanda nel
ruolo» del Corpo militare volontario. «Resta ferma la non
liquidazione del trattamento di fine servizio, in quanto il transito
[...] interviene senza soluzione di continuita' nel rapporto di
lavoro con la CRI ovvero con l'Ente. Al predetto personale continua
ad essere corrisposta la differenza tra il trattamento economico in
godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio avente
natura fissa e continuativa, e il trattamento del corrispondente
personale della CRI, come assegno ad personam riassorbibile in caso
di adeguamenti retributivi [...]».
5.3.- Il successivo art. 6 del decreto legislativo censurato
prevede, al comma 1, la fissazione di «criteri e [...] modalita' di
equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dal contratto
collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo
indeterminato della CRI e quelli del personale di cui all'art. 5 gia'
appartenente al Corpo militare, nonche' tra i livelli delle due
predette categorie di personale e quelli previsti dai contratti
collettivi dei diversi comparti della Pubblica Amministrazione»,
previa informativa alle organizzazioni sindacali; al comma 3 prevede,
inoltre, per il personale «non impiegato nelle convenzioni ed
eccedente l'organico dell'Associazione», l'applicazione delle
«disposizioni vigenti sugli strumenti utilizzabili per la gestione di
eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni», tramite
ricorso a procedure di mobilita', «anche con riferimento ad
amministrazioni con sede in province diverse rispetto a quella di
impiego».
5.4.- Secondo il giudice rimettente appare «evidente il profondo
mutamento di status e di prospettive del personale militare,
costretto ad una scelta obbligata, se impiegato nella precedente
attivita' [...], in quanto l'unica possibile permanenza nel ridotto
ruolo militare e' quella dell'opzione per un'attivita' volontaria, da
svolgere a titolo gratuito». Quanto «all'inevitabile [...] passaggio
al ruolo civile, non vi e' inoltre garanzia di progressione economica
commisurata al grado rivestito (essendo previsto solo un assegno "ad
personam", destinato al riassorbimento nell'ambito del successivo
sviluppo di carriera nel nuovo ruolo [...])» e, ugualmente, mancano
garanzie di conservazione delle funzioni in precedenza attribuite.
5.5.- Tali aspetti vengono ritenuti contrari a quanto previsto
dall'art. 2, comma 1, lettera a), della legge delega n. 183 del 2010.
Non sarebbe infatti riconducibile alla volonta' del legislatore
delegante, piu' che la disposta privatizzazione della CRI, l'assenza
di concrete garanzie di continuita' rispetto all'assolvimento di
compiti istituzionali tradizionalmente affidati alla stessa Croce
Rossa e fatti espressamente salvi dalla legge di delega, proprio ai
sensi del richiamato art. 2, comma 1.
5.6.- Secondo il rimettente, tale previsione, riferendosi ad una
mera "riorganizzazione" di determinati enti, non potrebbe estendersi
ad interventi di tipo soppressivo come quelli che, nel caso di
specie, hanno invece portato alla liquidazione ed estinzione
dell'ente pubblico della CRI, nonche' all'istituzione di una nuova
entita' in forma associativa e di natura privata, dai compiti
generalmente analoghi, senza, pero', alcuna garanzia di effettiva
continuita' funzionale. La «smobilitazione delle risorse e di gran
parte del personale» comprometterebbe - a detta del rimettente - la
prosecuzione delle funzioni della CRI.
5.7.- Il TAR Lazio ritiene che il vizio dell'eccesso di delega
riguardi l'intero impianto del d.lgs. n. 178 del 2012 (artt. da 1 a 6
e 8), ad eccezione dell'art. 7, poiche' e' sostanzialmente nella sua
interezza che tale atto normativo non appare riconducibile alla
volonta' del legislatore delegante, i cui obiettivi si limiterebbero
al mero riordino del rapporto di vigilanza degli enti sottoposti al
controllo dei ministeri sopra menzionati. A dimostrazione di cio', il
rimettente richiama alcune riorganizzazioni avvenute, sempre in forza
del medesimo art. 2 della legge n. 183 del 2010, per altri e
differenti enti ed istituti (tra cui, gli istituti zooprofilattici
sperimentali, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e
la Lega italiana per la lotta contro i tumori), nonche' alcuni casi
di privatizzazione per legge di Corpi militari (Agenti di custodia e
Polizia di Stato), attraverso cui questi hanno si' mutato la propria
natura giuridica, ma senza depotenziare o disperdere il personale e
le relative strutture.
5.8.- A tale riguardo, il giudice a quo ritiene di non poco
rilievo come la legge delega abbia predisposto l'assegnazione delle
risorse finanziarie. Queste sono previste a carico del bilancio dello
Stato, sulla base di criteri la cui determinazione e' demandata ai
Ministri della salute, dell'economia e delle finanze, e della difesa,
senza il riferimento, pero', a precisi parametri che garantiscano,
tramite la copertura finanziaria, l'effettivo espletamento delle
funzioni riconducibili tanto all'Ente strumentale, quanto alla nuova
Associazione privata della CRI. In tale ottica - secondo il
rimettente - «appare ravvisabile una sostanziale, benche' parziale,
sub-delega della funzione normativa affidata al Governo, in quanto
risulta che quest'ultimo abbia demandato a scelte ministeriali
aspetti essenziali della nuova disciplina» (viene richiamata la
sentenza n. 104 del 2017). E' comunque ribadito come nessuna delle
disposizioni in materia di assegnazione delle risorse sia ritenuta
sufficiente e adeguata a far assolvere alla neoistituita Associazione
le funzioni e le attivita' di interesse pubblico, affidatele anche
dall'art. 1 del d.lgs. n. 178 del 2012.
5.9.- Considerazioni analoghe vengono rivolte anche autonomamente
agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, rispetto al trattamento
del personale militare, le cui modalita' di smilitarizzazione e
ridefinizione del trattamento economico risultano stabilite - senza
alcuna previsione dettata dal legislatore delegante - in implicita
deroga a puntuali disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010,
n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) e, in particolare, agli
artt. 622, 1757, 1759, 1760 e 1799. L'istituzione di un contingente
militare ridotto e non retribuito, nonche' la mobilita' del restante
personale passato al ruolo civile - senza alcun preciso riferimento
alla professionalita' acquisita nel settore di appartenenza -
appaiono al giudice a quo «apertamente confliggenti con i principi e
criteri direttivi, di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) della legge
delega, che lasciava "ferme [...] le specifiche disposizioni vigenti
per il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore
della presente legge"».
5.10.- I citati artt. 5 e 6, cosi' come gli artt. da 1 a 4 e 8
del d.lgs. n. 178 del 2012 sono, da ultimo, denunciati come contrari
ad altre disposizioni costituzionali e, precisamente: all'art. 1
Cost., «per adozione, da parte del Governo, di iniziative di rilievo
politico, non riconducibili al legislatore delegante»; agli artt. 3 e
97 Cost., «per l'irrazionalita' di scelte, destinate ad incidere su
servizi di assoluta valenza per la salute, l'incolumita' e l'ordine
pubblico, senza adeguato bilanciamento fra le esigenze sottostanti a
tali servizi e le contrapposte ragioni di contenimento della spesa»;
all'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art. 1,
paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, che garantisce «i beni delle persone
fisiche e giuridiche in una accezione, gia' ricondotta dalla
giurisprudenza alla titolarita' di qualsiasi diritto, o di mero
interesse di valenza patrimoniale, rientrante fra i parametri di
costituzionalita' riconducibili [...] al citato art. 117, anche per
quanto attiene alle modalita' di tutela dei lavoratori, con
riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro» (viene
citata la sentenza n. 303 del 2011).
6.- Con atto depositato il 30 ottobre 2017, si sono costituiti
Pasquale Mancuso e altri diciotto ricorrenti nel giudizio principale.
6.1.- In pari data, e' stato depositato atto di intervento ad
adiuvandum, dal contenuto pressoche' identico, sottoscritto da otto
ricorrenti nel giudizio a quo, nonche' da Massimo Cipullo e altre
ventiquattro persone, estranei ad esso.
Questi ultimi affermano di essere stati dipendenti a tempo
indeterminato della CRI, prima, e dell'Ente strumentale alla CRI,
poi, e che per effetto delle norme censurate sono cessati dal proprio
impiego e transitati in mobilita' presso altre amministrazioni dello
Stato. Vantano, in quest'accezione, un interesse qualificato per
partecipare al giudizio di legittimita' instaurato dinanzi al giudice
costituzionale.
6.2.- In entrambi questi atti, le parti e gli intervenienti
«insistono per la conservazione del proprio status di militari in
servizio attivo, nella pienezza dei diritti e delle posizioni
sostanziali di carattere giuridico, economico e professionale
collegate a tale tipologia di impiego, come disciplinate dal Codice
dell'Ordinamento militare» e sostengono il contrasto del d.lgs. n.
178 del 2012 con i principi e le norme costituzionali. Oltre a
riproporre le motivazioni gia' esposte nell'ordinanza di rimessione,
aggiungono, poi, diverse e nuove argomentazioni a favore
dell'incostituzionalita' della norma censurata.
6.3.- Quanto alla violazione dell'art. 76 Cost., con riferimento
alla trasformazione dello statuto e della natura giuridica della CRI,
i ricorrenti ritengono che dai lavori preparatori della legge delega
n. 183 del 2010 si evinca l'assenza della volonta' del Parlamento di
disporre la cessazione dell'ente pubblico della Croce Rossa; e che
l'operazione posta in essere dal Governo non possa ritenersi un
«coerente sviluppo ed un completamento delle scelte espresse dal
legislatore delegante», ne' tantomeno che «le scelte del legislatore
delegato siano coerenti con gli indirizzi generali della delega e
compatibili con la ratio di questa» (sono richiamate le sentenze n.
194 del 2015 e n. 182 del 2014). Le privatizzazioni avvenute
sarebbero state «specificamente previste in testi di legge che hanno
rubricato il relativo disegno con la chiara operazione di
modificazione della natura giuridica degli enti coinvolti» (vengono
indicati il caso del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante
«Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica», relativo
alla trasformazione in societa' per azioni di IRI, ENI, INA, ENEL,
Ferrovie dello Stato; e quello della legge 8 agosto 2002, n. 178,
recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8
luglio 2002, n. 138, recante interventi urgenti in materia
tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa
farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree
svantaggiate», attinente alla trasformazione dell'ANAS in spa). In
tali casi - affermano i ricorrenti - questa Corte avrebbe «confermato
la legittimita' della decisione di sopprimere l'ente, proprio in
quanto tale obbiettivo era specificamente previsto e fissato dal
legislatore delegante» (viene citata la sentenza n. 237 del 2013).
6.4.- Sempre con riferimento alla violazione dell'art. 76 Cost.,
gli atti di costituzione e di intervento sottolineano, inoltre, come
l'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 178 del 2012, prevedendo che «il
Ministro delle salute e, per quanto di competenza, il Ministro della
difesa, adottano atti di indirizzo ed esercitano la funzione di
vigilanza sulla CRI e, successivamente sull'Ente», ometta qualsiasi
riferimento ad ogni forma di vigilanza sulla neoistituita
Associazione, benche' uno degli scopi essenziali della delega fosse
proprio quello di rafforzare la sfera di controllo dello Stato
sull'organizzazione e sulla gestione degli enti "riformati" ai sensi
dell'art. 2, lettera c), della legge n. 183 del 2010. Parimenti,
evocano il contrasto del d.lgs. n. 178 del 2012 con le norme del
d.lgs. n. 66 del 2010 (d'ora in poi, anche: cod. ordinamento
militare) e con le Convenzioni internazionali di Ginevra, ratificate
e rese esecutive con legge 27 ottobre 1951, n. 1739, e, segnatamente,
con la Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei
malati delle Forze armate in campagna.
In particolare, gli artt. 5 e 6 del censurato decreto
legislativo, non assoggettando il Corpo militare volontario della
neoistituita Associazione della Croce Rossa italiana alle
disposizioni del cod. ordinamento militare, derogherebbero agli artt.
24 e 26 della citata Convenzione, i quali prevedono che il personale
delle societa' nazionali della Croce Rossa debba invece essere
sottoposto a codici e regolamenti militari per l'espletamento dei
peculiari compiti da svolgere in contesti di crisi internazionale.
6.5.- Le parti e gli intervenienti denunciano, poi, con
particolare riferimento alla procedura di mobilita' che ha
interessato il personale militare della CRI, la violazione dei
principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica
amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).
Le modifiche disposte dalla norma censurata non
rappresenterebbero l'esito del tentativo di trovare, per il personale
coinvolto, un impiego effettivamente in linea con la professionalita'
maturata nel settore delle emergenze, del soccorso e dell'ausilio
alle Forze armate.
A riprova di cio', viene richiamato il contenuto del d.P.C.m. 26
marzo 2016, oggetto del giudizio principale, il quale avrebbe
indicato in maniera del tutto tautologica il criterio per disporre
l'equiparazione del personale della CRI ai livelli e alle qualifiche
proprie della contrattazione collettiva di comparto.
6.6.- Gli atti di costituzione e intervento evocano, infine, la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art.
1 Prot. addiz. CEDU. La denuncia si concentra sul transito disposto
per il personale del Corpo militare in ruoli e funzioni propri del
personale civile, senza la previsione di precisi criteri di
equipollenza volti ad evitare disparita' di trattamento.
Il d.lgs. n. 178 del 2012, e in particolare gli artt. 5 e 6,
tramite il collocamento in congedo del personale militare e
attraverso il processo di privatizzazione della CRI, avrebbero
determinato un'ingerenza nei diritti concernenti il trattamento
giuridico ed economico dei lavoratori coinvolti dalla riforma, che
ricadrebbero nella nozione di «beni», tutelati dall'art. 1 Prot.
addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo (sono citate, con riguardo ai crediti salariali nel
pubblico impiego, Corte EDU, sentenze 7 maggio 2013, Koufaki e Adedy
contro Grecia, 8 novembre 2005, Ketchko contro Ucraina; con riguardo
a prestazioni previdenziali o assistenziali, Corte EDU, grande
camera, sentenza 12 aprile 2006, Stec e altri contro Regno Unito,
Corte EDU, decisione 30 settembre 2010, Hasani contro Croazia). In
tal senso, la norma sovranazionale viene reputata lesa con riguardo
all'ingerenza dello Stato nel godimento da parte del personale
militare della CRI dei diritti a carattere patrimoniale e non
patrimoniale, comunque di rilievo costituzionale.
7.- In data 12 dicembre 2017 hanno depositato, fuori termine,
atto di intervento ad adiunvandum David Ambrosini e altre
centoquindici persone.
8.- Con atto depositato il 31 ottobre 2017, e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate.
8.1.- In merito all'ipotizzato eccesso di delega, che sarebbe
limitata alla riorganizzazione e non alla soppressione degli enti
vigilati, l'interveniente sostiene che il legislatore delegato abbia
esercitato i propri poteri entro i limiti posti dal Parlamento.
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, per comprendere la
riforma attuata dal d.lgs. n. 178 del 2012 occorre muovere da una
premessa, non richiamata dalle controparti. La CRI versa da decenni
in una situazione di dissesto finanziario, che l'ha costretta ad un
lungo periodo di commissariamento. Il legislatore delegato, nel
provvedere a una riorganizzazione dell'ente, non poteva non
considerare quest'aspetto. Piu' specificamente, il Governo ha dovuto
calare il nuovo assetto associativo della CRI in un contesto
normativo e sociale radicalmente mutato rispetto a quello in cui
nacque. Cio', peraltro, non contrasta con la giurisprudenza
costituzionale che, in piu' occasioni, ha invitato ad una lettura
sistematica della legge di delegazione, proprio «alla luce del
contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonche' della ratio e
delle finalita' che la ispirano» (e' richiamata la sentenza n. 104
del 2017). Lo scopo perseguito e' stato quello di adeguare la
struttura della CRI al rispetto dei principi di efficienza e
razionalita' che sono a presidio dell'azione amministrativa,
incaricando il Governo di individuare lo strumento organizzativo
migliore per compiere tale riforma. Condivisa anche dal Parlamento
l'inadeguatezza della veste giuridica dell'ente pubblico non
economico, il legislatore delegato si e' quindi orientato verso un
modello organizzativo di tipo privatistico, peraltro gia' largamente
utilizzato per l'assolvimento di funzioni pubblicistiche. Funzioni,
queste, che - secondo il Presidente del Consiglio dei ministri - non
sono messe in discussione dal legislatore delegato, stante il
carattere prevalente della CRI, di associazione di volontari.
8.2.- L'Avvocatura generale contesta, altresi', il fatto che il
d.lgs. n. 178 del 2012 non offrirebbe garanzie di continuita' per
l'assolvimento delle funzioni tradizionalmente affidate alla Croce
Rossa.
Il trasferimento alla neoistituita Associazione della Croce Rossa
italiana di tutti i beni mobili e immobili in proprieta' del
soppresso ente; cosi' come il subentro di essa in tutti i rapporti
attivi e passivi pendenti; o, ancora, i contributi versati alla
stessa da parte dello Stato, in conseguenza della avvenuta
trasformazione, sono fattori che - secondo l'Avvocatura - dovrebbero
consentire alla nuova Associazione, benche' privatizzata, di
assolvere quelle attribuzioni di rilievo pubblico che, da sempre,
caratterizzano la sua attivita'. Numerosi eventi smentirebbero,
peraltro, quanto affermato dal giudice a quo e dai ricorrenti: la
nuova Associazione privata, in piu' occasioni (terremoti del 2016,
valanga di Pescara del 2017, terremoto di Ischia del 2017), avrebbe
svolto tali funzioni in modo piu' che adeguato, a riprova
«dell'assoluta ragionevolezza delle scelte operate» dal legislatore
delegato.
8.3.- L'Avvocatura generale contesta altresi' le affermazioni del
TAR Lazio e della difesa dei ricorrenti, con riferimento
all'ipotizzato eccesso di delega e alla asserita lesione degli artt.
3 e 117 Cost. (in riferimento all'art. 1 Prot. addiz. CEDU), per
supposta reformatio in peius del trattamento giuridico ed economico
del personale appartenente al Corpo militare della Croce Rossa.
Quanto alla modalita' di tutela dei lavoratori, la difesa dello
Stato evidenzia il rispetto dei principi e dei criteri direttivi
contenuti nella legge n. 183 del 2010. L'art. 2, comma 1, lettere a)
e b), di tale legge ha previsto la «riorganizzazione» degli enti e
«la razionalizzazione e l'ottimizzazione delle spese e dei costi di
funzionamento». Tra questi obiettivi, rientrerebbe necessariamente
anche la riorganizzazione del personale, essendo «impensabile che si
possa procedere ad una nuova configurazione o assetto di un soggetto,
e non importa se pubblico o privato, senza che il personale
dipendente sia coinvolto in un simile meccanismo». L'Avvocatura
evidenzia comunque che «la Croce Rossa Italiana ha sempre previsto,
nella propria compagine associativa, la presenza di due Corpi
ausiliari alle Forze armate, denominati, rispettivamente, Corpo delle
infermiere volontarie e Corpo militare. [...] Sebbene assoggettato al
codice militare, il personale del Corpo militare non ha alcun legame
di appartenenza con le Forze armate e stante la prevista e delegata
riorganizzazione dell'ente, la riduzione dell'organico del personale
militare in servizio attivo ben puo' essere considerato rientrante
appieno nell'esercizio di quei poteri che ben potevano essere
esercitati anche in mancanza di una specifica previsione della legge
di delegazione». In questo senso, viene precisato, inoltre, che la
dotazione organica del personale del Corpo militare della CRI viene
demandata dal cod. ordinamento militare (art. 1627, comma 4) ad uno
strumento amministrativo, un decreto del Ministro della difesa
adottato d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sulla base di una relazione fornita dal Presidente dell'Associazione
della CRI. Sarebbe percio' evidente come la possibilita' di
razionalizzare tale categoria di personale, non appartenente alle
Forze armate («per il quale invece, ai sensi dell'articolo 792 del
Codice dell'ordinamento militare, opera una riserva assoluta di
legge»), prescinda da una preventiva disposizione del legislatore
delegante.
Nell'ottica di una razionalizzazione delle spese, poi, il Governo
ha previsto una sostanziale equiparazione del Corpo militare al Corpo
delle infermiere volontarie, denominandolo Corpo militare volontario
e disponendo la sopravvivenza degli appartenenti a questo organismo
quale categoria in congedo che presta servizio volontariamente e
gratuitamente. Cio' non innoverebbe particolarmente la realta' del
Corpo militare, considerando che tale categoria di personale gia'
esiste nella posizione del "congedo" e costituisce il bacino da cui
la CRI da sempre attinge per i cosiddetti richiami temporanei in
servizio (artt. 1668 e seguenti del d.lgs. n. 66 del 2010).
8.4.- Quanto alla pretesa deroga ad alcune norme del cod.
ordinamento militare, l'Avvocatura generale ritiene che il giudice a
quo abbia ricostruito erroneamente la vicenda relativa alla perdita
dello status di militare da parte del personale del Corpo militare
volontario in congedo. Con la trasformazione del Corpo militare in
Corpo militare volontario, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n.
178 del 2012, il personale in congedo, «all'atto del transito nei
ruoli del personale civile dell'Associazione o di altra
amministrazione», non e' stato privato del grado che, per ciascun
militare, al di fuori di specifici casi (di cui all'art. 622 del
d.lgs. n. 66 del 2010) estranei a quello in esame, ha carattere
permanente. Detto personale, nonostante il trasferimento «in altre
amministrazioni», conserverebbe la qualita' di militare in congedo e,
ai sensi dell'art. 1668 cod. ordinamento militare, potrebbe sempre
essere richiamato in servizio, conservando il grado rivestito
all'atto del collocamento in congedo e la possibilita' di avanzamento
a gradi superiori. L'unica modifica derivante dalla riforma in esame
sarebbe quindi attinente al rapporto di servizio attivo, che
perderebbe il connotato "militare", ma senza alcuna ricaduta sullo
status del personale coinvolto. La censura sarebbe immotivata,
secondo l'Avvocatura, anche rispetto al trattamento economico. Al
personale del Corpo militare dipendente della CRI compete il
trattamento di cui all'art. 1757, comma 3, cod. ordinamento militare,
«ovvero quello determinato dalla presidenza dell'Associazione in
analogia con quanto previsto per il personale militare e delle
amministrazioni statali». La disciplina di cui al d.lgs. n. 178 del
2012 non avrebbe disatteso tale disposizione, ma, anzi, l'avrebbe
confermata prevedendo, indipendentemente dal trattamento economico
dell'amministrazione di destinazione, che il personale militare
oggetto delle procedure di mobilita' mantenesse il trattamento in
godimento mediante un assegno ad personam, riassorbibile solo in caso
di adeguamenti retributivi. Contrariamente a quanto affermato
nell'ordinanza di rimessione, nessun dipendente militare della CRI,
al pari del personale civile, avrebbe subito nocumento sul piano
economico o sarebbe costretto a fornire prestazioni professionali da
lavoro dipendente a titolo gratuito.
Quanto alla lamentata assenza di «garanzia di progressione
economica commisurata al grado», l'Avvocatura precisa che, alla data
di adozione del d.lgs. n. 178 del 2012, la progressione economica era
bloccata dall'art. 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30 luglio 2010, n. 122. In corrispondenza di tale blocco delle classi
e degli scatti stipendiali, il legislatore delegato non avrebbe
certamente potuto adottare misure maggiormente favorevoli per il
personale della CRI, dovendo altresi' considerarsi che non esiste,
secondo la giurisprudenza amministrativa, un «vero e proprio obbligo
in capo alla PA di avviare procedure d'avanzamento, cosi' come non
esiste - conseguentemente - un diritto soggettivo del dipendente alla
valutazione atteso che "le promozioni dei pubblici dipendenti sono
disposte nel prevalente interesse dell'Amministrazione alla migliore
utilizzazione del personale e alla piu' razionale organizzazione dei
suoi uffici"».
8.5.- Quanto all'asserita mancanza di garanzie rispetto alle
funzioni svolte precedentemente dal personale coinvolto dalla
riforma, in riferimento ai criteri di equipollenza di cui all'art. 6
del d.lgs. n. 178 del 2012, l'Avvocatura generale evidenzia che le
tabelle di equiparazione tengono conto dei dati oggettivi riferibili
a ciascun dipendente militare. Tra questi, la suddivisione in gradi
risponde ad un principio immanente ad ogni organizzazione
militarmente ordinata, in quanto funzionale alla determinazione
dell'ordine gerarchico, pur non individuando ambiti funzionali
precisi assimilabili a quelli previsti per il personale civile. Non
esisterebbe - secondo l'Avvocatura - una declinazione normativa o
regolamentare delle mansioni che competono a ciascun grado o a
ciascuna categoria, il che non renderebbe possibile nemmeno
astrattamente l'individuazione di ambiti funzionali omogenei per il
personale militare e civile dell'Associazione. Inoltre, nel corso
dell'adozione del d.P.C.m. 26 marzo 2016 si e' accertata
l'impossibilita' di prendere in considerazione, quale criterio per
l'equiparazione, le mansioni precedentemente svolte dal personale
oggetto di riorganizzazione, a causa di una estrema diversita' e
disomogeneita' dei servizi ai quali, nell'ambito delle numerose
attivita' riconducibili alla Croce Rossa, vengono adibiti militari di
pari grado. Cio' premesso, l'Avvocatura ricorda comunque che
nell'ordinamento militare lo svolgimento di mansioni diverse o
superiori rispetto a quelle previste per il grado rivestito non
comporta ne' il passaggio, ne' l'automatica progressione al grado
superiore, conseguendone che lo svolgimento di mansioni diverse da
quelle astrattamente imposte ad un dato grado non assumerebbe alcuna
rilevanza ai fini del collocamento effettuato al momento del
transito.
9.- Con memoria depositata il 7 febbraio 2019, i ricorrenti del
giudizio principale, riproponendo in parte argomenti gia' esposti,
hanno inteso replicare all'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri, insistendo per la fondatezza delle questioni
sollevate.
9.1.- Ad avviso delle parti, la consapevolezza del Parlamento
circa la situazione di dissesto economico-finanziario della CRI non
giustificherebbe l'intervento disposto dal Governo, bensi'
avvalorerebbe le ragioni dell'ordinanza di rimessione, sostenute dai
ricorrenti. Afferma la difesa dei ricorrenti che, «qualora il
Parlamento, conscio della difficile situazione economica
dell'Associazione Italiana della Croce Rossa, avesse inteso disporre
la privatizzazione dell'ente pubblico, [...] lo avrebbe chiaramente
disposto con la legge di delega».
9.2.- Viene contestata, altresi', la fondatezza delle
argomentazioni utilizzate dall'Avvocatura generale dello Stato per
dimostrare la continuita', da parte della neoistituita Associazione
di diritto privato, delle funzioni tradizionalmente attribuite alla
CRI. I riferimenti ad una adeguata gestione delle calamita' che hanno
colpito l'Italia negli ultimi anni non sarebbero - secondo la memoria
- completi ed esaurienti. Fino all'ottobre del 2018, infatti, tali
emergenze sono state gestite dall'Ente strumentale alla CRI (oggi in
liquidazione coatta amministrativa), il quale avrebbe beneficiato di
un contingente di 300 unita' formato dal personale del Corpo
militare, che, pero', dal 1° ottobre 2018 ha cessato la sua esistenza
per effetto del d.lgs. n. 178 del 2012. I componenti del Corpo
militare sono quindi cessati dal servizio attivo e collocati in
congedo, destinati all'impiego in altre amministrazioni pubbliche e
non piu' a disposizione per future situazioni emergenziali. Queste
ultime, se nazionali, potranno comunque beneficiare di mezzi e
personale della Protezione civile o dei Vigili del Fuoco; in campo
internazionale, al contrario, resteranno del tutto senza ausilio le
Forze armate.
10.- In data 12 febbraio 2019, l'Avvocatura generale dello Stato
ha depositato una memoria, insistendo per l'inammissibilita' o
comunque per l'infondatezza delle questioni sollevate.
10.1.- Preliminarmente, la difesa del Presidente del Consiglio
dei ministri eccepisce la tardivita' dell'intervento ad adiuvandum,
depositato in data 12 dicembre 2017 da David Ambrosini e altre
centoquindici persone. Osserva, inoltre, che l'intervento di Massimo
Cipullo e altri, depositato il 30 ottobre 2017, e' parimenti
inammissibile, considerato che nell'atto non si fa riferimento alla
partecipazione di costoro al giudizio principale, ne' appare
sussistere un interesse qualificato che consenta loro di intervenire
nel giudizio incidentale.
10.2.- Sempre in via preliminare, l'Avvocatura generale eccepisce
la carenza della rilevanza in riferimento alla «questione di
costituzionalita' dell'intero decreto legislativo» di
riorganizzazione della Croce Rossa.
In particolare, osserva come l'ordinanza di rimessione impugni
l'intero testo del d.lgs. n. 178 del 2012, tralasciando il contenuto
dell'impugnativa del giudizio principale. Quest'ultimo, infatti, ha
un oggetto circoscritto alla legittimita' dei criteri per
l'equiparazione del personale (gia') appartenente al Corpo militare a
quello civile; a questi fini non assumerebbe quindi rilievo l'intero
testo legislativo impugnato, ne', specificamente, rileverebbe la
norma che dispone la privatizzazione della CRI. Il giudice a quo
sarebbe chiamato a dare applicazione alle sole norme concernenti il
personale dipendente e queste ultime, «pur essendo contenute nel
medesimo testo legislativo, costituiscono [...] una componente
concettualmente e giuridicamente autonoma e distinta».
In tal senso, l'Avvocatura esclude che il decreto legislativo,
oggetto della censura, «presenti quell'omogeneita' di contenuto che,
sola, consente, secondo la giurisprudenza [costituzionale], di
sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'intero corpus
normativo».
10.3.- Un ulteriore profilo di inammissibilita' discenderebbe dal
carattere perplesso della questione concernente la violazione
dell'art. 76 Cost.: da un lato, infatti, il rimettente lamenta
l'assenza di non meglio definite garanzie di continuita' per
l'assolvimento dei compiti istituzionali; dall'altro lato, si duole
della circostanza che la delega non potesse estendersi ad interventi
di tipo soppressivo dell'Ente e all'istituzione di una nuova entita',
in forma associativa e di natura privata.
10.4.- Nel merito delle questioni, l'Avvocatura generale dello
Stato si sofferma, dapprima, sulle censure rivolte all'«intero»
d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell'art. 7), per affrontare,
poi, le eccezioni di incostituzionalita' degli artt. 5 e 6 della
medesima norma.
10.5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
innanzitutto infondata la tesi - prospettata dal Tribunale rimettente
- secondo cui il d.lgs. nella sua interezza avrebbe violato l'art. 76
Cost., in ragione dell'intervento soppressivo dell'ente pubblico.
Analogamente al passato, la riforma in esame non avrebbe previsto
alcuna soppressione dell'Associazione italiana della Croce Rossa,
operante sin dal 1864: «ben diversamente - e molto piu'
semplicemente, - e' stato stabilito il solo venir meno della
personalita' di diritto pubblico ed il contestuale acquisto di quella
di diritto privato». E cio' analogamente a quando, nel 1980, la
stessa CRI fu oggetto di una trasformazione da associazione di
diritto privato a «ente privato di diritto pubblico, sotto l'alto
patrocinio del Presidente della Repubblica». In quell'occasione,
«benche' i criteri direttivi della legge di delegazione 23 dicembre
1978, n. 833 [...] nulla specificassero al riguardo, il legislatore
delegato si e' [...] ritenuto autorizzato [...] a ritirare la
personalita' di diritto pubblico e a riconoscere contestualmente
l'ente come ente di diritto privato (art. 1 d.P.R. n. 613 del 1980)».
Lo stesso sarebbe avvenuto anche in altri casi (su tutti, si richiama
il «trasferimento alle Regioni delle funzioni esercitate da enti
pubblici nazionali e interregionali, disposto dalla legge di
delegazione legislativa 22 luglio 1975, n. 382»).
10.6.- L'infondatezza della questione di legittimita' in
riferimento all'art. 76 Cost. emergerebbe anche sotto un altro
profilo, tramite cui si dimostrerebbe come l'intervento governativo
abbia trovato in realta' «legittimazione e copertura, anche
costituzionale, nelle leggi successive».
Il decreto legislativo censurato dal TAR Lazio sarebbe - secondo
l'Avvocatura - il frutto di una serie di novelle disposte dal
legislatore ordinario (intervenuto, in materia, con il decreto-legge
31 agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il
perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche
amministrazioni», convertito, con modificazioni, nella legge 30
ottobre 2013, n. 125, e con il decreto-legge 31 dicembre 2014, n.
192, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio
2015, n. 11). Tali atti hanno differito il termine entro il quale
sarebbe dovuto avvenire il trasferimento delle funzioni
dell'associazione della CRI - persona giuridica di diritto pubblico -
alla costituenda persona giuridica di diritto privato (dapprima
disposto al 1° gennaio 2015 e, poi, al 1° gennaio 2016). In tal modo,
il Parlamento avrebbe cosi' manifestato «una volonta' che non puo'
essere logicamente limitata al solo differimento del termine entro il
quale avrebbe dovuto aver luogo il trasferimento [...], ma che deve
logicamente intendersi estesa al fatto, in se' e per se' considerato,
del trasferimento delle funzioni dal precedente ente pubblico alla
associazione privata».
10.7.- Parimenti prive di fondamento vengono ritenute anche le
censure che l'ordinanza di rinvio muove all'intero testo del decreto
legislativo (ad eccezione dell'art. 7), sotto il profilo
dell'insufficienza dei mezzi apprestati per l'esercizio delle
funzioni trasferite all'associazione di diritto privato. In primo
luogo l'Avvocatura denuncia la possibile inammissibilita' di una
simile censura, considerando che l'ordinanza, rivolgendosi all'intero
testo dell'atto e dolendosi per l'omissione di un contenuto normativo
costituzionalmente necessario, non indicherebbe i termini
dell'addizione richiesta. Inoltre, si chiederebbe cosi' a questa
Corte di compiere scelte ritenute tipicamente riservate alla
discrezionalita' del legislatore.
Ad avviso dell'Avvocatura, il giudice a quo, quando afferma che
il d.lgs. n. 178 del 2012 non contiene alcuna specifica disposizione
a tutela dell'assegnazione a regime di risorse sufficienti
all'Associazione Croce Rossa Italiana, non spiega la ragione di tale
inadeguatezza ai fini dell'assolvimento delle funzioni attribuite
alla stessa, ne' viene formalmente contestato come la smobilitazione
delle risorse di gran parte del personale abbia compromesso la
prosecuzione della CRI. Fermo restando che, secondo l'Avvocatura, non
vi sarebbero insufficienti risorse per la CRI, la totale infondatezza
della censura sarebbe dimostrata dalle molteplici attivita' di
interesse pubblico poste in essere dalla neoistituita Associazione,
riepilogate in un documento che viene allegato alla memoria,
denominato «Appunto relativo alle attivita' svolte dall'Associazione
Croce Rossa italiana a seguito dell'attuazione del d.lgs. 28
settembre 2018, n. 28». Da questo emergerebbe «in modo assolutamente
evidente ed inconfutabile il fatto che dopo la sua privatizzazione,
l'Associazione della Croce Rossa italiana ha aumentato il numero
complessivo dei servizi garantiti, a fronte di una riduzione dei
costi e di un incremento dell'efficienza delle attivita' di pubblico
interesse svolte per legge, senza alcuna soluzione di continuita'
rispetto al pregresso».
10.8.- L'Avvocatura contesta, infine, la fondatezza delle
autonome censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012.
10.9.- Quanto al processo di smilitarizzazione e di ridefinizione
del trattamento economico del personale militare in servizio, attuato
asseritamente in deroga al cod. ordinamento militare, la difesa
dell'interveniente contesta la ricostruzione data dall'ordinanza di
rimessione.
Sin dal regio decreto 10 febbraio 1936, n. 484 (Norme per
disciplinare lo stato giuridico, il reclutamento, l'avanzamento ed il
trattamento economico ed amministrativo del personale della Croce
Rossa Italiana), era stabilito (art. 1) che «[p]er il funzionamento
dei suoi servizi del tempo di pace e del tempo di guerra la Croce
rossa italiana» arruolasse un proprio personale direttivo (ufficiali)
e di assistenza (sottufficiali e truppa), che costituisse «un corpo
speciale volontario, ausiliario delle forze armate dello Stato». In
virtu' di tale disciplina (ora ricalcata dal cod. ordinamento
militare) si prevedevano appositi ruoli di anzianita' nei quali il
personale volontario della Croce Rossa veniva iscritto e dai quali
erano tratti i nominativi di coloro che venivano chiamati in servizio
per lo svolgimento delle funzioni dell'associazione. Le chiamate,
secondo la disciplina del 1936, rimasta in vigore sino all'entrata in
vigore del d.lgs. n. 66 del 2010, erano disposte con precetto
autorizzato dal «presidente Generale» (art. 29 del r.d. n. 484 del
1936, oggi ricalcato dall'art. 1668 del d.lgs. n. 66 del 2010).
L'Avvocatura generale dello Stato illustra come, nella logica del
personale ausiliario, alla chiamata in servizio corrispondesse, al
venire meno delle esigenze che l'avevano giustificata, il
collocamento in congedo con corresponsione della retribuzione
limitata al tempo dell'effettivo servizio.
E' pero' avvenuto che, a fronte di casi di servizio prolungato,
si siano succedute una serie di leggi che hanno condotto «ad una
consistenza del Corpo militare della Croce Rossa di piu' di 800
unita' in servizio continuativo». Si spiegherebbe allora il motivo
dell'intervento del legislatore delegato, che ha voluto ripristinare
il carattere originario dell'apporto del Corpo militare fondato sul
principio della chiamata in servizio in dipendenza e in funzione
delle contingenti esigenze di soccorso e di aiuto umanitario. Tale
processo non comporterebbe un "allontanamento" o una "esclusione"
dalle Forze armate di personale militare di carriera, che in queste
e' entrato in seguito ad ordinarie procedure concorsuali di
reclutamento, bensi' la perdita di uno status giuridico solo
assimilato a quello militare ai fini dell'adeguamento a specifiche
previsioni delle Convenzioni di Ginevra. Quest'ultima, infatti,
impone al personale delle societa' nazionali della Croce Rossa di
essere sottoposto a leggi e regolamenti militari. In forza di tale
vincolo, l'Italia, da tempo risalente, prevede che gli iscritti nei
ruoli dell'Associazione, una volta "chiamati in servizio", diventino
"militari"; e da qui deriva anche la scelta del legislatore nazionale
di considerare il personale in questione parte di un apposito Corpo
militare. Cio' premesso, il personale della Croce Rossa che fa parte
di tale corpo «non e' dunque "militare" perche' appartiene alle Forze
armate, ma perche' fa parte di un corpo speciale volontario
ausiliario delle Forze armate, costituito dalla Croce rossa
italiana». E' dunque a tutti gli effetti appartenente a quest'ultima
e, conformemente a cio', il d.lgs. n. 178 del 2012 mantiene il «Corpo
militare volontario» costituito esclusivamente da personale in
congedo il cui servizio e' reso gratuitamente.
10.10.- L'Avvocatura generale dello Stato nega, da ultimo, che vi
sia un contrasto tra la riforma oggetto di censura e la protezione
della proprieta' apprestata dall'art. 1 Prot. addiz. CEDU. Sarebbe
pacifico che le ingerenze nei «beni» tutelati da detta disposizione
sono consentite a condizione che siano legali e proporzionate
rispetto ai fini che si pone l'intervento pubblico. Nel caso di
specie, queste condizioni sarebbero «pienamente soddisfatte dal
momento che l'intervento del quale si discute e' stabilito sulla base
della legge, nell'ottica del migliore bilanciamento delle esigenze di
riorganizzazione e di risparmio della pubblica amministrazione con la
tutela della posizione del personale gia' in servizio presso l'Ente
oggetto di riforma». Prova ne e' - continua l'Avvocatura - che, pur
incidendo sullo stato giuridico dei lavoratori, la riforma ne
salvaguarda la posizione economica, attraverso un assegno ad personam
riassorbibile solo in caso di adeguamenti retributivi.
11.- In prossimita' dell'udienza pubblica, in data 25 febbraio
2019, hanno depositato, fuori termine, atto di intervento ad
adiuvandum Luigi Siciliano e altre due persone.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017),
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2,
3, 4 e 8, nonche', anche autonomamente, degli artt. 5 e 6 del decreto
legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione
dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma
dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per violazione
degli artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all'art. 2 della
legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di
incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nonche' per
violazione degli articoli 3, 97 e 117 (recte: primo comma) della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo
1952 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.- Il rimettente censura, in sostanza, sia l'impianto
complessivo del d.lgs. n. 178 del 2012 (e, quindi, il decreto
legislativo nella sua interezza, ad eccezione dell'art. 7), sia le
specifiche disposizioni che attengono alla riorganizzazione del corpo
militare della Croce Rossa italiana. A suo avviso, l'art. 2 della
legge n. 183 del 2010 avrebbe conferito al Governo una delega di
riordino, che non avrebbe consentito in alcun modo interventi
innovativi o soppressivi degli enti da riorganizzare. Il d.lgs. n.
178 del 2012 avrebbe invece operato «un'integrale rinnovazione
strutturale per quanto riguarda la Croce rossa Italiana», con
soppressione e liquidazione dell'ente pubblico e contestuale
istituzione di una persona giuridica di diritto privato, che ha preso
il nome di Associazione della Croce Rossa italiana. A tal riguardo, e
con particolare riferimento alle modalita' di finanziamento della
neoistituita Associazione, definite sulla base di criteri adottati
dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze e con il Ministro della difesa, in assenza di precisi
parametri che garantiscano, tramite la copertura finanziaria,
l'effettivo espletamento delle funzioni, il citato decreto
legislativo sarebbe illegittimo anche per aver realizzato una
parziale sub-delega della funzione normativa affidata al Governo,
demandando ad atti ministeriali aspetti essenziali della nuova
disciplina.
2.1.- In senso analogo, gli artt. 5 e 6 del d.lgs. censurato, che
sanciscono la smilitarizzazione e la ridefinizione del trattamento
economico del personale del Corpo militare della CRI, in implicita
deroga ad alcune disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010,
n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), si porrebbero in
irrimediabile contrasto «con i principi e criteri direttivi, di cui
all'art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega, che lascia "ferme
[...] le specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale, in
servizio alla data di entrata in vigore della presente legge"».
Inoltre, il processo di riorganizzazione della Croce Rossa
italiana nel suo complesso avrebbe leso gli artt. 3 e 97 Cost., a
causa della notevole riduzione di risorse, che impedirebbe all'Ente
strumentale (e, poi, all'Associazione della Croce Rossa italiana), di
svolgere le attivita' di interesse pubblico indicate dall'art. 1,
comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012. Con riguardo alla
riorganizzazione del personale militare (e, dunque, agli artt. 5 e 6
del decreto legislativo censurato), il trasferimento al ruolo civile
del personale militare sarebbe causa di illegittimita' costituzionale
per l'assenza di «progressione economica commisurata al grado
rivestito», e di «garanzie di conservazioni delle funzioni in
precedenza attribuite». Inoltre, sarebbe costituzionalmente
illegittima la sua destinazione ad altra amministrazione, in caso di
mancata inclusione nel personale della nuova Associazione, a seguito
delle procedure di mobilita', «senza alcun richiamo a comparti o
settori dell'amministrazione stessa, in cui si svolgano attivita'
comparabili con quelle del personale di cui trattasi, in possesso di
specifica professionalita' per situazioni di emergenza».
2.2.- In chiusura, il rimettente evoca l'art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all'art. 1, paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, il
quale garantirebbe «i beni delle persone fisiche e giuridiche in una
accezione, gia' ricondotta dalla giurisprudenza alla titolarita' di
qualsiasi diritto, o di mero interesse di valenza patrimoniale [...],
anche per quanto attiene alle modalita' di tutela dei lavoratori, con
riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro».
3.- In via preliminare, in accoglimento delle eccezioni sollevate
dalla Avvocatura generale dello Stato, va ribadita, per le ragioni
esposte nell'ordinanza letta nel corso dell'udienza pubblica del 5
marzo 2019 e allegata alla presente sentenza, la dichiarazione di
inammissibilita' dell'intervento ad adiuvandum di David Ambrosini e
altri centoquindici soggetti privati, spiegato il 12 dicembre 2017,
oltre il termine previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nonche',
limitatamente a Massimo Cipullo e altri ventiquattro soggetti che non
risultano parti del giudizio principale, dell'intervento depositato
il 30 ottobre 2017.
4.- Deve essere segnalato che, successivamente al deposito
dell'ordinanza di rimessione, il censurato d.lgs. n. 178 del 2012 e'
stato modificato dall'art. 16, comma 1, del decreto-legge 16 ottobre
2017, n. 148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per
esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 4
dicembre 2017, n. 172. Le modifiche hanno riguardato il procedimento
di liquidazione dell'Ente strumentale, i soggetti incaricati della
gestione liquidatoria, l'estinzione dei residui attivi e passivi dei
comitati territoriali, il passaggio di proprieta' dei beni dall'Ente
strumentale all'Associazione, mentre e' rimasta inalterata
l'indicazione della sua liquidazione con relativo dies a quo (1°
gennaio 2018).
Inoltre, i commi 1-bis e 1-ter del menzionato art. 16, pur non
modificando direttamente l'atto impugnato, hanno aggiunto ulteriori
possibili destinazioni per il personale eccedente soggetto a
procedure di mobilita', consentendo agli appartenenti all'area
professionale e medica di essere collocato, a domanda, «nel rispetto
della disponibilita' in organico e delle facolta' assunzionali
previste a legislazione vigente, nell'ambito della dirigenza delle
professionalita' sanitarie del Ministero della salute e dell'Agenzia
italiana del farmaco, nell'ambito della dirigenza medica
dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle
popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Poverta'
limitatamente al personale appartenente all'area medica di seconda
fascia di cui al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al
personale dirigente dell'area VI per il quadriennio 2002-2005,
nonche' nell'ambito della dirigenza medica e della professione
infermieristica dell'Istituto superiore di sanità-Centro nazionale
per i trapianti (CNT) e Centro nazionale sangue (CNS), e delle
qualifiche di ricercatore e tecnologo degli enti di ricerca» (comma
1-bis). E' stato altresi' specificato che «[i]l personale della CRI,
di cui al comma 1-bis, che abbia svolto compiti e funzioni
nell'ambito della sanita' pubblica puo' essere inquadrato nelle
amministrazioni di destinazione anche se e' in possesso di
specializzazione in disciplina diversa da quella ordinariamente
richiesta per il predetto inquadramento» (comma 1-ter).
4.1.- Come si evince dal tenore delle citate modifiche, il
menzionato ius superveniens non incide sulla sostanza delle questioni
prospettate, ne' giustifica una pronuncia di restituzione atti al
rimettente. Come questa Corte ha gia' affermato, «non ogni nuova
disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su
quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalita' richiede
una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di
ammissibilita' della questione e segnatamente della sua rilevanza e
della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimita'
costituzionale espressi dal giudice rimettente» (sentenza n. 125 del
2018).
Cio' che rileva, infatti, e' che «permang[a]no le valutazioni del
giudice rimettente in termini di rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione», in misura tale da non «mutare i
termini della questione cosi' come e' stata posta dal giudice a quo»
(sentenza n. 125 del 2018; nello stesso senso le sentenze n. 194 e n.
33 del 2018). Le censure promosse dal rimettente, avanzate per
eccesso di delega e violazione del buon andamento della pubblica
amministrazione, non sono interessate dalle modifiche intervenute, le
quali lasciano intatto il significato delle disposizioni impugnate
rispetto agli evidenziati profili di illegittimita' costituzionale.
5.- Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate dal
rimettente, occorre soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilita'
proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
5.1.- In primo luogo, la difesa dell'interveniente sostiene,
nella sua memoria illustrativa, che le questioni promosse sull'intero
testo del d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell'art. 7) sarebbero
inammissibili per difetto di rilevanza. Il giudice a quo sarebbe
chiamato ad applicare solo la normativa relativa al personale del
corpo militare, che rappresenta una parte settoriale e piuttosto
specifica del decreto legislativo volto alla trasformazione della
CRI.
5.1.1.- L'eccezione non e' fondata.
Non vi e' dubbio che, nel giudizio principale, il rimettente
debba pronunciarsi sulla legittimita' del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 25 marzo 2016 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, serie generale n. 155 del 2016), recante
«Criteri e modalita' di equiparazione fra i livelli di inquadramento
del personale gia' appartenente al Corpo militare e quelli previsti
dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a
tempo determinato della associazione italiana della Croce Rossa»,
adottato nell'ambito della trasformazione della CRI da ente pubblico
non economico ad associazione dotata di personalita' giuridica di
diritto privato, la cui entrata in vigore ha rappresentato, ai sensi
dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, il dies a quo del
collocamento in congedo e del trasferimento nel ruolo civile del
personale appartenente al Corpo militare della CRI, previsti dagli
artt. 5 e 6 del medesimo d.lgs.
Cio' nonostante, il trasferimento al ruolo civile del personale
militare si trova in connessione teleologica rispetto al processo di
trasformazione disposto dal d.lgs. n. 178 del 2018. Le disposizioni
del censurato decreto sono tutte avvinte dalla finalita' complessiva
di rivedere e razionalizzare la struttura pubblicistica dell'ente,
per cui anche le disposizioni censurate che non attengono alla
riorganizzazione del Corpo militare influenzano la definizione dello
status dei ricorrenti, oggetto di contestazione nel giudizio
principale. Non puo' contestarsi, dunque, che l'eventuale
accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale
prospettate dal rimettente abbia l'effetto di ripercuotersi sulla
sfera giuridica delle parti del processo a quo (sentenze n. 337 del
2008 e n. 303 del 2007).
5.2.- Il Presidente del Consiglio ha proposto una ulteriore
eccezione di inammissibilita', ritenendo che la questione sollevata
sull'intero decreto legislativo per violazione dell'art. 76 Cost. sia
perplessa. Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, il
rimettente lamenterebbe, da un lato, l'intervenuta privatizzazione,
dall'altro l'assenza di non meglio definite «garanzie di continuita'
per l'assolvimento dei compiti istituzionali».
5.2.1.- L'eccezione non e' fondata.
L'asserita violazione dell'art. 76 Cost. e' argomentata
univocamente dal giudice a quo, il quale insiste a piu' riprese sul
sospetto eccesso di delega realizzato dal complessivo intervento di
riforma della CRI rispetto all'art. 2 della legge n. 183 del 2010. Il
rimettente ritiene chiaramente che la decisione di trasformare l'ente
in una persona giuridica di diritto privato si ponga al di fuori del
novero delle scelte consentite dal Parlamento.
Di qui la non fondatezza della prospettata eccezione di
inammissibilita'.
6.- Questa Corte non puo' invece esimersi dal rilevare,
d'ufficio, l'inammissibilita' delle censure rivolte dal rimettente
all'«intero» d.lgs. n. 178 del 2012, nonche' agli artt. 5 e 6 del
medesimo decreto, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, per genericita' e
insufficiente motivazione circa l'asserito contrasto con il parametro
interposto.
Tali censure, riportate in chiusura dell'ordinanza di rimessione,
sono prive di un adeguato supporto argomentativo. Il principio di
diritto, che il rimettente trae dall'art. 1 Prot. addiz. CEDU, e'
riportato in via assertiva, senza alcun riferimento alle plurime
accezioni che il termine «beni» e' suscettibile di assumere nel
sistema convenzionale e alle modalita' lesive che le disposizioni
impugnate avrebbero portato alla garanzia convenzionale. Non risulta
motivata, dunque, la non manifesta infondatezza delle questioni
prospettate (ex multis, sentenze n. 160 e n. 27 del 2018 e ordinanza
n. 191 del 2018).
7.- Nel merito, e' opportuno sintetizzare i tratti salienti della
evoluzione normativa che ha interessato la CRI, nonche' il contenuto
della riforma operata dal d.lgs. n. 178 del 2012.
7.1.- Organizzazione dai notevoli trascorsi storici, la CRI fu
fondata nel 1864 (e denominata Associazione italiana della Croce
Rossa) nell'ambito di un movimento di opinione che aveva portato,
appena un anno prima, alla fondazione a Ginevra di una associazione
di diritto privato, regolata dal diritto civile svizzero, che prese
il nome di Comitato internazionale per il soccorso dei feriti e dei
malati (ribattezzato, a partire dal 1876, Comitato internazionale
della Croce Rossa, soggetto che oggi concorre a formare, insieme alle
societa' nazionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e alla
Federazione internazionale, ente di coordinamento delle societa'
nazionali, il Movimento internazionale della Croce Rossa).
La Croce Rossa fu eretta in ente morale con il regio decreto 7
febbraio 1884, n. 1243 (che erige in Corpo morale l'Associazione
italiana della Croce Rossa), e posta sotto la sorveglianza dei
«ministri della guerra e della marina» (art. 1). Poteva cosi'
mantenere la natura di persona giuridica di diritto privato e
sottrarsi alla trasformazione delle opere pie in istituzioni
pubbliche di beneficienza, e quindi in enti pubblici, effettuata
qualche anno dopo dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (Sulle Opere
Pie), piu' volte riformata negli anni successivi.
Durante il regime fascista, furono adottate normative che ne
misero sempre piu' in ombra la vocazione associativa fino a favorirne
la collocazione tra gli enti pubblici parastatali: in tale direzione
si mossero il regio decreto-legge 10 agosto 1928, n. 2034
(Provvedimenti necessari per assicurare il funzionamento della Croce
Rossa Italiana), cui seguira' il regio decreto 21 gennaio 1929, n.
111 (Approvazione dello statuto organico dell'Associazione italiana
della Croce Rossa); ma gia' prima il regio decreto-legge 6 maggio
1926, n. 870 (Provvedimenti relativi agli atti di alcuni istituti
parastatali e di altri Enti), nel disciplinare in via generale
l'efficacia degli atti di alcuni enti pubblici, annoverava, tra
questi, anche la CRI.
Nel dopoguerra, in un contesto fortemente segnato dagli eventi
bellici del secondo conflitto mondiale, il decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato 13 novembre 1947, n. 1256 (Compiti
dell'Associazione italiana della Croce Rossa in tempo di pace), si
limitava a ridefinire i compiti dell'ente in tempo di pace, ma in una
prospettiva che ne valorizzava la funzione sussidiaria di assistenza.
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, le quali hanno
contribuito a delineare l'intelaiatura fondamentale del diritto
internazionale umanitario, ratificate e rese esecutive dalla legge 27
ottobre 1951, n. 1739, firmate a Ginevra l'8 dicembre 1949
(Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra;
Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati
delle Forze armate in campagna; Convenzione per il miglioramento
della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate
di mare; Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in
tempo di guerra), facevano riacquistare alla CRI una spiccata
dimensione internazionale. In tempo di guerra, infatti, quale
societa' nazionale della Croce Rossa, riconosciuta e autorizzata
dallo Stato di appartenenza, essa e' chiamata a svolgere attivita'
umanitaria in favore dei militari feriti, ammalati o nei confronti
dei naufraghi, porta legittimamente l'emblema del Movimento
internazionale e beneficia, di conseguenza, di tutte le immunita'
riconosciute alle formazioni sanitarie degli eserciti belligeranti
(art. 26 della Convenzione per il miglioramento della sorte dei
feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; art. 64 della
Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in tempo di
guerra).
La CRI, originariamente composta da un comitato centrale, dai
comitati provinciali e dai sottocomitati, veniva posta nel 1962 sotto
l'alto patronato del Presidente della Repubblica. In particolare, la
legge 13 ottobre 1962, n. 1496 (Modifiche all'ordinamento
dell'Associazione italiana della Croce Rossa) ne riformava il
vertice, consistente in un consiglio direttivo composto dal
presidente generale (che la stessa legge si premurava di equiparare,
come rango, al grado di generale di corpo d'armata) e da dodici
consiglieri, nominati, per la meta', su proposta del Ministro della
sanita' di concerto con il Ministro della difesa.
Solo nel 1978, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione
del servizio sanitario nazionale), il legislatore tentava di superare
l'assetto ancipite dell'ente pubblico, ma a base associativa,
delegando al Governo il compito di ristrutturare l'associazione
italiana della Croce Rossa, in conformita' con il principio
volontaristico dell'associazione stessa e in «relazione alle
finalita' statutarie e agli adempimenti commessi dalle vigenti
convenzioni e risoluzioni internazionali e dagli organi della Croce
Rossa internazionale alle societa' di Croce Rossa nazionali» (art.
70, terzo comma). La stessa legge poneva altresi' le basi per una
articolazione regionale dell'ente, disponendo la gratuita' e
l'elettivita' delle cariche.
In conseguenza della citata legge delega n. 833 del 1978, il
d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613, recante «Riordinamento della Croce
Rossa italiana (art. 70 della legge n. 833 del 1978)», che ha
disciplinato l'ente fino al decreto legislativo oggetto dell'odierno
giudizio di costituzionalita', pur accentuando i compiti di direzione
e vigilanza sull'ente in capo al Ministro della sanita', definiva la
Croce Rossa, nell'ottica di una valorizzazione della componente
volontaristica e associativa, quale «ente privato di interesse
pubblico», stabilendo altresi' che la rinnovata trasformazione
privatistica sarebbe intervenuta «a seguito dell'approvazione del
nuovo statuto» (art. 1). Tale statuto, che avrebbe dovuto essere
approvato entro il 30 giugno 1981 (art. 3), tuttavia non e' mai stato
approvato e nel 1995 la CRI e' tornata ad essere un «ente dotato di
personalita' giuridica di diritto pubblico» (per effetto della
modifica apportata all'art. 1 del d.P.R. n. 613 del 1980 dall'art. 7
del decreto-legge 20 settembre 1995, n. 390, recante «Provvedimenti
urgenti in materia di prezzi di specialita' medicinali, nonche' in
materia sanitaria», convertito, con modificazioni, nella legge 20
novembre 1995, n. 490).
7.2.- Le vicende che hanno segnato l'organizzazione della CRI
interessano anche la disciplina dei rapporti di impiego instaurati
nell'ambito dell'ente e, in particolare, l'assetto del personale
militare ausiliario. Tradizionalmente, all'interno della CRI, il
personale era organizzato in due sotto-ordinamenti particolari e
derivati.
Il primo di questi, non modificato dal censurato d.lgs. n. 178
del 2012, ricomprende il Corpo delle infermiere volontarie (in
origine regolato dall'art. 8 del r.d.l. n. 2034 del 1928), che presta
servizio non retribuito; in aggiunta ad esse, l'ente si e' avvalso di
infermiere professionali, assunte mediante contratto di lavoro di
diritto privato e percio' retribuite.
Il secondo sotto-ordinamento ricomprendeva il personale
mobilitato per servizio della Croce Rossa in tempo di guerra o in
occasione di pubbliche calamita' (in origine disciplinato dall'art. 7
del r.d.l. n. 2034 del 1928 e dal regio decreto 10 febbraio 1936, n.
484, recante «Norme per disciplinare lo stato giuridico, il
reclutamento, l'avanzamento ed il trattamento economico ed
amministrativo del personale della Croce Rossa Italiana»). In dette
circostanze straordinarie, la CRI disponeva di un «potere di
arruolamento» per i necessari servizi sanitari e assistenziali,
chiamando a se' un apposito personale volontario formato
essenzialmente da cittadini esenti da obblighi di leva o di chiamata
per i servizi di guerra.
Gli arruolati della CRI costituivano un corpo speciale
volontario, ausiliario delle forze sanitarie militari dello Stato, i
cui componenti rivestivano i gradi secondo l'importanza delle loro
funzioni, risultavano sottoposti alla disciplina militare e al codice
penale militare di guerra e si distinguevano in «ufficiali»
(personale direttivo) e in «sottufficiali e truppa» (personale
sanitario). Le chiamate in servizio venivano effettuate con precetto
del «presidente generale» della CRI (art. 29 del r.d. n. 484 del
1936), e il servizio prestato in tempo di guerra o di calamita' nella
CRI veniva equiparato, ai fini civili e amministrativi, al servizio
prestato nelle Forze armate dello Stato, dando luogo alle
corrispondenti qualifiche degli appartenenti all'esercito
combattente.
7.2.1.- Tale assetto, basato sia su apporti volontari sia su
personale delle Forze armate temporaneamente assegnato (spesso
proveniente dai ranghi della "Sanita' militare" delle tre Armi), ha
subito negli anni Ottanta del secolo scorso un progressivo mutamento
quando, a fronte di casi di servizio prolungato, vennero approvate
numerose norme che provvedevano a incardinare, ope legis, il
personale (militare e civile) che aveva prestato servizio temporaneo
nella CRI nell'organico del medesimo ente. Tra esse, l'art. 6, comma
17, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 1986)»; l'art. 12 della legge 28 ottobre 1986, n. 730,
recante «Disposizioni in materia di calamita' naturali»; l'art. 24,
comma 8, della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 1988)»; il decreto del Ministro della sanita' del 12
febbraio 1988, recante «Affidamento all'Associazione italiana della
Croce Rossa del servizio di pronto soccorso sanitario negli aeroporti
civili ed in quelli aperti al traffico civile direttamente gestiti
dallo Stato».
I beneficiari di tali misure sono stati cosi' progressivamente
incardinati nella CRI, tanto che questa Corte, sotto la vigenza del
d.P.R. n. 613 del 1980, adita nell'ambito di un procedimento attivato
da alcuni sottoufficiali dell'ente per ottenere la «perfetta
equiparazione giuridica ed economica» al personale delle Forze
armate, ha affermato che «il personale militare della Croce rossa
italiana non appartiene alle Forze armate o alle Forze di polizia
dello Stato [...], essendo [...] personale non dello Stato, ma di un
ente» (ordinanza n. 273 del 1999). Infatti, il «corpo militare della
CRI, corpo speciale volontario, ausiliario delle Forze armate, [...]
non facente parte integrante delle stesse Forze armate ancorche'
sottoposto alle norme del regolamento di disciplina militare ed a
quelle sostanziali del codice penale militare ed obbligato al
giuramento, ha mantenuto - in forza del disposto degli artt. 10 e 11
del d.P.R. n. 613 del 1980 - la sua [...] collocazione», confermata
dalla «dipendenza dell'autorita' di vertice del corpo direttamente
dal presidente nazionale dell'Associazione, salvo che nei periodi di
mobilitazione» (ordinanza n. 273 del 1999).
7.2.2.- La normativa relativa al Corpo militare ausiliario della
CRI e' stata poi riordinata dal d.lgs. n. 66 del 2010 (d'ora in poi
anche: cod. ordinamento militare), che ha riguardato anche
l'Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine di
Malta, entrambi corpi ausiliari delle Forze armate ma non inquadrati
nelle stesse. Tale codice, come si vedra', continua ad applicarsi al
Corpo militare volontario, per quanto non diversamente disposto dal
decreto legislativo censurato (art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 178 del
2012).
Il cod. ordinamento militare ha previsto un duplice ruolo
(normale e speciale) per il Corpo militare ausiliario, distinguendo,
in coerenza con la previgente normativa, il personale stabilmente
assunto dalla CRI dal personale richiamato in servizio dall'ente per
specifiche esigenze. Sino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 178 del
2012, oggetto del presente giudizio, quindi, solo il primo poteva
dirsi collocato stabilmente alle dipendenze dell'ente e incardinato
nella relativa pianta organica.
7.3.- Tale evoluzione normativa - non sempre lineare - ha di
certo contribuito alle disfunzioni mostrate dalla CRI negli ultimi
decenni.
7.3.1.- Come emerso dall'indagine conoscitiva disposta dalla
Commissione Igiene e Sanita' del Senato nel corso della XVI
Legislatura, e come sostenuto anche dal Presidente del Consiglio dei
ministri nel suo intervento, la CRI ha realizzato, negli anni,
pesanti diseconomie che l'hanno condotta a un commissariamento di
durata ventennale. Oltre alla perenne situazione di precarieta'
contabile, dovuta alla mancata approvazione dei bilanci degli enti
decentrati (solo nel 2011 la CRI ha approvato il consuntivo nei
termini previsti dal d.P.R. n. 613 del 1980) e alla poco accorta
gestione dell'importante patrimonio immobiliare, la CRI si e' trovata
a stipulare convenzioni con soggetti pubblici (relative sia ai
servizi di trasporto infermi - con atti sottoscritti tra le aziende
sanitarie locali e le unita' territoriali della CRI - sia ai servizi
sociali ed assistenziali, da ultimo quelli afferenti alla gestione
dei centri di accoglienza con atti sottoscritti tra dette unita'
territoriali e le prefetture), impegnandosi a prestare un'elevata
offerta di servizi dietro corrispettivi economici irrisori e
difficilmente esigibili.
Inoltre, forti problemi sono sorti rispetto ai costi del
personale: la CRI, prima del processo di riforma innescato dal
decreto legislativo in esame, nel suo complesso impiegava, nel
servizio civile, risorse umane pari a 4.049 unita', di cui 1.281
unita' a tempo indeterminato, 1.574 unita' a tempo determinato; nel
Corpo militare ausiliario, 848 unita' in servizio continuativo e 346
unita' di personale delle Forze armate, assegnate in servizio
temporaneo e per esigenze straordinarie.
L'indagine conoscitiva ha messo in luce come tale organico abbia
portato ad aggravare le dispendiose inefficienze organizzative e
finanziarie.
7.4.- Il d.lgs. n. 178 del 2012, oggetto del presente giudizio,
e' quindi intervenuto in tale contesto, sulla scorta dell'art. 2
della legge n. 183 del 2010, cosi' tentando di rimediare alle citate
disfunzioni. Esso ha disposto la graduale trasformazione della CRI da
ente pubblico, sia pure a base associativa, in persona giuridica di
diritto privato, ancorche' di interesse pubblico ed ausiliaria dei
pubblici poteri nel settore umanitario. Detta persona giuridica,
denominata «Associazione della Croce Rossa italiana», e' iscritta nel
registro nazionale del "Terzo settore", posta sotto l'alto patronato
del Presidente della Repubblica (art. 1, comma 1) e abilitata ad
operare nell'ambito della Federazione internazionale delle societa'
di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). Nel contempo sono
individuate le attivita' svolte dalla Croce Rossa, anch'esse
qualificate di «interesse pubblico» (art. 1, commi 4, 5 e 6).
Al fine di realizzare la trasformazione della natura giuridica
dell'ente, il decreto legislativo censurato ha disposto un percorso
graduale e transitorio, che passa per l'istituzione di un Ente
strumentale (art. 2), soggetto-ponte volto a favorire il subentro
della neoistituita Associazione al preesistente ente pubblico (art.
3), del quale sono disciplinati contestualmente la liquidazione e i
relativi rapporti giuridico-patrimoniali, il trasferimento dei beni e
del personale (rispettivamente, artt. 4, 5, 6 e 8) con le modalita'
di finanziamento della nuova associazione (artt. 1, comma 6, 2, comma
5, e 8, comma 2). Ha disposto, infine, un mutamento del rapporto di
impiego del personale militare della CRI.
7.4.1.- In particolare, le disposizioni che riguardano detto
personale sono contenute negli artt. 5 e 6 del menzionato decreto
legislativo, il quale si muove lungo due direttrici fondamentali:
volontarieta' e gratuita' del servizio prestato nel Corpo militare
volontario e trasferimento del personale militare a ruoli civili, con
mantenimento delle principali voci retributive.
Ai sensi dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, a
decorrere dall'entrata in vigore del d.P.C.m. (previsto dal
successivo art. 6, comma 1), che fissa i criteri di equiparazione tra
il personale militare e quello civile della CRI, il personale del
Corpo militare transita in un ruolo ad esaurimento nell'ambito del
personale civile della CRI, e' collocato in congedo ed e' iscritto, a
domanda, nel Corpo militare volontario.
Lo stesso art. 5, comma 5, si preoccupa poi di salvaguardate le
due voci principali del trattamento retributivo del personale
militare privatizzato, riconoscendo la differenza tra il trattamento
economico in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed
accessorio, e il trattamento del corrispondente personale civile.
Il successivo art. 6 consente al personale una duplice opzione:
rimanere nei ruoli della nuova Associazione della Croce Rossa
italiana nei limiti dell'organico definito dal Presidente di essa
(comma 2); oppure essere collocato in mobilita', in conformita' agli
«strumenti utilizzabili per la gestione di eccedenze di personale
nelle pubbliche amministrazioni» (art. 6, comma 3), con conseguente
applicazione delle procedure di mobilita' volte a favorire il
riassorbimento del personale delle Province (art. 7, comma 2-bis, del
decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni,
nella legge 27 febbraio 2015, n. 11, che rinvia all'art. 1, commi da
424 a 428, della legge n. 190 del 2014).
7.4.2.- Quanto al Corpo militare della CRI, l'art. 5, comma 1,
del decreto legislativo in esame, stabilisce che assuma la
denominazione di Corpo militare volontario e, insieme al Corpo delle
infermiere volontarie, costituisca un Corpo ausiliario delle Forze
armate, chiamato a prestare servizio gratuito. I suoi appartenenti
sono individuati tra il «personale volontario in congedo, iscritto in
un ruolo unico [...]».
7.4.3.- In sintesi, il d.lgs. n. 178 del 2012 ha provveduto a
congedare e a trasferire al ruolo civile tutto il personale militare
della CRI, con salvaguardia del relativo trattamento retributivo
(fondamentale ed accessorio). Parte di esso puo' scegliere, purche'
rientrante nei citati limiti di organico stabiliti dal Presidente
della CRI, di rimanere alle dipendenze dell'Associazione; coloro che
non optano per tale soluzione, o non rientrino nei limiti di
organico, sono messi in mobilita' con destinazione ad altre
amministrazioni, con applicazione, come dianzi detto, della normativa
prevista per i trasferimenti dei dipendenti delle amministrazioni
provinciali.
I componenti del personale militare, cosi' privatizzato, possono
chiedere di entrare a fare parte del Corpo militare volontario, ove
pero' svolgono servizio gratuito in un ruolo unico. A tali soggetti
non si applicano i codici penali militari, mentre continua ad
applicarsi il cod. ordinamento militare, ad eccezione delle
disposizioni in materia di disciplina militare (art. 5, commi 2 e 3,
del d.lgs. n. 178 del 2012).
8.- Cio' premesso, e' possibile affrontare le questioni di
legittimita' costituzionale aventi ad oggetto l'intero d.lgs. n. 178
del 2012 (ad eccezione dell'art. 7), sollevate in riferimento agli
artt. 1 e 76 Cost. e all'art. 2 della legge n. 183 del 2010.
Non essendo diversamente motivato, il riferimento all'art. 1
Cost. - peraltro inusuale - non ha alcuna significativa autonomia, ma
appare come rafforzativo della censura riferita alla disposizione di
cui all'art. 76 Cost., volta a garantire al Parlamento, in quanto
espressione della rappresentanza popolare, un nucleo incomprimibile
di esercizio dell'attivita' legislativa.
Muovendo dal presupposto secondo il quale questa disposizione
avrebbe conferito al Governo una delega di mero riordino degli enti
vigilati dal Ministero della salute, secondo il ricorrente
l'esercizio della funzione legislativa delegata non avrebbe potuto
spingersi, quindi, verso una cosi' integrale rinnovazione
dell'assetto della CRI.
8.1. - Le questioni di legittimita' costituzionale non sono
fondate.
Non v'e' dubbio che la Costituzione, all'art. 76, ponga una
duplice direttiva normativa nei confronti di Parlamento e Governo,
protagonisti del procedimento bifasico ivi disciplinato.
8.1.1.- Per un verso, il Parlamento e' tenuto a circoscrivere i
margini di azione dell'esecutivo; come questa Corte ha gia'
affermato, l'individuazione dei principi e criteri direttivi, la
delimitazione dell'oggetto e la fissazione del termine mirano a
«circoscrivere il campo della delega» al fine di «evitare che essa
venga esercitata in modo divergente dalle finalita' che l'hanno
determinata» (sentenza n. 198 del 1998; nello stesso senso, sentenza
n. 3 del 1957). La limitazione rigorosa dei poteri del legislatore
delegato e la conseguente inammissibilita' di "deleghe in bianco" si
giustificano alla luce dell'assetto generale delle attribuzioni
disegnato dalla Costituzione, la quale assegna la funzione
legislativa alle Camere (art. 70 Cost.). Il ruolo centrale del
Parlamento, nei processi di produzione normativa, impone allo stesso
di non delegare l'esercizio della funzione legislativa se non con
limiti precisi (sentenza n. 106 del 1962), che non si riducano a
clausole di stile prive di adeguata efficacia precettiva.
8.1.2.- Per altro verso, le condizioni fissate dal delegante, ai
sensi dell'art. 76 Cost., rappresentano un confine invalicabile per
il Governo, che proprio nel contenuto della delega trova la misura
della propria azione. Non a caso, questa Corte ha piu' volte sancito
che, soprattutto nel caso di deleghe destinate al riordino normativo,
«al legislatore delegato spetta un limitato margine di
discrezionalita' per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali
devono attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi
enunciati dal legislatore delegante» (sentenza n. 250 del 2016; nello
stesso senso, sentenze n. 94, n. 73, n. 50 e n. 5 del 2014, n. 162 e
n. 80 del 2012).
In queste ipotesi, si impone una verifica rigorosa sui contenuti
della decretazione legislativa, richiesta dall'essere la legislazione
su delega una legislazione vincolata dai principi e criteri direttivi
posti dal Parlamento.
8.2.- Questa Corte e' tuttavia consapevole che il procedimento
delineato dall'art. 76 Cost. attiene pur sempre alla produzione di
atti legislativi. Per tale ragione, il delegante non e' onerato di
fornire una descrizione tassativa delle norme suscettibile di guidare
il delegato, risultando anzi consentito «il ricorso a clausole
generali, ferma la necessita' che queste siano accompagnate
dall'indicazione di precisi principi» (sentenza n. 250 del 2016;
nello stesso senso, sentenza n. 159 del 2001); ne' il Governo e'
tenuto a una attivita' di mera esecuzione o automatico riempimento
dei disposti cristallizzati nella delega. Per costante giurisprudenza
di questa Corte, infatti, i confini del potere legislativo delegato
risultano complessivamente dalla determinazione dell'oggetto e dei
principi e criteri direttivi, unitariamente considerati.
Entro questa cornice - emergente da un'interpretazione anche
sistematica e teleologica della delega - «deve essere inquadrata la
discrezionalita' del legislatore delegato, il quale e' chiamato a
sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di
delega» (sentenza n. 104 del 2017). Se, dunque, la «legge delega,
fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve
contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a
indirizzare l'attivita' normativa del legislatore delegato», essa
puo' essere «abbastanza ampia da preservare un margine di
discrezionalita', e un corrispondente spazio, entro il quale il
Governo possa agevolmente svolgere la propria attivita' di
"riempimento" normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di
una funzione "legislativa"» (sentenze n. 198 del 2018 e n. 104 del
2017).
9.- Tenute presenti tali coordinate ermeneutiche, possono
risolversi le questioni poste dal rimettente. In particolare, si
tratta di verificare se, alla luce di una interpretazione sistematica
e teleologica dell'art. 2 della legge n. 183 del 2010, il Parlamento
abbia conferito al Governo un mero compito di riordino normativo e
se, di conseguenza, il delegato abbia oltrepassato i limiti imposti
dalla delega.
9.1.- Questa Corte ritiene di dare risposta negativa a tale
quesito.
L'art. 2 della legge n. 183 del 2010 identifica l'oggetto della
delega nella «riorganizzazione degli enti, istituti e societa'
vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal
Ministero della salute nonche' alla ridefinizione del rapporto di
vigilanza dei predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e
societa' rispettivamente vigilati». Posto che e' espressamente
menzionata la Croce Rossa italiana nel comma 2 di detto articolo, dai
lavori preparatori si trae ulteriore conferma dell'intenzione di
intervenire sull'ente pubblico attraverso una complessiva revisione
della sua struttura organizzativa. Infatti, l'originario disegno di
legge (art. 24 del d.d.l. Atto Camera 1441, poi stralciato nel d.d.l.
Atto Camera 1441-quater, XVI Legislatura) indicava la Croce Rossa tra
gli organismi da riorganizzare, e, solo durante l'esame al Senato, la
1ª e la 11ª Commissione riunite allargarono l'oggetto della delega,
al fine di estendere il processo di riforma a tutti gli enti o
societa' vigilati dal Ministero del lavoro fra cui l'Istituto per lo
sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e la
societa' Italia lavoro spa.
9.2.- Non e' fondata la censura di eccesso di delega se si guarda
ai principi e criteri direttivi della stessa. Le lettere a) e b)
dell'art. 2, comma 1, della legge n. 183 del 2010 fanno riferimento
alle esigenze di «semplificazione e snellimento dell'organizzazione
della struttura amministrativa degli enti [...]», e alla
«razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di
funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa».
Attraverso tali direttive, il delegante ha lasciato aperta una
pluralita' di soluzioni, tutte egualmente rimesse alla
discrezionalita' del Governo nell'attuazione della legge di delega,
secondo un disegno procedurale coerente con l'art. 76 Cost.
Puo' ritenersi, dunque, che il legislatore delegato, attraverso
la riorganizzazione della CRI, non abbia valicato l'oggetto, gli
obiettivi e le finalita' posti dalla legge delega, in quanto,
muovendosi all'interno della pluralita' di opzioni consentitegli, ha
inteso perseguire il fine della «semplificazione e snellimento [...]
della struttura degli enti» indicato dal delegante. In tal senso, il
complessivo intervento di riforma, lungi dal realizzare una mera
soppressione della CRI, come pure adombrato dal rimettente,
interviene sulla sua struttura confermando le rilevanti attivita', di
interesse pubblico, che essa ha storicamente svolto nel contesto
interno e internazionale (art. 1, commi 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 178
del 2012), disponendo il subentro della nuova Associazione in tutte
le convenzioni stipulate dalla CRI (art. 3, comma 4), assicurando la
prevalenza di finanziamenti pubblici per il suo sostentamento e
riconoscendo l'Associazione della CRI quale «unica Societa' nazionale
di Croce Rossa» autorizzata a far parte della Federazione
internazionale delle societa' di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art.
1, comma 2). In tal senso, il mutamento della natura giuridica
dell'organismo altro non e' se non lo strumento individuato dal
delegato per raggiungere e soddisfare la finalita' indicata dal
delegante.
9.2.1.- La scelta del Governo di tornare alla originaria
struttura associativa della Croce Rossa non puo', quindi, dirsi
estranea agli obiettivi di riorganizzazione perseguiti dalla delega.
Rinsaldano questa conclusione, sia l'indagine circa l'intenzione
originaria del Parlamento nel procedimento che ha portato
all'approvazione della legge delega, sia l'iter parlamentare che ha
accompagnato il varo del decreto legislativo censurato e, in
particolare, il parere espresso dalle competenti commissioni
parlamentari. Nella stessa direzione si muovono la complessa
evoluzione normativa della Croce Rossa dalla fondazione alla legge di
riforma sanitaria e i vincoli internazionali in favore di una
struttura "non governativa" delle Croci rosse e delle Mezzelune
rosse. Del resto, come piu' volte affermato da questa Corte, il
contenuto di una delega legislativa deve essere identificato tenendo
conto, oltre che del dato testuale, della lettura sistematica delle
disposizioni che la prevedono, anche alla luce del contesto normativo
nel quale essa si inserisce, nonche' della ratio e delle finalita'
che la ispirano (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2017; nello stesso
senso, sentenze n. 250 del 2016, n. 210 del 2015 e n. 229 del 2014).
Gia' in passato il Parlamento aveva indicato la strada della
ristrutturazione della CRI «in conformita' del principio
volontaristico della Associazione stessa», come sancito dal criterio
direttivo di cui all'art. 70, terzo comma, della legge n. 833 del
1978, cui fece seguito il d.P.R. n. 613 del 1980, la cui applicazione
si areno' - come prima sottolineato - per la mancata adozione dello
statuto della costituenda associazione. Ed e' in questa medesima
direzione che si colloca la volonta' del legislatore delegante
espressa nel 2010 con la legge n. 183, come confermato dalle
commissioni parlamentari permanenti chiamate a rendere parere sullo
schema di decreto legislativo, le quali hanno avallato la scelta
della persona giuridica di diritto privato compiuta dal Governo.
9.2.2.- A tale riguardo, meritano di essere segnalati i pareri
resi dalla 12ª Commissione (Igiene e sanita') del Senato della
Repubblica, la quale, di fronte a un primo schema di decreto
legislativo (XVI Legislatura, atto del Governo, n. 424) che
qualificava la Croce Rossa «ente pubblico non economico su base
associativa» e confermava gran parte della precedente struttura
dell'ente, aveva espresso parere contrario, ritenendo che lo schema
non risolvesse i problemi e non rispondesse alle esigenze emersi
durante la menzionata indagine conoscitiva precedentemente disposta
dalla medesima Commissione. Essa invitava percio' il Governo a
presentare un nuovo progetto di riforma che recepisse le linee
d'intervento indicate nel documento conclusivo della citata indagine
(XVI Legislatura, parere della Commissione Igiene e sanita' del
Senato della Repubblica sull'atto del Governo n. 424).
9.2.3.- A seguito del nuovo schema di decreto legislativo (XVI
Legislatura, atto del Governo n. 491) che ha previsto la natura
associativa dell'Ente, la Commissione Igiene e sanita' del Senato
della Repubblica ha espresso parere favorevole, seppur enunciando una
serie di osservazioni. Eguale parere favorevole e' stato espresso
dalle altre commissioni permanenti della Camera e del Senato (Difesa,
Bilancio, Affari costituzionali, Affari sociali), a testimonianza del
fatto che il processo di riforma, realizzato dal Governo, e' stato
complessivamente condiviso dagli organi parlamentari.
10.- Il rimettente indica, nel prosieguo argomentativo
dell'ordinanza, un profilo di illegittimita' costituzionale relativo
alla presunta sub-delega che il delegato avrebbe attuato con riguardo
alle modalita' di finanziamento della Associazione della Croce Rossa
italiana.
In particolare, l'art. 2, comma 5, del censurato d.lgs. n. 178
del 2012, nell'assegnare le risorse finanziarie secondo criteri
rimessi alla determinazione dei Ministri della salute, dell'economia
e delle finanze e della difesa, avrebbe «demandato a scelte
ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina».
L'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, prevedendo che
«[l] e risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato [...]
sono attribuite [...] con decreti del Ministro della salute, del
Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro della difesa,
ciascuno in relazione alle proprie competenze, senza determinare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica [...]», evidentemente
si limita a disciplinare le modalita' di erogazione, affidando
all'atto fonte secondario solo il compito esecutivo di assegnazione
materiale delle risorse.
La censura non e' fondata.
La soluzione adottata nell'art. 2 non si pone in contrasto con la
giurisprudenza di questa Corte, la quale consente al decreto delegato
il conferimento agli organi dell'esecutivo della funzione «di emanare
normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79 del 1966),
disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del 1967) o atti
amministrativi di esecuzione (ordinanza n. 176 del 1998; per
ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del 1965 e n. 103 del
1957)» (sentenza n. 104 del 2017).
11.- Alla luce delle considerazioni che precedono, anche le
censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012 devono
essere dichiarate non fondate.
11.1.- Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012 si collocano,
come visto, all'interno della riorganizzazione del Corpo militare
della CRI. Non e' manifestamente incoerente con la finalita'
complessiva della riforma, in un'ottica di razionalizzazione delle
spese, stabilire un diverso inquadramento del personale ausiliario, a
maggior ragione laddove, come nel caso di specie, il delegato opti,
quale strumento di attuazione del compito affidatogli dal delegante,
per la trasformazione dell'ente pubblico in persona giuridica di
diritto privato. D'altronde, e' la stessa legge di delega ad aver
indicato al Governo la necessita' di garantire la razionalizzazione e
l'ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, obiettivi
coerentemente perseguiti dal legislatore delegato tramite il
trasferimento del personale militare ausiliario al ruolo civile.
Il giudice a quo deduce l'eccesso di delega delle norme sul
personale ausiliario anche per contrasto «con i principi e criteri
direttivi, di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) della legge
delega», che lascerebbe ferme «le specifiche disposizioni vigenti per
il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore della
[medesima] legge».
Il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente e'
palesemente errato, non trovando riscontro nel tenore letterale della
richiamata disposizione. La necessita' di mantenere «le specifiche
disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data
di entrata in vigore della [...] legge» n. 183 del 2010 e', infatti,
espressamente riferita al processo di riordino dell'ISFOL e della
societa' Italia Lavoro spa e ai rapporti di impiego instaurati con
detti istituti e non riguarda, invece, la CRI.
12.- Il rimettente lamenta, altresi', che il d.lgs. n. 178 del
2012 violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost perche', avendo operato «una
integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa
Italiana», con soppressione e liquidazione dell'ente pubblico e
istituzione di una persona giuridica di diritto privato, avrebbe
contestualmente determinato una notevole riduzione di risorse, che
impedirebbe all'Ente strumentale (e, poi, all'Associazione), di
svolgere le «delicate ed importanti funzioni di interesse pubblico»,
elencate dall'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012.
12.1.- Dette questioni di legittimita' dell'«intero decreto»
legislativo (ad eccezione dell'art. 7), promosse con riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.
L'attribuzione della personalita' giuridica di diritto privato e'
senz'altro coerente con la vocazione solidaristica della neoistituita
Associazione della Croce Rossa italiana, associazione di volontariato
chiamata a svolgere rilevanti funzioni di interesse generale, a
livello nazionale e internazionale. Il decreto legislativo censurato
trova anzi una diretta copertura costituzionale nell'art. 118, quarto
comma, Cost., che in una ottica di sussidiarieta' orizzontale impegna
la Repubblica a favorire «l'autonoma iniziativa dei cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento di attivita' di interesse
generale».
12.2.- Peraltro e' da tenere presente, come sottolineato
dall'Avvocatura dello Stato in udienza pubblica, che il nuovo modulo
organizzativo della Croce Rossa italiana allinea il nostro
ordinamento ad altre esperienze, in particolare (ma non solo)
europee, le quali disegnano le rispettive societa' nazionali di Croce
Rossa quali associazioni di diritto privato di interesse pubblico,
formate da volontari e da personale civile in regime di impiego
privatistico; osservazione non priva di significato per una
organizzazione destinata ad aderire ad una federazione transnazionale
di «societa' non governative» (come recita il preambolo dello statuto
della Federazione internazionale delle societa' di Croce Rossa e
Mezzaluna rossa).
Tale constatazione vale non solo per il Regno Unito (la British
Red Cross, ricevuto il riconoscimento regio nel 1908, e' una
voluntary aid society, ausiliaria rispetto alle autorita' pubbliche),
ma anche per i sistemi giuridici continentali. Si pensi alla
Croix-Rouge française, associazione senza scopo di lucro,
riconosciuta di utilita' pubblica; al Bundesverband des Roten Kreuzes
tedesco, associazione registrata ai sensi degli artt. 21 e seguenti
del codice civile tedesco; alla Cruz Roja spagnola, associazione
civile di rilievo pubblico composta solo da volontari civili (e non
piu', come in passato, anche da militari di carriera).
12.3.- Infine, quanto alle risorse messe a disposizione
dell'Associazione della Croce Rossa italiana, l'ordinanza si limita
ad affermarne solo genericamente la strutturale inadeguatezza,
rendendo per quest'aspetto la censura inammissibile.
12.4.- Il giudice a quo solleva specifiche questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del
2012, sempre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
Ad avviso del rimettente, il trasferimento al ruolo civile del
personale militare, previsto da detti articoli, sarebbe causa di
illegittimita' costituzionale per l'assenza di «progressione
economica commisurata al grado rivestito», e di «garanzie di
conservazione delle funzioni in precedenza attribuite». Inoltre,
sarebbe costituzionalmente illegittima la scelta di ricorrere alle
procedure di mobilita' e la destinazione ad altra amministrazione
«senza alcun richiamo a comparti o settori dell'amministrazione
stessa, in cui si svolgano attivita' comparabili con quelle del
personale di cui trattasi, in possesso di specifica professionalita'
per situazioni di emergenza».
12.4.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate
nei termini sopra prospettati non sono fondate.
Il d.lgs. n. 178 del 2012, agli artt. 5 e 6, non realizza la
soppressione del Corpo militare ausiliare, ma ne revisiona la
struttura in coerenza con la generale riorganizzazione della CRI e
con la rinnovata struttura associativa della stessa.
Il decreto delegato ha infatti disposto la sopravvivenza degli
appartenenti al citato organismo quale categoria in congedo che
presta servizio volontariamente e gratuitamente (non diversamente da
quanto accade, oltre che per il Corpo delle infermiere volontarie,
per la prima citata Associazione dei cavalieri italiani del sovrano
militare Ordine di Malta, disciplinata dagli artt. 1761 e seguenti
del cod. ordinamento militare). Peraltro, come sottolineato dalla
difesa statale, il pregresso Corpo militare gia' da tempo utilizzava
personale con tali caratteristiche come bacino da cui la CRI poteva
attingere per i richiami temporanei in servizio (artt. 1668 e 1669
cod. ordinamento militare).
Del resto, anche il personale trasferito in altre
amministrazioni, pur perdendo la qualifica di militare in servizio
attivo, mantiene la qualifica di militare in congedo e, ai sensi
dell'art. 1668 cod. ordinamento militare, potrebbe sempre essere
richiamato in servizio, conservando il grado rivestito all'atto del
collocamento in congedo.
In tale quadro, il trasferimento al ruolo civile del personale
del Corpo militare della CRI non si pone in contrasto con gli artt. 3
e 97 Cost.
Il trasferimento al ruolo civile del personale militare risulta
anzi coerente con la trasformazione del regime giuridico della CRI,
posto che il nuovo inquadramento nel rapporto di impiego accede alla
diversa configurazione del datore di lavoro, che da soggetto pubblico
muta in associazione di diritto privato regolata dal Libro I, Titolo
II, Capo II, del codice civile.
Tali scelte di fondo comportano inevitabilmente modifiche delle
modalita' di sviluppo delle carriere, che percio' stesso si
sottraggono alle dedotte censure.
12.4.2.- Quanto alle procedure di mobilita', adottate nell'ambito
dei processi di riforma che hanno interessato le amministrazioni
provinciali, ma che, come detto, trovano applicazione nella vicenda
oggetto dell'attuale giudizio, si e' recentemente pronunciata questa
Corte, sottolineando come esse consentano di garantire un equilibrato
contemperamento di due esigenze costituzionalmente rilevanti: per un
verso, il mantenimento dei rapporti di lavoro, rendendo cosi'
«effettivo il diritto al lavoro di cui all'art. 4 Cost.» (sentenze n.
202 del 2016 e n. 388 del 2004); per un altro, la discrezionalita'
legislativa connessa al processo di riordino dello Stato e degli enti
pubblici. In contesti simili, e' sicuramente auspicabile che ad un
«rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un'adeguata
riqualificazione del personale» (sentenza n. 159 del 2016). Non puo'
essere escluso che in sede di applicazione di detta normativa possano
verificarsi vizi nei conseguenti atti amministrativi, che spettera'
eventualmente sindacare solo agli organi giurisdizionali competenti.
Di qui la non fondatezza, anche sotto tali profili, delle
questioni prospettate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del decreto
legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione
dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma
dell'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», sollevate, in
riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4 agosto
1955, n. 848, dal Tribunale amministrativo del Lazio, sezione terza,
con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del
2012, sollevate, in riferimento agli artt. 1 e 76 Cost., in relazione
all'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in
materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per
l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di
occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e
disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro),
dal TAR Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del
2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dal TAR
Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 5 marzo 2019
ORDINANZA
Rilevato che, nel giudizio di legittimita' costituzionale
promosso dal Tribunale amministrativo per il Lazio (reg. ord. n. 137
del 2017), sono intervenuti Cipullo Massimo con altre trentadue
persone;
che, tra i trentatre intervenienti, solo De Paola Giacomo,
Stallone Giuseppe, Colasuonno Francesco, Liantonio Vito, Del Giudice
Alessandro, Rella Giuseppe, Balestrieri Ferdinando e Stallone Michele
risultano parti del giudizio principale;
che, nel medesimo giudizio, hanno depositato atti di intervento
Ambrosini David, insieme con altre centoquindici persone, e Siciliano
Luigi, insieme con altre due persone, oltre il termine di 20 giorni
previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale e decorrente dalla pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale dell'atto introduttivo del giudizio.
Considerato che Cipullo Massimo e gli altri ventiquattro
intervenienti non sono parti del giudizio principale;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammesse a
intervenire nel giudizio incidentale di legittimita' costituzionale
(art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale) le parti del giudizio a quo, oltre che, a norma
dell'art. 4 delle Norme integrative, il Presidente del Consiglio dei
ministri e, nel caso di legge regionale, il Presidente della Giunta
regionale (sentenza n. 248 del 2018, nello stesso senso sentenze n.
217, n. 194 del 2018, con allegate ordinanze dibattimentali);
che non e' ammissibile l'intervento, nei giudizi davanti a questa
Corte, dei titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti
nel giudizio principale, dato il carattere incidentale del giudizio
di legittimita' costituzionale, in quanto l'accesso di tali soggetti
al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza
e della non manifesta infondatezza della questione da parte del
giudice a quo (sentenze n. 35 del 2017, n. 71 del 2015, con allegate
ordinanze dibattimentali, nonche' sentenza n. 119 del 2012);
che l'intervento di Ambrosini David e degli altri centoquindici
intervenienti e' tardivo;
che parimenti tardivo e' l'intervento di Siciliano Luigi e degli
altri due intervenienti;
che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il termine
previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, e' ritenuto perentorio, con la
conseguenza che l'intervento spiegato dopo la sua scadenza e'
inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 99 del 2018, n. 250 del 2017,
con allegate ordinanze dibattimentali).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento spiegato, nel presente
giudizio di legittimita' costituzionale, da Cipullo Massimo e dagli
altri ventiquattro intervenienti che non sono parti del giudizio
principale;
dichiara inammissibili gli interventi spiegati, nel presente
giudizio di legittimita' costituzionale, da Ambrosini David e dagli
altri centoquindici intervenienti, nonche' da Siciliano Luigi e dagli
altri due intervenienti, depositati oltre il termine previsto
dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento