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giovedì 18 aprile 2019

N. 79 SENTENZA 20 marzo - 9 aprile 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Enti pubblici ‒ Tempi, modalita' e inquadramento del personale a seguito della riorganizzazione della Croce rossa italiana da ente di diritto pubblico in Associazione di volontariato, in regime di diritto privato. - Decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma dell'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8. - (GU n.16 del 17-4-2019 )



N. 79 SENTENZA 20 marzo - 9 aprile 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Enti pubblici ‒ Tempi, modalita'  e  inquadramento  del  personale  a
  seguito della riorganizzazione della Croce rossa italiana  da  ente
  di diritto pubblico in Associazione di volontariato, in  regime  di
  diritto privato.
- Decreto  legislativo   28   settembre   2012,   n.   178,   recante
  «Riorganizzazione  dell'Associazione  italiana  della  Croce  Rossa
  (C.R.I.) a norma dell'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n.  183»,
  artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8.


(GU n.16 del 17-4-2019 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI,

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2,  3,
4, 5, 6 e 8 del  decreto  legislativo  28  settembre  2012,  n.  178,
recante  «Riorganizzazione  dell'Associazione  italiana  della  Croce
Rossa (C.R.I.), a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre  2010,
n. 183», promosso dal Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio,
sezione terza, nel procedimento vertente tra Pasquale Mancuso e altri
e il Ministero della difesa e altri,  con  ordinanza  del  19  luglio
2017, iscritta al n. 137 del registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  41,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017.
    Visti l'atto di costituzione di Pasquale Mancuso e altri,  l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonche'  gli
atti di intervento ad adiuvandum di  Massimo  Cipullo  e  altri  (ivi
compreso Fabrizio Spagnuolo), di David Ambrosini e altri e  di  Luigi
Siciliano e altri, questi ultimi due fuori termine;
    udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice  relatore
Augusto Antonio Barbera;
    uditi gli avvocati Paolo  Leone  per  Massimo  Cipullo  e  altri,
Salvatore Sfrecola per Fabrizio Spagnuolo, Vincenzo Gigante per Luigi
Siciliano e altri, Francesco Foggia per Pasquale Mancuso  e  altri  e
gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e Leonello Mariani per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017),
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,  sezione  terza,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  2,
3, 4 e 8, nonche', anche autonomamente, degli artt. 5 e 6 del decreto
legislativo 28 settembre  2012,  n.  178,  recante  «Riorganizzazione
dell'Associazione  italiana  della  Croce  Rossa  (C.R.I.),  a  norma
dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per  violazione
degli artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all'art. 2  della
legge 4 novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie  di  lavoro),  nonche'  per
violazione degli artt. 3, 97  e  117  (recte:  primo  comma),  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato
con legge 4 agosto 1955, n. 848.
    2.- Il giudice rimettente premette, in  narrativa,  che  con  due
ricorsi successivamente  riuniti  (n.  8540  e  n.  8541  del  2016),
entrambi notificati il 21 luglio 2016, numerosi appartenenti al Corpo
militare della Croce Rossa  Italiana  (da  ora  in  poi:  CRI)  hanno
impugnato  dinanzi  al  TAR  Lazio  il  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri  25  marzo  2016  (pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, serie  generale,  n.  155  del  5  luglio
2016), recante «Criteri e modalita' di equiparazione fra i livelli di
inquadramento del personale gia' appartenente  al  corpo  militare  e
quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile
con contratto a tempo determinato della associazione  italiana  della
Croce Rossa», adottato nell'ambito della trasformazione della CRI  da
ente pubblico non economico ad associazione  dotata  di  personalita'
giuridica  di  diritto  privato,  la  cui  entrata   in   vigore   ha
rappresentato, ai sensi dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n.  178  del
2012, il dies a quo del collocamento  in  congedo  del  personale  in
questione. Nel giudizio  principale  sono  stati  altresi'  impugnati
«"ogni atto presupposto [...] o comunque collegato", ivi  compresi  i
pareri del Ministero dell'economia (nota n.  7124  del  21  settembre
2015), del Ministero della difesa (nota n.  36224  del  23  settembre
2015) e della Presidenza del Consiglio dei  ministri  -  Dipartimento
della funzione pubblica (note n. 54978 del 30  settembre  2015;  note
DICA 13536 del 23 giugno 2016 e 11614 del 31 maggio 2016)», nonche' i
conseguenti provvedimenti individuali  di  congedo,  i  cui  estremi,
tuttavia, il rimettente ammette essere «ancora non conosciuti».
    3.-  I  ricorrenti   hanno   contestato   l'ultima   fase   della
trasformazione della CRI, avviata con la legge  n.  183  del  2010  e
portata a compimento dal d.lgs. n. 178  del  2012  e  dai  successivi
decreti attuativi, tra cui  i  provvedimenti  di  determinazione  dei
criteri di inquadramento del personale militare nel ruolo civile e di
congedo del medesimo personale dal Corpo militare. I ricorrenti hanno
prospettato,  con  riferimento  a   detti   provvedimenti,   ritenuti
direttamente incidenti sul loro trattamento giuridico  ed  economico,
varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere, proponendo
altresi' eccezioni di illegittimita' costituzionale del d.lgs. n. 178
del 2012, in accoglimento delle quali il giudice a quo  ha  sollevato
le questioni dianzi indicate.
    4.- In punto di rilevanza, il Collegio rimettente ritiene che  il
d.P.C.m. 25 marzo 2016, cosi'  come  i  provvedimenti  presupposti  e
collegati, impugnati nel giudizio a quo, siano stati adottati in modo
conforme all'iter procedurale tracciato dal d.lgs. n. 178  del  2012,
con la conseguenza che l'eventuale declaratoria di illegittimita' del
suddetto   decreto    legislativo    condurrebbe,    inevitabilmente,
all'accoglimento del ricorso  nel  giudizio  principale,  mentre,  al
rigetto delle medesime questioni  non  potrebbe  che  seguire  quello
delle domande dei ricorrenti.
    5.- In punto di non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente  si
sofferma anzitutto sulla denunciata violazione dell'art. 76 Cost.  da
parte del d.lgs. n. 178 del 2012, osservando che l'art. 2,  comma  1,
della legge n. 183 del 2010 avrebbe delegato il Governo «ad  adottare
[...]   uno   o   piu'   decreti   legislativi,   finalizzati    alla
riorganizzazione  degli  enti,  istituti  e  societa'  vigilati   dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero  della
salute, nonche' alla ridefinizione  del  rapporto  di  vigilanza  dei
predetti Ministeri sugli stessi  enti,  istituti  e  societa',  ferme
restando [...] le  funzioni  loro  attribuite»,  secondo  principi  e
criteri  direttivi  cosi'  riassunti  dallo  stesso  rimettente:   a)
semplificazione e snellimento dell'organizzazione e  della  struttura
amministrativa, in base  ai  principi  di  efficacia,  efficienza  ed
economicita'  dell'attivita'  amministrativa,  «ferme   restando   le
specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale in  servizio»;
b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese;  c)  ridefinizione
del rapporto di vigilanza, in base  a  indirizzi  e  direttive  delle
amministrazioni vigilanti; d) organizzazione del casellario  centrale
infortuni; e) obbligo degli enti e istituti vigilati  di  adeguare  i
propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi  emanati  in
attuazione della medesima legge delega.
    5.1.- Il giudice a quo sottolinea come, pur  «a  fronte  di  tali
disposizioni -  che  non  sembrano  suggerire  interventi  totalmente
innovativi, ne' certamente soppressivi, degli enti da riorganizzare -
il decreto legislativo n. 178 del 2012» operi, invece,  «un'integrale
rinnovazione  strutturale  per  quanto  riguarda   la   Croce   Rossa
Italiana».
    Tale riorganizzazione comporta, in base all'art. 2  del  medesimo
d.lgs., che la CRI, dal 1° gennaio, assuma la denominazione di  «Ente
strumentale alla Croce Rossa italiana», mantenendo  una  personalita'
giuridica di diritto pubblico e, in virtu' dell'art. 8 del d.lgs.  n.
178 del 2012, che, «a far  data  dal  1°  gennaio  2018»  detto  Ente
strumentale sia soppresso e posto in liquidazione, «con  subentro  in
tutti i rapporti attivi e passivi di una neo-istituita  "Associazione
della Croce Rossa italiana", promossa dai soci della C.R.I. e  dotata
di personalita' giuridica di diritto privato».
    Tale Associazione privata  opera  come  movimento  volontario  di
soccorso, alla stregua di  una  onlus,  ed  e'  destinataria  di  una
peculiare disciplina per quanto riguarda il Corpo militare ausiliario
delle Forze armate. L'art. 5 del  d.lgs.  n.  178  del  2012  riduce,
infatti, il Corpo militare della CRI  da  oltre  800  a  300  unita',
distinguendo, da un lato, il Corpo militare volontario e, dall'altro,
il preesistente Corpo delle infermiere volontarie della Croce  Rossa,
caratterizzati entrambi dalla presenza  di  personale  esclusivamente
volontario, sottratto ai codici penali militari e  alle  disposizioni
in materia militare, fatta eccezione per la categoria del congedo.
    5.2.- In base allo stesso art.  5,  comma  5,  il  personale  del
pregresso Corpo militare della CRI,  costituito  da  unita'  gia'  in
servizio continuativo per effetto di provvedimenti di assegnazione  a
tempo indeterminato  «transita  [...]  in  un  ruolo  ad  esaurimento
nell'ambito  del  personale  civile  della  CRI   e   successivamente
dell'Ente ed e' collocato in congedo, nonche' iscritto a domanda  nel
ruolo»  del  Corpo  militare  volontario.   «Resta   ferma   la   non
liquidazione del trattamento di fine servizio, in quanto il  transito
[...] interviene senza  soluzione  di  continuita'  nel  rapporto  di
lavoro con la CRI ovvero con l'Ente. Al predetto  personale  continua
ad essere corrisposta la differenza tra il trattamento  economico  in
godimento, limitatamente a quello fondamentale ed  accessorio  avente
natura fissa e continuativa,  e  il  trattamento  del  corrispondente
personale della CRI, come assegno ad personam riassorbibile  in  caso
di adeguamenti retributivi [...]».
    5.3.- Il successivo art.  6  del  decreto  legislativo  censurato
prevede, al comma 1, la fissazione di «criteri e [...]  modalita'  di
equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti  dal  contratto
collettivo  relativo  al  personale  civile  con  contratto  a  tempo
indeterminato della CRI e quelli del personale di cui all'art. 5 gia'
appartenente al Corpo militare,  nonche'  tra  i  livelli  delle  due
predette categorie di  personale  e  quelli  previsti  dai  contratti
collettivi dei  diversi  comparti  della  Pubblica  Amministrazione»,
previa informativa alle organizzazioni sindacali; al comma 3 prevede,
inoltre,  per  il  personale  «non  impiegato  nelle  convenzioni  ed
eccedente   l'organico   dell'Associazione»,   l'applicazione   delle
«disposizioni vigenti sugli strumenti utilizzabili per la gestione di
eccedenze di  personale  nelle  pubbliche  amministrazioni»,  tramite
ricorso  a  procedure  di  mobilita',  «anche  con   riferimento   ad
amministrazioni con sede in province diverse  rispetto  a  quella  di
impiego».
    5.4.- Secondo il giudice rimettente appare «evidente il  profondo
mutamento  di  status  e  di  prospettive  del  personale   militare,
costretto ad una scelta  obbligata,  se  impiegato  nella  precedente
attivita' [...], in quanto l'unica possibile permanenza  nel  ridotto
ruolo militare e' quella dell'opzione per un'attivita' volontaria, da
svolgere a titolo gratuito». Quanto «all'inevitabile [...]  passaggio
al ruolo civile, non vi e' inoltre garanzia di progressione economica
commisurata al grado rivestito (essendo previsto solo un assegno  "ad
personam", destinato al  riassorbimento  nell'ambito  del  successivo
sviluppo di carriera nel nuovo ruolo [...])» e,  ugualmente,  mancano
garanzie di conservazione delle funzioni in precedenza attribuite.
    5.5.- Tali aspetti vengono ritenuti contrari  a  quanto  previsto
dall'art. 2, comma 1, lettera a), della legge delega n. 183 del 2010.
Non sarebbe  infatti  riconducibile  alla  volonta'  del  legislatore
delegante, piu' che la disposta privatizzazione della CRI,  l'assenza
di concrete garanzie  di  continuita'  rispetto  all'assolvimento  di
compiti istituzionali tradizionalmente  affidati  alla  stessa  Croce
Rossa e fatti espressamente salvi dalla legge di delega,  proprio  ai
sensi del richiamato art. 2, comma 1.
    5.6.- Secondo il rimettente, tale previsione, riferendosi ad  una
mera "riorganizzazione" di determinati enti, non potrebbe  estendersi
ad interventi di tipo  soppressivo  come  quelli  che,  nel  caso  di
specie,  hanno  invece  portato  alla  liquidazione   ed   estinzione
dell'ente pubblico della CRI, nonche' all'istituzione  di  una  nuova
entita' in  forma  associativa  e  di  natura  privata,  dai  compiti
generalmente analoghi, senza, pero',  alcuna  garanzia  di  effettiva
continuita' funzionale. La «smobilitazione delle risorse  e  di  gran
parte del personale» comprometterebbe - a detta del rimettente  -  la
prosecuzione delle funzioni della CRI.
    5.7.- Il TAR Lazio ritiene che il vizio  dell'eccesso  di  delega
riguardi l'intero impianto del d.lgs. n. 178 del 2012 (artt. da 1 a 6
e 8), ad eccezione dell'art. 7, poiche' e' sostanzialmente nella  sua
interezza che tale  atto  normativo  non  appare  riconducibile  alla
volonta' del legislatore delegante, i cui obiettivi si  limiterebbero
al mero riordino del rapporto di vigilanza degli enti  sottoposti  al
controllo dei ministeri sopra menzionati. A dimostrazione di cio', il
rimettente richiama alcune riorganizzazioni avvenute, sempre in forza
del medesimo art. 2  della  legge  n.  183  del  2010,  per  altri  e
differenti enti ed istituti (tra cui,  gli  istituti  zooprofilattici
sperimentali, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali  e
la Lega italiana per la lotta contro i tumori), nonche'  alcuni  casi
di privatizzazione per legge di Corpi militari (Agenti di custodia  e
Polizia di Stato), attraverso cui questi hanno si' mutato la  propria
natura giuridica, ma senza depotenziare o disperdere il  personale  e
le relative strutture.
    5.8.- A tale riguardo, il giudice  a  quo  ritiene  di  non  poco
rilievo come la legge delega abbia predisposto  l'assegnazione  delle
risorse finanziarie. Queste sono previste a carico del bilancio dello
Stato, sulla base di criteri la cui determinazione  e'  demandata  ai
Ministri della salute, dell'economia e delle finanze, e della difesa,
senza il riferimento, pero', a precisi  parametri  che  garantiscano,
tramite la  copertura  finanziaria,  l'effettivo  espletamento  delle
funzioni riconducibili tanto all'Ente strumentale, quanto alla  nuova
Associazione  privata  della  CRI.  In  tale  ottica  -  secondo   il
rimettente - «appare ravvisabile una sostanziale,  benche'  parziale,
sub-delega della funzione normativa affidata al  Governo,  in  quanto
risulta  che  quest'ultimo  abbia  demandato  a  scelte  ministeriali
aspetti essenziali  della  nuova  disciplina»  (viene  richiamata  la
sentenza n. 104 del 2017). E' comunque ribadito  come  nessuna  delle
disposizioni in materia di assegnazione delle  risorse  sia  ritenuta
sufficiente e adeguata a far assolvere alla neoistituita Associazione
le funzioni e le attivita' di interesse  pubblico,  affidatele  anche
dall'art. 1 del d.lgs. n. 178 del 2012.
    5.9.- Considerazioni analoghe vengono rivolte anche autonomamente
agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, rispetto al  trattamento
del personale militare,  le  cui  modalita'  di  smilitarizzazione  e
ridefinizione del trattamento economico risultano stabilite  -  senza
alcuna previsione dettata dal legislatore delegante  -  in  implicita
deroga a puntuali disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010,
n. 66 (Codice dell'ordinamento  militare)  e,  in  particolare,  agli
artt. 622, 1757, 1759, 1760 e 1799. L'istituzione di  un  contingente
militare ridotto e non retribuito, nonche' la mobilita' del  restante
personale passato al ruolo civile - senza alcun  preciso  riferimento
alla  professionalita'  acquisita  nel  settore  di  appartenenza   -
appaiono al giudice a quo «apertamente confliggenti con i principi  e
criteri direttivi, di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) della legge
delega, che lasciava "ferme [...] le specifiche disposizioni  vigenti
per il [...] personale, in servizio alla data di  entrata  in  vigore
della presente legge"».
    5.10.- I citati artt. 5 e 6, cosi' come gli artt. da 1 a  4  e  8
del d.lgs. n. 178 del 2012 sono, da ultimo, denunciati come  contrari
ad altre disposizioni  costituzionali  e,  precisamente:  all'art.  1
Cost., «per adozione, da parte del Governo, di iniziative di  rilievo
politico, non riconducibili al legislatore delegante»; agli artt. 3 e
97 Cost., «per l'irrazionalita' di scelte, destinate ad  incidere  su
servizi di assoluta valenza per la salute, l'incolumita'  e  l'ordine
pubblico, senza adeguato bilanciamento fra le esigenze sottostanti  a
tali servizi e le contrapposte ragioni di contenimento della  spesa»;
all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  riferimento  all'art.   1,
paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, che garantisce «i beni delle  persone
fisiche  e  giuridiche  in  una  accezione,  gia'  ricondotta   dalla
giurisprudenza alla titolarita'  di  qualsiasi  diritto,  o  di  mero
interesse di valenza patrimoniale,  rientrante  fra  i  parametri  di
costituzionalita' riconducibili [...] al citato art. 117,  anche  per
quanto  attiene  alle  modalita'  di  tutela  dei   lavoratori,   con
riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro»  (viene
citata la sentenza n. 303 del 2011).
    6.- Con atto depositato il 30 ottobre 2017,  si  sono  costituiti
Pasquale Mancuso e altri diciotto ricorrenti nel giudizio principale.
    6.1.- In pari data, e' stato depositato  atto  di  intervento  ad
adiuvandum, dal contenuto pressoche' identico, sottoscritto  da  otto
ricorrenti nel giudizio a quo, nonche' da  Massimo  Cipullo  e  altre
ventiquattro persone, estranei ad esso.
    Questi ultimi  affermano  di  essere  stati  dipendenti  a  tempo
indeterminato della CRI, prima, e  dell'Ente  strumentale  alla  CRI,
poi, e che per effetto delle norme censurate sono cessati dal proprio
impiego e transitati in mobilita' presso altre amministrazioni  dello
Stato. Vantano, in  quest'accezione,  un  interesse  qualificato  per
partecipare al giudizio di legittimita' instaurato dinanzi al giudice
costituzionale.
    6.2.- In entrambi questi  atti,  le  parti  e  gli  intervenienti
«insistono per la conservazione del proprio  status  di  militari  in
servizio  attivo,  nella  pienezza  dei  diritti  e  delle  posizioni
sostanziali  di  carattere  giuridico,  economico   e   professionale
collegate a tale tipologia di impiego, come disciplinate  dal  Codice
dell'Ordinamento militare» e sostengono il contrasto  del  d.lgs.  n.
178 del 2012 con i  principi  e  le  norme  costituzionali.  Oltre  a
riproporre le motivazioni gia' esposte nell'ordinanza di  rimessione,
aggiungono,  poi,   diverse   e   nuove   argomentazioni   a   favore
dell'incostituzionalita' della norma censurata.
    6.3.- Quanto alla violazione dell'art. 76 Cost., con  riferimento
alla trasformazione dello statuto e della natura giuridica della CRI,
i ricorrenti ritengono che dai lavori preparatori della legge  delega
n. 183 del 2010 si evinca l'assenza della volonta' del Parlamento  di
disporre la cessazione dell'ente pubblico della Croce  Rossa;  e  che
l'operazione posta in essere  dal  Governo  non  possa  ritenersi  un
«coerente sviluppo ed un  completamento  delle  scelte  espresse  dal
legislatore delegante», ne' tantomeno che «le scelte del  legislatore
delegato siano coerenti con gli indirizzi  generali  della  delega  e
compatibili con la ratio di questa» (sono richiamate le  sentenze  n.
194 del  2015  e  n.  182  del  2014).  Le  privatizzazioni  avvenute
sarebbero state «specificamente previste in testi di legge che  hanno
rubricato  il  relativo  disegno  con   la   chiara   operazione   di
modificazione della natura giuridica degli enti  coinvolti»  (vengono
indicati il caso del decreto-legge 11 luglio 1992,  n.  333,  recante
«Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica»,  relativo
alla trasformazione in societa' per azioni di IRI,  ENI,  INA,  ENEL,
Ferrovie dello Stato; e quello della legge 8  agosto  2002,  n.  178,
recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8
luglio  2002,  n.  138,  recante  interventi   urgenti   in   materia
tributaria,  di  privatizzazioni,   di   contenimento   della   spesa
farmaceutica  e  per  il  sostegno  dell'economia  anche  nelle  aree
svantaggiate», attinente alla trasformazione dell'ANAS  in  spa).  In
tali casi - affermano i ricorrenti - questa Corte avrebbe «confermato
la legittimita' della decisione  di  sopprimere  l'ente,  proprio  in
quanto tale obbiettivo era  specificamente  previsto  e  fissato  dal
legislatore delegante» (viene citata la sentenza n. 237 del 2013).
    6.4.- Sempre con riferimento alla violazione dell'art. 76  Cost.,
gli atti di costituzione e di intervento sottolineano, inoltre,  come
l'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 178 del  2012,  prevedendo  che  «il
Ministro delle salute e, per quanto di competenza, il Ministro  della
difesa, adottano atti di  indirizzo  ed  esercitano  la  funzione  di
vigilanza sulla CRI e, successivamente sull'Ente»,  ometta  qualsiasi
riferimento  ad  ogni   forma   di   vigilanza   sulla   neoistituita
Associazione, benche' uno degli scopi essenziali della  delega  fosse
proprio quello di  rafforzare  la  sfera  di  controllo  dello  Stato
sull'organizzazione e sulla gestione degli enti "riformati" ai  sensi
dell'art. 2, lettera c), della legge  n.  183  del  2010.  Parimenti,
evocano il contrasto del d.lgs. n. 178 del  2012  con  le  norme  del
d.lgs. n.  66  del  2010  (d'ora  in  poi,  anche:  cod.  ordinamento
militare) e con le Convenzioni internazionali di Ginevra,  ratificate
e rese esecutive con legge 27 ottobre 1951, n. 1739, e, segnatamente,
con la Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e  dei
malati delle Forze armate in campagna.
    In  particolare,  gli  artt.  5  e  6   del   censurato   decreto
legislativo, non assoggettando il  Corpo  militare  volontario  della
neoistituita   Associazione   della   Croce   Rossa   italiana   alle
disposizioni del cod. ordinamento militare, derogherebbero agli artt.
24 e 26 della citata Convenzione, i quali prevedono che il  personale
delle societa'  nazionali  della  Croce  Rossa  debba  invece  essere
sottoposto a codici e regolamenti  militari  per  l'espletamento  dei
peculiari compiti da svolgere in contesti di crisi internazionale.
    6.5.-  Le  parti  e  gli  intervenienti  denunciano,   poi,   con
particolare  riferimento  alla  procedura   di   mobilita'   che   ha
interessato il  personale  militare  della  CRI,  la  violazione  dei
principi  di  ragionevolezza  e  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).
    Le    modifiche    disposte    dalla    norma    censurata    non
rappresenterebbero l'esito del tentativo di trovare, per il personale
coinvolto, un impiego effettivamente in linea con la professionalita'
maturata nel settore delle emergenze,  del  soccorso  e  dell'ausilio
alle Forze armate.
    A riprova di cio', viene richiamato il contenuto del d.P.C.m.  26
marzo  2016,  oggetto  del  giudizio  principale,  il  quale  avrebbe
indicato in maniera del tutto tautologica il  criterio  per  disporre
l'equiparazione del personale della CRI ai livelli e alle  qualifiche
proprie della contrattazione collettiva di comparto.
    6.6.- Gli atti di costituzione e intervento evocano,  infine,  la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art.
1 Prot. addiz. CEDU. La denuncia si concentra sul  transito  disposto
per il personale del Corpo militare in ruoli e  funzioni  propri  del
personale  civile,  senza  la  previsione  di  precisi   criteri   di
equipollenza volti ad evitare disparita' di trattamento.
    Il d.lgs. n. 178 del 2012, e in particolare  gli  artt.  5  e  6,
tramite  il  collocamento  in  congedo  del  personale   militare   e
attraverso  il  processo  di  privatizzazione  della  CRI,  avrebbero
determinato  un'ingerenza  nei  diritti  concernenti  il  trattamento
giuridico ed economico dei lavoratori coinvolti  dalla  riforma,  che
ricadrebbero nella nozione di  «beni»,  tutelati  dall'art.  1  Prot.
addiz. CEDU,  come  interpretato  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo  (sono  citate,  con  riguardo  ai  crediti  salariali  nel
pubblico impiego, Corte EDU, sentenze 7 maggio 2013, Koufaki e  Adedy
contro Grecia, 8 novembre 2005, Ketchko contro Ucraina; con  riguardo
a  prestazioni  previdenziali  o  assistenziali,  Corte  EDU,  grande
camera, sentenza 12 aprile 2006, Stec e  altri  contro  Regno  Unito,
Corte EDU, decisione 30 settembre 2010, Hasani  contro  Croazia).  In
tal senso, la norma sovranazionale viene reputata lesa  con  riguardo
all'ingerenza dello  Stato  nel  godimento  da  parte  del  personale
militare della  CRI  dei  diritti  a  carattere  patrimoniale  e  non
patrimoniale, comunque di rilievo costituzionale.
    7.- In data 12 dicembre 2017  hanno  depositato,  fuori  termine,
atto  di  intervento  ad  adiunvandum   David   Ambrosini   e   altre
centoquindici persone.
    8.- Con atto depositato il 31 ottobre  2017,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate.
    8.1.- In merito all'ipotizzato eccesso  di  delega,  che  sarebbe
limitata alla riorganizzazione e non  alla  soppressione  degli  enti
vigilati, l'interveniente sostiene che il legislatore delegato  abbia
esercitato i propri poteri entro i limiti posti dal Parlamento.
    Secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  per  comprendere  la
riforma attuata dal d.lgs. n. 178 del 2012  occorre  muovere  da  una
premessa, non richiamata dalle controparti. La CRI versa  da  decenni
in una situazione di dissesto finanziario, che l'ha costretta  ad  un
lungo periodo  di  commissariamento.  Il  legislatore  delegato,  nel
provvedere  a  una  riorganizzazione  dell'ente,   non   poteva   non
considerare quest'aspetto. Piu' specificamente, il Governo ha  dovuto
calare  il  nuovo  assetto  associativo  della  CRI  in  un  contesto
normativo e sociale radicalmente mutato  rispetto  a  quello  in  cui
nacque.  Cio',  peraltro,  non  contrasta   con   la   giurisprudenza
costituzionale che, in piu' occasioni, ha  invitato  ad  una  lettura
sistematica della  legge  di  delegazione,  proprio  «alla  luce  del
contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonche' della ratio e
delle finalita' che la ispirano» (e' richiamata la  sentenza  n.  104
del 2017). Lo  scopo  perseguito  e'  stato  quello  di  adeguare  la
struttura  della  CRI  al  rispetto  dei  principi  di  efficienza  e
razionalita'  che  sono  a   presidio   dell'azione   amministrativa,
incaricando il Governo  di  individuare  lo  strumento  organizzativo
migliore per compiere tale riforma. Condivisa  anche  dal  Parlamento
l'inadeguatezza  della  veste  giuridica   dell'ente   pubblico   non
economico, il legislatore delegato si e' quindi  orientato  verso  un
modello organizzativo di tipo privatistico, peraltro gia'  largamente
utilizzato per l'assolvimento di funzioni  pubblicistiche.  Funzioni,
queste, che - secondo il Presidente del Consiglio dei ministri -  non
sono  messe  in  discussione  dal  legislatore  delegato,  stante  il
carattere prevalente della CRI, di associazione di volontari.
    8.2.- L'Avvocatura generale contesta, altresi', il fatto  che  il
d.lgs. n. 178 del 2012 non offrirebbe  garanzie  di  continuita'  per
l'assolvimento delle funzioni tradizionalmente  affidate  alla  Croce
Rossa.
    Il trasferimento alla neoistituita Associazione della Croce Rossa
italiana di  tutti  i  beni  mobili  e  immobili  in  proprieta'  del
soppresso ente; cosi' come il subentro di essa in  tutti  i  rapporti
attivi e passivi pendenti;  o,  ancora,  i  contributi  versati  alla
stessa  da  parte  dello  Stato,  in   conseguenza   della   avvenuta
trasformazione, sono fattori che - secondo l'Avvocatura -  dovrebbero
consentire  alla  nuova  Associazione,   benche'   privatizzata,   di
assolvere quelle attribuzioni di rilievo  pubblico  che,  da  sempre,
caratterizzano  la  sua  attivita'.  Numerosi  eventi  smentirebbero,
peraltro, quanto affermato dal giudice a quo  e  dai  ricorrenti:  la
nuova Associazione privata, in piu' occasioni  (terremoti  del  2016,
valanga di Pescara del 2017, terremoto di Ischia del  2017),  avrebbe
svolto  tali  funzioni  in  modo  piu'  che   adeguato,   a   riprova
«dell'assoluta ragionevolezza delle scelte operate»  dal  legislatore
delegato.
    8.3.- L'Avvocatura generale contesta altresi' le affermazioni del
TAR  Lazio  e  della   difesa   dei   ricorrenti,   con   riferimento
all'ipotizzato eccesso di delega e alla asserita lesione degli  artt.
3 e 117 Cost. (in riferimento all'art.  1  Prot.  addiz.  CEDU),  per
supposta reformatio in peius del trattamento giuridico  ed  economico
del personale appartenente al Corpo militare della Croce Rossa.
    Quanto alla modalita' di tutela dei lavoratori, la  difesa  dello
Stato evidenzia il rispetto dei  principi  e  dei  criteri  direttivi
contenuti nella legge n. 183 del 2010. L'art. 2, comma 1, lettere  a)
e b), di tale legge ha previsto la «riorganizzazione»  degli  enti  e
«la razionalizzazione e l'ottimizzazione delle spese e dei  costi  di
funzionamento». Tra questi  obiettivi,  rientrerebbe  necessariamente
anche la riorganizzazione del personale, essendo «impensabile che  si
possa procedere ad una nuova configurazione o assetto di un soggetto,
e  non  importa  se  pubblico  o  privato,  senza  che  il  personale
dipendente sia  coinvolto  in  un  simile  meccanismo».  L'Avvocatura
evidenzia comunque che «la Croce Rossa Italiana ha  sempre  previsto,
nella  propria  compagine  associativa,  la  presenza  di  due  Corpi
ausiliari alle Forze armate, denominati, rispettivamente, Corpo delle
infermiere volontarie e Corpo militare. [...] Sebbene assoggettato al
codice militare, il personale del Corpo militare non ha alcun  legame
di appartenenza con le Forze armate e stante la prevista  e  delegata
riorganizzazione dell'ente, la riduzione dell'organico del  personale
militare in servizio attivo ben puo'  essere  considerato  rientrante
appieno  nell'esercizio  di  quei  poteri  che  ben  potevano  essere
esercitati anche in mancanza di una specifica previsione della  legge
di delegazione». In questo senso, viene precisato,  inoltre,  che  la
dotazione organica del personale del Corpo militare della  CRI  viene
demandata dal cod. ordinamento militare (art. 1627, comma 4)  ad  uno
strumento  amministrativo,  un  decreto  del  Ministro  della  difesa
adottato d'intesa con il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,
sulla base di una relazione fornita dal Presidente  dell'Associazione
della  CRI.  Sarebbe  percio'  evidente  come  la   possibilita'   di
razionalizzare tale categoria di  personale,  non  appartenente  alle
Forze armate («per il quale invece, ai sensi  dell'articolo  792  del
Codice dell'ordinamento  militare,  opera  una  riserva  assoluta  di
legge»), prescinda da una  preventiva  disposizione  del  legislatore
delegante.
    Nell'ottica di una razionalizzazione delle spese, poi, il Governo
ha previsto una sostanziale equiparazione del Corpo militare al Corpo
delle infermiere volontarie, denominandolo Corpo militare  volontario
e disponendo la sopravvivenza degli appartenenti a  questo  organismo
quale categoria in congedo  che  presta  servizio  volontariamente  e
gratuitamente. Cio' non innoverebbe particolarmente  la  realta'  del
Corpo militare, considerando che tale  categoria  di  personale  gia'
esiste nella posizione del "congedo" e costituisce il bacino  da  cui
la CRI da sempre attinge per  i  cosiddetti  richiami  temporanei  in
servizio (artt. 1668 e seguenti del d.lgs. n. 66 del 2010).
    8.4.- Quanto  alla  pretesa  deroga  ad  alcune  norme  del  cod.
ordinamento militare, l'Avvocatura generale ritiene che il giudice  a
quo abbia ricostruito erroneamente la vicenda relativa  alla  perdita
dello status di militare da parte del personale  del  Corpo  militare
volontario in congedo. Con la trasformazione del  Corpo  militare  in
Corpo militare volontario, ai sensi degli artt. 5 e 6 del  d.lgs.  n.
178 del 2012, il personale in congedo,  «all'atto  del  transito  nei
ruoli   del   personale   civile   dell'Associazione   o   di   altra
amministrazione», non e' stato privato del  grado  che,  per  ciascun
militare, al di fuori di specifici casi  (di  cui  all'art.  622  del
d.lgs. n. 66 del 2010) estranei  a  quello  in  esame,  ha  carattere
permanente. Detto personale, nonostante il  trasferimento  «in  altre
amministrazioni», conserverebbe la qualita' di militare in congedo e,
ai sensi dell'art. 1668 cod. ordinamento  militare,  potrebbe  sempre
essere  richiamato  in  servizio,  conservando  il  grado   rivestito
all'atto del collocamento in congedo e la possibilita' di avanzamento
a gradi superiori. L'unica modifica derivante dalla riforma in  esame
sarebbe  quindi  attinente  al  rapporto  di  servizio  attivo,   che
perderebbe il connotato "militare", ma senza  alcuna  ricaduta  sullo
status  del  personale  coinvolto.  La  censura  sarebbe  immotivata,
secondo l'Avvocatura, anche rispetto  al  trattamento  economico.  Al
personale  del  Corpo  militare  dipendente  della  CRI  compete   il
trattamento di cui all'art. 1757, comma 3, cod. ordinamento militare,
«ovvero quello  determinato  dalla  presidenza  dell'Associazione  in
analogia con quanto  previsto  per  il  personale  militare  e  delle
amministrazioni statali». La disciplina di cui al d.lgs. n.  178  del
2012 non avrebbe disatteso tale  disposizione,  ma,  anzi,  l'avrebbe
confermata prevedendo, indipendentemente  dal  trattamento  economico
dell'amministrazione  di  destinazione,  che  il  personale  militare
oggetto delle procedure di mobilita'  mantenesse  il  trattamento  in
godimento mediante un assegno ad personam, riassorbibile solo in caso
di  adeguamenti  retributivi.  Contrariamente  a   quanto   affermato
nell'ordinanza di rimessione, nessun dipendente militare  della  CRI,
al pari del personale civile,  avrebbe  subito  nocumento  sul  piano
economico o sarebbe costretto a fornire prestazioni professionali  da
lavoro dipendente a titolo gratuito.
    Quanto  alla  lamentata  assenza  di  «garanzia  di  progressione
economica commisurata al grado», l'Avvocatura precisa che, alla  data
di adozione del d.lgs. n. 178 del 2012, la progressione economica era
bloccata dall'art. 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30 luglio 2010, n. 122. In corrispondenza di tale blocco delle classi
e degli scatti  stipendiali,  il  legislatore  delegato  non  avrebbe
certamente potuto adottare  misure  maggiormente  favorevoli  per  il
personale della CRI, dovendo altresi' considerarsi  che  non  esiste,
secondo la giurisprudenza amministrativa, un «vero e proprio  obbligo
in capo alla PA di avviare procedure d'avanzamento,  cosi'  come  non
esiste - conseguentemente - un diritto soggettivo del dipendente alla
valutazione atteso che "le promozioni dei  pubblici  dipendenti  sono
disposte nel prevalente interesse dell'Amministrazione alla  migliore
utilizzazione del personale e alla piu' razionale organizzazione  dei
suoi uffici"».
    8.5.- Quanto all'asserita  mancanza  di  garanzie  rispetto  alle
funzioni  svolte  precedentemente  dal  personale   coinvolto   dalla
riforma, in riferimento ai criteri di equipollenza di cui all'art.  6
del d.lgs. n. 178 del 2012, l'Avvocatura generale  evidenzia  che  le
tabelle di equiparazione tengono conto dei dati oggettivi  riferibili
a ciascun dipendente militare. Tra questi, la suddivisione  in  gradi
risponde  ad  un   principio   immanente   ad   ogni   organizzazione
militarmente  ordinata,  in  quanto  funzionale  alla  determinazione
dell'ordine  gerarchico,  pur  non  individuando  ambiti   funzionali
precisi assimilabili a quelli previsti per il personale  civile.  Non
esisterebbe - secondo l'Avvocatura -  una  declinazione  normativa  o
regolamentare delle mansioni  che  competono  a  ciascun  grado  o  a
ciascuna  categoria,  il  che  non   renderebbe   possibile   nemmeno
astrattamente l'individuazione di ambiti funzionali omogenei  per  il
personale militare e civile  dell'Associazione.  Inoltre,  nel  corso
dell'adozione  del  d.P.C.m.  26   marzo   2016   si   e'   accertata
l'impossibilita' di prendere in considerazione,  quale  criterio  per
l'equiparazione, le mansioni  precedentemente  svolte  dal  personale
oggetto di riorganizzazione, a causa  di  una  estrema  diversita'  e
disomogeneita' dei  servizi  ai  quali,  nell'ambito  delle  numerose
attivita' riconducibili alla Croce Rossa, vengono adibiti militari di
pari  grado.  Cio'  premesso,  l'Avvocatura  ricorda   comunque   che
nell'ordinamento  militare  lo  svolgimento  di  mansioni  diverse  o
superiori rispetto a quelle  previste  per  il  grado  rivestito  non
comporta ne' il passaggio, ne'  l'automatica  progressione  al  grado
superiore, conseguendone che lo svolgimento di  mansioni  diverse  da
quelle astrattamente imposte ad un dato grado non assumerebbe  alcuna
rilevanza  ai  fini  del  collocamento  effettuato  al  momento   del
transito.
    9.- Con memoria depositata il 7 febbraio 2019, i  ricorrenti  del
giudizio principale, riproponendo in parte  argomenti  gia'  esposti,
hanno inteso replicare all'atto  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, insistendo per la fondatezza delle  questioni
sollevate.
    9.1.- Ad avviso delle parti,  la  consapevolezza  del  Parlamento
circa la situazione di dissesto economico-finanziario della  CRI  non
giustificherebbe   l'intervento   disposto   dal   Governo,    bensi'
avvalorerebbe le ragioni dell'ordinanza di rimessione, sostenute  dai
ricorrenti.  Afferma  la  difesa  dei  ricorrenti  che,  «qualora  il
Parlamento,   conscio   della    difficile    situazione    economica
dell'Associazione Italiana della Croce Rossa, avesse inteso  disporre
la privatizzazione dell'ente pubblico, [...] lo  avrebbe  chiaramente
disposto con la legge di delega».
    9.2.-   Viene   contestata,   altresi',   la   fondatezza   delle
argomentazioni utilizzate dall'Avvocatura generale  dello  Stato  per
dimostrare la continuita', da parte della  neoistituita  Associazione
di diritto privato, delle funzioni tradizionalmente  attribuite  alla
CRI. I riferimenti ad una adeguata gestione delle calamita' che hanno
colpito l'Italia negli ultimi anni non sarebbero - secondo la memoria
- completi ed esaurienti. Fino all'ottobre del  2018,  infatti,  tali
emergenze sono state gestite dall'Ente strumentale alla CRI (oggi  in
liquidazione coatta amministrativa), il quale avrebbe beneficiato  di
un  contingente  di  300  unita'  formato  dal  personale  del  Corpo
militare, che, pero', dal 1° ottobre 2018 ha cessato la sua esistenza
per effetto del d.lgs. n.  178  del  2012.  I  componenti  del  Corpo
militare sono quindi cessati  dal  servizio  attivo  e  collocati  in
congedo, destinati all'impiego in altre amministrazioni  pubbliche  e
non piu' a disposizione per future  situazioni  emergenziali.  Queste
ultime, se  nazionali,  potranno  comunque  beneficiare  di  mezzi  e
personale della Protezione civile o dei Vigili del  Fuoco;  in  campo
internazionale, al contrario, resteranno del tutto senza  ausilio  le
Forze armate.
    10.- In data 12 febbraio 2019, l'Avvocatura generale dello  Stato
ha  depositato  una  memoria,  insistendo  per  l'inammissibilita'  o
comunque per l'infondatezza delle questioni sollevate.
    10.1.- Preliminarmente, la difesa del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri eccepisce la tardivita' dell'intervento  ad  adiuvandum,
depositato in data 12  dicembre  2017  da  David  Ambrosini  e  altre
centoquindici persone. Osserva, inoltre, che l'intervento di  Massimo
Cipullo  e  altri,  depositato  il  30  ottobre  2017,  e'  parimenti
inammissibile, considerato che nell'atto non si fa  riferimento  alla
partecipazione  di  costoro  al  giudizio  principale,   ne'   appare
sussistere un interesse qualificato che consenta loro di  intervenire
nel giudizio incidentale.
    10.2.- Sempre in via preliminare, l'Avvocatura generale eccepisce
la  carenza  della  rilevanza  in  riferimento  alla  «questione   di
costituzionalita'     dell'intero     decreto     legislativo»     di
riorganizzazione della Croce Rossa.
    In particolare, osserva come l'ordinanza  di  rimessione  impugni
l'intero testo del d.lgs. n. 178 del 2012, tralasciando il  contenuto
dell'impugnativa del giudizio principale. Quest'ultimo,  infatti,  ha
un  oggetto  circoscritto   alla   legittimita'   dei   criteri   per
l'equiparazione del personale (gia') appartenente al Corpo militare a
quello civile; a questi fini non assumerebbe quindi rilievo  l'intero
testo legislativo  impugnato,  ne',  specificamente,  rileverebbe  la
norma che dispone la privatizzazione della  CRI.  Il  giudice  a  quo
sarebbe chiamato a dare applicazione alle sole norme  concernenti  il
personale dipendente e queste  ultime,  «pur  essendo  contenute  nel
medesimo  testo  legislativo,  costituiscono  [...]  una   componente
concettualmente e giuridicamente autonoma e distinta».
    In tal senso, l'Avvocatura esclude che  il  decreto  legislativo,
oggetto della censura, «presenti quell'omogeneita' di contenuto  che,
sola,  consente,  secondo  la  giurisprudenza  [costituzionale],   di
sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'intero corpus
normativo».
    10.3.- Un ulteriore profilo di inammissibilita' discenderebbe dal
carattere  perplesso  della  questione  concernente   la   violazione
dell'art. 76 Cost.:  da  un  lato,  infatti,  il  rimettente  lamenta
l'assenza  di  non  meglio  definite  garanzie  di  continuita'   per
l'assolvimento dei compiti istituzionali; dall'altro lato,  si  duole
della circostanza che la delega non potesse estendersi ad  interventi
di tipo soppressivo dell'Ente e all'istituzione di una nuova entita',
in forma associativa e di natura privata.
    10.4.- Nel merito delle questioni,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato si  sofferma,  dapprima,  sulle  censure  rivolte  all'«intero»
d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell'art.  7),  per  affrontare,
poi, le eccezioni di incostituzionalita' degli  artt.  5  e  6  della
medesima norma.
    10.5.-  Il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   ritiene
innanzitutto infondata la tesi - prospettata dal Tribunale rimettente
- secondo cui il d.lgs. nella sua interezza avrebbe violato l'art. 76
Cost., in ragione  dell'intervento  soppressivo  dell'ente  pubblico.
Analogamente al passato, la riforma in  esame  non  avrebbe  previsto
alcuna soppressione dell'Associazione  italiana  della  Croce  Rossa,
operante  sin  dal  1864:  «ben   diversamente   -   e   molto   piu'
semplicemente,  -  e'  stato  stabilito  il  solo  venir  meno  della
personalita' di diritto pubblico ed il contestuale acquisto di quella
di diritto privato». E cio'  analogamente  a  quando,  nel  1980,  la
stessa CRI fu  oggetto  di  una  trasformazione  da  associazione  di
diritto privato a «ente privato di  diritto  pubblico,  sotto  l'alto
patrocinio del  Presidente  della  Repubblica».  In  quell'occasione,
«benche' i criteri direttivi della legge di delegazione  23  dicembre
1978, n. 833 [...] nulla specificassero al riguardo,  il  legislatore
delegato si  e'  [...]  ritenuto  autorizzato  [...]  a  ritirare  la
personalita' di diritto  pubblico  e  a  riconoscere  contestualmente
l'ente come ente di diritto privato (art. 1 d.P.R. n. 613 del 1980)».
Lo stesso sarebbe avvenuto anche in altri casi (su tutti, si richiama
il «trasferimento alle Regioni  delle  funzioni  esercitate  da  enti
pubblici  nazionali  e  interregionali,  disposto  dalla   legge   di
delegazione legislativa 22 luglio 1975, n. 382»).
    10.6.-  L'infondatezza  della  questione   di   legittimita'   in
riferimento all'art.  76  Cost.  emergerebbe  anche  sotto  un  altro
profilo, tramite cui si dimostrerebbe come  l'intervento  governativo
abbia  trovato  in  realta'  «legittimazione   e   copertura,   anche
costituzionale, nelle leggi successive».
    Il decreto legislativo censurato dal TAR Lazio sarebbe -  secondo
l'Avvocatura - il  frutto  di  una  serie  di  novelle  disposte  dal
legislatore ordinario (intervenuto, in materia, con il  decreto-legge
31  agosto  2013,  n.  101,  recante  «Disposizioni  urgenti  per  il
perseguimento  di  obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche
amministrazioni»,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  30
ottobre 2013, n. 125, e con il decreto-legge  31  dicembre  2014,  n.
192,  recante  «Proroga   di   termini   previsti   da   disposizioni
legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 27  febbraio
2015, n. 11). Tali atti hanno differito il  termine  entro  il  quale
sarebbe   dovuto   avvenire   il   trasferimento    delle    funzioni
dell'associazione della CRI - persona giuridica di diritto pubblico -
alla costituenda  persona  giuridica  di  diritto  privato  (dapprima
disposto al 1° gennaio 2015 e, poi, al 1° gennaio 2016). In tal modo,
il Parlamento avrebbe cosi' manifestato «una volonta'  che  non  puo'
essere logicamente limitata al solo differimento del termine entro il
quale avrebbe dovuto aver luogo il trasferimento [...], ma  che  deve
logicamente intendersi estesa al fatto, in se' e per se' considerato,
del trasferimento delle funzioni dal precedente  ente  pubblico  alla
associazione privata».
    10.7.- Parimenti prive di fondamento vengono  ritenute  anche  le
censure che l'ordinanza di rinvio muove all'intero testo del  decreto
legislativo  (ad   eccezione   dell'art.   7),   sotto   il   profilo
dell'insufficienza  dei  mezzi  apprestati  per   l'esercizio   delle
funzioni trasferite all'associazione di  diritto  privato.  In  primo
luogo l'Avvocatura denuncia  la  possibile  inammissibilita'  di  una
simile censura, considerando che l'ordinanza, rivolgendosi all'intero
testo dell'atto e dolendosi per l'omissione di un contenuto normativo
costituzionalmente   necessario,   non   indicherebbe    i    termini
dell'addizione richiesta. Inoltre,  si  chiederebbe  cosi'  a  questa
Corte  di  compiere  scelte  ritenute  tipicamente   riservate   alla
discrezionalita' del legislatore.
    Ad avviso dell'Avvocatura, il giudice a quo, quando  afferma  che
il d.lgs. n. 178 del 2012 non contiene alcuna specifica  disposizione
a  tutela  dell'assegnazione  a   regime   di   risorse   sufficienti
all'Associazione Croce Rossa Italiana, non spiega la ragione di  tale
inadeguatezza ai fini  dell'assolvimento  delle  funzioni  attribuite
alla stessa, ne' viene formalmente contestato come la  smobilitazione
delle risorse di  gran  parte  del  personale  abbia  compromesso  la
prosecuzione della CRI. Fermo restando che, secondo l'Avvocatura, non
vi sarebbero insufficienti risorse per la CRI, la totale infondatezza
della  censura  sarebbe  dimostrata  dalle  molteplici  attivita'  di
interesse pubblico poste in essere dalla  neoistituita  Associazione,
riepilogate  in  un  documento  che  viene  allegato  alla   memoria,
denominato «Appunto relativo alle attivita' svolte  dall'Associazione
Croce  Rossa  italiana  a  seguito  dell'attuazione  del  d.lgs.   28
settembre 2018, n. 28». Da questo emergerebbe «in modo  assolutamente
evidente ed inconfutabile il fatto che dopo la  sua  privatizzazione,
l'Associazione della Croce Rossa  italiana  ha  aumentato  il  numero
complessivo dei servizi garantiti, a  fronte  di  una  riduzione  dei
costi e di un incremento dell'efficienza delle attivita' di  pubblico
interesse svolte per legge, senza  alcuna  soluzione  di  continuita'
rispetto al pregresso».
    10.8.-  L'Avvocatura  contesta,  infine,  la   fondatezza   delle
autonome censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012.
    10.9.- Quanto al processo di smilitarizzazione e di ridefinizione
del trattamento economico del personale militare in servizio, attuato
asseritamente in deroga  al  cod.  ordinamento  militare,  la  difesa
dell'interveniente contesta la ricostruzione data  dall'ordinanza  di
rimessione.
    Sin dal regio  decreto  10  febbraio  1936,  n.  484  (Norme  per
disciplinare lo stato giuridico, il reclutamento, l'avanzamento ed il
trattamento economico ed amministrativo  del  personale  della  Croce
Rossa Italiana), era stabilito (art. 1) che «[p]er  il  funzionamento
dei suoi servizi del tempo di pace e del tempo  di  guerra  la  Croce
rossa italiana» arruolasse un proprio personale direttivo (ufficiali)
e di assistenza (sottufficiali e truppa), che costituisse  «un  corpo
speciale volontario, ausiliario delle forze armate dello  Stato».  In
virtu'  di  tale  disciplina  (ora  ricalcata  dal  cod.  ordinamento
militare) si prevedevano appositi ruoli di anzianita'  nei  quali  il
personale volontario della Croce Rossa veniva iscritto  e  dai  quali
erano tratti i nominativi di coloro che venivano chiamati in servizio
per lo svolgimento delle  funzioni  dell'associazione.  Le  chiamate,
secondo la disciplina del 1936, rimasta in vigore sino all'entrata in
vigore del d.lgs.  n.  66  del  2010,  erano  disposte  con  precetto
autorizzato dal «presidente Generale» (art. 29 del r.d.  n.  484  del
1936, oggi ricalcato dall'art. 1668 del d.lgs. n. 66 del 2010).
    L'Avvocatura generale dello Stato illustra come, nella logica del
personale ausiliario, alla chiamata in  servizio  corrispondesse,  al
venire  meno  delle   esigenze   che   l'avevano   giustificata,   il
collocamento  in  congedo  con  corresponsione   della   retribuzione
limitata al tempo dell'effettivo servizio.
    E' pero' avvenuto che, a fronte di casi di  servizio  prolungato,
si siano succedute una serie di leggi  che  hanno  condotto  «ad  una
consistenza del Corpo militare della  Croce  Rossa  di  piu'  di  800
unita' in servizio continuativo». Si spiegherebbe  allora  il  motivo
dell'intervento del legislatore delegato, che ha voluto  ripristinare
il carattere originario dell'apporto del Corpo militare  fondato  sul
principio della chiamata in servizio  in  dipendenza  e  in  funzione
delle contingenti esigenze di soccorso e di  aiuto  umanitario.  Tale
processo non comporterebbe un  "allontanamento"  o  una  "esclusione"
dalle Forze armate di personale militare di carriera, che  in  queste
e'  entrato  in  seguito  ad  ordinarie  procedure   concorsuali   di
reclutamento,  bensi'  la  perdita  di  uno  status  giuridico   solo
assimilato a quello militare ai fini  dell'adeguamento  a  specifiche
previsioni  delle  Convenzioni  di  Ginevra.  Quest'ultima,  infatti,
impone al personale delle societa' nazionali  della  Croce  Rossa  di
essere sottoposto a leggi e regolamenti militari. In  forza  di  tale
vincolo, l'Italia, da tempo risalente, prevede che gli  iscritti  nei
ruoli dell'Associazione, una volta "chiamati in servizio",  diventino
"militari"; e da qui deriva anche la scelta del legislatore nazionale
di considerare il personale in questione parte di un  apposito  Corpo
militare. Cio' premesso, il personale della Croce Rossa che fa  parte
di tale corpo «non e' dunque "militare" perche' appartiene alle Forze
armate,  ma  perche'  fa  parte  di  un  corpo  speciale   volontario
ausiliario  delle  Forze  armate,  costituito   dalla   Croce   rossa
italiana». E' dunque a tutti gli effetti appartenente a  quest'ultima
e, conformemente a cio', il d.lgs. n. 178 del 2012 mantiene il «Corpo
militare  volontario»  costituito  esclusivamente  da  personale   in
congedo il cui servizio e' reso gratuitamente.
    10.10.- L'Avvocatura generale dello Stato nega, da ultimo, che vi
sia un contrasto tra la riforma oggetto di censura  e  la  protezione
della proprieta' apprestata dall'art. 1 Prot.  addiz.  CEDU.  Sarebbe
pacifico che le ingerenze nei «beni» tutelati da  detta  disposizione
sono  consentite  a  condizione  che  siano  legali  e  proporzionate
rispetto ai fini che si  pone  l'intervento  pubblico.  Nel  caso  di
specie,  queste  condizioni  sarebbero  «pienamente  soddisfatte  dal
momento che l'intervento del quale si discute e' stabilito sulla base
della legge, nell'ottica del migliore bilanciamento delle esigenze di
riorganizzazione e di risparmio della pubblica amministrazione con la
tutela della posizione del personale gia' in servizio  presso  l'Ente
oggetto di riforma». Prova ne e' - continua l'Avvocatura -  che,  pur
incidendo  sullo  stato  giuridico  dei  lavoratori,  la  riforma  ne
salvaguarda la posizione economica, attraverso un assegno ad personam
riassorbibile solo in caso di adeguamenti retributivi.
    11.- In prossimita' dell'udienza pubblica, in  data  25  febbraio
2019,  hanno  depositato,  fuori  termine,  atto  di  intervento   ad
adiuvandum Luigi Siciliano e altre due persone.

                       Considerato in diritto

    1.- Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017),
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,  sezione  terza,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  2,
3, 4 e 8, nonche', anche autonomamente, degli artt. 5 e 6 del decreto
legislativo 28 settembre  2012,  n.  178,  recante  «Riorganizzazione
dell'Associazione  italiana  della  Croce  Rossa  (C.R.I.)  a   norma
dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per  violazione
degli artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all'art. 2  della
legge 4 novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie  di  lavoro),  nonche'  per
violazione degli articoli 3, 97 e  117  (recte:  primo  comma)  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia   dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo
1952 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848.
    2.-  Il  rimettente  censura,   in   sostanza,   sia   l'impianto
complessivo del d.lgs.  n.  178  del  2012  (e,  quindi,  il  decreto
legislativo nella sua interezza, ad eccezione dell'art.  7),  sia  le
specifiche disposizioni che attengono alla riorganizzazione del corpo
militare della Croce Rossa italiana. A suo  avviso,  l'art.  2  della
legge n. 183 del 2010 avrebbe conferito  al  Governo  una  delega  di
riordino,  che  non  avrebbe  consentito  in  alcun  modo  interventi
innovativi o soppressivi degli enti da riorganizzare.  Il  d.lgs.  n.
178  del  2012  avrebbe  invece  operato  «un'integrale  rinnovazione
strutturale  per  quanto  riguarda  la  Croce  rossa  Italiana»,  con
soppressione  e  liquidazione  dell'ente   pubblico   e   contestuale
istituzione di una persona giuridica di diritto privato, che ha preso
il nome di Associazione della Croce Rossa italiana. A tal riguardo, e
con particolare riferimento alle  modalita'  di  finanziamento  della
neoistituita Associazione, definite sulla base  di  criteri  adottati
dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro  dell'economia
e delle finanze e con il Ministro della difesa, in assenza di precisi
parametri  che  garantiscano,  tramite  la   copertura   finanziaria,
l'effettivo  espletamento   delle   funzioni,   il   citato   decreto
legislativo  sarebbe  illegittimo  anche  per  aver  realizzato   una
parziale sub-delega della funzione  normativa  affidata  al  Governo,
demandando  ad  atti  ministeriali  aspetti  essenziali  della  nuova
disciplina.
    2.1.- In senso analogo, gli artt. 5 e 6 del d.lgs. censurato, che
sanciscono la smilitarizzazione e la  ridefinizione  del  trattamento
economico del personale del Corpo militare della  CRI,  in  implicita
deroga ad alcune disposizioni del decreto legislativo 15 marzo  2010,
n.  66  (Codice  dell'ordinamento   militare),   si   porrebbero   in
irrimediabile contrasto «con i principi e criteri direttivi,  di  cui
all'art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega, che lascia "ferme
[...] le specifiche disposizioni vigenti per il [...]  personale,  in
servizio alla data di entrata in vigore della presente legge"».
    Inoltre,  il  processo  di  riorganizzazione  della  Croce  Rossa
italiana nel suo complesso avrebbe leso gli artt. 3  e  97  Cost.,  a
causa della notevole riduzione di risorse, che  impedirebbe  all'Ente
strumentale (e, poi, all'Associazione della Croce Rossa italiana), di
svolgere le attivita' di interesse  pubblico  indicate  dall'art.  1,
comma  4,  del  d.lgs.  n.  178   del   2012.   Con   riguardo   alla
riorganizzazione del personale militare (e, dunque, agli artt. 5 e  6
del decreto legislativo censurato), il trasferimento al ruolo  civile
del personale militare sarebbe causa di illegittimita' costituzionale
per  l'assenza  di  «progressione  economica  commisurata  al   grado
rivestito»,  e  di  «garanzie  di  conservazioni  delle  funzioni  in
precedenza   attribuite».   Inoltre,    sarebbe    costituzionalmente
illegittima la sua destinazione ad altra amministrazione, in caso  di
mancata inclusione nel personale della nuova Associazione, a  seguito
delle procedure di mobilita', «senza  alcun  richiamo  a  comparti  o
settori dell'amministrazione stessa, in  cui  si  svolgano  attivita'
comparabili con quelle del personale di cui trattasi, in possesso  di
specifica professionalita' per situazioni di emergenza».
    2.2.- In chiusura, il rimettente evoca l'art. 117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 1, paragrafo 1, Prot.  addiz.  CEDU,  il
quale garantirebbe «i beni delle persone fisiche e giuridiche in  una
accezione, gia' ricondotta dalla giurisprudenza alla  titolarita'  di
qualsiasi diritto, o di mero interesse di valenza patrimoniale [...],
anche per quanto attiene alle modalita' di tutela dei lavoratori, con
riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro».
    3.- In via preliminare, in accoglimento delle eccezioni sollevate
dalla Avvocatura generale dello Stato, va ribadita,  per  le  ragioni
esposte nell'ordinanza letta nel corso dell'udienza  pubblica  del  5
marzo 2019 e allegata alla presente  sentenza,  la  dichiarazione  di
inammissibilita' dell'intervento ad adiuvandum di David  Ambrosini  e
altri centoquindici soggetti privati, spiegato il 12  dicembre  2017,
oltre  il  termine  previsto  dall'art.  4,  comma  4,  delle   Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nonche',
limitatamente a Massimo Cipullo e altri ventiquattro soggetti che non
risultano parti del giudizio principale,  dell'intervento  depositato
il 30 ottobre 2017.
    4.-  Deve  essere  segnalato  che,  successivamente  al  deposito
dell'ordinanza di rimessione, il censurato d.lgs. n. 178 del 2012  e'
stato modificato dall'art. 16, comma 1, del decreto-legge 16  ottobre
2017, n. 148 (Disposizioni  urgenti  in  materia  finanziaria  e  per
esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 4
dicembre 2017, n. 172. Le modifiche hanno riguardato il  procedimento
di liquidazione dell'Ente strumentale, i  soggetti  incaricati  della
gestione liquidatoria, l'estinzione dei residui attivi e passivi  dei
comitati territoriali, il passaggio di proprieta' dei beni  dall'Ente
strumentale   all'Associazione,   mentre   e'   rimasta    inalterata
l'indicazione della sua liquidazione con  relativo  dies  a  quo  (1°
gennaio 2018).
    Inoltre, i commi 1-bis e 1-ter del menzionato art.  16,  pur  non
modificando direttamente l'atto impugnato, hanno  aggiunto  ulteriori
possibili  destinazioni  per  il  personale  eccedente   soggetto   a
procedure  di  mobilita',  consentendo  agli  appartenenti   all'area
professionale e medica di essere collocato, a domanda, «nel  rispetto
della  disponibilita'  in  organico  e  delle  facolta'  assunzionali
previste a legislazione vigente, nell'ambito  della  dirigenza  delle
professionalita' sanitarie del Ministero della salute e  dell'Agenzia
italiana   del   farmaco,   nell'ambito   della   dirigenza    medica
dell'Istituto  nazionale  per  la  promozione  della   salute   delle
popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Poverta'
limitatamente al personale appartenente all'area  medica  di  seconda
fascia di cui al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al
personale  dirigente  dell'area  VI  per  il  quadriennio  2002-2005,
nonche'  nell'ambito  della  dirigenza  medica  e  della  professione
infermieristica dell'Istituto superiore  di  sanità-Centro  nazionale
per i trapianti (CNT)  e  Centro  nazionale  sangue  (CNS),  e  delle
qualifiche di ricercatore e tecnologo degli enti di  ricerca»  (comma
1-bis). E' stato altresi' specificato che «[i]l personale della  CRI,
di  cui  al  comma  1-bis,  che  abbia  svolto  compiti  e   funzioni
nell'ambito della  sanita'  pubblica  puo'  essere  inquadrato  nelle
amministrazioni  di  destinazione  anche  se  e'   in   possesso   di
specializzazione  in  disciplina  diversa  da  quella  ordinariamente
richiesta per il predetto inquadramento» (comma 1-ter).
    4.1.- Come si  evince  dal  tenore  delle  citate  modifiche,  il
menzionato ius superveniens non incide sulla sostanza delle questioni
prospettate, ne' giustifica una pronuncia  di  restituzione  atti  al
rimettente. Come questa Corte ha  gia'  affermato,  «non  ogni  nuova
disposizione che modifichi, integri  o  comunque  possa  incidere  su
quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalita' richiede
una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di
ammissibilita' della questione e segnatamente della sua  rilevanza  e
della  non  manifesta  infondatezza   dei   dubbi   di   legittimita'
costituzionale espressi dal giudice rimettente» (sentenza n. 125  del
2018).
    Cio' che rileva, infatti, e' che «permang[a]no le valutazioni del
giudice  rimettente  in  termini  di  rilevanza   e   non   manifesta
infondatezza della questione»,  in  misura  tale  da  non  «mutare  i
termini della questione cosi' come e' stata posta dal giudice a  quo»
(sentenza n. 125 del 2018; nello stesso senso le sentenze n. 194 e n.
33 del 2018).  Le  censure  promosse  dal  rimettente,  avanzate  per
eccesso di delega e violazione  del  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione, non sono interessate dalle modifiche intervenute, le
quali lasciano intatto il significato  delle  disposizioni  impugnate
rispetto agli evidenziati profili di illegittimita' costituzionale.
    5.- Prima di entrare nel merito  delle  questioni  sollevate  dal
rimettente, occorre soffermarsi sulle eccezioni  di  inammissibilita'
proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
    5.1.- In primo  luogo,  la  difesa  dell'interveniente  sostiene,
nella sua memoria illustrativa, che le questioni promosse sull'intero
testo del d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell'art. 7) sarebbero
inammissibili per difetto di rilevanza.  Il  giudice  a  quo  sarebbe
chiamato ad applicare solo la normativa  relativa  al  personale  del
corpo militare, che rappresenta  una  parte  settoriale  e  piuttosto
specifica del decreto legislativo  volto  alla  trasformazione  della
CRI.
    5.1.1.- L'eccezione non e' fondata.
    Non vi e' dubbio che,  nel  giudizio  principale,  il  rimettente
debba pronunciarsi sulla legittimita' del decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri  25  marzo  2016  (pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, serie generale n. 155 del 2016),  recante
«Criteri e modalita' di equiparazione fra i livelli di  inquadramento
del personale gia' appartenente al Corpo militare e  quelli  previsti
dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a
tempo determinato della associazione  italiana  della  Croce  Rossa»,
adottato nell'ambito della trasformazione della CRI da ente  pubblico
non economico ad associazione dotata  di  personalita'  giuridica  di
diritto privato, la cui entrata in vigore ha rappresentato, ai  sensi
dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, il dies a  quo  del
collocamento in congedo e del  trasferimento  nel  ruolo  civile  del
personale appartenente al Corpo militare della  CRI,  previsti  dagli
artt. 5 e 6 del medesimo d.lgs.
    Cio' nonostante, il trasferimento al ruolo civile  del  personale
militare si trova in connessione teleologica rispetto al processo  di
trasformazione disposto dal d.lgs. n. 178 del 2018.  Le  disposizioni
del censurato decreto sono tutte avvinte dalla finalita'  complessiva
di rivedere e razionalizzare la  struttura  pubblicistica  dell'ente,
per cui anche  le  disposizioni  censurate  che  non  attengono  alla
riorganizzazione del Corpo militare influenzano la definizione  dello
status  dei  ricorrenti,  oggetto  di  contestazione   nel   giudizio
principale.   Non   puo'   contestarsi,   dunque,   che   l'eventuale
accoglimento   delle   questioni   di   legittimita'   costituzionale
prospettate dal rimettente abbia  l'effetto  di  ripercuotersi  sulla
sfera giuridica delle parti del processo a quo (sentenze n.  337  del
2008 e n. 303 del 2007).
    5.2.- Il Presidente  del  Consiglio  ha  proposto  una  ulteriore
eccezione di inammissibilita', ritenendo che la  questione  sollevata
sull'intero decreto legislativo per violazione dell'art. 76 Cost. sia
perplessa.  Ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,   il
rimettente lamenterebbe, da un lato,  l'intervenuta  privatizzazione,
dall'altro l'assenza di non meglio definite «garanzie di  continuita'
per l'assolvimento dei compiti istituzionali».
    5.2.1.- L'eccezione non e' fondata.
    L'asserita  violazione  dell'art.   76   Cost.   e'   argomentata
univocamente dal giudice a quo, il quale insiste a piu'  riprese  sul
sospetto eccesso di delega realizzato dal complessivo  intervento  di
riforma della CRI rispetto all'art. 2 della legge n. 183 del 2010. Il
rimettente ritiene chiaramente che la decisione di trasformare l'ente
in una persona giuridica di diritto privato si ponga al di fuori  del
novero delle scelte consentite dal Parlamento.
    Di  qui  la  non  fondatezza  della  prospettata   eccezione   di
inammissibilita'.
    6.-  Questa  Corte  non  puo'  invece  esimersi   dal   rilevare,
d'ufficio, l'inammissibilita' delle censure  rivolte  dal  rimettente
all'«intero» d.lgs. n. 178 del 2012, nonche' agli artt.  5  e  6  del
medesimo decreto, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione  all'art.  1  Prot.  addiz.   CEDU,   per   genericita'   e
insufficiente motivazione circa l'asserito contrasto con il parametro
interposto.
    Tali censure, riportate in chiusura dell'ordinanza di rimessione,
sono prive di un adeguato supporto  argomentativo.  Il  principio  di
diritto, che il rimettente trae dall'art. 1  Prot.  addiz.  CEDU,  e'
riportato in via assertiva,  senza  alcun  riferimento  alle  plurime
accezioni che il termine  «beni»  e'  suscettibile  di  assumere  nel
sistema convenzionale e alle modalita'  lesive  che  le  disposizioni
impugnate avrebbero portato alla garanzia convenzionale. Non  risulta
motivata, dunque,  la  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
prospettate (ex multis, sentenze n. 160 e n. 27 del 2018 e  ordinanza
n. 191 del 2018).
    7.- Nel merito, e' opportuno sintetizzare i tratti salienti della
evoluzione normativa che ha interessato la CRI, nonche' il  contenuto
della riforma operata dal d.lgs. n. 178 del 2012.
    7.1.- Organizzazione dai notevoli trascorsi storici,  la  CRI  fu
fondata nel 1864 (e  denominata  Associazione  italiana  della  Croce
Rossa) nell'ambito di un movimento di  opinione  che  aveva  portato,
appena un anno prima, alla fondazione a Ginevra di  una  associazione
di diritto privato, regolata dal diritto civile svizzero,  che  prese
il nome di Comitato internazionale per il soccorso dei feriti  e  dei
malati (ribattezzato, a partire  dal  1876,  Comitato  internazionale
della Croce Rossa, soggetto che oggi concorre a formare, insieme alle
societa' nazionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa  e  alla
Federazione internazionale,  ente  di  coordinamento  delle  societa'
nazionali, il Movimento internazionale della Croce Rossa).
    La Croce Rossa fu eretta in ente morale con il  regio  decreto  7
febbraio 1884, n. 1243 (che  erige  in  Corpo  morale  l'Associazione
italiana della Croce  Rossa),  e  posta  sotto  la  sorveglianza  dei
«ministri della  guerra  e  della  marina»  (art.  1).  Poteva  cosi'
mantenere la  natura  di  persona  giuridica  di  diritto  privato  e
sottrarsi  alla  trasformazione  delle  opere  pie   in   istituzioni
pubbliche di beneficienza, e  quindi  in  enti  pubblici,  effettuata
qualche anno dopo dalla legge 17 luglio 1890, n.  6972  (Sulle  Opere
Pie), piu' volte riformata negli anni successivi.
    Durante il regime fascista,  furono  adottate  normative  che  ne
misero sempre piu' in ombra la vocazione associativa fino a favorirne
la collocazione tra gli enti pubblici parastatali: in tale  direzione
si  mossero  il  regio  decreto-legge  10  agosto   1928,   n.   2034
(Provvedimenti necessari per assicurare il funzionamento della  Croce
Rossa Italiana), cui seguira' il regio decreto 21  gennaio  1929,  n.
111 (Approvazione dello statuto organico  dell'Associazione  italiana
della Croce Rossa); ma gia' prima il  regio  decreto-legge  6  maggio
1926, n. 870 (Provvedimenti relativi agli  atti  di  alcuni  istituti
parastatali e di  altri  Enti),  nel  disciplinare  in  via  generale
l'efficacia degli atti  di  alcuni  enti  pubblici,  annoverava,  tra
questi, anche la CRI.
    Nel dopoguerra, in un contesto fortemente  segnato  dagli  eventi
bellici del secondo conflitto mondiale, il  decreto  legislativo  del
Capo provvisorio dello Stato  13  novembre  1947,  n.  1256  (Compiti
dell'Associazione italiana della Croce Rossa in tempo  di  pace),  si
limitava a ridefinire i compiti dell'ente in tempo di pace, ma in una
prospettiva che ne valorizzava la funzione sussidiaria di assistenza.
    Le quattro Convenzioni  di  Ginevra  del  1949,  le  quali  hanno
contribuito  a  delineare  l'intelaiatura  fondamentale  del  diritto
internazionale umanitario, ratificate e rese esecutive dalla legge 27
ottobre  1951,  n.  1739,  firmate  a  Ginevra  l'8   dicembre   1949
(Convenzione relativa  al  trattamento  dei  prigionieri  di  guerra;
Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei  malati
delle Forze armate in  campagna;  Convenzione  per  il  miglioramento
della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate
di mare; Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in
tempo  di  guerra),  facevano  riacquistare  alla  CRI  una  spiccata
dimensione  internazionale.  In  tempo  di  guerra,  infatti,   quale
societa' nazionale della  Croce  Rossa,  riconosciuta  e  autorizzata
dallo Stato di appartenenza, essa e' chiamata  a  svolgere  attivita'
umanitaria in favore dei militari feriti, ammalati  o  nei  confronti
dei  naufraghi,  porta   legittimamente   l'emblema   del   Movimento
internazionale e beneficia, di conseguenza,  di  tutte  le  immunita'
riconosciute alle formazioni sanitarie  degli  eserciti  belligeranti
(art. 26 della Convenzione  per  il  miglioramento  della  sorte  dei
feriti e dei malati delle Forze armate in  campagna;  art.  64  della
Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in tempo di
guerra).
    La CRI, originariamente composta da  un  comitato  centrale,  dai
comitati provinciali e dai sottocomitati, veniva posta nel 1962 sotto
l'alto patronato del Presidente della Repubblica. In particolare,  la
legge  13  ottobre   1962,   n.   1496   (Modifiche   all'ordinamento
dell'Associazione  italiana  della  Croce  Rossa)  ne  riformava   il
vertice,  consistente  in  un  consiglio   direttivo   composto   dal
presidente generale (che la stessa legge si premurava di  equiparare,
come rango, al grado di generale  di  corpo  d'armata)  e  da  dodici
consiglieri, nominati, per la meta', su proposta del  Ministro  della
sanita' di concerto con il Ministro della difesa.
    Solo nel 1978, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione
del servizio sanitario nazionale), il legislatore tentava di superare
l'assetto  ancipite  dell'ente  pubblico,  ma  a  base   associativa,
delegando al  Governo  il  compito  di  ristrutturare  l'associazione
italiana  della  Croce  Rossa,  in  conformita'  con   il   principio
volontaristico  dell'associazione  stessa  e   in   «relazione   alle
finalita'  statutarie  e  agli  adempimenti  commessi  dalle  vigenti
convenzioni e risoluzioni internazionali e dagli organi  della  Croce
Rossa internazionale alle societa' di Croce  Rossa  nazionali»  (art.
70, terzo comma). La stessa legge poneva altresi'  le  basi  per  una
articolazione  regionale  dell'ente,  disponendo   la   gratuita'   e
l'elettivita' delle cariche.
    In conseguenza della citata legge delega  n.  833  del  1978,  il
d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613,  recante  «Riordinamento  della  Croce
Rossa italiana (art. 70  della  legge  n.  833  del  1978)»,  che  ha
disciplinato l'ente fino al decreto legislativo oggetto  dell'odierno
giudizio di costituzionalita', pur accentuando i compiti di direzione
e vigilanza sull'ente in capo al Ministro della sanita', definiva  la
Croce Rossa,  nell'ottica  di  una  valorizzazione  della  componente
volontaristica  e  associativa,  quale  «ente  privato  di  interesse
pubblico»,  stabilendo  altresi'  che  la  rinnovata   trasformazione
privatistica sarebbe intervenuta  «a  seguito  dell'approvazione  del
nuovo statuto» (art. 1). Tale  statuto,  che  avrebbe  dovuto  essere
approvato entro il 30 giugno 1981 (art. 3), tuttavia non e' mai stato
approvato e nel 1995 la CRI e' tornata ad essere un «ente  dotato  di
personalita'  giuridica  di  diritto  pubblico»  (per  effetto  della
modifica apportata all'art. 1 del d.P.R. n. 613 del 1980 dall'art.  7
del decreto-legge 20 settembre 1995, n. 390,  recante  «Provvedimenti
urgenti in materia di prezzi di specialita'  medicinali,  nonche'  in
materia sanitaria», convertito, con  modificazioni,  nella  legge  20
novembre 1995, n. 490).
    7.2.- Le vicende che hanno  segnato  l'organizzazione  della  CRI
interessano anche la disciplina dei rapporti  di  impiego  instaurati
nell'ambito dell'ente e,  in  particolare,  l'assetto  del  personale
militare ausiliario.  Tradizionalmente,  all'interno  della  CRI,  il
personale era organizzato  in  due  sotto-ordinamenti  particolari  e
derivati.
    Il primo di questi, non modificato dal censurato  d.lgs.  n.  178
del 2012,  ricomprende  il  Corpo  delle  infermiere  volontarie  (in
origine regolato dall'art. 8 del r.d.l. n. 2034 del 1928), che presta
servizio non retribuito; in aggiunta ad esse, l'ente si e' avvalso di
infermiere professionali, assunte mediante  contratto  di  lavoro  di
diritto privato e percio' retribuite.
    Il   secondo   sotto-ordinamento   ricomprendeva   il   personale
mobilitato per servizio della Croce Rossa in tempo  di  guerra  o  in
occasione di pubbliche calamita' (in origine disciplinato dall'art. 7
del r.d.l. n. 2034 del 1928 e dal regio decreto 10 febbraio 1936,  n.
484,  recante  «Norme  per  disciplinare  lo  stato   giuridico,   il
reclutamento,  l'avanzamento   ed   il   trattamento   economico   ed
amministrativo del personale della Croce Rossa Italiana»).  In  dette
circostanze  straordinarie,  la  CRI  disponeva  di  un  «potere   di
arruolamento» per  i  necessari  servizi  sanitari  e  assistenziali,
chiamando  a   se'   un   apposito   personale   volontario   formato
essenzialmente da cittadini esenti da obblighi di leva o di  chiamata
per i servizi di guerra.
    Gli  arruolati  della  CRI   costituivano   un   corpo   speciale
volontario, ausiliario delle forze sanitarie militari dello Stato,  i
cui componenti rivestivano i gradi secondo  l'importanza  delle  loro
funzioni, risultavano sottoposti alla disciplina militare e al codice
penale  militare  di  guerra  e  si  distinguevano   in   «ufficiali»
(personale  direttivo)  e  in  «sottufficiali  e  truppa»  (personale
sanitario). Le chiamate in servizio venivano effettuate con  precetto
del «presidente generale» della CRI (art. 29  del  r.d.  n.  484  del
1936), e il servizio prestato in tempo di guerra o di calamita' nella
CRI veniva equiparato, ai fini civili e amministrativi,  al  servizio
prestato  nelle  Forze  armate  dello   Stato,   dando   luogo   alle
corrispondenti    qualifiche    degli    appartenenti    all'esercito
combattente.
    7.2.1.- Tale assetto, basato sia  su  apporti  volontari  sia  su
personale  delle  Forze  armate  temporaneamente  assegnato   (spesso
proveniente dai ranghi della "Sanita' militare" delle tre  Armi),  ha
subito negli anni Ottanta del secolo scorso un progressivo  mutamento
quando, a fronte di casi di servizio  prolungato,  vennero  approvate
numerose  norme  che  provvedevano  a  incardinare,  ope  legis,   il
personale (militare e civile) che aveva prestato servizio  temporaneo
nella CRI nell'organico del medesimo ente. Tra esse, l'art. 6,  comma
17, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 1986)»; l'art. 12 della legge 28 ottobre  1986,  n.  730,
recante «Disposizioni in materia di calamita' naturali»;  l'art.  24,
comma 8, della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
finanziaria 1988)»; il decreto del  Ministro  della  sanita'  del  12
febbraio 1988, recante «Affidamento all'Associazione  italiana  della
Croce Rossa del servizio di pronto soccorso sanitario negli aeroporti
civili ed in quelli aperti al traffico  civile  direttamente  gestiti
dallo Stato».
    I beneficiari di tali misure sono  stati  cosi'  progressivamente
incardinati nella CRI, tanto che questa Corte, sotto la  vigenza  del
d.P.R. n. 613 del 1980, adita nell'ambito di un procedimento attivato
da  alcuni  sottoufficiali  dell'ente  per  ottenere   la   «perfetta
equiparazione  giuridica  ed  economica»  al  personale  delle  Forze
armate, ha affermato che «il personale  militare  della  Croce  rossa
italiana non appartiene alle Forze armate o  alle  Forze  di  polizia
dello Stato [...], essendo [...] personale non dello Stato, ma di  un
ente» (ordinanza n. 273 del 1999). Infatti, il «corpo militare  della
CRI, corpo speciale volontario, ausiliario delle Forze armate,  [...]
non facente parte integrante  delle  stesse  Forze  armate  ancorche'
sottoposto alle norme del regolamento di  disciplina  militare  ed  a
quelle  sostanziali  del  codice  penale  militare  ed  obbligato  al
giuramento, ha mantenuto - in forza del disposto degli artt. 10 e  11
del d.P.R. n. 613 del 1980 - la sua [...]  collocazione»,  confermata
dalla «dipendenza dell'autorita' di vertice  del  corpo  direttamente
dal presidente nazionale dell'Associazione, salvo che nei periodi  di
mobilitazione» (ordinanza n. 273 del 1999).
    7.2.2.- La normativa relativa al Corpo militare ausiliario  della
CRI e' stata poi riordinata dal d.lgs. n. 66 del 2010 (d'ora  in  poi
anche:  cod.  ordinamento  militare),   che   ha   riguardato   anche
l'Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine  di
Malta, entrambi corpi ausiliari delle Forze armate ma non  inquadrati
nelle stesse. Tale codice, come si vedra', continua ad applicarsi  al
Corpo militare volontario, per quanto non diversamente  disposto  dal
decreto legislativo censurato (art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 178 del
2012).
    Il  cod.  ordinamento  militare  ha  previsto  un  duplice  ruolo
(normale e speciale) per il Corpo militare ausiliario,  distinguendo,
in coerenza con la previgente  normativa,  il  personale  stabilmente
assunto dalla CRI dal personale richiamato in servizio dall'ente  per
specifiche esigenze. Sino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 178 del
2012, oggetto del presente giudizio, quindi,  solo  il  primo  poteva
dirsi collocato stabilmente alle dipendenze dell'ente  e  incardinato
nella relativa pianta organica.
    7.3.- Tale evoluzione normativa - non  sempre  lineare  -  ha  di
certo contribuito alle disfunzioni mostrate dalla  CRI  negli  ultimi
decenni.
    7.3.1.- Come  emerso  dall'indagine  conoscitiva  disposta  dalla
Commissione  Igiene  e  Sanita'  del  Senato  nel  corso  della   XVI
Legislatura, e come sostenuto anche dal Presidente del Consiglio  dei
ministri nel suo  intervento,  la  CRI  ha  realizzato,  negli  anni,
pesanti diseconomie che l'hanno condotta  a  un  commissariamento  di
durata ventennale.  Oltre  alla  perenne  situazione  di  precarieta'
contabile, dovuta alla mancata approvazione dei  bilanci  degli  enti
decentrati (solo nel 2011 la  CRI  ha  approvato  il  consuntivo  nei
termini previsti dal d.P.R. n. 613 del  1980)  e  alla  poco  accorta
gestione dell'importante patrimonio immobiliare, la CRI si e' trovata
a stipulare  convenzioni  con  soggetti  pubblici  (relative  sia  ai
servizi di trasporto infermi - con atti sottoscritti tra  le  aziende
sanitarie locali e le unita' territoriali della CRI - sia ai  servizi
sociali ed assistenziali, da ultimo quelli  afferenti  alla  gestione
dei centri di accoglienza con  atti  sottoscritti  tra  dette  unita'
territoriali e le prefetture),  impegnandosi  a  prestare  un'elevata
offerta  di  servizi  dietro  corrispettivi  economici   irrisori   e
difficilmente esigibili.
    Inoltre,  forti  problemi  sono  sorti  rispetto  ai  costi   del
personale: la CRI,  prima  del  processo  di  riforma  innescato  dal
decreto legislativo  in  esame,  nel  suo  complesso  impiegava,  nel
servizio civile, risorse umane pari a  4.049  unita',  di  cui  1.281
unita' a tempo indeterminato, 1.574 unita' a tempo  determinato;  nel
Corpo militare ausiliario, 848 unita' in servizio continuativo e  346
unita'  di  personale  delle  Forze  armate,  assegnate  in  servizio
temporaneo e per esigenze straordinarie.
    L'indagine conoscitiva ha messo in luce come tale organico  abbia
portato ad aggravare  le  dispendiose  inefficienze  organizzative  e
finanziarie.
    7.4.- Il d.lgs. n. 178 del 2012, oggetto del  presente  giudizio,
e' quindi intervenuto in tale  contesto,  sulla  scorta  dell'art.  2
della legge n. 183 del 2010, cosi' tentando di rimediare alle  citate
disfunzioni. Esso ha disposto la graduale trasformazione della CRI da
ente pubblico, sia pure a base associativa, in persona  giuridica  di
diritto privato, ancorche' di interesse pubblico  ed  ausiliaria  dei
pubblici poteri nel  settore  umanitario.  Detta  persona  giuridica,
denominata «Associazione della Croce Rossa italiana», e' iscritta nel
registro nazionale del "Terzo settore", posta sotto l'alto  patronato
del Presidente della Repubblica (art. 1,  comma  1)  e  abilitata  ad
operare nell'ambito della Federazione internazionale  delle  societa'
di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). Nel contempo sono
individuate  le  attivita'  svolte  dalla  Croce   Rossa,   anch'esse
qualificate di «interesse pubblico» (art. 1, commi 4, 5 e 6).
    Al fine di realizzare la trasformazione  della  natura  giuridica
dell'ente, il decreto legislativo censurato ha disposto  un  percorso
graduale e transitorio,  che  passa  per  l'istituzione  di  un  Ente
strumentale (art. 2), soggetto-ponte volto  a  favorire  il  subentro
della neoistituita Associazione al preesistente ente  pubblico  (art.
3), del quale sono disciplinati contestualmente la liquidazione  e  i
relativi rapporti giuridico-patrimoniali, il trasferimento dei beni e
del personale (rispettivamente, artt. 4, 5, 6 e 8) con  le  modalita'
di finanziamento della nuova associazione (artt. 1, comma 6, 2, comma
5, e 8, comma 2). Ha disposto, infine, un mutamento del  rapporto  di
impiego del personale militare della CRI.
    7.4.1.- In particolare,  le  disposizioni  che  riguardano  detto
personale sono contenute negli artt. 5 e  6  del  menzionato  decreto
legislativo, il quale si muove  lungo  due  direttrici  fondamentali:
volontarieta' e gratuita' del servizio prestato  nel  Corpo  militare
volontario e trasferimento del personale militare a ruoli civili, con
mantenimento delle principali voci retributive.
    Ai sensi dell'art. 5, comma 5, del d.lgs.  n.  178  del  2012,  a
decorrere  dall'entrata  in  vigore  del   d.P.C.m.   (previsto   dal
successivo art. 6, comma 1), che fissa i criteri di equiparazione tra
il personale militare e quello civile della  CRI,  il  personale  del
Corpo militare transita in un ruolo ad  esaurimento  nell'ambito  del
personale civile della CRI, e' collocato in congedo ed e' iscritto, a
domanda, nel Corpo militare volontario.
    Lo stesso art. 5, comma 5, si preoccupa poi di  salvaguardate  le
due  voci  principali  del  trattamento  retributivo  del   personale
militare privatizzato, riconoscendo la differenza tra il  trattamento
economico  in  godimento,  limitatamente  a  quello  fondamentale  ed
accessorio, e il trattamento del corrispondente personale civile.
    Il successivo art. 6 consente al personale una  duplice  opzione:
rimanere  nei  ruoli  della  nuova  Associazione  della  Croce  Rossa
italiana nei limiti dell'organico definito  dal  Presidente  di  essa
(comma 2); oppure essere collocato in mobilita', in conformita'  agli
«strumenti utilizzabili per la gestione  di  eccedenze  di  personale
nelle pubbliche amministrazioni» (art. 6, comma 3),  con  conseguente
applicazione  delle  procedure  di  mobilita'  volte  a  favorire  il
riassorbimento del personale delle Province (art. 7, comma 2-bis, del
decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga  di  termini
previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni,
nella legge 27 febbraio 2015, n. 11, che rinvia all'art. 1, commi  da
424 a 428, della legge n. 190 del 2014).
    7.4.2.- Quanto al Corpo militare della CRI, l'art.  5,  comma  1,
del  decreto  legislativo  in  esame,  stabilisce   che   assuma   la
denominazione di Corpo militare volontario e, insieme al Corpo  delle
infermiere volontarie, costituisca un Corpo  ausiliario  delle  Forze
armate, chiamato a prestare servizio gratuito.  I  suoi  appartenenti
sono individuati tra il «personale volontario in congedo, iscritto in
un ruolo unico [...]».
    7.4.3.- In sintesi, il d.lgs. n. 178 del  2012  ha  provveduto  a
congedare e a trasferire al ruolo civile tutto il personale  militare
della CRI, con  salvaguardia  del  relativo  trattamento  retributivo
(fondamentale ed accessorio). Parte di esso puo'  scegliere,  purche'
rientrante nei citati limiti di  organico  stabiliti  dal  Presidente
della CRI, di rimanere alle dipendenze dell'Associazione; coloro  che
non optano  per  tale  soluzione,  o  non  rientrino  nei  limiti  di
organico,  sono  messi  in  mobilita'  con  destinazione   ad   altre
amministrazioni, con applicazione, come dianzi detto, della normativa
prevista per i trasferimenti  dei  dipendenti  delle  amministrazioni
provinciali.
    I componenti del personale militare, cosi' privatizzato,  possono
chiedere di entrare a fare parte del Corpo militare  volontario,  ove
pero' svolgono servizio gratuito in un ruolo unico. A  tali  soggetti
non si  applicano  i  codici  penali  militari,  mentre  continua  ad
applicarsi  il  cod.  ordinamento  militare,   ad   eccezione   delle
disposizioni in materia di disciplina militare (art. 5, commi 2 e  3,
del d.lgs. n. 178 del 2012).
    8.- Cio'  premesso,  e'  possibile  affrontare  le  questioni  di
legittimita' costituzionale aventi ad oggetto l'intero d.lgs. n.  178
del 2012 (ad eccezione dell'art. 7), sollevate  in  riferimento  agli
artt. 1 e 76 Cost. e all'art. 2 della legge n. 183 del 2010.
    Non essendo diversamente  motivato,  il  riferimento  all'art.  1
Cost. - peraltro inusuale - non ha alcuna significativa autonomia, ma
appare come rafforzativo della censura riferita alla disposizione  di
cui all'art. 76 Cost., volta a garantire  al  Parlamento,  in  quanto
espressione della rappresentanza popolare, un  nucleo  incomprimibile
di esercizio dell'attivita' legislativa.
    Muovendo dal presupposto secondo  il  quale  questa  disposizione
avrebbe conferito al Governo una delega di mero riordino  degli  enti
vigilati  dal  Ministero  della   salute,   secondo   il   ricorrente
l'esercizio della funzione legislativa delegata  non  avrebbe  potuto
spingersi,   quindi,   verso   una   cosi'   integrale   rinnovazione
dell'assetto della CRI.
    8.1. - Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  non  sono
fondate.
    Non v'e' dubbio che  la  Costituzione,  all'art.  76,  ponga  una
duplice direttiva normativa nei confronti di  Parlamento  e  Governo,
protagonisti del procedimento bifasico ivi disciplinato.
    8.1.1.- Per un verso, il Parlamento e' tenuto a  circoscrivere  i
margini  di  azione  dell'esecutivo;  come  questa  Corte   ha   gia'
affermato, l'individuazione dei  principi  e  criteri  direttivi,  la
delimitazione dell'oggetto e  la  fissazione  del  termine  mirano  a
«circoscrivere il campo della delega» al fine di  «evitare  che  essa
venga esercitata in  modo  divergente  dalle  finalita'  che  l'hanno
determinata» (sentenza n. 198 del 1998; nello stesso senso,  sentenza
n. 3 del 1957). La limitazione rigorosa dei  poteri  del  legislatore
delegato e la conseguente inammissibilita' di "deleghe in bianco"  si
giustificano  alla  luce  dell'assetto  generale  delle  attribuzioni
disegnato  dalla  Costituzione,  la   quale   assegna   la   funzione
legislativa alle Camere  (art.  70  Cost.).  Il  ruolo  centrale  del
Parlamento, nei processi di produzione normativa, impone allo  stesso
di non delegare l'esercizio della funzione  legislativa  se  non  con
limiti precisi (sentenza n. 106 del 1962),  che  non  si  riducano  a
clausole di stile prive di adeguata efficacia precettiva.
    8.1.2.- Per altro verso, le condizioni fissate dal delegante,  ai
sensi dell'art. 76 Cost., rappresentano un confine  invalicabile  per
il Governo, che proprio nel contenuto della delega  trova  la  misura
della propria azione. Non a caso, questa Corte ha piu' volte  sancito
che, soprattutto nel caso di deleghe destinate al riordino normativo,
«al   legislatore   delegato   spetta   un   limitato   margine    di
discrezionalita' per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali
devono attenersi strettamente ai  principi  e  ai  criteri  direttivi
enunciati dal legislatore delegante» (sentenza n. 250 del 2016; nello
stesso senso, sentenze n. 94, n. 73, n. 50 e n. 5 del 2014, n. 162  e
n. 80 del 2012).
    In queste ipotesi, si impone una verifica rigorosa sui  contenuti
della decretazione legislativa, richiesta dall'essere la legislazione
su delega una legislazione vincolata dai principi e criteri direttivi
posti dal Parlamento.
    8.2.- Questa Corte e' tuttavia consapevole  che  il  procedimento
delineato dall'art. 76 Cost. attiene pur sempre  alla  produzione  di
atti legislativi. Per tale ragione, il delegante non  e'  onerato  di
fornire una descrizione tassativa delle norme suscettibile di guidare
il delegato,  risultando  anzi  consentito  «il  ricorso  a  clausole
generali,  ferma  la  necessita'  che   queste   siano   accompagnate
dall'indicazione di precisi principi»  (sentenza  n.  250  del  2016;
nello stesso senso, sentenza n. 159 del  2001);  ne'  il  Governo  e'
tenuto a una attivita' di mera esecuzione  o  automatico  riempimento
dei disposti cristallizzati nella delega. Per costante giurisprudenza
di questa Corte, infatti, i confini del potere  legislativo  delegato
risultano complessivamente dalla determinazione  dell'oggetto  e  dei
principi e criteri direttivi, unitariamente considerati.
    Entro questa cornice  -  emergente  da  un'interpretazione  anche
sistematica e teleologica della delega - «deve essere  inquadrata  la
discrezionalita' del legislatore delegato, il  quale  e'  chiamato  a
sviluppare, e non solo ad eseguire,  le  previsioni  della  legge  di
delega» (sentenza n. 104 del 2017). Se,  dunque,  la  «legge  delega,
fondamento  e  limite  del  potere  legislativo  delegato,  non  deve
contenere  enunciazioni  troppo  generali  o  comunque   inidonee   a
indirizzare l'attivita' normativa  del  legislatore  delegato»,  essa
puo'  essere  «abbastanza  ampia  da   preservare   un   margine   di
discrezionalita', e un  corrispondente  spazio,  entro  il  quale  il
Governo  possa  agevolmente  svolgere   la   propria   attivita'   di
"riempimento" normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di
una funzione "legislativa"» (sentenze n. 198 del 2018 e  n.  104  del
2017).
    9.-  Tenute  presenti  tali  coordinate   ermeneutiche,   possono
risolversi le questioni poste  dal  rimettente.  In  particolare,  si
tratta di verificare se, alla luce di una interpretazione sistematica
e teleologica dell'art. 2 della legge n. 183 del 2010, il  Parlamento
abbia conferito al Governo un mero compito di  riordino  normativo  e
se, di conseguenza, il delegato abbia oltrepassato i  limiti  imposti
dalla delega.
    9.1.- Questa Corte ritiene  di  dare  risposta  negativa  a  tale
quesito.
    L'art. 2 della legge n. 183 del 2010 identifica  l'oggetto  della
delega  nella  «riorganizzazione  degli  enti,  istituti  e  societa'
vigilati dal Ministero del lavoro e delle  politiche  sociali  e  dal
Ministero della salute nonche' alla  ridefinizione  del  rapporto  di
vigilanza dei  predetti  Ministeri  sugli  stessi  enti,  istituti  e
societa'  rispettivamente  vigilati».  Posto  che  e'   espressamente
menzionata la Croce Rossa italiana nel comma 2 di detto articolo, dai
lavori preparatori si  trae  ulteriore  conferma  dell'intenzione  di
intervenire sull'ente pubblico attraverso una  complessiva  revisione
della sua struttura organizzativa. Infatti, l'originario  disegno  di
legge (art. 24 del d.d.l. Atto Camera 1441, poi stralciato nel d.d.l.
Atto Camera 1441-quater, XVI Legislatura) indicava la Croce Rossa tra
gli organismi da riorganizzare, e, solo durante l'esame al Senato, la
1ª e la 11ª Commissione riunite allargarono l'oggetto  della  delega,
al fine di estendere il processo  di  riforma  a  tutti  gli  enti  o
societa' vigilati dal Ministero del lavoro fra cui l'Istituto per  lo
sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL)  e  la
societa' Italia lavoro spa.
    9.2.- Non e' fondata la censura di eccesso di delega se si guarda
ai principi e criteri direttivi della stessa.  Le  lettere  a)  e  b)
dell'art. 2, comma 1, della legge n. 183 del 2010  fanno  riferimento
alle esigenze di «semplificazione e  snellimento  dell'organizzazione
della  struttura   amministrativa   degli   enti   [...]»,   e   alla
«razionalizzazione e  ottimizzazione  delle  spese  e  dei  costi  di
funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa».
Attraverso tali  direttive,  il  delegante  ha  lasciato  aperta  una
pluralita'   di   soluzioni,   tutte    egualmente    rimesse    alla
discrezionalita' del Governo nell'attuazione della legge  di  delega,
secondo un disegno procedurale coerente con l'art. 76 Cost.
    Puo' ritenersi, dunque, che il legislatore  delegato,  attraverso
la riorganizzazione della CRI,  non  abbia  valicato  l'oggetto,  gli
obiettivi e  le  finalita'  posti  dalla  legge  delega,  in  quanto,
muovendosi all'interno della pluralita' di opzioni consentitegli,  ha
inteso perseguire il fine della «semplificazione e snellimento  [...]
della struttura degli enti» indicato dal delegante. In tal senso,  il
complessivo intervento di riforma,  lungi  dal  realizzare  una  mera
soppressione  della  CRI,  come  pure   adombrato   dal   rimettente,
interviene sulla sua struttura confermando le rilevanti attivita', di
interesse pubblico, che essa  ha  storicamente  svolto  nel  contesto
interno e internazionale (art. 1, commi 4, 5 e 6, del d.lgs.  n.  178
del 2012), disponendo il subentro della nuova Associazione  in  tutte
le convenzioni stipulate dalla CRI (art. 3, comma 4), assicurando  la
prevalenza di finanziamenti  pubblici  per  il  suo  sostentamento  e
riconoscendo l'Associazione della CRI quale «unica Societa' nazionale
di  Croce  Rossa»  autorizzata  a   far   parte   della   Federazione
internazionale delle societa' di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa  (art.
1, comma 2). In  tal  senso,  il  mutamento  della  natura  giuridica
dell'organismo altro non e'  se  non  lo  strumento  individuato  dal
delegato per raggiungere  e  soddisfare  la  finalita'  indicata  dal
delegante.
    9.2.1.-  La  scelta  del  Governo  di  tornare  alla   originaria
struttura associativa della  Croce  Rossa  non  puo',  quindi,  dirsi
estranea agli obiettivi di riorganizzazione perseguiti dalla delega.
    Rinsaldano questa conclusione, sia l'indagine circa  l'intenzione
originaria  del  Parlamento   nel   procedimento   che   ha   portato
all'approvazione della legge delega, sia l'iter parlamentare  che  ha
accompagnato  il  varo  del  decreto  legislativo  censurato  e,   in
particolare,  il  parere  espresso   dalle   competenti   commissioni
parlamentari.  Nella  stessa  direzione  si  muovono   la   complessa
evoluzione normativa della Croce Rossa dalla fondazione alla legge di
riforma sanitaria  e  i  vincoli  internazionali  in  favore  di  una
struttura "non governativa"  delle  Croci  rosse  e  delle  Mezzelune
rosse. Del resto, come piu'  volte  affermato  da  questa  Corte,  il
contenuto di una delega legislativa deve essere identificato  tenendo
conto, oltre che del dato testuale, della lettura  sistematica  delle
disposizioni che la prevedono, anche alla luce del contesto normativo
nel quale essa si inserisce, nonche' della ratio  e  delle  finalita'
che la ispirano (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2017; nello  stesso
senso, sentenze n. 250 del 2016, n. 210 del 2015 e n. 229 del 2014).
    Gia' in passato il Parlamento  aveva  indicato  la  strada  della
ristrutturazione   della   CRI   «in   conformita'   del    principio
volontaristico della Associazione stessa», come sancito dal  criterio
direttivo di cui all'art. 70, terzo comma, della  legge  n.  833  del
1978, cui fece seguito il d.P.R. n. 613 del 1980, la cui applicazione
si areno' - come prima sottolineato - per la mancata  adozione  dello
statuto della costituenda associazione.  Ed  e'  in  questa  medesima
direzione che  si  colloca  la  volonta'  del  legislatore  delegante
espressa nel  2010  con  la  legge  n.  183,  come  confermato  dalle
commissioni parlamentari permanenti chiamate a rendere  parere  sullo
schema di decreto legislativo, le  quali  hanno  avallato  la  scelta
della persona giuridica di diritto privato compiuta dal Governo.
    9.2.2.- A tale riguardo, meritano di essere  segnalati  i  pareri
resi dalla 12ª  Commissione  (Igiene  e  sanita')  del  Senato  della
Repubblica, la  quale,  di  fronte  a  un  primo  schema  di  decreto
legislativo  (XVI  Legislatura,  atto  del  Governo,  n.   424)   che
qualificava la Croce Rossa  «ente  pubblico  non  economico  su  base
associativa» e  confermava  gran  parte  della  precedente  struttura
dell'ente, aveva espresso parere contrario, ritenendo che  lo  schema
non risolvesse i problemi e  non  rispondesse  alle  esigenze  emersi
durante la menzionata indagine conoscitiva  precedentemente  disposta
dalla medesima  Commissione.  Essa  invitava  percio'  il  Governo  a
presentare un nuovo  progetto  di  riforma  che  recepisse  le  linee
d'intervento indicate nel documento conclusivo della citata  indagine
(XVI Legislatura, parere  della  Commissione  Igiene  e  sanita'  del
Senato della Repubblica sull'atto del Governo n. 424).
    9.2.3.- A seguito del nuovo schema di  decreto  legislativo  (XVI
Legislatura, atto del Governo n.  491)  che  ha  previsto  la  natura
associativa dell'Ente, la Commissione Igiene  e  sanita'  del  Senato
della Repubblica ha espresso parere favorevole, seppur enunciando una
serie di osservazioni. Eguale parere  favorevole  e'  stato  espresso
dalle altre commissioni permanenti della Camera e del Senato (Difesa,
Bilancio, Affari costituzionali, Affari sociali), a testimonianza del
fatto che il processo di riforma, realizzato dal  Governo,  e'  stato
complessivamente condiviso dagli organi parlamentari.
    10.-  Il   rimettente   indica,   nel   prosieguo   argomentativo
dell'ordinanza, un profilo di illegittimita' costituzionale  relativo
alla presunta sub-delega che il delegato avrebbe attuato con riguardo
alle modalita' di finanziamento della Associazione della Croce  Rossa
italiana.
    In particolare, l'art. 2, comma 5, del censurato  d.lgs.  n.  178
del 2012,  nell'assegnare  le  risorse  finanziarie  secondo  criteri
rimessi alla determinazione dei Ministri della salute,  dell'economia
e  delle  finanze  e  della  difesa,  avrebbe  «demandato  a   scelte
ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina».
    L'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 178  del  2012,  prevedendo  che
«[l] e risorse finanziarie a carico del bilancio  dello  Stato  [...]
sono attribuite [...] con decreti  del  Ministro  della  salute,  del
Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro  della  difesa,
ciascuno in relazione  alle  proprie  competenze,  senza  determinare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica [...]»,  evidentemente
si limita  a  disciplinare  le  modalita'  di  erogazione,  affidando
all'atto fonte secondario solo il compito esecutivo  di  assegnazione
materiale delle risorse.
    La censura non e' fondata.
    La soluzione adottata nell'art. 2 non si pone in contrasto con la
giurisprudenza di questa Corte, la quale consente al decreto delegato
il conferimento agli organi dell'esecutivo della funzione «di emanare
normative  di  tipo  regolamentare  (sentenza  n.   79   del   1966),
disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del 1967)  o  atti
amministrativi  di  esecuzione  (ordinanza  n.  176  del  1998;   per
ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del  1965  e  n.  103  del
1957)» (sentenza n. 104 del 2017).
    11.- Alla luce  delle  considerazioni  che  precedono,  anche  le
censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178  del  2012  devono
essere dichiarate non fondate.
    11.1.- Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012  si  collocano,
come visto, all'interno della  riorganizzazione  del  Corpo  militare
della  CRI.  Non  e'  manifestamente  incoerente  con  la   finalita'
complessiva della riforma, in un'ottica  di  razionalizzazione  delle
spese, stabilire un diverso inquadramento del personale ausiliario, a
maggior ragione laddove, come nel caso di specie, il  delegato  opti,
quale strumento di attuazione del compito affidatogli dal  delegante,
per la trasformazione dell'ente  pubblico  in  persona  giuridica  di
diritto privato. D'altronde, e' la stessa legge  di  delega  ad  aver
indicato al Governo la necessita' di garantire la razionalizzazione e
l'ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento,  obiettivi
coerentemente  perseguiti  dal  legislatore   delegato   tramite   il
trasferimento del personale militare ausiliario al ruolo civile.
    Il giudice a quo deduce  l'eccesso  di  delega  delle  norme  sul
personale ausiliario anche per contrasto «con i  principi  e  criteri
direttivi, di cui  all'art.  2,  comma  1,  lettera  a)  della  legge
delega», che lascerebbe ferme «le specifiche disposizioni vigenti per
il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore  della
[medesima] legge».
    Il presupposto interpretativo  da  cui  muove  il  rimettente  e'
palesemente errato, non trovando riscontro nel tenore letterale della
richiamata disposizione. La necessita' di  mantenere  «le  specifiche
disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla  data
di entrata in vigore della [...] legge» n. 183 del 2010 e',  infatti,
espressamente riferita al processo di  riordino  dell'ISFOL  e  della
societa' Italia Lavoro spa e ai rapporti di  impiego  instaurati  con
detti istituti e non riguarda, invece, la CRI.
    12.- Il rimettente lamenta, altresi', che il d.lgs.  n.  178  del
2012 violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost perche',  avendo  operato  «una
integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa
Italiana», con  soppressione  e  liquidazione  dell'ente  pubblico  e
istituzione di una persona  giuridica  di  diritto  privato,  avrebbe
contestualmente determinato una notevole riduzione  di  risorse,  che
impedirebbe  all'Ente  strumentale  (e,  poi,  all'Associazione),  di
svolgere le «delicate ed importanti funzioni di interesse  pubblico»,
elencate dall'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012.
    12.1.- Dette  questioni  di  legittimita'  dell'«intero  decreto»
legislativo (ad eccezione dell'art. 7), promosse con riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.
    L'attribuzione della personalita' giuridica di diritto privato e'
senz'altro coerente con la vocazione solidaristica della neoistituita
Associazione della Croce Rossa italiana, associazione di volontariato
chiamata a svolgere  rilevanti  funzioni  di  interesse  generale,  a
livello nazionale e internazionale. Il decreto legislativo  censurato
trova anzi una diretta copertura costituzionale nell'art. 118, quarto
comma, Cost., che in una ottica di sussidiarieta' orizzontale impegna
la  Repubblica  a  favorire  «l'autonoma  iniziativa  dei  cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento  di  attivita'  di  interesse
generale».
    12.2.-  Peraltro  e'  da  tenere  presente,   come   sottolineato
dall'Avvocatura dello Stato in udienza pubblica, che il nuovo  modulo
organizzativo  della  Croce  Rossa   italiana   allinea   il   nostro
ordinamento  ad  altre  esperienze,  in  particolare  (ma  non  solo)
europee, le quali disegnano le rispettive societa' nazionali di Croce
Rossa quali associazioni di diritto privato  di  interesse  pubblico,
formate da volontari e da  personale  civile  in  regime  di  impiego
privatistico;  osservazione  non  priva  di   significato   per   una
organizzazione destinata ad aderire ad una federazione transnazionale
di «societa' non governative» (come recita il preambolo dello statuto
della Federazione internazionale delle  societa'  di  Croce  Rossa  e
Mezzaluna rossa).
    Tale constatazione vale non solo per il Regno Unito  (la  British
Red  Cross,  ricevuto  il  riconoscimento  regio  nel  1908,  e'  una
voluntary aid society, ausiliaria rispetto alle autorita' pubbliche),
ma  anche  per  i  sistemi  giuridici  continentali.  Si  pensi  alla
Croix-Rouge   française,   associazione   senza   scopo   di   lucro,
riconosciuta di utilita' pubblica; al Bundesverband des Roten Kreuzes
tedesco, associazione registrata ai sensi degli artt. 21  e  seguenti
del codice civile tedesco;  alla  Cruz  Roja  spagnola,  associazione
civile di rilievo pubblico composta solo da volontari civili  (e  non
piu', come in passato, anche da militari di carriera).
    12.3.-  Infine,  quanto  alle  risorse   messe   a   disposizione
dell'Associazione della Croce Rossa italiana, l'ordinanza  si  limita
ad  affermarne  solo  genericamente  la  strutturale   inadeguatezza,
rendendo per quest'aspetto la censura inammissibile.
    12.4.-  Il  giudice  a  quo  solleva  specifiche   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n.  178  del
2012, sempre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
    Ad avviso del rimettente, il trasferimento al  ruolo  civile  del
personale militare, previsto da  detti  articoli,  sarebbe  causa  di
illegittimita'  costituzionale   per   l'assenza   di   «progressione
economica  commisurata  al  grado  rivestito»,  e  di  «garanzie   di
conservazione delle  funzioni  in  precedenza  attribuite».  Inoltre,
sarebbe costituzionalmente illegittima la scelta  di  ricorrere  alle
procedure di mobilita' e la  destinazione  ad  altra  amministrazione
«senza alcun  richiamo  a  comparti  o  settori  dell'amministrazione
stessa, in cui si  svolgano  attivita'  comparabili  con  quelle  del
personale di cui trattasi, in possesso di specifica  professionalita'
per situazioni di emergenza».
    12.4.1.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate
nei termini sopra prospettati non sono fondate.
    Il d.lgs. n. 178 del 2012, agli artt. 5  e  6,  non  realizza  la
soppressione  del  Corpo  militare  ausiliare,  ma  ne  revisiona  la
struttura in coerenza con la generale riorganizzazione  della  CRI  e
con la rinnovata struttura associativa della stessa.
    Il decreto delegato ha infatti disposto  la  sopravvivenza  degli
appartenenti al citato  organismo  quale  categoria  in  congedo  che
presta servizio volontariamente e gratuitamente (non diversamente  da
quanto accade, oltre che per il Corpo  delle  infermiere  volontarie,
per la prima citata Associazione dei cavalieri italiani  del  sovrano
militare Ordine di Malta, disciplinata dagli artt.  1761  e  seguenti
del cod. ordinamento militare).  Peraltro,  come  sottolineato  dalla
difesa statale, il pregresso Corpo militare gia' da tempo  utilizzava
personale con tali caratteristiche come bacino da cui la  CRI  poteva
attingere per i richiami temporanei in servizio (artt.  1668  e  1669
cod. ordinamento militare).
    Del   resto,   anche   il   personale   trasferito    in    altre
amministrazioni, pur perdendo la qualifica di  militare  in  servizio
attivo, mantiene la qualifica di militare  in  congedo  e,  ai  sensi
dell'art. 1668 cod.  ordinamento  militare,  potrebbe  sempre  essere
richiamato in servizio, conservando il grado rivestito  all'atto  del
collocamento in congedo.
    In tale quadro, il trasferimento al ruolo  civile  del  personale
del Corpo militare della CRI non si pone in contrasto con gli artt. 3
e 97 Cost.
    Il trasferimento al ruolo civile del personale  militare  risulta
anzi coerente con la trasformazione del regime giuridico  della  CRI,
posto che il nuovo inquadramento nel rapporto di impiego accede  alla
diversa configurazione del datore di lavoro, che da soggetto pubblico
muta in associazione di diritto privato regolata dal Libro I,  Titolo
II, Capo II, del codice civile.
    Tali scelte di fondo comportano inevitabilmente  modifiche  delle
modalita'  di  sviluppo  delle  carriere,  che  percio'   stesso   si
sottraggono alle dedotte censure.
    12.4.2.- Quanto alle procedure di mobilita', adottate nell'ambito
dei processi di riforma  che  hanno  interessato  le  amministrazioni
provinciali, ma che, come detto, trovano applicazione  nella  vicenda
oggetto dell'attuale giudizio, si e' recentemente pronunciata  questa
Corte, sottolineando come esse consentano di garantire un equilibrato
contemperamento di due esigenze costituzionalmente rilevanti: per  un
verso,  il  mantenimento  dei  rapporti  di  lavoro,  rendendo  cosi'
«effettivo il diritto al lavoro di cui all'art. 4 Cost.» (sentenze n.
202 del 2016 e n. 388 del 2004); per un  altro,  la  discrezionalita'
legislativa connessa al processo di riordino dello Stato e degli enti
pubblici. In contesti simili, e' sicuramente auspicabile  che  ad  un
«rilevante  riassetto  organizzativo-funzionale   segua   un'adeguata
riqualificazione del personale» (sentenza n. 159 del 2016). Non  puo'
essere escluso che in sede di applicazione di detta normativa possano
verificarsi vizi nei conseguenti atti amministrativi,  che  spettera'
eventualmente sindacare solo agli organi giurisdizionali competenti.
    Di qui  la  non  fondatezza,  anche  sotto  tali  profili,  delle
questioni prospettate.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt.  1,  2,  3,  4,  5,  6  e  8  del  decreto
legislativo 28 settembre  2012,  n.  178,  recante  «Riorganizzazione
dell'Associazione  italiana  della  Croce  Rossa  (C.R.I.)  a   norma
dell'art. 2 della legge 4  novembre  2010,  n.  183»,  sollevate,  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato  con  legge  4  agosto
1955, n. 848, dal Tribunale amministrativo del Lazio, sezione  terza,
con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del
2012, sollevate, in riferimento agli artt. 1 e 76 Cost., in relazione
all'art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in
materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di  congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per
l'impiego,  di  incentivi  all'occupazione,  di   apprendistato,   di
occupazione femminile, nonche' misure contro  il  lavoro  sommerso  e
disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro),
dal TAR Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del
2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3  e  97  Cost.,  dal  TAR
Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


                                                            Allegato:
                         Ordinanza letta all'udienza del 5 marzo 2019

                              ORDINANZA

    Rilevato  che,  nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale
promosso dal Tribunale amministrativo per il Lazio (reg. ord. n.  137
del 2017), sono  intervenuti  Cipullo  Massimo  con  altre  trentadue
persone;
    che, tra  i  trentatre  intervenienti,  solo  De  Paola  Giacomo,
Stallone Giuseppe, Colasuonno Francesco, Liantonio Vito, Del  Giudice
Alessandro, Rella Giuseppe, Balestrieri Ferdinando e Stallone Michele
risultano parti del giudizio principale;
    che, nel medesimo giudizio, hanno depositato atti  di  intervento
Ambrosini David, insieme con altre centoquindici persone, e Siciliano
Luigi, insieme con altre due persone, oltre il termine di  20  giorni
previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale e  decorrente  dalla  pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale dell'atto introduttivo del giudizio.
    Considerato  che  Cipullo  Massimo  e  gli   altri   ventiquattro
intervenienti non sono parti del giudizio principale;
    che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammesse  a
intervenire nel giudizio incidentale di  legittimita'  costituzionale
(art. 3 delle Norme integrative per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale) le parti del giudizio  a  quo,  oltre  che,  a  norma
dell'art. 4 delle Norme integrative, il Presidente del Consiglio  dei
ministri e, nel caso di legge regionale, il Presidente  della  Giunta
regionale (sentenza n. 248 del 2018, nello stesso senso  sentenze  n.
217, n. 194 del 2018, con allegate ordinanze dibattimentali);
    che non e' ammissibile l'intervento, nei giudizi davanti a questa
Corte, dei titolari di interessi soltanto analoghi a  quelli  dedotti
nel giudizio principale, dato il carattere incidentale  del  giudizio
di legittimita' costituzionale, in quanto l'accesso di tali  soggetti
al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza
e della non manifesta  infondatezza  della  questione  da  parte  del
giudice a quo (sentenze n. 35 del 2017, n. 71 del 2015, con  allegate
ordinanze dibattimentali, nonche' sentenza n. 119 del 2012);
    che l'intervento di Ambrosini David e degli  altri  centoquindici
intervenienti e' tardivo;
    che parimenti tardivo e' l'intervento di Siciliano Luigi e  degli
altri due intervenienti;
    che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il termine
previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale, e'  ritenuto  perentorio,  con  la
conseguenza  che  l'intervento  spiegato  dopo  la  sua  scadenza  e'
inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 99 del 2018, n. 250 del 2017,
con allegate ordinanze dibattimentali).

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara  inammissibile  l'intervento  spiegato,   nel   presente
giudizio di legittimita' costituzionale, da Cipullo Massimo  e  dagli
altri ventiquattro intervenienti che  non  sono  parti  del  giudizio
principale;
    dichiara inammissibili  gli  interventi  spiegati,  nel  presente
giudizio di legittimita' costituzionale, da Ambrosini David  e  dagli
altri centoquindici intervenienti, nonche' da Siciliano Luigi e dagli
altri  due  intervenienti,  depositati  oltre  il  termine   previsto
dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.

                 F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente


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