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venerdì 25 gennaio 2013

TAR:..un anno e otto mesi di reclusione per lesioni e calunnie commesse ai danni di una persona tratta in stato di arresto..


T.A.R. Lombardia (Lpd) Sez. III, Sent., 16-01-2013, n. 124
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Il sig. (Lpd), assistente della Polizia di Stato, attualmente in servizio presso la Questura di (Lpd), è stato condannato, in data 9 giugno 2004, dal Tribunale di (Lpd) alla pena di un anno e otto mesi di reclusione per lesioni e calunnie commesse ai danni di una persona tratta in stato di arresto (condanna solo parzialmente riformata dalla Corte d'Appello di (Lpd), con sentenza depositata in data 10 novembre 2006 e passata in giudicato il 5 febbraio 2007). Sulla scorta dei medesimi fatti, egli ha subito anche la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi 3.
Con ricorso depositato il 22 ottobre 2009, il sig. S. ha impugnato il provvedimento sanzionatorio da ultimo citato (e meglio in epigrafe indicato), chiedendo al Tribunale di disporne l'annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere.
Disposta istruttoria (con ordinanza del 6 novembre 2009), all'esito della successiva camera di consiglio del 9 dicembre 2009, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, ha rigettato la domanda incidentale di sospensione, ritenendo insussistente il fumus boni iuris (tale pronunciamento è stato confermato dal Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, in data 15 giugno 2009).
Sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all'odierna udienza. Di seguito le motivazioni rese nella forma redazionale semplificata di cui all'art. 74 c.p.a.
Motivi della decisione
I. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 9 del D.P.R. n. 737 del 1981, nonché la violazione della L. n. 19 del 1990. All'uopo, si sostiene che l'azione disciplinare sarebbe stata promossa ben oltre la scadenza dei termini previsti dalla legge per l'avvio di procedimento disciplinare, ovvero solo in data 15 dicembre 2008, quando cioè sono stati formalmente contestati gli addebiti.
I.1. Il motivo è infondato. Il termine a quo per l'avvio del procedimento disciplinare decorre dalla data in cui l'amministrazione è venuta a conoscenza delle irrevocabilità della sentenza penale. Orbene, alla luce dei chiarimenti forniti dalla cancelleria della Corte d'Appello di (Lpd) (cfr. nota depositata il 10 novembre 2009), risulta che la trasmissione della sentenza di condanna del ricorrente sia stata tempestivamente trasmessa alla Questura con l'annotazione del passaggio in giudicato in data 17 novembre 2008. Ne consegue che il procedimento è stato tempestivamente avviato il successivo 15 dicembre 2008 con la predetta contestazione degli addebiti.
II. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 19, comma 2, D.P.R. n. 737 del 1981, in quanto il funzionario designato per istruttoria sarebbe appartenuto al medesimo servizio del ricorrente (e cioè alla Questura di (Lpd)) e non, come prescritto dalla legge, ad un servizio diverso da quello dell'inquisito.
II.1. Il motivo è infondato. Dalla documentazione in atti risulta che il funzionario nominato per l'istruttoria non prestava servizio presso l'Ufficio Prevenzione generale presso il quale, al momento dell'inizio dell'istruttoria, era assegnato il ricorrente. Ciò è sufficiente ai fini del rispetto della norma invocata, la quale, nel riferirsi ad un funzionario che appartenga a "servizio diverso" da quello dell'inquisito, non impone certo che questi venga designato fra soggetti incardinati nel ruolo di altra struttura territoriale del comparto amministrativo interessato dal procedimento disciplinare.
III. La terza censura ha ad oggetto la violazione dell'articolo 20 del D.P.R. n. 737 del 1981, la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione italiana, nonché della circolare ministeriale n. 333 del 4 giugno 1996. Si deduce, sul punto, che sebbene il difensore di fiducia nominato dal ricorrente in seno al Consiglio Provinciale di Disciplina (l'ispettore capo S.I.) avesse chiesto espressamente il rinvio della riunione poiché legittimamente impossibilitato a recarsi a (Lpd) da Crotone per presenziare alla riunione del 25 febbraio 2009 (in particolare, per essere stato comandato di servizio per il 23 febbraio 2009 e per non aver ricevuto alcun autorizzazione a lasciare il servizio), la Commissione aveva deciso di portare ugualmente a compimento il procedimento. In definitiva, si afferma, la circostanza di non aver riconosciuto al difensore l'indennità di missione e di non avergli concesso l'autorizzazione a lasciare legittimamente il servizio per potersi recare a (Lpd), avrebbe comportato un grave pregiudizio al diritto di difesa del ricorrente.
III.1. Il motivo è infondato. Effettivamente, nell'ordinamento della Polizia di Stato, l'incolpato può farsi assistere esclusivamente da un appartenente alla medesima amministrazione (cfr. art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737); tale peculiare scelta normativa è stata ritenuta dal Giudice delle Leggi conforme a Costituzione in quanto giustificata dalla considerazione della funzione svolta, ovvero la tutela dell'ordine pubblico (cfr. Corte Cost., sentenza 30 maggio 2008 n. 182). Orbene, nel caso di specie, il difensore indicato dal ricorrente è stato tempestivamente avvisato il 12 febbraio 2009 della data fissata per la convocazione della Commissione di disciplina (25 febbraio 2009). A questo punto, il mancato riconoscimento della indennità di missione concerneva questioni economiche che, lungi dal rappresentare un ostacolo materiale (le spese potevano ben essere anticipate dall'incolpato), dovevano essere piuttosto fatte valere autonomamente nei confronti dell'amministrazione di appartenenza, senza poter certo giustificare alcun arresto procedimentale, attenendo a rapporti "interni" non opponibili alla commissione di disciplina (a tal riguardo, le richiamate affermazioni della sentenza Tar Lombardia III sez. 27 aprile 2012 n. 1244, secondo cui il compito svolto dal dipendente-difensore non è riconducibile al solo interesse personale dell'incolpato, ma mira alla salvaguardia dell'interesse generale e complessivo dell'amministrazione, erano strumentali al solo fine di ricomprendere l'attività difensiva tra le attività di servizio in vista delle quali l'art. 6 D.P.R. n. 170 del 1970 destina l'emolumento economico). Ciò detto, deve aggiungersi che, a prescindere dalla questione del riconoscimento della indennità di missione, non risulta agli atti che al difensore del ricorrente sia stato impedito dall'amministrazione di appartenenza di recarsi a (Lpd).
IV. Il quarto motivo denuncia la falsa applicazione dell'articolo 31 D.P.R. n. 736 del 1981 e dell'articolo 120, comma 1, D.P.R. n. 3 del 1957. A questi fini, si afferma che la riunione del CPD, a conclusione della quale è stato redatto il verbale con la proposta della sanzione disciplinare, si è tenuta il 25 febbraio del 2009, mentre il decreto del Capo della Polizia, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare, è stato emanato il 15 giugno del 2009, cioè ben oltre il termine di 90 giorni imposto articolo 120 citato per la conclusione della procedura disciplinare.
IV.1. Il motivo è infondato. Il termine estintivo del procedimento disciplinare, fissato perentoriamente dall'art. 120 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 in novanta giorni, è stato pienamente rispettato, essendo stato il suo decorso interrotto dalla delibera di cui all'allegato n. 17. Difatti, esso s'interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa inequivocabilmente desumersi la volontà dell'Amministrazione di portare a conclusione il procedimento. Successivamente gli atti sono stati tempestivamente inviati per la determinazione finale al Capo della Polizia (con nota del 26 marzo 2009).
V. Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, in quanto quest'ultimo sarebbe contrassegnato dalla mera riproduzione di laconiche espressioni normative e dal richiamo dei precedenti disciplinari.
V1. Ai fini del rigetto di tale censura, è sufficiente sottolineare come il provvedimento rinvii per relationem alla delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina ("che si intende integralmente trascritta").
VI. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
RIGETTA il ricorso;
CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell'amministrazione resistente che si liquida in Euro 700,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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