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lunedì 2 settembre 2013

Cassazione: Abbandono d'ufficio





Nuova pagina 1
ABBANDONO DI UFFICIO
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 06-02-2007) 19-02-2007,
n. 6890


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.
ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Presidente

Dott. MANNINO
Saverio F. - Consigliere

Dott. COLLA Giorgio - Consigliere

Dott.
ROTUNDO Vincenzo - Consigliere

Dott. DI CASOLA Carlo - Consigliere

ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

...omissismsmvld....,
nato ad (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 5-6-2006 della Corte di
Appello di Venezia.

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il
ricorso.

Udita la relazione fatta dal Consigliere, Dott. Vincenzo
Rotundo.

Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore Generale, Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.


--------------------------------------------------------------------------------
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
1.-. Il difensore di ...omissismsmvld.... ricorre per cassazione avverso la
sentenza con la quale in data 5/6/2006 la Corte di Appello di Venezia,
sezione 1^ penale, (in parziale riforma della condanna, previo
riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di
millecinquecentoventi Euro di multa inflitta al predetto in primo grado
in data 11/3/2005 per il reato di cui agli artt. 110 e 340 c.p.) ha
ordinato la non menzione di detta condanna nel certificato del
casellario giudiziale.

...omissismsmvld.... è imputato di interruzione di pubblico
servizio per avere dapprima ostruito intenzionalmente con la propria
automobile ferma a bordo-strada il raggio di azione di una
apparecchiatura autovelox, impedendo la regolarità del servizio di
rilevazione delle infrazioni, rimasto sospeso per un tempo
apprezzabile, e per avere, in un secondo momento (dopo che gli agenti
della Polstrada lo avevano allontanato) definitivamente interrotto tale
servizio a seguito di una sorta di manifestazione (alla quale lo stesso
M. aveva partecipato) inscenata da aderenti alla associazione LIFE, da
lui richiamati sul posto, i quali, con sbandieramenti, avevano iniziato
a preavvertire i conducenti dei veicoli in arrivo della presenza di una
pattuglia della Polstrada.

Con il primo motivo si deduce "omessa
motivazione in punto di consapevolezza del servizio in corso" e in
generale "in punto dolo dell'imputato" e "travisamento dei fatti".
Segnatamente nel ricorso si sottolinea che il M. aveva sempre
dichiarato che, quanto meno nella prima fase della presunta
interruzione di pubblico servizio, non si era reso conto che era in
corso un servizio di accertamento mediante autovelox e, pertanto, non
aveva in alcun modo voluto ostacolare la attività della Polizia
Stradale. La convocazione degli associati LIFE era avvenuta
successivamente, dopo che i colleghi dell'agente S. si erano
qualificati ed avevano spiegato il servizio in corso. Nonostante i
predetti elementi avessero formato oggetto dei motivi di gravame, la
Corte di Appello avrebbe omesso qualunque motivazione sul punto.

Con
il secondo motivo di ricorso si lamenta la errata applicazione
dell'art. 340 c.p. per "insussistenza del pubblico servizio, della
interruzione e del fatto penalmente sanzionato". Ad avviso del
ricorrente, la azione di accertamento di infrazioni al codice della
strada, posta in essere con modalità "nascoste" da parte degli agenti
di Pubblica Sicurezza, non rientrerebbe nel concetto di erogazione di
un pubblico servizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 340 c.p..

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce la "omessa
motivazione in punto di partecipazione alla manifestazione della LIFE"
e la "omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla condotta
dell'imputato in relazione a quella degli altri coimputati" e la
"violazione di legge in ordine alla rilevanza penale dell'azione".
Nella sentenza censurata non sarebbe contenuta alcuna motivazione in
ordine "alla materialità della condotta ipoteticamente attribuita al
solo M." e non sarebbe spiegato come mai, tra tutti i manifestanti, era
stato condannato il solo M..

2.-. Il ricorso è palesemente infondato.

Tutte le odierne censure sono già state esaminate e respinte, con
adeguata motivazione, dalla Corte di Appello di Venezia nella sentenza
impugnata. In particolare, la Corte di merito, nel qualificare come
servizio pubblico quello posto in essere dalla Polizia Stradale
mediante la apparecchiatura autovelox, non ha fatto che applicare
consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul punto
(Cass. Civ., sez. 1, sentenze n. 24066 del 28/12/2004 e n. 5861 del
17/3/2005). Quanto all'assunto difensivo dell'imputato di non essersi
reso conto, quanto meno nella prima fase dei fatti, che era in atto un
servizio di accertamento mediante autovelox da parte della Polizia
Stradale, e di avere inteso soltanto esercitare la propria vigilanza
(come cittadino e come aderente alla LIFE) contro il proliferare della
microcriminalità, la Corte di Appello di Venezia ha dettagliatamente
ricostruito l'intera vicenda, spiegando come tutte le risultanze
processuali escludevano che il M. avesse realmente agito sotto la
spinta della preoccupazione di trovarsi in presenza di malintenzionati
(il risentimento da lui mostrato nell'apprendere che si trattava di
forze dell'ordine; i contatti con l'ispettore D.R. per esprimergli
unicamente le sue rimostranze per il servizio della Polstrada; la
richiesta di solidarietà agli associati LIFE ed il loro intervento
risolutore).

Il tessuto motivazionale della sentenza censurata non
presenta affatto quella carenza, contraddittorietà o macroscopica
illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei
principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente
il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lettera e) (anche nella sua nuova
formulazione), nel quale si risolvono tutte le censure. Come si è
visto, gli elementi addotti dal ricorrente sono già stati tutti
valutati e correttamente "smontati" dai giudici di merito. Le
argomentazioni della Corte di Appello sono logiche ed adeguate e, a
fronte di esse, il ricorrente si è limitato sostanzialmente a dedurre,
in modo apodittico, tesi di segno contrario e ad insistere
genericamente sulla insussistenza dell'elemento psicologico del reato.
Ma non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera
prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più adeguata)
valutazione delle risultanze processuali.

Non rientra, infatti, nei
poteri di questa Corte quello di compiere una "rilettura" degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il
sindacato in questa sede circoscritto alla verifica dell'esistenza di
un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione.

3.-.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una
somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione delle
questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille),
non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2007.

Depositato in
Cancelleria il 19 febbraio 2007

 

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