Cass. civ. Sez. lavoro, 29-11-2007, n. 24905
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SENESE Salvatore - Presidente
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio -
Consigliere
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere
Dott.
CELENTANO Attilio - rel. Consigliere
Dott. STILE Paolo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
U.A.,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 4 S.C. E, presso lo
studio dell'avvocato DE MARCHIS GOMEZ CARLO, che lo rappresenta e
difende unitamente all'avvocato CIANNAVEI ANDREA, giusta delega in
atti;
- ricorrente -
contro
INA VITA S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA P.L.
DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell'avvocato TERENZIO ALESSANDRO,
che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
-
controricorrente -
avverso la sentenza n. 34160/03 del Tribunale di
ROMA, depositata il 11/11/03 R.G.N. 59543/99;
udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/07 dal Consigliere Dott.
CELENTANO Attilio;
udito l'Avvocato TERENZIO ALESSANDRO;
udito il P.
M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore
di Roma, depositato il 23 settembre 1996, U.A., dipendente della s.p.a.
Istituto Nazionale delle Assicurazioni con inquadramento nel settimo
livello e qualifica di funzionario di seconda classe, conveniva in
giudizio la società datrice di lavoro chiedendo:
a) accertare la
dequalificazione da lui subita e disporre la reintegra nelle mansioni
di incaricato dei rapporti istituzionali dell'ente, con il suo
accreditamento presso la Camera dei Deputati, il Senato ed il Ministero
dell'Industria;
b) accertare il suo diritto all'inquadramento nella
categoria dirigenti dal settembre 1990;
c) condannare l'INA al
risarcimento del danno da dequalificazione professionale e del danno
bio - psichico subito per la dequalificazione stessa;
d) condannare la
società al pagamento del danno da lavoro usurante per mancata fruizione
delle ferie.
A fondamento delle sue pretese il ricorrente esponeva
che, con la nomina del nuovo presidente dell'INA, avvenuta nel novembre
1994, non gli era stata più richiesta l'attività di collaborazione che
aveva svolto, dal settembre 1990, per il precedente presidente, con un
servizio di supporto e di consulenza relativo alle attività dei due
rami del Parlamento e del Ministero dell'Industria.
L'INA,
costituitasi, contestava le domande.
Escussi alcuni testi, il Pretore
rigettava il ricorso.
L'appello del lavoratore - cui resisteva l'INA
Vita s.p.a., quale successore dell'INA s.p.a. a seguito di conferimento
di ramo di azienda, mentre la s.p.a. Assicurazioni Generali, quale
incorporante dell'INA s.p.a., si costituiva solo per evidenziare la sua
estraneità al giudizio veniva parzialmente accolto dal Tribunale di
Roma con sentenza del 23 ottobre/11 novembre 2003.
I Giudici di
secondo grado ritenevano che dequalificazione vi era stata dal gennaio
1996, allorquando non era stato chiesto il rinnovo della tessera di
accesso al Senato per l'appellante, al settembre 1996, epoca di
deposito del ricorso; in tale periodo il lavoratore era rimasto
inattivo per buona parte della giornata, atteso che le mansioni svolte
all'esterno occupavano da un terzo alla metà dell'orario lavorativo.
Escludevano la dequalificazione per il periodo precedente, per il quale
il lavoratore si era limitato a lamentare che la documentazione e le
note informative presentate non avevano trovato riscontro presso il
nuovo presidente.
Ritenevano improbabile la insorgenza di una seria
patologia psichica di carattere permanente da ricondurre al
comportamento datoriale.
Respingevano le altre censure, osservando,
quanto al lamentato danno da superlavoro per mancata fruizione delle
ferie, che il teste B. aveva dichiarato che l'appellante si rifiutava
di andare in ferie nonostante i suoi inviti; e che riprova della
volontà dell'INA di far fruire le ferie si ritrovava nella lettera
dell'8 aprile 1991.
Il Tribunale condannava quindi l'INA VITA s.p.a.
al pagamento della somma di Euro 6.274,95, a titolo di risarcimento del
danno da dequalificazione professionale, oltre rivalutazione ed
interessi.
Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando tre
motivi di censura, U.A..
INA VITA s.p.a resiste con controricorso.
Le
parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo
motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 4
e 35 Cost., artt. 2103 e 2087 c.c., e vizio di motivazione, la difesa
del ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha
escluso il danno da dequalificazione per il periodo precedente il
gennaio 1996.
Critica la motivazione sul punto ("in quanto, nello
stesso ricorso il lavoratore non lamenta la privazione delle mansioni
ma solo che le note informative e la documentazione presentata non
aveva avuto alcun riscontro e che non aveva ricevuto istruzioni sul
lavoro da svolgere, comportamenti questi che rientravano nel potere del
Presidente il quale non aveva alcun obbligo di utilizzare e condividere
le informazioni e proposte elaborate dal ricorrente, nè di impartirgli
istruzioni, considerata la autonomia asseritamente goduta dallo stesso
nell'effettuare ricerche ed elaborare studi").
Sostiene che il
Tribunale non ha considerato che gli accessi periodici al Parlamento
derivavano dalla stretta collaborazione con il Presidente,
collaborazione negata dal nuovo Presidente.
Ricorda che il datore di
lavoro ha l'obbligo di predisporre il cd. substrato materiale
dell'obbligazione lavorativa, e che, se è vero che il mancato rinnovo
della tessera di accesso al Senato per il 1996 impediva lo svolgimento
di attività presso tale organo istituzionale, il Tribunale ha comunque
omesso di accertare se, nel corso di vigenza dell'accredito, il Dott.
U. fosse stato messo in condizione di svolgere tale attività. 1 a. Il
motivo non è fondato.
Le considerazioni dei giudici di appello sulla
attività (note informative, ricerche e raccolta di documentazione)
svolta dall'appellante nel primo periodo successivo alla nomina del
nuovo presidente e fino al dicembre 1995 costituiscono apprezzamenti di
fatto, riservati ai giudici di merito, che ne hanno dato congrua
motivazione. Le censure si risolvono nella non condivisione di tali
apprezzamenti ma, come tali, sono inammissibili in sede di legittimità.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 2697, 2700, 2087 c.c., artt. 194, 61 e 62 c.p.c., nonchè
vizio di motivazione, la difesa del Dott. U. critica la sentenza nella
parte in cui non ha disposto una consulenza tecnica di ufficio,
ritenendo "improbabile l'insorgenza di una seria patologia psichica di
carattere permanente da connettere casualmente con il comportamento
datoriale", sulla scorta di considerazioni prive di valenza scientifica
(quale la durata di otto mesi del demansionamento) o estranee al
dedotto rapporto causale (quale il richiamo alla fase di mutamento di
mansioni comportante comunque problemi organizzativi in una società di
rilevanti dimensioni, come l'appellata).
Deduce che gli elementi
forniti dal ricorrente in ordine alla patologia sofferta non erano
affatto generici, e riporta il contenuto di tre certificati medici, uno
del Dott. G. in data (OMISSIS), due del dott. C., dell'ambulatorio
neurologico dell'(OMISSIS); assume che gli ultimi due, in quanto
sottoscritti dal primario di un istituto pubblico, costituiscono atto
pubblico e fanno piena prova delle attestazioni in essi contenute.
Richiama inoltre la consulenza di parte allegata al ricorso
introduttivo.
2 a. Il motivo non è fondato.
Il giudizio sulla
necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza
tecnica rientra nel potere discrezionale del Giudice del merito, la cui
decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione; tuttavia, quando
la decisione della controversia su un determinato punto dipende
esclusivamente da un questione tecnica, poichè i fatti da porre a base
del giudizio non possono essere altrimenti accertati o provati, il
Giudice non può non disporre indagini tecniche, a meno che non dia
conto della sua scelta utilizzando nozioni tecniche di comune
conoscenza (Cass., 1 marzo 2007 n. 4853; 3 marzo 2005 n. 4652; 8 marzo
2004 n. 4686; 16 luglio 2003 n. 11143).
Nella fattispecie in esame i
Giudici di appello, dopo aver affermato che fino al dicembre 1995 non
vi era stato demansionamento (primo motivo), hanno negato (come
improbabile) la insorgenza di una seria patologia psichica di carattere
permanente causata dal comportamento datoriale, per la breve durata del
demansionamento e perchè si era in una fase di mutamento di mansioni
comportante comunque problemi organizzativi in una società di rilevanti
dimensioni come l'appellata.
Ora, se è vero che la seconda delle
argomentazioni risulta incongrua, è anche vero che il primo dei
certificati di cui si lamenta una non attenta valutazione risale al 23
gennaio 1996 e, secondo quanto si afferma nel ricorso (pag. 9), reca la
diagnosi di stato depressivo ansioso reattivo con tachicardia ed
insonnia con claustrofobia, malattia che si afferma risalente al
gennaio 1995.
Ne consegue che, una volta escluso che vi sia stata
dequalificazione fino al dicembre 1995, una malattia già diagnosticata
nel gennaio 1996 (ed addirittura risalente ad un anno prima) non può,
da un punta di vista logico, essere ricondotta al demansionamento
intervenuto dal gennaio al novembre 1996.
Non sussiste pertanto
violazione delle norme denunciate, nè ricorre un vizio della
motivazione su un punto decisivo.
3. Con il terzo motivo, denunciando
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 e 41 Cost, artt. 2109,
2087 e 2697 c.c., e art. 432 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, la
difesa del ricorrente critica la sentenza nella parte in cui ha escluso
il danno per mancata fruizione delle ferie.
Deduce che la società
aveva ammesso, con la lettera 8 aprile 1991 (che trascrive), di avere
consentito già nel 1991 un arretrato di ferie pari a 57 giorni; che il
generico invito a fruire delle ferie non configura adempimento del
potere dovere che grava sul datore di lavoro; che l'arretrato ferie si
era ulteriormente aggravato negli anni successivi, tanto da raggiungere
i 131 giorni al novembre 1995, a causa della intensa collaborazione con
il Presidente dell'Istituto.
3 a. Il motivo è fondato nei limiti di
seguito precisati.
Questa Corte ha chiarito che, fermo restando il
carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche
dall'art. 36 Cost., ove le ferie non siano effettivamente fruite, anche
senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore
l'indennità sostitutiva, la quale ha per un verso carattere
risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla
mancata fruizione del riposo (e quindi dall'espletamento di un plus di
lavoro con mancata ricostituzione delle energie psicofisiche e ridotta
possibilità di dedicarsi ad attività ricreative o relazioni familiari e
sociali), e per altro verso costituisce erogazione di indubbia natura
retributiva (v. Cass., 25 settembre 2004 n. 19303; 19 maggio 2003 n.
7836).
Alla luce del ricordato principio di diritto il motivo è
fondato nei limiti della misura della indennità sostitutiva, a nulla
rilevando il mancato ottemperamento del lavoratore agli inviti a fruire
delle ferie.
Nulla, invece, è dovuto al di là della citata indennità
sostitutiva, in primo luogo perchè l'accertato rifiuto del lavoratore a
fruire delle ferie è idoneo ad escludere responsabilità per danni
ulteriori rispetto a quelli coperti dalla indennità sostitutiva delle
ferie non godute; e, inoltre, perchè non risulta comunque dedotto e
provato un danno ulteriore rispetto a quello che l'indennità è
destinata a ristorare.
In conclusione va accolto per quanto di ragione
il terzo motivo e vanno rigettati i primi due. La sentenza va cassata
in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata, per nuovo
esame, ad altro giudice di secondo grado, che si indica nella Corte di
Appello di Roma. Il Giudice di rinvio si atterrà al seguente principio
di diritto: "fermo restando il carattere irrinunciabile del diritto
alle ferie, garantito anche dall'art. 36 Cost., ove le ferie non siano
effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro,
spetta al lavoratore l'indennità sostitutiva, la quale ha per un verso
carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno
costituito dalla mancata fruizione del riposo (e quindi
dall'espletamento di un plus di lavoro con mancata ricostituzione delle
energie psicofisiche e ridotta possibilità di dedicarsi ad attività
ricreative o relazioni familiari e sociali), e per altro verso
costituisce erogazione di indubbia natura retributiva"; la domanda di
risarcimento del lavoratore dovrà essere quindi valutata nei limiti
della predetta indennità sostitutiva.
Al Giudice di rinvio si rimette
anche la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.
Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i primi
due;
cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e
rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria
il 29 novembre 2007
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