N. 33 SENTENZA 27 febbraio - 6 marzo 2013
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza pubblica - Raggiungimento del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo, senza aver compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione - Dirigenza sanitaria delle Aziende Sanitarie Locali - Disciplina vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge n. 183 del 2010 - Prevista facolta' di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo, e cioe' fino al sessantasettesimo anno di eta' - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al restante personale delle Aziende Sanitarie Locali, al quale e' consentito rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento dell'anzianita' minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di eta' - Illegittimita' costituzionale in parte qua - Assorbimento dell'ulteriore profilo di censura. - Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15-nonies, comma 1, e decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16, comma 1, primo periodo, in combinato disposto, nel testo vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183. - Costituzione, art. 38, secondo comma (art. 3, primo comma).(GU n.11 del 13-3-2013 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Franco GALLO;
Giudici :Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio
MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo
15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), in combinato disposto con l'art. 16
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il
riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e
pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n.
421), promosso dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento
vertente tra l'Azienda Sanitaria Locale n. 5 "Spezzino" e Rinaldi
Giuseppe, con ordinanza del 18 maggio 2012, iscritta al n. 198 del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2012.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013 il Giudice
relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 18 maggio 2012 la Corte d'appello di
Genova ha sollevato, in riferimento agli articoli 38, secondo comma,
e 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'articolo 15-nonies [rectius: art. 15-nonies,
comma 1] del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), in combinato disposto con l'art. 16
[rectius: art. 16, comma 1, primo periodo] del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nella parte in
cui non e' prevista per i dirigenti sanitari, anziche' la facolta' di
permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore
della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la
razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di
sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza
territoriale), per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di
eta' per il collocamento a riposo per essi previsti (ossia, fino al
sessantasettesimo anno d'eta'), quella di permanere in servizio, su
istanza dell'interessato, fino al maturare del quarantesimo anno di
servizio effettivo, con il limite di permanenza del settantesimo anno
di eta' ed il limite di non dar luogo ad un aumento del numero dei
dirigenti.
1.1. - Riferisce il giudice rimettente che l'Azienda sanitaria
locale (ASL) n. 5 "Spezzino" aveva disposto, al 1° aprile 2010, la
cessazione dal servizio di Giuseppe Rinaldi, proprio dirigente medico
con incarico di "direzione complessa cure primarie", al compimento
del sessantasettesimo anno d'eta'. Cio', in applicazione
dell'impugnato combinato disposto degli artt. 15-nonies del d.lgs. n.
502 del 1992 e 16 del d.lgs. n. 503 del 1992.
Successivamente, dal 1° febbraio 2011, l'ASL l'aveva riammesso in
servizio a seguito dell'entrata in vigore della legge 4 novembre
2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di
riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di
ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi
all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche'
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro
pubblico e di controversie di lavoro), il cui art. 22, al comma 1,
estendeva la facolta' di permanere in servizio, su istanza
dell'interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio
effettivo - con la precisazione che, in ogni caso, il limite massimo
di permanenza non poteva superare il settantesimo anno d'eta' e che
detta permanenza non poteva dar luogo ad un aumento del numero dei
dirigenti - ed al comma 3 statuiva che detta facolta' si riconoscesse
anche ai dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio
sanitario nazionale in servizio alla data del 31 gennaio 2010.
1.2. - Il Rinaldi aveva adito il Tribunale ordinario della Spezia
ed ottenuto da questo la sentenza n. 1 del 26 gennaio 2012, che aveva
accertato il diritto del ricorrente nei confronti dell'ASL di essere
riammesso in servizio con la qualifica, le mansioni e la retribuzione
di cui al contratto individuale di lavoro del 3 novembre 2009, n.
205, a far tempo dal 1° aprile 2010 e fino al compimento del
settantesimo anno d'eta' (il 4 marzo 2013) - salvo il sopraggiungere
di autonoma causa di risoluzione del rapporto - con diritto al
pagamento delle retribuzioni e delle differenze retributive frattanto
maturate, oltre che della somma maggiore tra interessi e
rivalutazione monetaria, ed al versamento all'ente competente della
relativa contribuzione previdenziale. In tale decisione si affermava
che i citati artt. 15-nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 e 16 del
d.lgs. 503 del 1992 erano stati interpretati in modo
costituzionalmente orientato, in particolare alla luce della sentenza
della Corte costituzionale n. 90 del 1992. Quest'ultima aveva
dichiarato costituzionalmente illegittima, in riferimento all'art.
38, secondo comma, Cost., altra normativa che fissava un'eta' di
collocamento a riposo che non consentiva al personale delle Unita'
sanitarie locali (USL), a quella data privo - come il Rinaldi - del
requisito contributivo necessario per fruire della pensione, di
permanere in servizio fino alla maturazione di questa e comunque non
oltre il settantesimo anno d'eta', come previsto per i primari che
volessero conseguire il massimo della pensione. Ad avviso del
Tribunale, una volta venuta meno la cessazione del servizio al
compimento del sessantasettesimo anno d'eta', il rapporto doveva
intendersi proseguito senza soluzione di continuita', con la
conseguente applicazione del regime stabilito dal contratto del 3
novembre 2009. Quindi, il ricorrente doveva continuare ad essere
dirigente della struttura complessa nonostante non avesse partecipato
e superato il previsto corso di formazione, atteso che la continuita'
del rapporto avrebbe imposto, per la revoca dall'incarico lavorativo,
la specifica - e concretamente non seguita - procedura e che egli era
gia' stato valutato positivamente e, dunque, era esonerato - ex art.
15, comma 8, ultima parte, del d.lgs. n. 502 del 1992 - dal possedere
l'attestato manageriale.
1.3. - Riferisce ancora il rimettente che avverso la menzionata
sentenza la ASL ha proposto appello, lamentando che il Tribunale
avesse offerto un'erronea interpretazione della normativa vigente
(gli artt. 15-nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 e 16 del d.lgs. n.
503 del 1992, nel testo precedente alla modifica introdotta dall'art.
22 della legge n. 183 del 2010, inapplicabile ratione temporis) in
quanto irrimediabilmente contraria alla lettera della stessa.
Inoltre, secondo l'appellante i principi costituzionali richiamati
dal giudice di prime cure, presupponendo la mancanza di un
trattamento pensionistico, non avrebbero potuto operare nella
fattispecie, considerato che il ricorrente godeva di pensione
corrisposta dall'Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici
(ENPAM).
Ancora, non si sarebbero potute riconoscere le retribuzioni medio
tempore maturate, posto che esse competerebbero solo a chi sia stato
riammesso in servizio a seguito di illegittima interruzione del
rapporto e che, peraltro, il ricorrente aveva svolto attivita' di
medico convenzionato per il Comune di Aulla dal 30 giugno 2010 al 31
gennaio 2011, percependo il relativo trattamento economico
incompatibile con quello di dirigente dell'ASL, comunque da detrarsi
dall'ammontare degli emolumenti dovuti da essa appellante. La
decorrenza della riammissione in servizio dal 1° febbraio 2011
anziche' dall'entrata in vigore della legge n. 183 del 2010 (ossia,
dal 24 novembre 2010), giustificata alla luce della necessita' di
ottenere dalla Regione la deroga al "blocco dei dirigenti", non
avrebbe potuto comportare che il Rinaldi fosse riammesso quale
direttore di struttura complessa, non possedendo il requisito di
frequentazione e superamento dei corsi di formazione, necessario ex
art. 16-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, ed essendo irrilevante
che fosse gia' stato valutato, in mancanza di una revoca da parte
dell'ASL. Infine, essa, a suo avviso, non avrebbe dovuto essere
condannata al pagamento delle spese di giudizio. Ha quindi concluso
nel senso che, in riforma della sentenza gravata, fosse dichiarata
cessata la materia del contendere ed accolta la domanda
riconvenzionale avanzata in primo grado volta a far accertare il suo
diritto-dovere ad inquadrare la controparte, dal 1° febbraio 2011 o
da altra meglio ritenuta, nel primo livello dirigenziale.
Il giudice a quo da' atto della costituzione dell'appellato, che
ha contestato punto per punto i motivi di impugnazione, segnatamente
quanto alla sua mancata partecipazione ai corsi manageriali,
chiedendo la declaratoria d'inammissibilita' o d'infondatezza del
gravame.
1.4. - Sintetizzata in questi termini la vicenda sottoposta al
suo vaglio, la Corte d'appello, sul presupposto dell'ammissibilita'
dell'impugnazione per essere le censure sufficientemente
circostanziate e correlate al contenuto della sentenza di primo
grado, esclude di poter condividere l'interpretazione degli artt.
15-nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 e 16 del d.lgs. n. 503 del 1992
seguita dal Tribunale, ritenendo che l'enunciato normativo -
testualmente riportato nell'ordinanza - non lasci alcuno spazio per
ampliare la portata del loro contenuto precettivo e permettere
un'ulteriore permanenza in servizio, nemmeno attraverso un'operazione
ermeneutica adeguatrice.
Tanto premesso, ritiene di sollevare questione di legittimita'
costituzionale del combinato disposto delle citate norme per
violazione degli artt. 38, secondo comma, e 3, primo comma, Cost.
1.5. - Quanto alla non manifesta infondatezza in riferimento al
primo parametro, evidenzia come sia «principio di ordine generale
quello secondo cui non puo' essere preclusa, senza violare l'art. 38,
secondo comma, della Costituzione, la possibilita', per il dipendente
pubblico che al compimento del sessantacinquesimo anno di eta',
qualunque sia la data di assunzione, non abbia maturato il diritto a
pensione, di derogare a tale limite fissato per il collocamento a
riposo, al solo scopo di completare il periodo minimo di servizio
richiesto dalla legge per il conseguimento di tale diritto. Si e'
anche osservato che le considerazioni in ordine alla discrezionalita'
del legislatore derivanti dalla necessita' di bilanciare l'interesse
del lavoratore al conseguimento del diritto alla pensione con altri
interessi costituzionalmente rilevanti non sono sufficienti per
fondare il non accoglimento della questione, sia perche' in genere si
e' ritenuto possibile il prolungamento dell'eta' lavorativa per
l'aumento dell'eta' media, sia perche' la facolta' in questione va
riconosciuta solo per il tempo strettamente necessario per il
raggiungimento dell'anzianita' minima per conseguire il diritto alla
pensione. Si deve, infatti, conferire il massimo di effettivita' alla
garanzia del diritto sociale alla pensione da riconoscersi a tutti i
lavoratori in base all'art. 38, secondo comma, della Costituzione, e
la realizzazione di detto obiettivo rientra in finalita'
costituzionalmente protette (sent. n. 440 del 1991). Mentre, la
garanzia del raggiungimento di un trattamento pensionistico massimo
e' affidata alla discrezionalita' del legislatore e il suo mancato
riconoscimento non importa violazione dell'art. 38, secondo comma,
della Costituzione» (sentenza n. 90 del 1992, richiamata assieme alle
sentenze n. 282 del 1991 e n. 444 del 1990).
Quanto all'art. 3, primo comma, il giudice rimettente sostiene
che il combinato disposto degli artt. 15-nonies del d.lgs. n. 502 del
1992 e 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, con il collocamento a riposo
non prolungabile oltre il compimento del sessantasettesimo anno
d'eta' prevede, senza ragione giustificatrice, un trattamento
deteriore dei dirigenti sanitari rispetto alle categorie prese in
considerazione dalle menzionate sentenze della Corte costituzionale e
dalle leggi da essa sanzionate.
Dopo aver evidenziato che la percezione della pensione
corrisposta dall'ENPAM e' irrilevante - in quanto estranea al
trattamento pensionistico cui si riferisce la contribuzione versata
dall'appellato quale pubblico dipendente - e che non risulta
aumentato, con la permanenza in servizio del medesimo, il numero dei
dirigenti dell'ASL, come sarebbe desumibile dal fatto che questi sia
stato riammesso in applicazione della legge n. 183 del 2010, il
giudice a quo sostiene la rilevanza della questione. Essa e' dedotta
dalla ritenuta ammissibilita' dell'appello e dal fatto che dalla
risoluzione della questione medesima dipende l'esito della
controversia, pur lasciando impregiudicato il profilo relativo
all'incarico di dirigente di struttura complessa, con i relativi
risvolti sui compiti da svolgere e sul trattamento retributivo,
nonche' quello della quantificazione delle pretese del Rinaldi alla
luce dell'aliunde perceptum; aspetti, entrambi, che presupporrebbero
l'accoglimento della questione, mentre la pretesa incompatibilita'
tra rapporto di servizio e quello convenzionale non potrebbe operare
per il periodo in cui non sono coesistiti, ossia dalla cessazione
dell'uno (il 1° aprile 2010) all'instaurazione del secondo (il 30
giugno del 2010).
2. - Con atto depositato il 22 ottobre 2012 e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo
l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza. Il
giudice rimettente non avrebbe chiarito nell'ordinanza di rimessione
se il Rinaldi, anche titolare di una pensione ENPAM, fosse in grado
di raggiungere la soglia minima di anzianita' necessaria per ottenere
il trattamento pensionistico, atteso che, in tal caso, evidentemente
la problematica relativa all'art. 38 Cost. sarebbe estranea alla
fattispecie in esame e la questione di legittimita' costituzionale
sarebbe ininfluente rispetto alla pretesa azionata. Sul punto
l'intervenuto richiama la giurisprudenza costituzionale, secondo cui
le carenze nella descrizione della fattispecie - non emendabili
mediante la diretta lettura degli atti, impedita dal principio di
autosufficienza dell'atto di rimessione - si risolverebbero in un
difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni, precludendo
il necessario controllo di rilevanza delle medesime (sentenze n. 236
del 212, n. 93 del 2012, n. 84 del 2012, n. 360 del 2010 e n. 165 del
2010).
Secondo l'intervenuto, la questione sarebbe poi infondata nel
merito. La diversita' della disciplina vigente per il personale
contemplato dall'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato
giuridico del personale delle unita' sanitarie locali) - a seguito
della sentenza della Corte costituzionale n. 90 del 1992 - rispetto a
quella relativa ai dirigenti sanitari non darebbe luogo ad
un'ingiustificata disparita' di trattamento, ma sarebbe semplicemente
espressione di una differente regolazione di due distinte categorie,
per le quali non si imporrebbe affatto un'identica considerazione,
alla luce della specificita' di qualifica, funzioni e
professionalita' che caratterizza i dirigenti.
D'altra parte, la stessa Corte costituzionale avrebbe osservato,
seppur con specifico riferimento alle categorie dei primari medici e
dei dirigenti veterinari delle USL e quella dei dirigenti civili
dello Stato, la non omogeneita' delle stesse, escludendo l'esistenza
di una regola generale, per tutti i dipendenti pubblici, del
collocamento a riposo a settant'anni - regola meramente di tendenza,
prospettata nel corso dei lavori preparatori della legge 1991, n. 50
- ed ammettendo solo la sussistenza di deroghe a favore di
determinate categorie per ragioni varie e diverse, realizzate dal
legislatore in attuazione di scelte discrezionali (sentenza n. 440
del 1991). Nello stesso modo, la peculiarita' della figura del
dirigente sanitario rispetto al personale delle strutture del
Servizio sanitario nazionale giustificherebbe differenze di
trattamento, escludendo cosi' la violazione dell'art. 3, primo comma,
Cost., data la non omogeneita' delle situazioni.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di
Genova ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo 15-nonies [rectius: art. 15-nonies, comma 1] del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge
23 ottobre 1992, n. 421), in combinato disposto con l'art. 16
[rectius: art. 16, comma 1, primo periodo] del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in riferimento
agli artt. 38, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
Il giudice rimettente ritiene non manifestamente infondata la
questione di costituzionalita' delle norme in questione «nella parte
in cui prevedono per la dirigenza sanitaria la facolta' di permanere
in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge
n. 421 del 1992, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti
di eta' per il collocamento a riposo per essi previsti, e cioe' fino
al sessantasettesimo anno d'eta', e non la facolta' di permanere in
servizio, su istanza dell'interessato, fino al maturare del
quarantesimo anno di servizio effettivo, con il limite di permanenza
del settantesimo anno di eta' e l'altro di non dar luogo ad un
aumento del numero dei dirigenti».
Nel corso della vicenda processuale che ha dato luogo
all'insorgere del presente giudizio, l'art. 15-nonies, comma 1, del
d.lgs. n. 502 del 1992 e' stato modificato dall'art. 22, comma 1,
della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di
incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro). Entrambe le
formulazioni sono state prese in considerazione dal giudice
rimettente al momento dell'emissione dell'ordinanza.
1.1. - Il testo dell'art. 15-nonies, comma 1, antecedente a detta
modifica era il seguente: «Il limite massimo di eta' per il
collocamento a riposo dei dirigenti medici del Servizio sanitario
nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, e'
stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', fatta
salva l'applicazione dell'articolo 16 del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 503. [...]». Per effetto dell'art. 22, comma 1,
della legge n. 183 del 2010 esso risulta ora cosi' formulato: «Il
limite massimo di eta' per il collocamento a riposo dei dirigenti
medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi
compresi i responsabili di struttura complessa, e' stabilito al
compimento del sessantacinquesimo anno di eta', ovvero, su istanza
dell'interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio
effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non puo'
superare il settantesimo anno di eta' e la permanenza in servizio non
puo' dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti. [...]».
Dispone inoltre l'art. 22, comma 3, della legge n. 183 del 2010 che:
«Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 15-nonies del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dal
comma 1 del presente articolo, si applicano anche ai dirigenti medici
e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale in servizio
alla data del 31 gennaio 2010».
L'art. 16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 503 del 1992,
nel testo vigente al momento della cessazione del rapporto di lavoro,
peraltro ad oggi immutato, recita: «E' in facolta' dei dipendenti
civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere
in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge
23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i
limiti di eta' per il collocamento a riposo per essi previsti.
[...]».
1.2. - La Corte d'appello e' stata chiamata a decidere su una
fattispecie riguardante un dirigente medico con incarico di direzione
complessa, il quale era stato dichiarato cessato dal servizio
dall'Azienda sanitaria locale (ASL) di appartenenza il 1° aprile 2010
a seguito del compimento del sessantasettesimo anno di eta' in
applicazione del combinato disposto delle norme sottoposte al
presente giudizio, che, per la dirigenza medica, originariamente
prevedeva la facolta' di permanere in servizio soltanto per un
biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo fissati a
sessantacinque anni.
La ASL aveva poi reintegrato il medico, nella qualifica di
semplice dirigente, sulla base dell'art. 22, commi 1 e 3, della legge
n. 183 del 2010 a far data dal 1° febbraio 2011.
Il Tribunale ordinario della Spezia, frattanto adito dal medico
interessato, aveva accertato il suo diritto alla riammissione in
servizio con qualifica, mansioni e retribuzione del vecchio contratto
individuale di dirigente di struttura complessa, con diritto al
pagamento delle retribuzioni e delle differenze retributive medio
tempore maturate dalla suddetta cessazione alla riammissione in
servizio, oltre alla somma maggiore tra interessi legali e
rivalutazione monetaria, e diritto alla relativa contribuzione
previdenziale. Secondo il Tribunale, il rapporto doveva, infatti,
intendersi proseguito senza soluzione di continuita' e, pertanto,
l'attore doveva essere riammesso in servizio con la qualifica e le
mansioni di dirigente di struttura complessa, malgrado egli non
avesse partecipato e superato il prescritto corso di formazione per
detta figura professionale.
Tale decisione, sottoposta all'esame della Corte d'appello di
Genova a seguito dell'impugnazione della sentenza di primo grado da
parte dell'ASL, era stata fondata sull'interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme oggetto del presente
giudizio; interpretazione ispirata - a dire del giudice di prime cure
- dalla sentenza n. 90 del 1992 di questa Corte.
Il rimettente precisa che il gravame e' ammissibile e che nel
giudizio di merito le questioni dell'accessibilita' all'incarico di
dirigente di struttura complessa e dei compiti da svolgere, della
quantificazione delle pretese del dirigente alla luce dell'aliunde
perceptum e della valutazione del periodo compreso tra la cessazione
dal servizio e la successiva riammissione rimangono aperte, ma
presuppongono la caducazione della normativa censurata.
Il giudice rimettente precisa altresi' che il periodo in
contestazione e' decisivo per il conseguimento della pensione, non
potendosi ritenere influente nel caso di specie la titolarita', da
parte del medico, di pensione erogata dall'Ente nazionale di
previdenza ed assistenza medici (ENPAM), maturata nel settore della
previdenza privata ed estranea al trattamento pensionistico correlato
alla posizione contributiva del dirigente quale pubblico dipendente.
1.3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, ritualmente
intervenuto ai sensi dell'art. 25, terzo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), ha eccepito in via preliminare l'inammissibilita'
del ricorso per la mancata illustrazione della rilevanza della
questione rispetto al giudizio pendente. Secondo l'intervenuto, il
rimettente non avrebbe chiarito se il dirigente, gia' in godimento di
una pensione ENPAM, permanendo in servizio fosse in condizione di
raggiungere l'anzianita' contributiva minima per beneficiare del
trattamento pensionistico pubblico.
In ogni caso la questione non sarebbe fondata poiche' la
diversita' della disciplina tra i dirigenti sanitari ed il restante
personale delle ASL non porrebbe in essere un'ingiustificata
disparita' di trattamento, ma consisterebbe in una differente
regolazione di due categorie diverse, per le quali non si imporrebbe
affatto un'identita' di regolamentazione. Lo status di dirigente
sarebbe, infatti, caratterizzato da una propria specificita' per
qualifica, funzioni e professionalita', in grado di distinguerlo
nettamente da quello del restante personale che lavora nel servizio
sanitario, per cui non avrebbe fondamento la pretesa di estendere il
trattamento della seconda categoria di dipendenti all'altra.
2. - In via preliminare, deve escludersi che la questione possa
essere dichiarata inammissibile per insufficiente motivazione sulla
rilevanza.
Pur nella sua estrema stringatezza, la questione sollevata,
valutata anche alla luce dell'intera ordinanza di rimessione, e'
espressa in modo sufficiente a consentire a questa Corte di
individuare il thema decidendum. Inoltre, alla stregua del percorso
argomentativo seguito dal giudice rimettente, l'ordinanza e' stata
formulata in modo idoneo a permettere alla Corte di circoscrivere il
contenuto della questione e di valutare la rilevanza di questa. In
particolare - tenuto conto che, come osservato dallo stesso
rimettente, la normativa sopravvenuta non potrebbe incidere sull'atto
amministrativo di cessazione ormai consolidato - la rilevanza
sussiste per lo scrutinio di legittimita' del provvedimento di
collocamento a riposo, per l'accesso all'incarico di struttura
complessa e per la valutazione del periodo intercorso tra la
cessazione del rapporto ed il suo ripristino, rimanendo aperte le
ulteriori questioni, peraltro condizionate dalle precedenti.
Nell'ambito della questione sollevata dal rimettente, alla luce
delle argomentazioni dello stesso e di quelle contenute nell'atto
d'intervento del Presidente del Consiglio, non ha rilievo il
godimento di trattamento pensionistico ENPAM da parte del dirigente
medico, perche' il giudice rimettente ha reso esplicite in modo non
implausibile le ragioni che lo inducono a non prendere in
considerazione la titolarita' di tale vitalizio ritenuto estraneo
alla posizione pensionistica di pubblico dipendente dell'appellato.
In definitiva, il giudice a quo ha assolto in modo sufficiente
l'onere, del quale e' gravato, di individuare la rilevanza della
questione sulla causa che egli e' chiamato a decidere.
3. - Nel merito la questione e' fondata in relazione al combinato
disposto degli artt. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 e
16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 503 del 1992, nel testo
vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge n. 183
del 2010, nella sola parte in cui esso non consente al personale ivi
disciplinato, che al raggiungimento del limite massimo di eta' per il
collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni
richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su
richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianita'
minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'.
In ordine alla tutela del conseguimento del minimo pensionistico,
l'orientamento di questa Corte e' costante. Il problema di tale
tutela e' strettamente connesso a quello dei limiti di eta'; la
previsione di questi ultimi e' rimessa «al legislatore nella sua piu'
ampia discrezionalita'» (sentenza n. 195 del 2000) e quest'ultima
puo' incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale - solo in
relazione all'obiettivo di conseguire il minimo della pensione,
attraverso lo strumento della deroga ai limiti di eta' ordinari
previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico.
Nella giurisprudenza di questa Corte e' dunque ferma la
distinzione tra la tutela della pensione minima e l'intangibile
discrezionalita' del legislatore nella determinazione dell'ammontare
delle prestazioni previdenziali e nella variazione dei trattamenti in
relazione alle diverse figure professionali interessate. Mentre il
conseguimento della pensione al minimo e' un bene costituzionalmente
protetto, altrettanto non puo' dirsi per il raggiungimento di
trattamenti pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza
n. 227 del 1997).
Peraltro, anche la deroga ai limiti di eta' al fine del
conseguimento del bene primario del minimo pensionistico incontra a
sua volta dei limiti fisiologici. Questa Corte ha avuto modo di
definirli come «energia compatibile con la prosecuzione del rapporto»
(sentenza n. 444 del 1990), oltre la quale neppure l'esigenza di
tutelare detto bene primario puo' spingersi.
Nel tempo, detto limite fisiologico si e' spostato in avanti, di
modo che, mentre fino al 1989 (sentenza n. 461 del 1989) esso e'
stato individuato a sessantacinque anni, successivamente con la
citata sentenza n. 444 del 1990 questa Corte ha affermato che «la
presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si
pervenga ad una diminuita disponibilita' di energia incompatibile con
la prosecuzione del rapporto "e' destinata ad essere vieppiu'
inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle
condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacita' di
lavoro"».
I riferimenti normativi che hanno consentito di estendere -
attraverso la deroga ai limiti di eta' - la protezione costituzionale
del minimo pensionistico ai settanta anni sono stati per la prima
volta individuati nell'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477
(Delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico
del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della
scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato), e
nell'art. 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989,
n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei
dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonche'
in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 febbraio 1990, n. 37. Il primo articolo - con riguardo al
personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola
materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato - dopo aver
unificato a sessantacinque anni il limite d'eta' pensionabile
riducendolo dai settanta anni precedentemente previsti, contemplava,
solo per gli appartenenti a dette categorie di personale in servizio
prima del 1° ottobre 1974, la possibilita' di permanenza in servizio
fino al settantesimo anno ove, al compimento del sessantacinquesimo,
non fosse stata ancora raggiunta l'anzianita' contributiva necessaria
per il minimo della pensione. Il secondo articolo conteneva analoga
previsione a favore di tutti i dirigenti civili dello Stato. In quel
contesto la Corte costituzionale, osservando la descritta evoluzione
normativa, ebbe ad affermare che tali disposizioni di legge
denotavano una tendenza ad innalzare la soglia di deroga. Alla luce
di tali considerazioni fu dichiarata l'illegittimita' costituzionale
del predetto art. 15, terzo comma, della legge n. 477 del 1973 «nella
parte in cui non consente al personale assunto dopo il 1° ottobre
1974, che al compimento del 65° anno di eta' non abbia raggiunto il
numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di
rimanere in servizio su richiesta fino al conseguimento di tale
anzianita' minima (e comunque non oltre il 70° anno di eta')»
(sentenza n. 444 del 1990).
Le successive sentenze (segnatamente le sentenze n. 282 del 1991
e n. 90 del 1992) hanno confermato il suddetto orientamento,
collegando la tutela del bene primario del conseguimento del diritto
alla pensione al limite di settanta anni per le deroghe alle
ordinarie soglie anagrafiche (fatti ovviamente salvi ulteriori
innalzamenti nelle discipline di settore compatibili con l'ampia
discrezionalita' del legislatore in materia). Allo stesso tempo, la
giurisprudenza di questa Corte e' stata costante nel ribadire che il
bene costituzionalmente protetto e' solo quello che tutela il
conseguimento del minimo pensionistico mentre non gode di analoga
protezione l'incremento del trattamento di quiescenza (ordinanza n.
57 del 1992) o il raggiungimento del massimo (ex plurimis, sentenza
n. 227 del 1997 ed ordinanza n. 195 del 2000).
All'univoco indirizzo descritto non ha fatto seguito un puntuale
adeguamento delle diverse legislazioni di settore succedutesi nel
tempo, per cui - anche per la fattispecie in esame - la permanenza in
deroga fino al settantesimo anno di eta' al fine del conseguimento
del diritto minimo alla pensione non era contemplata. Alla luce delle
precedenti considerazioni, solo il combinato normativo vigente al
momento della cessazione dal servizio del dirigente sanitario risulta
in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost. poiche' non consente
al medesimo la permanenza in servizio fino al settantesimo anno di
eta', utile a conseguire il minimo pensionistico mentre la modifica
introdotta con il richiamato art. 22 della legge n. 183 del 2010 e'
contenuta - sotto i profili evocati - entro i limiti della
discrezionalita' del legislatore in subiecta materia.
Non e', al contrario, costituzionalmente tutelato un
indiscriminato ed incondizionato diritto alla reintegrazione in
servizio, senza alcuna considerazione delle esigenze organizzative
dell'ente datore di lavoro, e neppure un diritto a conferma nel
medesimo incarico dirigenziale ricoperto dall'interessato all'atto
della cessazione del servizio laddove, ad esempio, venissero a
mancare i requisiti oppure il posto di funzione non fosse piu'
disponibile. Anzi, nell'ambito della pubblica amministrazione e dei
servizi pubblici i principi di buon andamento e di ragionevolezza di
cui agli artt. 97 e 3 Cost. si realizzano di regola proprio
attraverso la previsione di appropriati requisiti per l'accesso alle
diverse funzioni dirigenziali, la coerenza tra dotazioni organiche ed
assunzioni, il ragionevole bilanciamento tra tipi di funzioni
attribuiti alle diverse figure professionali ed eta-limite per il
loro svolgimento.
4. - La questione proposta in riferimento all'art. 38, secondo
comma, Cost. e', dunque, fondata solo per quel che riguarda il
combinato disposto degli artt. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502
del 1992 e 16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 503 del 1992 -
nel testo vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge
n. 183 del 2010 - limitatamente alla parte in cui non consente al
personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di
eta' per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli
anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su
richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianita'
minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'.
5.- Resta assorbito il profilo di censura relativo all'art. 3,
primo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto
degli articoli 15-nonies, comma 1, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.
421), e 16, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) - nel testo di
essi quale vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della
legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di
incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro) - nella parte in
cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento
del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo non abbia
compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della
pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al
conseguimento di tale anzianita' minima e, comunque, non oltre il
settantesimo anno di eta'.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

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