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venerdì 22 marzo 2013

Corte Costituzionale: Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza pubblica - Raggiungimento del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo, senza aver compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione -














N. 33 SENTENZA 27 febbraio - 6 marzo 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza pubblica - Raggiungimento del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo, senza aver compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione - Dirigenza sanitaria delle Aziende Sanitarie Locali - Disciplina vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge n. 183 del 2010 - Prevista facolta' di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo, e cioe' fino al sessantasettesimo anno di eta' - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al restante personale delle Aziende Sanitarie Locali, al quale e' consentito rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento dell'anzianita' minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di eta' - Illegittimita' costituzionale in parte qua - Assorbimento dell'ulteriore profilo di censura. - Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15-nonies, comma 1, e decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16, comma 1, primo periodo, in combinato disposto, nel testo vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183. - Costituzione, art. 38, secondo comma (art. 3, primo comma). (GU n.11 del 13-3-2013)  

N. 33 SENTENZA 27 febbraio - 6 marzo 2013
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza pubblica - Raggiungimento del limite massimo di  eta'  per
  il collocamento a riposo, senza aver compiuto il numero degli  anni
  richiesti  per  ottenere  il  minimo  della  pensione  -  Dirigenza
  sanitaria delle Aziende Sanitarie Locali - Disciplina vigente  fino
  all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge n. 183  del  2010  -
  Prevista facolta' di permanere in servizio per un  periodo  massimo
  di un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a  riposo,
  e cioe' fino al sessantasettesimo anno  di  eta'  -  Ingiustificata
  disparita' di trattamento  rispetto  al  restante  personale  delle
  Aziende Sanitarie Locali,  al  quale  e'  consentito  rimanere,  su
  richiesta,  in  servizio  fino  al  conseguimento   dell'anzianita'
  minima, e comunque  non  oltre  il  settantesimo  anno  di  eta'  -
  Illegittimita'  costituzionale  in   parte   qua   -   Assorbimento
  dell'ulteriore profilo di censura. 
- Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15-nonies, comma
  1, e decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, art.  16,  comma
  1, primo periodo, in combinato disposto,  nel  testo  vigente  fino
  all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge 4 novembre 2010,  n.
  183. 
- Costituzione, art. 38, secondo comma (art. 3, primo comma). 
(GU n.11 del 13-3-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   dell'articolo
15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502  (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), in combinato disposto con  l'art.  16
del decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.  503  (Norme  per  il
riordinamento del sistema  previdenziale  dei  lavoratori  privati  e
pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge  23  ottobre  1992,  n.
421), promosso dalla  Corte  d'appello  di  Genova  nel  procedimento
vertente tra l'Azienda Sanitaria Locale n.  5  "Spezzino"  e  Rinaldi
Giuseppe, con ordinanza del 18 maggio 2012, iscritta al  n.  198  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 18  maggio  2012  la  Corte  d'appello  di
Genova ha sollevato, in riferimento agli articoli 38, secondo  comma,
e 3, primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'articolo  15-nonies  [rectius:  art.  15-nonies,
comma 1] del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502  (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), in combinato disposto con  l'art.  16
[rectius: art. 16, comma 1, primo periodo] del decreto legislativo 30
dicembre 1992,  n.  503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nella parte  in
cui non e' prevista per i dirigenti sanitari, anziche' la facolta' di
permanere in servizio, con effetto dalla data di  entrata  in  vigore
della legge 23 ottobre  1992,  n.  421  (Delega  al  Governo  per  la
razionalizzazione e la  revisione  delle  discipline  in  materia  di
sanita',  di  pubblico  impiego,   di   previdenza   e   di   finanza
territoriale), per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di
eta' per il collocamento a riposo per essi previsti (ossia,  fino  al
sessantasettesimo anno d'eta'), quella di permanere in  servizio,  su
istanza dell'interessato, fino al maturare del quarantesimo  anno  di
servizio effettivo, con il limite di permanenza del settantesimo anno
di eta' ed il limite di non dar luogo ad un aumento  del  numero  dei
dirigenti. 
    1.1. - Riferisce il giudice rimettente  che  l'Azienda  sanitaria
locale (ASL) n. 5 "Spezzino" aveva disposto, al 1°  aprile  2010,  la
cessazione dal servizio di Giuseppe Rinaldi, proprio dirigente medico
con incarico di "direzione complessa cure  primarie",  al  compimento
del   sessantasettesimo   anno   d'eta'.   Cio',   in    applicazione
dell'impugnato combinato disposto degli artt. 15-nonies del d.lgs. n.
502 del 1992 e 16 del d.lgs. n. 503 del 1992. 
    Successivamente, dal 1° febbraio 2011, l'ASL l'aveva riammesso in
servizio a seguito dell'entrata in  vigore  della  legge  4  novembre
2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di  lavori  usuranti,  di
riorganizzazione di enti, di  congedi,  aspettative  e  permessi,  di
ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di  incentivi
all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro
pubblico e di controversie di lavoro), il cui art. 22,  al  comma  1,
estendeva  la  facolta'  di  permanere  in   servizio,   su   istanza
dell'interessato, al  maturare  del  quarantesimo  anno  di  servizio
effettivo - con la precisazione che, in ogni caso, il limite  massimo
di permanenza non poteva superare il settantesimo anno d'eta'  e  che
detta permanenza non poteva dar luogo ad un aumento  del  numero  dei
dirigenti - ed al comma 3 statuiva che detta facolta' si riconoscesse
anche  ai  dirigenti  medici  e  del  ruolo  sanitario  del  Servizio
sanitario nazionale in servizio alla data del 31 gennaio 2010. 
    1.2. - Il Rinaldi aveva adito il Tribunale ordinario della Spezia
ed ottenuto da questo la sentenza n. 1 del 26 gennaio 2012, che aveva
accertato il diritto del ricorrente nei confronti dell'ASL di  essere
riammesso in servizio con la qualifica, le mansioni e la retribuzione
di cui al contratto individuale di lavoro del  3  novembre  2009,  n.
205, a far tempo  dal  1°  aprile  2010  e  fino  al  compimento  del
settantesimo anno d'eta' (il 4 marzo 2013) - salvo il  sopraggiungere
di autonoma causa di  risoluzione  del  rapporto  -  con  diritto  al
pagamento delle retribuzioni e delle differenze retributive frattanto
maturate,  oltre  che  della   somma   maggiore   tra   interessi   e
rivalutazione monetaria, ed al versamento all'ente  competente  della
relativa contribuzione previdenziale. In tale decisione si  affermava
che i citati artt. 15-nonies del d.lgs. n. 502  del  1992  e  16  del
d.lgs.   503   del   1992   erano   stati   interpretati   in    modo
costituzionalmente orientato, in particolare alla luce della sentenza
della  Corte  costituzionale  n.  90  del  1992.  Quest'ultima  aveva
dichiarato costituzionalmente illegittima,  in  riferimento  all'art.
38, secondo comma, Cost., altra  normativa  che  fissava  un'eta'  di
collocamento a riposo che non consentiva al  personale  delle  Unita'
sanitarie locali (USL), a quella data privo - come il Rinaldi  -  del
requisito contributivo  necessario  per  fruire  della  pensione,  di
permanere in servizio fino alla maturazione di questa e comunque  non
oltre il settantesimo anno d'eta', come previsto per  i  primari  che
volessero  conseguire  il  massimo  della  pensione.  Ad  avviso  del
Tribunale, una volta  venuta  meno  la  cessazione  del  servizio  al
compimento del sessantasettesimo  anno  d'eta',  il  rapporto  doveva
intendersi  proseguito  senza  soluzione  di  continuita',   con   la
conseguente applicazione del regime stabilito  dal  contratto  del  3
novembre 2009. Quindi, il  ricorrente  doveva  continuare  ad  essere
dirigente della struttura complessa nonostante non avesse partecipato
e superato il previsto corso di formazione, atteso che la continuita'
del rapporto avrebbe imposto, per la revoca dall'incarico lavorativo,
la specifica - e concretamente non seguita - procedura e che egli era
gia' stato valutato positivamente e, dunque, era esonerato - ex  art.
15, comma 8, ultima parte, del d.lgs. n. 502 del 1992 - dal possedere
l'attestato manageriale. 
    1.3. - Riferisce ancora il rimettente che avverso  la  menzionata
sentenza la ASL ha proposto  appello,  lamentando  che  il  Tribunale
avesse offerto un'erronea  interpretazione  della  normativa  vigente
(gli artt. 15-nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 e 16  del  d.lgs.  n.
503 del 1992, nel testo precedente alla modifica introdotta dall'art.
22 della legge n. 183 del 2010, inapplicabile  ratione  temporis)  in
quanto  irrimediabilmente  contraria  alla  lettera   della   stessa.
Inoltre, secondo l'appellante i  principi  costituzionali  richiamati
dal  giudice  di  prime  cure,  presupponendo  la  mancanza   di   un
trattamento  pensionistico,  non  avrebbero  potuto   operare   nella
fattispecie,  considerato  che  il  ricorrente  godeva  di   pensione
corrisposta dall'Ente nazionale di previdenza  ed  assistenza  medici
(ENPAM). 
    Ancora, non si sarebbero potute riconoscere le retribuzioni medio
tempore maturate, posto che esse competerebbero solo a chi sia  stato
riammesso in servizio  a  seguito  di  illegittima  interruzione  del
rapporto e che, peraltro, il ricorrente  aveva  svolto  attivita'  di
medico convenzionato per il Comune di Aulla dal 30 giugno 2010 al  31
gennaio  2011,   percependo   il   relativo   trattamento   economico
incompatibile con quello di dirigente dell'ASL, comunque da  detrarsi
dall'ammontare  degli  emolumenti  dovuti  da  essa  appellante.   La
decorrenza della  riammissione  in  servizio  dal  1°  febbraio  2011
anziche' dall'entrata in vigore della legge n. 183 del  2010  (ossia,
dal 24 novembre 2010), giustificata alla  luce  della  necessita'  di
ottenere dalla Regione la  deroga  al  "blocco  dei  dirigenti",  non
avrebbe potuto  comportare  che  il  Rinaldi  fosse  riammesso  quale
direttore di struttura complessa,  non  possedendo  il  requisito  di
frequentazione e superamento dei corsi di formazione,  necessario  ex
art. 16-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, ed essendo  irrilevante
che fosse gia' stato valutato, in mancanza di  una  revoca  da  parte
dell'ASL. Infine, essa, a  suo  avviso,  non  avrebbe  dovuto  essere
condannata al pagamento delle spese di giudizio. Ha  quindi  concluso
nel senso che, in riforma della sentenza  gravata,  fosse  dichiarata
cessata  la  materia   del   contendere   ed   accolta   la   domanda
riconvenzionale avanzata in primo grado volta a far accertare il  suo
diritto-dovere ad inquadrare la controparte, dal 1° febbraio  2011  o
da altra meglio ritenuta, nel primo livello dirigenziale. 
    Il giudice a quo da' atto della costituzione dell'appellato,  che
ha contestato punto per punto i motivi di impugnazione,  segnatamente
quanto  alla  sua  mancata  partecipazione  ai   corsi   manageriali,
chiedendo la declaratoria  d'inammissibilita'  o  d'infondatezza  del
gravame. 
    1.4. - Sintetizzata in questi termini la  vicenda  sottoposta  al
suo vaglio, la Corte d'appello, sul  presupposto  dell'ammissibilita'
dell'impugnazione   per   essere    le    censure    sufficientemente
circostanziate e correlate  al  contenuto  della  sentenza  di  primo
grado, esclude di poter  condividere  l'interpretazione  degli  artt.
15-nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 e 16 del d.lgs. n. 503 del  1992
seguita  dal  Tribunale,  ritenendo  che  l'enunciato   normativo   -
testualmente riportato nell'ordinanza - non lasci alcuno  spazio  per
ampliare la  portata  del  loro  contenuto  precettivo  e  permettere
un'ulteriore permanenza in servizio, nemmeno attraverso un'operazione
ermeneutica adeguatrice. 
    Tanto premesso, ritiene di sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale  del  combinato  disposto  delle  citate   norme   per
violazione degli artt. 38, secondo comma, e 3, primo comma, Cost. 
    1.5. - Quanto alla non manifesta infondatezza in  riferimento  al
primo parametro, evidenzia come sia  «principio  di  ordine  generale
quello secondo cui non puo' essere preclusa, senza violare l'art. 38,
secondo comma, della Costituzione, la possibilita', per il dipendente
pubblico che al  compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di  eta',
qualunque sia la data di assunzione, non abbia maturato il diritto  a
pensione, di derogare a tale limite fissato  per  il  collocamento  a
riposo, al solo scopo di completare il  periodo  minimo  di  servizio
richiesto dalla legge per il conseguimento di  tale  diritto.  Si  e'
anche osservato che le considerazioni in ordine alla discrezionalita'
del legislatore derivanti dalla necessita' di bilanciare  l'interesse
del lavoratore al conseguimento del diritto alla pensione  con  altri
interessi  costituzionalmente  rilevanti  non  sono  sufficienti  per
fondare il non accoglimento della questione, sia perche' in genere si
e' ritenuto  possibile  il  prolungamento  dell'eta'  lavorativa  per
l'aumento dell'eta' media, sia perche' la facolta'  in  questione  va
riconosciuta  solo  per  il  tempo  strettamente  necessario  per  il
raggiungimento dell'anzianita' minima per conseguire il diritto  alla
pensione. Si deve, infatti, conferire il massimo di effettivita' alla
garanzia del diritto sociale alla pensione da riconoscersi a tutti  i
lavoratori in base all'art. 38, secondo comma, della Costituzione,  e
la  realizzazione   di   detto   obiettivo   rientra   in   finalita'
costituzionalmente protette (sent.  n.  440  del  1991).  Mentre,  la
garanzia del raggiungimento di un trattamento  pensionistico  massimo
e' affidata alla discrezionalita' del legislatore e  il  suo  mancato
riconoscimento non importa violazione dell'art.  38,  secondo  comma,
della Costituzione» (sentenza n. 90 del 1992, richiamata assieme alle
sentenze n. 282 del 1991 e n. 444 del 1990). 
    Quanto all'art. 3, primo comma, il  giudice  rimettente  sostiene
che il combinato disposto degli artt. 15-nonies del d.lgs. n. 502 del
1992 e 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, con il  collocamento  a  riposo
non prolungabile  oltre  il  compimento  del  sessantasettesimo  anno
d'eta'  prevede,  senza  ragione  giustificatrice,   un   trattamento
deteriore dei dirigenti sanitari rispetto  alle  categorie  prese  in
considerazione dalle menzionate sentenze della Corte costituzionale e
dalle leggi da essa sanzionate. 
    Dopo  aver  evidenziato  che   la   percezione   della   pensione
corrisposta  dall'ENPAM  e'  irrilevante  -  in  quanto  estranea  al
trattamento pensionistico cui si riferisce la  contribuzione  versata
dall'appellato  quale  pubblico  dipendente  -  e  che  non   risulta
aumentato, con la permanenza in servizio del medesimo, il numero  dei
dirigenti dell'ASL, come sarebbe desumibile dal fatto che questi  sia
stato riammesso in applicazione della  legge  n.  183  del  2010,  il
giudice a quo sostiene la rilevanza della questione. Essa e'  dedotta
dalla ritenuta ammissibilita' dell'appello  e  dal  fatto  che  dalla
risoluzione  della   questione   medesima   dipende   l'esito   della
controversia,  pur  lasciando  impregiudicato  il  profilo   relativo
all'incarico di dirigente di  struttura  complessa,  con  i  relativi
risvolti sui compiti  da  svolgere  e  sul  trattamento  retributivo,
nonche' quello della quantificazione delle pretese del  Rinaldi  alla
luce dell'aliunde perceptum; aspetti, entrambi, che  presupporrebbero
l'accoglimento della questione, mentre  la  pretesa  incompatibilita'
tra rapporto di servizio e quello convenzionale non potrebbe  operare
per il periodo in cui non sono  coesistiti,  ossia  dalla  cessazione
dell'uno (il 1° aprile 2010) all'instaurazione  del  secondo  (il  30
giugno del 2010). 
    2. - Con atto depositato il 22 ottobre  2012  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso    dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    deducendo
l'inammissibilita' della  questione  per  difetto  di  rilevanza.  Il
giudice rimettente non avrebbe chiarito nell'ordinanza di  rimessione
se il Rinaldi, anche titolare di una pensione ENPAM, fosse  in  grado
di raggiungere la soglia minima di anzianita' necessaria per ottenere
il trattamento pensionistico, atteso che, in tal caso,  evidentemente
la problematica relativa all'art.  38  Cost.  sarebbe  estranea  alla
fattispecie in esame e la questione  di  legittimita'  costituzionale
sarebbe  ininfluente  rispetto  alla  pretesa  azionata.  Sul   punto
l'intervenuto richiama la giurisprudenza costituzionale, secondo  cui
le carenze nella  descrizione  della  fattispecie  -  non  emendabili
mediante la diretta lettura degli atti,  impedita  dal  principio  di
autosufficienza dell'atto di rimessione -  si  risolverebbero  in  un
difetto di motivazione sulla rilevanza delle  questioni,  precludendo
il necessario controllo di rilevanza delle medesime (sentenze n.  236
del 212, n. 93 del 2012, n. 84 del 2012, n. 360 del 2010 e n. 165 del
2010). 
    Secondo l'intervenuto, la questione  sarebbe  poi  infondata  nel
merito. La diversita'  della  disciplina  vigente  per  il  personale
contemplato dall'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n.  761  (Stato
giuridico del personale delle unita' sanitarie locali)  -  a  seguito
della sentenza della Corte costituzionale n. 90 del 1992 - rispetto a
quella  relativa  ai  dirigenti  sanitari  non   darebbe   luogo   ad
un'ingiustificata disparita' di trattamento, ma sarebbe semplicemente
espressione di una differente regolazione di due distinte  categorie,
per le quali non si imporrebbe  affatto  un'identica  considerazione,
alla   luce   della   specificita'   di   qualifica,    funzioni    e
professionalita' che caratterizza i dirigenti. 
    D'altra parte, la stessa Corte costituzionale avrebbe  osservato,
seppur con specifico riferimento alle categorie dei primari medici  e
dei dirigenti veterinari delle USL  e  quella  dei  dirigenti  civili
dello Stato, la non omogeneita' delle stesse, escludendo  l'esistenza
di  una  regola  generale,  per  tutti  i  dipendenti  pubblici,  del
collocamento a riposo a settant'anni - regola meramente di  tendenza,
prospettata nel corso dei lavori preparatori della legge 1991, n.  50
-  ed  ammettendo  solo  la  sussistenza  di  deroghe  a  favore   di
determinate categorie per ragioni varie  e  diverse,  realizzate  dal
legislatore in attuazione di scelte discrezionali  (sentenza  n.  440
del 1991). Nello  stesso  modo,  la  peculiarita'  della  figura  del
dirigente  sanitario  rispetto  al  personale  delle  strutture   del
Servizio   sanitario   nazionale   giustificherebbe   differenze   di
trattamento, escludendo cosi' la violazione dell'art. 3, primo comma,
Cost., data la non omogeneita' delle situazioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte  d'appello  di
Genova  ha  sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo  15-nonies  [rectius:  art.  15-nonies,  comma  1]  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23 ottobre 1992,  n.  421),  in  combinato  disposto  con  l'art.  16
[rectius: art. 16, comma 1, primo periodo] del decreto legislativo 30
dicembre 1992,  n.  503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in  riferimento
agli artt. 38, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione. 
    Il giudice rimettente ritiene  non  manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita' delle norme in questione «nella  parte
in cui prevedono per la dirigenza sanitaria la facolta' di  permanere
in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della  legge
n. 421 del 1992, per un periodo massimo di un biennio oltre i  limiti
di eta' per il collocamento a riposo per essi previsti, e cioe'  fino
al sessantasettesimo anno d'eta', e non la facolta' di  permanere  in
servizio,  su  istanza  dell'interessato,  fino   al   maturare   del
quarantesimo anno di servizio effettivo, con il limite di  permanenza
del settantesimo anno di eta' e  l'altro  di  non  dar  luogo  ad  un
aumento del numero dei dirigenti». 
    Nel  corso  della  vicenda  processuale   che   ha   dato   luogo
all'insorgere del presente giudizio, l'art. 15-nonies, comma  1,  del
d.lgs. n. 502 del 1992 e' stato modificato  dall'art.  22,  comma  1,
della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie  di  lavoro).  Entrambe  le
formulazioni  sono  state  prese  in   considerazione   dal   giudice
rimettente al momento dell'emissione dell'ordinanza. 
    1.1. - Il testo dell'art. 15-nonies, comma 1, antecedente a detta
modifica  era  il  seguente:  «Il  limite  massimo  di  eta'  per  il
collocamento a riposo dei dirigenti  medici  del  Servizio  sanitario
nazionale, ivi compresi i responsabili  di  struttura  complessa,  e'
stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno  di  eta',  fatta
salva l'applicazione dell'articolo  16  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 503. [...]». Per effetto  dell'art.  22,  comma  1,
della legge n. 183 del 2010 esso risulta  ora  cosi'  formulato:  «Il
limite massimo di eta' per il collocamento  a  riposo  dei  dirigenti
medici e del ruolo sanitario del Servizio  sanitario  nazionale,  ivi
compresi i responsabili  di  struttura  complessa,  e'  stabilito  al
compimento del sessantacinquesimo anno di eta',  ovvero,  su  istanza
dell'interessato, al  maturare  del  quarantesimo  anno  di  servizio
effettivo. In ogni caso il limite  massimo  di  permanenza  non  puo'
superare il settantesimo anno di eta' e la permanenza in servizio non
puo' dar luogo ad  un  aumento  del  numero  dei  dirigenti.  [...]».
Dispone inoltre l'art. 22, comma 3, della legge n. 183 del 2010  che:
«Le disposizioni di  cui  al  comma  1  dell'articolo  15-nonies  del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502,  come  modificato  dal
comma 1 del presente articolo, si applicano anche ai dirigenti medici
e del ruolo sanitario del Servizio sanitario  nazionale  in  servizio
alla data del 31 gennaio 2010». 
    L'art. 16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n.  503  del  1992,
nel testo vigente al momento della cessazione del rapporto di lavoro,
peraltro ad oggi immutato, recita: «E'  in  facolta'  dei  dipendenti
civili dello Stato e degli enti pubblici non economici  di  permanere
in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della  legge
23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i
limiti di eta' per  il  collocamento  a  riposo  per  essi  previsti.
[...]». 
    1.2. - La Corte d'appello e' stata chiamata  a  decidere  su  una
fattispecie riguardante un dirigente medico con incarico di direzione
complessa,  il  quale  era  stato  dichiarato  cessato  dal  servizio
dall'Azienda sanitaria locale (ASL) di appartenenza il 1° aprile 2010
a seguito del  compimento  del  sessantasettesimo  anno  di  eta'  in
applicazione  del  combinato  disposto  delle  norme  sottoposte   al
presente giudizio, che,  per  la  dirigenza  medica,  originariamente
prevedeva la facolta'  di  permanere  in  servizio  soltanto  per  un
biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo fissati a
sessantacinque anni. 
    La ASL aveva  poi  reintegrato  il  medico,  nella  qualifica  di
semplice dirigente, sulla base dell'art. 22, commi 1 e 3, della legge
n. 183 del 2010 a far data dal 1° febbraio 2011. 
    Il Tribunale ordinario della Spezia, frattanto adito  dal  medico
interessato, aveva accertato il  suo  diritto  alla  riammissione  in
servizio con qualifica, mansioni e retribuzione del vecchio contratto
individuale di dirigente  di  struttura  complessa,  con  diritto  al
pagamento delle retribuzioni e  delle  differenze  retributive  medio
tempore maturate  dalla  suddetta  cessazione  alla  riammissione  in
servizio,  oltre  alla  somma  maggiore  tra   interessi   legali   e
rivalutazione  monetaria,  e  diritto  alla  relativa   contribuzione
previdenziale. Secondo il Tribunale,  il  rapporto  doveva,  infatti,
intendersi proseguito senza soluzione  di  continuita'  e,  pertanto,
l'attore doveva essere riammesso in servizio con la  qualifica  e  le
mansioni di dirigente  di  struttura  complessa,  malgrado  egli  non
avesse partecipato e superato il prescritto corso di  formazione  per
detta figura professionale. 
    Tale decisione, sottoposta all'esame  della  Corte  d'appello  di
Genova a seguito dell'impugnazione della sentenza di primo  grado  da
parte    dell'ASL,    era    stata    fondata    sull'interpretazione
costituzionalmente  orientata  delle  norme  oggetto   del   presente
giudizio; interpretazione ispirata - a dire del giudice di prime cure
- dalla sentenza n. 90 del 1992 di questa Corte. 
    Il rimettente precisa che il gravame e'  ammissibile  e  che  nel
giudizio di merito le questioni dell'accessibilita'  all'incarico  di
dirigente di struttura complessa e dei  compiti  da  svolgere,  della
quantificazione delle pretese del dirigente  alla  luce  dell'aliunde
perceptum e della valutazione del periodo compreso tra la  cessazione
dal servizio  e  la  successiva  riammissione  rimangono  aperte,  ma
presuppongono la caducazione della normativa censurata. 
    Il  giudice  rimettente  precisa  altresi'  che  il  periodo   in
contestazione e' decisivo per il conseguimento  della  pensione,  non
potendosi ritenere influente nel caso di specie  la  titolarita',  da
parte  del  medico,  di  pensione  erogata  dall'Ente  nazionale   di
previdenza ed assistenza medici (ENPAM), maturata nel  settore  della
previdenza privata ed estranea al trattamento pensionistico correlato
alla posizione contributiva del dirigente quale pubblico dipendente. 
    1.3. - Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  ritualmente
intervenuto ai sensi dell'art. 25, terzo comma, della legge 11  marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), ha eccepito in  via  preliminare  l'inammissibilita'
del ricorso  per  la  mancata  illustrazione  della  rilevanza  della
questione rispetto al giudizio pendente.  Secondo  l'intervenuto,  il
rimettente non avrebbe chiarito se il dirigente, gia' in godimento di
una pensione ENPAM, permanendo in servizio  fosse  in  condizione  di
raggiungere l'anzianita'  contributiva  minima  per  beneficiare  del
trattamento pensionistico pubblico. 
    In  ogni  caso  la  questione  non  sarebbe  fondata  poiche'  la
diversita' della disciplina tra i dirigenti sanitari ed  il  restante
personale  delle  ASL  non  porrebbe  in   essere   un'ingiustificata
disparita'  di  trattamento,  ma  consisterebbe  in  una   differente
regolazione di due categorie diverse, per le quali non si  imporrebbe
affatto un'identita' di  regolamentazione.  Lo  status  di  dirigente
sarebbe, infatti, caratterizzato  da  una  propria  specificita'  per
qualifica, funzioni e  professionalita',  in  grado  di  distinguerlo
nettamente da quello del restante personale che lavora  nel  servizio
sanitario, per cui non avrebbe fondamento la pretesa di estendere  il
trattamento della seconda categoria di dipendenti all'altra. 
    2. - In via preliminare, deve escludersi che la  questione  possa
essere dichiarata inammissibile per insufficiente  motivazione  sulla
rilevanza. 
    Pur nella  sua  estrema  stringatezza,  la  questione  sollevata,
valutata anche alla luce  dell'intera  ordinanza  di  rimessione,  e'
espressa  in  modo  sufficiente  a  consentire  a  questa  Corte   di
individuare il thema decidendum. Inoltre, alla stregua  del  percorso
argomentativo seguito dal giudice rimettente,  l'ordinanza  e'  stata
formulata in modo idoneo a permettere alla Corte di circoscrivere  il
contenuto della questione e di valutare la rilevanza  di  questa.  In
particolare  -  tenuto  conto  che,  come  osservato   dallo   stesso
rimettente, la normativa sopravvenuta non potrebbe incidere sull'atto
amministrativo  di  cessazione  ormai  consolidato  -  la   rilevanza
sussiste per  lo  scrutinio  di  legittimita'  del  provvedimento  di
collocamento  a  riposo,  per  l'accesso  all'incarico  di  struttura
complessa  e  per  la  valutazione  del  periodo  intercorso  tra  la
cessazione del rapporto ed il suo  ripristino,  rimanendo  aperte  le
ulteriori questioni, peraltro condizionate dalle precedenti. 
    Nell'ambito della questione sollevata dal rimettente,  alla  luce
delle argomentazioni dello stesso e  di  quelle  contenute  nell'atto
d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio,  non  ha  rilievo   il
godimento di trattamento pensionistico ENPAM da parte  del  dirigente
medico, perche' il giudice rimettente ha reso esplicite in  modo  non
implausibile  le  ragioni  che  lo  inducono  a   non   prendere   in
considerazione la titolarita' di  tale  vitalizio  ritenuto  estraneo
alla posizione pensionistica di pubblico dipendente dell'appellato. 
    In definitiva, il giudice a quo ha assolto  in  modo  sufficiente
l'onere, del quale e' gravato,  di  individuare  la  rilevanza  della
questione sulla causa che egli e' chiamato a decidere. 
    3. - Nel merito la questione e' fondata in relazione al combinato
disposto degli artt. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 e
16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 503  del  1992,  nel  testo
vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della  legge  n.  183
del 2010, nella sola parte in cui esso non consente al personale  ivi
disciplinato, che al raggiungimento del limite massimo di eta' per il
collocamento a  riposo  non  abbia  compiuto  il  numero  degli  anni
richiesti per ottenere il minimo  della  pensione,  di  rimanere,  su
richiesta, in servizio  fino  al  conseguimento  di  tale  anzianita'
minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'. 
    In ordine alla tutela del conseguimento del minimo pensionistico,
l'orientamento di questa Corte  e'  costante.  Il  problema  di  tale
tutela e' strettamente connesso a  quello  dei  limiti  di  eta';  la
previsione di questi ultimi e' rimessa «al legislatore nella sua piu'
ampia discrezionalita'» (sentenza n. 195  del  2000)  e  quest'ultima
puo' incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale -  solo  in
relazione all'obiettivo  di  conseguire  il  minimo  della  pensione,
attraverso lo strumento della  deroga  ai  limiti  di  eta'  ordinari
previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico. 
    Nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  e'  dunque   ferma   la
distinzione tra la  tutela  della  pensione  minima  e  l'intangibile
discrezionalita' del legislatore nella determinazione  dell'ammontare
delle prestazioni previdenziali e nella variazione dei trattamenti in
relazione alle diverse figure professionali  interessate.  Mentre  il
conseguimento della pensione al minimo e' un bene  costituzionalmente
protetto,  altrettanto  non  puo'  dirsi  per  il  raggiungimento  di
trattamenti pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza
n. 227 del 1997). 
    Peraltro,  anche  la  deroga  ai  limiti  di  eta'  al  fine  del
conseguimento del bene primario del minimo pensionistico  incontra  a
sua volta dei limiti fisiologici.  Questa  Corte  ha  avuto  modo  di
definirli come «energia compatibile con la prosecuzione del rapporto»
(sentenza n. 444 del 1990), oltre  la  quale  neppure  l'esigenza  di
tutelare detto bene primario puo' spingersi. 
    Nel tempo, detto limite fisiologico si e' spostato in avanti,  di
modo che, mentre fino al 1989 (sentenza n.  461  del  1989)  esso  e'
stato individuato  a  sessantacinque  anni,  successivamente  con  la
citata sentenza n. 444 del 1990 questa Corte  ha  affermato  che  «la
presunzione secondo cui al  compimento  dei  sessantacinque  anni  si
pervenga ad una diminuita disponibilita' di energia incompatibile con
la  prosecuzione  del  rapporto  "e'  destinata  ad  essere  vieppiu'
inficiata dai riflessi  positivi  del  generale  miglioramento  delle
condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacita' di
lavoro"». 
    I riferimenti normativi  che  hanno  consentito  di  estendere  -
attraverso la deroga ai limiti di eta' - la protezione costituzionale
del minimo pensionistico ai settanta anni sono  stati  per  la  prima
volta individuati nell'art. 15 della legge 30  luglio  1973,  n.  477
(Delega al Governo per l'emanazione di norme  sullo  stato  giuridico
del personale direttivo,  ispettivo,  docente  e  non  docente  della
scuola materna, elementare, secondaria e artistica  dello  Stato),  e
nell'art. 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 27  dicembre  1989,
n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico  dei
dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi  equiparate,  nonche'
in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 febbraio 1990, n. 37. Il primo articolo -  con  riguardo  al
personale direttivo, ispettivo, docente e non  docente  della  scuola
materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato -  dopo  aver
unificato  a  sessantacinque  anni  il  limite  d'eta'   pensionabile
riducendolo dai settanta anni precedentemente previsti,  contemplava,
solo per gli appartenenti a dette categorie di personale in  servizio
prima del 1° ottobre 1974, la possibilita' di permanenza in  servizio
fino al settantesimo anno ove, al compimento del  sessantacinquesimo,
non fosse stata ancora raggiunta l'anzianita' contributiva necessaria
per il minimo della pensione. Il secondo articolo  conteneva  analoga
previsione a favore di tutti i dirigenti civili dello Stato. In  quel
contesto la Corte costituzionale, osservando la descritta  evoluzione
normativa,  ebbe  ad  affermare  che  tali  disposizioni   di   legge
denotavano una tendenza ad innalzare la soglia di deroga.  Alla  luce
di tali considerazioni fu dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
del predetto art. 15, terzo comma, della legge n. 477 del 1973 «nella
parte in cui non consente al personale assunto  dopo  il  1°  ottobre
1974, che al compimento del 65° anno di eta' non abbia  raggiunto  il
numero di anni richiesto per ottenere il minimo  della  pensione,  di
rimanere in servizio su  richiesta  fino  al  conseguimento  di  tale
anzianita' minima (e  comunque  non  oltre  il  70°  anno  di  eta')»
(sentenza n. 444 del 1990). 
    Le successive sentenze (segnatamente le sentenze n. 282 del  1991
e  n.  90  del  1992)  hanno  confermato  il  suddetto  orientamento,
collegando la tutela del bene primario del conseguimento del  diritto
alla pensione  al  limite  di  settanta  anni  per  le  deroghe  alle
ordinarie  soglie  anagrafiche  (fatti  ovviamente  salvi   ulteriori
innalzamenti nelle discipline  di  settore  compatibili  con  l'ampia
discrezionalita' del legislatore in materia). Allo stesso  tempo,  la
giurisprudenza di questa Corte e' stata costante nel ribadire che  il
bene  costituzionalmente  protetto  e'  solo  quello  che  tutela  il
conseguimento del minimo pensionistico mentre  non  gode  di  analoga
protezione l'incremento del trattamento di quiescenza  (ordinanza  n.
57 del 1992) o il raggiungimento del massimo (ex  plurimis,  sentenza
n. 227 del 1997 ed ordinanza n. 195 del 2000). 
    All'univoco indirizzo descritto non ha fatto seguito un  puntuale
adeguamento delle diverse legislazioni  di  settore  succedutesi  nel
tempo, per cui - anche per la fattispecie in esame - la permanenza in
deroga fino al settantesimo anno di eta' al  fine  del  conseguimento
del diritto minimo alla pensione non era contemplata. Alla luce delle
precedenti considerazioni, solo il  combinato  normativo  vigente  al
momento della cessazione dal servizio del dirigente sanitario risulta
in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost. poiche' non consente
al medesimo la permanenza in servizio fino al  settantesimo  anno  di
eta', utile a conseguire il minimo pensionistico mentre  la  modifica
introdotta con il richiamato art. 22 della legge n. 183 del  2010  e'
contenuta  -  sotto  i  profili  evocati  -  entro  i  limiti   della
discrezionalita' del legislatore in subiecta materia. 
    Non   e',   al   contrario,   costituzionalmente   tutelato    un
indiscriminato  ed  incondizionato  diritto  alla  reintegrazione  in
servizio, senza alcuna considerazione  delle  esigenze  organizzative
dell'ente datore di lavoro, e  neppure  un  diritto  a  conferma  nel
medesimo incarico dirigenziale  ricoperto  dall'interessato  all'atto
della cessazione  del  servizio  laddove,  ad  esempio,  venissero  a
mancare i requisiti oppure  il  posto  di  funzione  non  fosse  piu'
disponibile. Anzi, nell'ambito della pubblica amministrazione  e  dei
servizi pubblici i principi di buon andamento e di ragionevolezza  di
cui agli  artt.  97  e  3  Cost.  si  realizzano  di  regola  proprio
attraverso la previsione di appropriati requisiti per l'accesso  alle
diverse funzioni dirigenziali, la coerenza tra dotazioni organiche ed
assunzioni,  il  ragionevole  bilanciamento  tra  tipi  di   funzioni
attribuiti alle diverse figure professionali  ed  eta-limite  per  il
loro svolgimento. 
    4. - La questione proposta in riferimento  all'art.  38,  secondo
comma, Cost. e', dunque,  fondata  solo  per  quel  che  riguarda  il
combinato disposto degli artt. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n.  502
del 1992 e 16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 503 del  1992  -
nel testo vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge
n. 183 del 2010 - limitatamente alla parte in  cui  non  consente  al
personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di
eta' per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero  degli
anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su
richiesta, in servizio  fino  al  conseguimento  di  tale  anzianita'
minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'. 
    5.- Resta assorbito il profilo di censura  relativo  all'art.  3,
primo comma, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale del  combinato  disposto
degli  articoli  15-nonies,  comma  1,  del  decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421), e 16, comma  1,  primo  periodo,  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992,  n.  503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) - nel  testo  di
essi quale vigente fino all'entrata  in  vigore  dell'art.  22  della
legge 4 novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro) - nella parte in
cui non consente al personale ivi contemplato che  al  raggiungimento
del limite massimo di eta' per il collocamento  a  riposo  non  abbia
compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo  della
pensione,  di  rimanere,  su   richiesta,   in   servizio   fino   al
conseguimento di tale anzianita' minima e,  comunque,  non  oltre  il
settantesimo anno di eta'. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI 
 


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