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mercoledì 24 luglio 2019
N. 191 SENTENZA 4 - 19 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Responsabilita' amministrativa - Risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione in conseguenza di reati commessi da pubblici dipendenti - Presupposti per l'esercizio dell'azione da parte del pubblico ministero contabile. - Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), Allegato 1, art. 51, commi 6 e 7. - (GU n.30 del 24-7-2019 )
N. 191 SENTENZA 4 - 19 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Responsabilita' amministrativa - Risarcimento del danno all'immagine
della pubblica amministrazione in conseguenza di reati commessi da
pubblici dipendenti - Presupposti per l'esercizio dell'azione da
parte del pubblico ministero contabile.
- Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia
contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto
2015, n. 124), Allegato 1, art. 51, commi 6 e 7.
-
(GU n.30 del 24-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 51, commi 6
e 7, dell'Allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), promosso dalla Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, nel procedimento
vertente tra il Procuratore regionale della Corte dei conti per la
Liguria e V. C., con ordinanza del 29 maggio 2018, iscritta al n. 165
del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2018.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2019 il Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza depositata il 29 maggio 2018 (reg. ord. n. 165
del 2018), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione
Liguria, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 51, commi 6 e 7, dell'Allegato 1 al decreto legislativo 26
agosto 2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato
ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124» (da ora
in poi, anche: cod. giust. contabile), in riferimento agli artt. 3,
76, 97 e 103 della Costituzione, «nella parte in cui esclude
l'esercizio dell'azione del PM contabile per il risarcimento del
danno all'immagine conseguente a reati dolosi commessi da pubblici
dipendenti a danno delle pubbliche amministrazioni, dichiarati
prescritti con sentenza passata in giudicato pienamente accertativa
della responsabilita' dei fatti ai fini della condanna dell'imputato
al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite».
2.- Il rimettente ha osservato in premessa che la Procura
contabile aveva citato in giudizio un ufficiale della Polizia di
Stato, per sentirlo condannare al risarcimento, in favore del
Ministero dell'interno, del danno patrimoniale e del danno
all'immagine; il convenuto, in particolare, era stato ritenuto
responsabile dal Tribunale di Genova del reato continuato di violenza
privata aggravata ai sensi dell'art. 61 numero 9 del codice penale,
perche' - durante una manifestazione svoltasi a Genova nel luglio del
2001, in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo
denominato "G8" - quale comandante del VII Nucleo antisommossa del I
Reparto mobile, mediante violenza consistita nell'utilizzazione di
una bomboletta di gas urticante, in dotazione quale armamento
personale di servizio, aveva costretto alcuni manifestanti ad
allontanarsi dal luogo ove sostavano.
Successivamente, la Corte d'appello di Genova aveva dichiarato
non doversi procedere nei confronti dell'imputato in quanto il reato
si era estinto per prescrizione, condannando tuttavia il medesimo, in
solido con il Ministero dell'interno, al risarcimento dei danni ed al
pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite; detta
sentenza era poi divenuta definitiva a seguito del rigetto del
ricorso per cassazione proposto dall'imputato.
3.- Con riferimento al danno all'immagine, il rimettente ha
rilevato anzitutto che la sussistenza dei presupposti per la
proponibilita' della relativa domanda risarcitoria doveva essere
verificata sulla base di quanto disposto dal decreto legislativo n.
174 del 2016, in quanto disciplina vigente al momento
dell'instaurazione del giudizio principale.
3.1.- Tale decreto, all'art. 4, comma 1, lettera h),
dell'Allegato 3 (Norme transitorie e abrogazioni), pur abrogandone il
primo periodo, non aveva inciso, quanto all'individuazione dei
presupposti sostanziali, sulla previgente disciplina, contenuta
nell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini), convertito,
con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del decreto-legge 3
agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge
anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge
3 ottobre 2009, n. 141.
Detta norma, in particolare, prevede che le procure regionali
della Corte dei conti possono esercitare l'azione per il risarcimento
del danno all'immagine soltanto quando sia intervenuta una sentenza
irrevocabile di condanna del pubblico dipendente per uno dei delitti
di cui all'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul
rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed
effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche), vale a dire per uno dei delitti contro la
pubblica amministrazione previsti nel Capo I del Titolo II del Libro
II del codice penale.
Quest'ultima disposizione, tuttavia, era stata abrogata dall'art.
4, lettera g), dell'Allegato 3 al cod. giust. contabile. Per tale
ragione, onde integrare il contenuto della disposizione previgente,
occorreva aver riguardo a quanto previsto dal comma 2 del medesimo
articolo, a mente del quale «[q]uando disposizioni vigenti richiamano
disposizioni abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti
previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti
istituti disciplinati nel presente codice»; e l'istituto
corrispondente a quello previsto dalla disposizione abrogata andava
rinvenuto nel combinato disposto dell'art. 51, comma 6, del predetto
codice - che fa espresso riferimento al danno all'immagine - e del
comma 7, secondo cui «la sentenza irrevocabile di condanna
pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli organismi e degli
enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle
stesse, e' comunicata al competente procuratore regionale della Corte
dei conti affinche' promuova l'eventuale procedimento di
responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato».
3.2.- In conclusione, ad avviso del rimettente, nella vigenza
della nuova disciplina la domanda di risarcimento del danno
all'immagine della pubblica amministrazione (PA) sarebbe proponibile
per tutti i delitti commessi a danno della stessa che siano accertati
con sentenza penale definitiva.
In cio' la fattispecie si differenziava da quella posta ad
oggetto di due ordinanze antecedenti, con le quali il medesimo
giudice a quo aveva sollevato, innanzi a questa Corte, analoghe
questioni di legittimita' riferite alla disciplina previgente,
contenuta nell'17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009 (poi decise
con le ordinanze n. 167 e n. 168 del 2019).
4.- Cio' posto, venendo ad illustrare la rilevanza della
questione, il rimettente osserva che nel caso di specie sussisterebbe
il presupposto sostanziale, poiche' il fatto accertato a carico del
convenuto nel giudizio principale, in quanto commesso da questo
nell'esercizio delle proprie funzioni, non aveva leso soltanto
«l'integrita' fisica dei pacifici astanti», ma aveva altresi'
«inferto alla reputazione pubblica dell'Amministrazione della Polizia
di Stato un grave pregiudizio di immagine».
Difetterebbe, pertanto, il solo requisito della condanna penale
irrevocabile, in presenza di una sentenza dichiarativa della
prescrizione del reato; detta sentenza, rileva infatti il rimettente,
pur avendo «pienamente accertato la responsabilita' dei fatti di
reato ascritti al funzionario di Polizia», non consente
l'esperibilita' dell'azione da parte della Procura contabile, stante
il chiaro tenore della norma impugnata, che richiede una condanna in
sede penale come «limite legislativo invalicabile e imprescindibile
per l'interprete» e non rivela alcun intento del legislatore di
prendere in considerazione un «surrogato normativo».
Di qui la rilevanza della questione, in quanto l'applicazione
delle disposizioni censurate determinerebbe l'improponibilita' della
domanda di risarcimento del danno all'immagine per carenza del
presupposto della condanna penale irrevocabile.
5.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente
assume anzitutto che le norme censurate violerebbero l'art. 3 Cost.
Esse sarebbero infatti intrinsecamente irragionevoli laddove
escludono l'esercizio dell'azione risarcitoria quando il danno
consegue a reati dolosi dichiarati prescritti con sentenza
irrevocabile che ha comunque accertato la responsabilita' dei fatti
ai fini della condanna dell'imputato al risarcimento dei danni alle
parti civili.
Tale scelta del legislatore pare al rimettente contraria al
«canone di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia ed
equita' [...] ed a criteri di coerenza logica, teleologica e
storico-cronologica», poiche' consente che la tutela dell'immagine
dell'amministrazione venga accordata o meno non gia' in base
all'accertata sussistenza di fatti lesivi, bensi' in forza di un
diverso fattore, estraneo a tali profili.
5.1.- Sempre in relazione all'art. 3 Cost., il rimettente
denunzia inoltre la violazione del principio di eguaglianza
sostanziale con riferimento al diverso trattamento - per i medesimi
fatti storici - riservato ai privati cittadini lesi nell'integrita'
fisica, rispetto al diritto alla reputazione dell'amministrazione,
atteso che i primi possono ottenere il risarcimento di tutti i danni
patiti anche a fronte di una sentenza dichiarativa della prescrizione
del reato.
5.2.- Ad avviso del rimettente, inoltre, dall'irragionevolezza
delle norme impugnate deriverebbe una violazione del principio di
buon andamento ed imparzialita' dell'azione amministrativa, di cui
all'art. 97 Cost.
Al riguardo, l'ordinanza osserva che il pur condivisibile
obiettivo, gia' affermato in proposito da questa Corte, di
circoscrivere il perimetro della responsabilita' amministrativa dei
pubblici dipendenti, onde consentire «un esercizio dell'attivita' di
amministrazione della cosa pubblica, oltre che piu' efficace e piu'
efficiente, il piu' possibile scevro da appesantimenti» (sentenza n.
355 del 2010), non puo' essere ottenuto precludendo l'azione
risarcitoria per fatti di reato commessi da un pubblico dipendente
«sottrattosi alla sanzione penale solo per intervenuta prescrizione»;
in tal senso, la restrizione dei confini della responsabilita' per i
danni causati all'amministrazione entro il dato formale di una
condanna penale irrevocabile, con esclusione dell'obbligo
risarcitorio perche' quest'ultima «non e' stata raggiunta per
intervenuta prescrizione, dopo condanna nel merito», costituirebbe
una «misura eccessiva ed esuberante rispetto allo scopo e, pertanto,
secondo il parametro dell'art. 97, intrinsecamente irrazionale».
5.3.- Infine, il rimettente deduce che il combinato disposto
delle norme censurate, nel ridurre l'area della proponibilita' della
domanda risarcitoria, arrecherebbe un vulnus al principio di
effettivita' della tutela in sede giudiziaria, con conseguente
violazione degli artt. 103, secondo comma, e 76 Cost., atteso che la
delega affidata al Governo con la legge 7 agosto 2015, n. 124
(Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche), prodromica all'emanazione del cod. giust.
contabile, prescriveva, all'art. 20, comma 2, lettera b), l'adozione
di norme idonee a garantire il rispetto dei principi di
concentrazione ed effettivita' della tutela.
6.- Con memoria depositata l'11 dicembre 2018 e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha anzitutto
eccepito l'inammissibilita' delle questioni per omessa
interpretazione delle norme in senso conforme a Costituzione da parte
del giudice a quo.
La difesa erariale ha infatti sostenuto che l'art. 51 cod. giust.
contabile non si riferisce in via generale al danno all'immagine, cui
e' specificamente dedicato il solo comma 6, peraltro irrilevante
nell'ottica del giudizio di legittimita', ma attiene
all'individuazione degli obblighi di trasmissione di sentenze
irrevocabili per l'eventuale promovimento di azione di ogni danno
patito dall'erario. Il richiamo alla sentenza irrevocabile contenuto
nel comma 7 sarebbe pertanto riconducibile all'acquisizione della
notizia di danno, e non alle condizioni per la promovibilita'
dell'azione di risarcimento del danno all'immagine.
6.1.- Nel merito, la difesa erariale ha poi dedotto
l'infondatezza delle questioni, richiamandosi ai precedenti di questa
Corte (sono richiamate la sentenza n. 355 del 2010 e le ordinanze n.
219, n. 220, n. 221 e n. 286 del 2011) che hanno ricondotto i limiti
all'esercizio dell'azione risarcitoria da parte del pubblico
ministero contabile ad una scelta discrezionale del legislatore, non
sindacabile se non per arbitrarieta' od irragionevolezza, nella
specie non sussistenti.
Al riguardo, il Presidente del Consiglio ha evidenziato che, nel
valutare i profili attinenti alla responsabilita' amministrativa, il
legislatore deve necessariamente contemperare l'esigenza di una
tutela risarcitoria con quella del buon andamento della pubblica
amministrazione, che potrebbe vedersi gravemente incisa da
un'estensione dell'area della responsabilita' dei suoi dipendenti.
In tale ottica, ha peraltro sottolineato che non appare illogico
e discriminatorio, rispetto ad altre fattispecie di danno, prevedere
come necessario un giudicato penale, al fine di circoscrivere
obiettivamente i casi nei quali si e' in presenza di un danno
all'immagine risarcibile e distinguere fra i vari soggetti autori del
comportamento, selezionandone alcuni, onde sottoporli alla
giurisdizione contabile. Quest'ultima, d'altro canto, non perde la
propria efficacia, che nei casi diversi dalle materie di contabilita'
pubblica e' limitata agli specifici casi previsti dalla legge.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza depositata il 29 maggio 2018 (reg. ord. n. 165
del 2018), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione
Liguria, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 51, commi 6 e 7, dell'Allegato 1 al decreto legislativo 26
agosto 2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato
ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124» (da ora
in poi anche: cod. giust. contabile), nella parte in cui esclude
l'esercizio dell'azione del pubblico ministero (PM) contabile per il
risarcimento del danno all'immagine conseguente a delitti commessi da
pubblici dipendenti a danno delle pubbliche amministrazioni,
dichiarati prescritti con sentenza passata in giudicato ma pienamente
accertativa della responsabilita' dei fatti, ai fini della condanna
dell'imputato al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili
costituite.
1.1.- Secondo il rimettente, tale disposizione violerebbe l'art.
3 della Costituzione, in quanto escluderebbe in modo irragionevole
l'esercizio dell'azione risarcitoria, pur a fronte di un danno
conseguente a condotte delittuose accertate in giudizio ed in base ad
un fattore, il mero decorso del tempo, completamente estraneo alla
loro efficacia lesiva.
L'art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto il profilo del
principio di eguaglianza sostanziale, poiche', in forza dei limiti
imposti alla tutela risarcitoria, l'amministrazione riceve un
trattamento diverso rispetto a quello riservato ai privati cittadini,
i quali - in relazione ai medesimi fatti storici - possono ottenere
il risarcimento di tutti i danni patiti anche a fronte di una
declaratoria di prescrizione del reato.
1.2.- I profili di irrazionalita' della norma determinerebbero
inoltre un contrasto con il principio di efficacia e buon andamento
dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost.; una tale
restrizione del perimetro della responsabilita' dei pubblici
dipendenti, infatti, trascenderebbe i confini del pur legittimo scopo
di non appesantire le conseguenze della loro attivita', e finirebbe
per lasciare senza conseguenze la loro scelta di approfittare delle
funzioni svolte per delinquere, a detrimento dell'imparzialita' e
dell'obiettivita' dell'azione amministrativa.
1.3.- Infine, la norma impugnata, impedendo l'esercizio
dell'azione risarcitoria pur a fronte di accertate condotte lesive,
sarebbe contraria al principio di effettivita' della tutela
giudiziaria in sede contabile, con conseguente violazione dell'art.
103, secondo comma, Cost.; ne risulterebbe altresi' violato l'art. 76
Cost., atteso che la legge delega prodromica all'emanazione del cod.
giust. contabile prescriveva l'adozione di norme idonee a garantire
il rispetto dei principi di concentrazione ed effettivita' della
tutela.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in
giudizio, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilita' delle
questioni per omessa interpretazione delle norme in senso conforme a
Costituzione da parte del rimettente e ha dedotto, in ogni caso,
l'infondatezza delle questioni nel merito.
3.- Le questioni, ad avviso di questa Corte, sono inammissibili
per inadeguata rappresentazione del quadro normativo entro il quale
la disposizione impugnata e' ricompresa, restando assorbita
l'ulteriore eccezione di inammissibilita' dedotta in causa.
3.1.- Conviene, in tal senso, riassumere l'evoluzione della
disciplina dell'esercizio, da parte delle procure della Corte dei
conti, dell'azione di risarcimento del danno all'immagine della
pubblica amministrazione (PA) come componente ulteriore del danno
erariale.
3.1.1.- Il risarcimento del danno all'immagine della PA ha
origine pretoria. Tale forma di lesione fu infatti inizialmente
riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte dei conti, che ritenne
proponibile la relativa domanda risarcitoria da parte del PM senza
alcun limite, ne' in ordine al fatto generatore di responsabilita',
ne', tantomeno, con riguardo alla necessita' che tale fatto venisse
preventivamente accertato in sede penale.
3.1.2.- In siffatto contesto intervenne il legislatore, con
l'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini), convertito,
con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come
modificato, in pari data, dall'art. 1, comma 1, lettera c), numero
1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive
del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con
modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141 (Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103,
recante disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del
2009).
Tale norma, nella parte inerente ai presupposti per l'esercizio
dell'azione risarcitoria ad opera del procuratore contabile, cosi'
stabiliva: «Le procure della Corte dei conti possono iniziare
l'attivita' istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno
erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte
salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure
della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del
danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7
della legge 27 marzo 2001, n. 97».
Il legislatore individuo' pertanto i presupposti per l'esercizio
dell'azione mediante un espresso rinvio all'art. 7 della legge 27
marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e
procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei
confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche);
disposizione che, a sua volta, prevedeva che la sentenza irrevocabile
di condanna pronunciata nei confronti dei pubblici dipendenti per i
delitti contro la pubblica amministrazione (previsti dal Capo I del
Titolo II del Libro II del codice penale) venisse comunicata al
competente procuratore regionale della Corte dei conti per il
successivo avvio, entro trenta giorni, dell'eventuale procedimento di
responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato.
3.1.3.- Conclusivamente, all'esito di questo primo intervento
normativo la risarcibilita' del danno all'immagine era limitata
all'ipotesi di condanna irrevocabile del pubblico dipendente per uno
dei menzionati delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la PA
(artt. da 314 a 335-bis del codice penale).
3.1.4.- Tale disciplina ha subito una trasformazione per effetto
della successiva entrata in vigore del cod. giust. contabile, di cui
fanno parte le norme censurate.
Per quanto in questa sede interessa, in particolare, il codice -
pur abrogando il primo periodo del primo comma dell'art. 17, comma
30-ter, del d.l. n. 78 del 2009 - ha lasciato invariato il secondo
periodo, contenente la limitazione dell'azione per il risarcimento
del danno all'immagine; e tuttavia, con l'art. 4, comma 1, lettera
g), dell'Allegato 3 (Norme transitorie e abrogazioni), ha abrogato
l'art. 7 della legge n. 97 del 2001, cui tale previsione faceva
rinvio nel delimitare i casi nei quali il PM contabile poteva
promuovere l'azione risarcitoria.
3.1.5.- Dopo l'entrata in vigore del cod. giust. contabile,
pertanto, e' rimasta in vita la norma che circoscrive la
proponibilita' della domanda a casi specifici; a tale scopo,
tuttavia, detta norma continua a fare rinvio ad una previsione che lo
stesso codice ha contestualmente abrogato.
3.2.- Il frastagliato quadro che emerge all'esito di tale
percorso esige quindi di essere adeguatamente rappresentato, al fine
di offrire a questa Corte una valutazione adeguata a sorreggere la
motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle
questioni di costituzionalita'.
E' infatti onere del rimettente confrontarsi con ogni elemento
normativo che incida su tali requisiti di ammissibilita', chiarendo
in termini non implausibili il preliminare percorso logico compiuto,
e soffermandosi poi sulle ragioni che rendono possibile
l'applicazione della norma impugnata nel giudizio principale.
3.2.1.- Nel caso di specie, il giudice a quo assume che il reato
per il quale e' stato condannato il pubblico dipendente, e dal quale
ha preso avvio l'azione del procuratore contabile (ovvero una
violenza privata - art. 610 cod. pen. - aggravata dall'abuso del
pubblico potere ai sensi dell'art. 61, numero 9, cod. pen.), e' un
reato «a danno» della pubblica amministrazione, e consente percio',
in base all'art. 51 cod. giust. contabile, di agire per il
risarcimento del danno all'immagine.
Sulla base di questo presupposto, attinente alla rilevanza,
vengono formulate le questioni di legittimita' costituzionale, che
investono un diverso profilo del regime della responsabilita', vale a
dire la necessita' che vi sia stata condanna penale, quand'anche i
fatti siano stati accertati ai fini dell'azione spiegata dalla parte
civile.
Sennonche', come si vedra', l'interpretazione prescelta dal
rimettente in ordine alla nozione di reato «a danno» della PA non
considera numerosi elementi normativi, astrattamente idonei ad
incidere su di essa, fino potenzialmente ad inficiarla.
3.2.2.- Il giudice a quo, infatti, a fronte di una disposizione
di dubbia lettura, introdotta attraverso l'esercizio di una delega
legislativa, avrebbe dovuto prendere in considerazione anche la legge
delegante, e in particolare l'ambito operativo della delega conferita
al Governo, come tracciato dall'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n.
124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche).
3.2.3.- Ed ancora, nell'ottica di una pur possibile
interpretazione restrittiva della nozione di reato «a danno» della
PA, se anche non desumibile dalla legge delega, il rimettente non
tiene in alcuna considerazione l'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n.
78 del 2009, citato ad altro proposito, ma non posto a base del
processo ermeneutico qui in discussione, nella parte in cui prevede
la risarcibilita' del danno all'immagine «nei soli casi» previsti
dalla legge.
3.2.4.- Ne', infine, puo' trascurarsi che, a sua volta, sarebbe
stato necessario confrontare la nozione di reato «a danno» della PA
con i parametri normativi offerti dall'ordinamento ai fini di
definire cosa debba intendersi per delitto «a danno» di taluno.
Si tratta di profili che assumono un rilievo decisivo nell'ottica
della preliminare valutazione in ordine alla sufficienza della
motivazione offerta dal rimettente sulla rilevanza delle questioni.
4.- Le considerazioni svolte dal rimettente sulla rilevanza sono
incentrate sul rapporto fra sentenza di condanna e declaratoria di
prescrizione del reato pur in presenza dell'accertamento del fatto;
alle stesse, tuttavia, l'ordinanza necessariamente premette che nel
caso di specie la condotta accertata nel giudizio presupposto
consentirebbe al PM contabile di agire per il risarcimento del danno
all'immagine dell'amministrazione.
A tanto l'ordinanza perviene muovendo dall'assunto secondo cui
l'intervenuta abrogazione dell'art. 7 della legge n. 97 del 2001, ad
opera dell'art. 4, lettera g), dell'Allegato 3 al cod. giust.
contabile, comporterebbe l'impossibilita' di prendere ulteriormente a
riferimento la disposizione abrogata per l'individuazione dei casi in
cui le procure contabili possono esercitare l'azione risarcitoria.
Conseguenza di tale impostazione e' che il perimetro dei reati
che consentono l'azione risarcitoria andrebbe rinvenuto, secondo il
rimettente, nello stesso cod. giust. contabile, ed in particolare nel
censurato art. 51, comma 7.
La nuova disciplina consentirebbe dunque il risarcimento del
danno all'immagine della PA in conseguenza di un delitto commesso dal
pubblico impiegato «a danno» della stessa, che sia stato accertato
con sentenza penale definitiva.
Questa lettura del contesto normativo esaurisce il contenuto
dell'ordinanza.
4.1.- A fronte di cio', osserva questa Corte che il giudice a quo
non ha vagliato la possibilita' che il dato normativo di riferimento
legittimi un'interpretazione secondo cui, nonostante l'abrogazione
dell'art. 7 della legge n. 97 del 2001, che si riferisce ai soli
delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, non rimanga privo di
effetto il rinvio ad esso operato da parte dell'art. 17, comma
30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, e non si e' chiesto se si tratta di
rinvio fisso o mobile. L'ordinanza, quindi, trascura di approfondire
la natura del rinvio, per stabilire se e' tuttora operante o se,
essendo venuto meno, la norma di riferimento e' oggi interamente
costituita dal censurato art. 51, comma 7.
4.2.- In ogni caso, anche a voler ritenere che l'entrata in
vigore del cod. giust. contabile abbia esteso il novero dei reati che
legittimano l'esercizio dell'azione risarcitoria, occorre stabilire
quali fattispecie delittuose consentono al PM contabile l'esercizio
dell'azione per il risarcimento del danno all'immagine.
Si tratta, infatti, di un'attivita' indispensabile anche ove si
ritenga che, in base alla disciplina vigente, la domanda risarcitoria
non richieda la commissione di uno dei delitti dei pubblici ufficiali
contro la PA, ma solo la commissione di un delitto «a danno» della
stessa. Anche questa previsione rivela infatti l'intento del
legislatore di delimitare l'ambito della relativa responsabilita'.
In proposito, il rimettente qualifica il fatto accertato a carico
del convenuto come «delitto a danno della pubblica amministrazione»
sulla sola base del fatto che lo stesso «ha inferto alla reputazione
pubblica dell'Amministrazione della Polizia di Stato un grave
pregiudizio di immagine»; ma a supporto di una simile ricostruzione
non offre alcuno spunto ermeneutico, limitandosi a compiere un
ragionamento di tipo tautologico.
5.- Nei profili evidenziati, l'ordinanza di rimessione offre
dunque un'inadeguata rappresentazione della normativa donde trarre
l'indicazione dei presupposti per l'esercizio, da parte del PM
contabile, dell'azione di risarcimento del danno all'immagine della
PA, e, segnatamente, l'indicazione dei reati per i quali debba essere
intervenuta sentenza di condanna.
Tale carenza, pertanto, non consente di ritenere compiutamente
rappresentato il quadro normativo di riferimento in ordine ad un
elemento della fattispecie che si configura come requisito
indefettibile per la valutazione di rilevanza delle questioni
sottoposte; e tanto non puo' che condurre alla dichiarazione
d'inammissibilita' delle stesse, in applicazione della giurisprudenza
di questa Corte relativa a casi analoghi (sentenze n. 154 del 2019 e
n. 133 del 2017).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 51, commi 6 e 7, dell'Allegato 1 al decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile,
adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n.
124), sollevate dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la
Regione Liguria, in relazione agli artt. 3, 76, 97 e 103 della
Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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