N. 23
SENTENZA
28 gennaio - 27 febbraio 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Procedimento per decreto - Previsione della facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento mediante il decreto penale di condanna. - Codice di procedura penale, art. 459, comma 1 (come sostituito dall'art. 37, comma 1, della legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense). -(GU n.9 del 4-3-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA,
Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana
SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma
1, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale ordinario di Avezzano nel
procedimento penale a carico di D.G.A., con ordinanza del 7 agosto
2013, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2014 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie
speciale, dell'anno 2014.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto in fatto
1.- Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Avezzano, con ordinanza del 7 agosto 2013, ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
3, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, dell'art. 459, primo
comma, cod. proc. pen. (come sostituito dall'art. 37, comma 1, della
legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Modifiche alle disposizioni sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso
civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di
esercizio della professione forense), nella parte in cui prevede la
facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a
querela, alla definizione del procedimento con l'emissione di decreto
penale di condanna.
Premette il rimettente che l'ufficio del pubblico ministero ha
esercitato l'azione penale nei confronti dell'imputato D.G.A.,
depositando richiesta di emissione di decreto penale di condanna in
relazione al reato di cui all'art. 388, terzo e quarto comma, cod.
pen., nonostante l'espressa opposizione del querelante alla
definizione del procedimento mediante decreto penale di condanna
formulata ex art. 459, comma 1, cod. proc. pen.
Unitamente alla richiesta di emissione di decreto penale
l'Ufficio del pubblico ministero ha chiesto di sollevare questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1, cod. proc. pen.
nella parte in cui prevede, per i soli reati perseguibili a querela,
il potere in capo al querelante di opporsi alla definizione del
procedimento con decreto penale di condanna, per contrasto di detta
norma con gli artt. 3, 101 e 111 Cost.
In particolare, il rappresentante dell'ufficio della Procura
rileva il contrasto della norma citata con l'art. 3 Cost., sotto il
duplice profilo dell'irragionevolezza della disposizione e della
violazione del principio di uguaglianza, in quanto il potere
attribuito dalla legge al querelante di opporsi alla definizione del
procedimento attraverso il rito monitorio non risponderebbe ad alcun
interesse giuridicamente apprezzabile.
Secondo il pubblico ministero, la persona offesa dal reato e', in
primo luogo, portatrice di un interesse a veder dichiarata la penale
responsabilita' dell'autore del reato con la conseguente irrogazione
di una sanzione penale, interesse che viene parimenti soddisfatto sia
attraverso lo svolgimento del processo con un qualsiasi rito, anche
speciale, che si conclude con una sentenza, sia attraverso il rito
speciale di cui all'art. 459 e seguenti, cod. proc. pen. attesa la
natura di sentenza del decreto penale di condanna.
In secondo luogo, la persona offesa dal reato e' portatrice di un
interesse al risarcimento dei danni patrimoniali e non conseguenti al
reato, interesse che non sempre e' soddisfatto all'esito della
definizione del processo penale sia nel caso di definizione con
decreto penale di condanna, che in caso di definizione con
«patteggiamento», ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. Infatti, in
tali casi, e' esclusa dal legislatore qualsiasi delibazione da parte
del giudice penale in ordine alla pretesa risarcitoria della parte
offesa, che dovra' essere fatta valere successivamente in sede
civile.
Pertanto il querelante non vede leso alcun suo diritto dalla
definizione del procedimento a mezzo del rito di cui all'art. 459
cod. proc. pen., visto che detto rito si conclude con l'applicazione
di una sanzione penale nei confronti del responsabile e che, in ogni
caso, e' garantita la tutela risarcitoria in sede civile come avviene
anche in caso di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen.
La possibilita' concessa dalla legge al querelante di opporsi
alla definizione del procedimento a mezzo dell'emissione del decreto
penale di condanna sarebbe, dunque, irragionevole, risolvendosi
esclusivamente nell'infliggere al querelato la sofferenza consistente
nello svolgimento del processo, in modo da trasformare quest'ultimo
da strumento di accertamento dei fatti in una sanzione nei confronti
dell'autore del reato.
Sottolinea, infine, il pubblico ministero che la facolta'
concessa dall'art. 459 cod. proc. pen. di opporsi alla definizione
del procedimento con decreto penale di condanna, contrasterebbe con
il principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111
Cost. in quanto l'instaurazione del processo con rito ordinario a
seguito dell'opposizione comporterebbe una inevitabile dilatazione
dei tempi processuali, nonche' una violazione dell'art. 101 Cost. in
quanto sottrarrebbe al pubblico ministero la titolarita'
dell'esercizio dell'azione penale.
Premesso quanto sopra, il GIP del Tribunale ordinario di Avezzano
ritiene, innanzitutto, che sussista la rilevanza della questione
atteso che dalla decisione della stessa dipende la definizione del
procedimento mediante l'emissione di decreto penale di condanna come
richiesto dal pubblico ministero, ovvero l'obbligo di rigettare la
richiesta con rimessione degli atti al pubblico ministero perche'
proceda con altro rito.
Inoltre, secondo il rimettente, la questione non e'
manifestamente infondata in quanto la norma configura un vulnus al
principio di obbligatorieta' dell'azione penale previsto dall'art.
112 Cost., principio di carattere generale che, nell'attuale sistema
costituzionale, non prevede deroghe ne' con riferimento all'esercizio
dell'azione ne' con riferimento alle modalita' di esercizio della
stessa da parte del pubblico ministero.
Con particolare riguardo al profilo della modalita' di esercizio
dell'azione penale, il rimettente osserva che l'ordinamento
processuale rimette la scelta del rito (giudizio direttissimo,
immediato, ordinario, procedimento per decreto) esclusivamente
all'ufficio del pubblico ministero, in presenza ovviamente dei
presupposti di legge previsti per i singoli riti. Fanno eccezione
solo il rito abbreviato in cui la scelta e' rimessa alla volonta'
dell'imputato e l'applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
dove e' richiesto l'accordo tra accusa ed imputato. In tali casi,
osserva il rimettente, il legislatore ha fatto una precisa scelta di
favorire riti premiali con chiare caratteristiche deflattive, scelta
coerente con i principi costituzionali del diritto di difesa, del
contraddittorio e della ragionevole durata del processo sanciti
dall'art. 111 Cost., non prevedendo alcuna possibilita' ne' per il
querelante, ne' per la parte offesa dal reato di opporsi alla scelta
del rito, sebbene nell'ipotesi di cui all'art. 444 cod. proc. pen.
sia preclusa, come nel caso di procedimento per decreto ex art. 459
cod. proc. pen., al giudice qualsiasi delibazione in ordine alle
eventuali pretese risarcitorie derivanti dal reato.
Anche il procedimento per decreto di cui all'art. 459 e seguenti
cod. proc. pen., prosegue il rimettente, ha natura premiale ed e'
finalizzato ad una funzione deflattiva in ossequio al principio di
ragionevole durata del processo, cosi' come il rito abbreviato ex
art. 438 cod. proc. pen. e l'applicazione pena ex art. 444 cod. proc.
pen.
Non sarebbe comprensibile, quindi, la ragionevolezza della scelta
legislativa costituente l'unico caso nell'ordinamento in cui e'
previsto che l'ufficio del pubblico ministero sia condizionato nella
scelta della modalita' di esercizio dell'azione penale in palese
violazione del principio della obbligatorieta' dell'azione penale ex
art. 112 cod. proc. pen. che, a suo giudizio, non tollera
limitazioni, e della ragionevole durata del processo di cui all'art.
111 Cost.
Il GIP del Tribunale ordinario di Avezzano ritiene, dunque,
condivisibile l'assunto del pubblico ministero secondo il quale il
querelante e' in primo luogo portatore di un interesse a veder
dichiarata la penale responsabilita' dell'autore del reato con la
conseguente irrogazione di una sanzione penale, interesse che viene
parimenti soddisfatto sia attraverso lo svolgimento del processo con
un qualsiasi rito, anche speciale, che si conclude con una sentenza,
sia attraverso il rito speciale di cui agli artt. 459 e ss. cod.
proc. pen., attesa la natura di sentenza del decreto penale di
condanna.
In secondo luogo il querelante e' portatore di un interesse al
risarcimento dei danni conseguenti al reato, interesse che non sempre
e' soddisfatto all'esito della definizione del processo penale, sia
nel caso di definizione con decreto penale di condanna che in caso di
definizione con «patteggiamento» ai sensi dell'art. 444 cod. proc.
pen. In entrambi i casi, infatti, e' esclusa dal legislatore
qualsiasi delibazione da parte del giudice penale in ordine alla
pretesa risarcitoria della parte offesa, che dovra' essere fatta
successivamente valere in sede civile. Sarebbe, quindi, irragionevole
la diversita' di disciplina per quanto riguarda la facolta' del
querelante di opporsi alla scelta del rito con cui definire il
procedimento penale prevista solo per il decreto penale di condanna.
La norma sembrerebbe non trovare alcun ragionevole fondamento,
oltre a prestarsi ad una illegittima forzatura della funzione del
processo che da strumento di accertamento dei fatti diventerebbe per
se' stesso una sanzione nei confronti dell'autore del reato.
Inoltre, sottolinea il rimettente, l'esercizio della facolta' di
opposizione da parte del querelante comporta necessariamente il
ricorso ad altro rito con una inevitabile ed ingiustificata
dilatazione dei tempi di definizione del processo in palese
violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui
all'art. 111 Cost.
Il parametro della ragionevolezza sarebbe poi violato dalla norma
censurata anche con riferimento al fatto che sebbene la facolta' di
opposizione alla definizione con rito monitorio sia prevista solo in
caso di reati procedibili a querela, una stessa facolta' di
opposizione in capo al querelante non e' prevista con riferimento
alle ipotesi di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
In conclusione, il legislatore del 1999 nell'estendere
l'applicabilita' del procedimento per decreto ai reati perseguibili a
querela avrebbe valorizzato a tal punto questo concetto da sconfinare
in una illegittima (e unica in tutto l'ordinamento processuale),
limitazione del potere costituzionale di scelta della modalita' di
esercizio dell'azione penale da parte del pubblico mistero,
dimenticando che la perseguibilita' a querela e' solo una condizione
di procedibilita' per taluni fatti gia' previsti come reato
dall'ordinamento, che e' rimessa alla sussistenza di un particolare
interesse della persona offesa. Ma una volta espressa, da parte di
quest'ultima, la volonta' di procedere mediante la querela, il
processo e' sottoposto a tutte le prerogative costituzionali inerenti
l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero ed
alle garanzie di cui all'art. 111 Cost., prerogative e garanzie che
appaiono violate dalla disciplina impugnata.
2.- Si e' costituita l'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
il rigetto della questione di costituzionalita'.
Secondo la difesa statale l'art. 459, comma 1, prima parte, cod.
proc. pen. non presenta alcun profilo di irragionevolezza, ove si
consideri l'interesse della persona offesa da un reato procedibile a
querela ad assicurarsi, qualora si opponga alla definizione del
procedimento mediante l'emissione di un decreto penale di condanna,
la possibilita' di costituirsi parte civile per ottenere il
risarcimento dei danni ex delicto. Del resto la persona offesa, prima
della formulazione da parte del pubblico ministero dell'emissione di
un decreto penale di condanna, non potrebbe costituirsi parte civile,
ex art. 79 cod. proc. pen., non essendo stata ancora esercitata
l'azione penale, ne' potrebbe costituirsi successivamente a tale
richiesta, giacche' ad essa, rimasta ignota al danneggiato, farebbe
seguito la pronuncia del decreto penale di condanna.
La norma in questione non sarebbe censurabile neanche per
disparita' di trattamento con riferimento ai reati perseguibili
d'ufficio, essendo evidente la loro non omogeneita' con i reati
procedibili a querela, in relazione ai quali l'ordinamento giuridico
riconosce alla persona offesa un potere di impulso processuale.
Ne' sarebbe utilmente invocabile il principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale, sancito dall'art. 112 Cost.,
giacche' la norma in questione, lungi dal paralizzare l'esercizio
dell'azione penale, inciderebbe solo sulle modalita' di siffatto
esercizio, precludendo al pubblico ministero di optare per un rito
alternativo lesivo degli interessi della persona offesa dal reato.
Non sarebbe pertinente nemmeno il richiamo al principio della
ragionevole durata del processo, enunciato dall'art. 111, secondo
comma, ultima parte, Cost., giacche' non sarebbe irragionevole la
dilatazione dei tempi processuali determinata dalla norma in
questione, che risulta preordinata a salvaguardare l'interesse della
persona offesa alla soddisfazione della sua pretesa risarcitoria,
altrimenti destinata ad essere inappagata.
Considerato in diritto
1.- Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Avezzano ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 459, comma 1, cod. proc. pen. (come
sostituito dall'art. 37, comma 1, della legge 16 dicembre 1999, n.
479 - Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al
tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di
procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente,
di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della
professione forense), nella parte in cui prevede la facolta' del
querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla
definizione del procedimento con l'emissione di decreto penale di
condanna.
Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe l'art. 112
della Costituzione, in quanto la possibilita' di condizionare la
scelta della modalita' di esercizio dell'azione penale riconosciuta
al querelante si porrebbe in palese contrasto con il principio della
sua obbligatorieta', che non prevede deroghe ne' con riferimento al
suo effettivo esercizio ne' con riferimento alla relativa modalita'
di svolgimento da parte del pubblico ministero.
Risulterebbe violato anche l'art. 111 Cost., in quanto la
facolta' del querelante di opporsi alla definizione del procedimento
con il decreto penale di condanna, comportando necessariamente il
ricorso ad altro rito, determinerebbe una inevitabile ed
ingiustificata dilatazione dei tempi di definizione del processo in
palese violazione del principio della ragionevole durata.
Infine, con riferimento alla violazione del principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., il rimettente ritiene che la
facolta' di opporsi alla definizione del procedimento con il decreto
penale di condanna non trovi alcuna giustificazione ragionevole nella
tutela di un interesse del querelante, cosi' come non trovi alcuna
giustificazione la diversita' di disciplina rispetto alla definizione
del procedimento mediante richiesta di applicazione della pena ex
art. 444 cod. proc. pen. che non prevede un'analoga facolta' di
opposizione in capo al querelante.
2.- La questione e' fondata con riferimento agli artt. 3 e 111
Cost.
2.1.- Giova premettere che il procedimento per decreto e' un rito
premiale che risponde ad evidenti esigenze deflattive. Nella
relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 1988, supplemento
ordinario n. 93), il procedimento per decreto e' definito uno
«strumento privilegiato di definizione anticipata del procedimento»,
tale da consentire «il maggior risparmio di risorse e la maggior
semplificazione».
Com'e' noto, con il decreto penale di condanna il giudice per le
indagini preliminari applica all'imputato, su richiesta del pubblico
ministero, una pena pecuniaria ridotta fino alla meta', senza la
necessita' di alcuna attivazione preventiva del contraddittorio.
L'imputato puo' presentare opposizione, nei 15 giorni successivi
alla notifica del decreto, determinando l'instaurazione di un
processo mediante il rito immediato o mediante altro rito speciale
quale il patteggiamento o il giudizio abbreviato.
I benefici premiali consistono, in primo luogo, nella
possibilita' di una riduzione della pena fino alla meta' del minimo
edittale e, in secondo luogo, nella esclusione della condanna alle
pene accessorie cosi' come della condanna al pagamento delle spese
del procedimento. Inoltre il decreto penale di condanna, anche se
divenuto esecutivo, non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile
o amministrativo, e il reato si estingue se, nei cinque anni
successivi per i delitti e nei due anni successivi per le
contravvenzioni, l'imputato non commette altri reati della stessa
indole. In tal caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non
e' di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione
condizionale della pena.
Nella versione originaria, prima della modifica avvenuta nel
1999, il procedimento per decreto era riservato ai soli reati
perseguibili d'ufficio. Questa limitazione, come si legge nella
relazione al progetto preliminare al nuovo codice di procedura
penale, trovava la sua giustificazione nella maggiore complessita'
degli accertamenti richiesti per i reati a procedibilita'
condizionata, che non si addiceva alle caratteristiche di snellezza e
celerita' proprie del rito monitorio. L'art. 37, comma 1, della legge
n. 479 del 1999, ha profondamente innovato la disciplina del
procedimento per decreto, estendendo il rito anche ai reati
perseguibili a querela, «se questa e' stata validamente presentata e
se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi».
2.2.- La norma, sin dal suo ingresso nell'ordinamento, e' stata
oggetto di forti critiche per i suoi tratti di assoluta
eccentricita'.
Il legislatore, infatti, nel disciplinare istituti per certi
versi simili, quali l'opposizione all'archiviazione ex art. 409 cod.
proc. pen. e l'opposizione alla pronuncia di non doversi procedere
per particolare tenuita' del fatto ex art. 34, comma 3, del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468), ha riconosciuto tale facolta' alla persona
offesa e non al querelante.
Inoltre, nei casi sopra descritti, dell'opposizione
all'archiviazione e dell'opposizione alla sentenza di non doversi
procedere per tenuita' del fatto, l'opposizione del querelante e,
piu' in generale, della persona offesa si rivolge nei confronti di
una pronuncia del giudice (di archiviazione o di non doversi
procedere) che certamente non e' satisfattiva dell'interesse
dell'opponente. Diversamente, invece, con l'emissione del decreto
penale di condanna il querelante vede soddisfatta la sua «volonta'»
di punizione dell'imputato.
2.3.- La norma censurata non trova una valida giustificazione ne'
con riferimento alla posizione processuale della persona offesa, ne'
con riguardo a quella del querelante.
La persona offesa, nel processo penale, e' portatrice di un
duplice interesse: quello al risarcimento del danno che si esercita
mediante la costituzione di parte civile, e quello all'affermazione
della responsabilita' penale dell'autore del reato, che si esercita
mediante un'attivita' di supporto e di controllo dell'operato del
pubblico ministero.
A tal proposito deve essere ribadito il rilievo, gia' altre volte
sottolineato da questa Corte, secondo il quale l'assetto generale del
nuovo processo penale e' ispirato all'idea della separazione dei
giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice,
l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione dei processi
rispetto all'interesse del soggetto danneggiato, nell'ambito del
processo penale, di avvalersi del processo medesimo ai fini del
riconoscimento delle sue pretese di natura civilistica.
In tal senso, proprio con riferimento al decreto penale di
condanna, questa Corte, prima della riforma del 1999, ha ritenuto
infondata la richiesta di una pronuncia volta a escludere
l'ammissibilita' del ricorso al procedimento speciale disciplinato
dal Titolo V del Libro VI cod. proc. pen., nel caso la persona offesa
dal reato avesse manifestato in modo esplicito, anteriormente
all'esercizio dell'azione penale, l'intenzione di costituirsi parte
civile (ordinanza n. 124 del 1999).
Con la citata pronuncia questa Corte ha ancora una volta ribadito
che «l'eventuale impossibilita' per il danneggiato di partecipare al
processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di
difesa e, ancor prima, sul suo diritto di agire in giudizio, poiche'
resta intatta la possibilita' di esercitare l'azione di risarcimento
del danno nella sede civile, traendone la conclusione che ogni
"separazione dell'azione civile dall'ambito del processo penale non
puo' essere considerata come una menomazione o una esclusione del
diritto alla tutela giurisdizionale", essendo affidata al legislatore
la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista delle
esigenze proprie del processo penale (sentenze n. 443 del 1990, n.
171 del 1982 e n. 166 del 1975)».
In tale occasione si e' anche rilevato che «risulterebbe
improprio un sistema che consentisse di esperire un determinato rito
alternativo, sussistendone i presupposti, solo in dipendenza di una
sorta di determinazione meramente potestativa della persona offesa,
che non riveste la qualita' di parte» (ordinanza n. 124 del 1999).
Cio' detto, deve anche osservarsi che la possibilita' di
esercitare l'azione civile nel processo penale da parte del
querelante mediante l'opposizione alla definizione del procedimento
con il decreto penale di condanna e' del tutto incoerente con la
mancata previsione di una analoga facolta' di opposizione nella
disciplina del "patteggiamento". In tal caso, infatti, qualora il
condannato avanzi richiesta di applicazione della pena e ottenga il
consenso del pubblico ministero, al querelante, anche se costituito
parte civile, non resta alcun potere di interdizione del rito dovendo
trovare esclusivamente nella sede civile il luogo della tutela del
proprio interesse al risarcimento del danno. Ne consegue che la
diversita' di disciplina tra il procedimento per decreto e quello
relativo all'applicazione della pena su richiesta delle parti non
trova una ragionevole giustificazione nell'interesse alla
costituzione di parte civile della persona offesa/querelante.
A tal proposito non rileva il fatto che i due riti alternativi
non siano completamente assimilabili, sia perche' cio' e' ininfluente
in relazione al canone di razionalita' della norma, sia perche' «Il
principio di cui all'art. 3 Cost. e' violato non solo quando i
trattamenti messi a confronto sono formalmente contraddittori in
ragione dell'identita' delle fattispecie, ma anche quando la
differenza di trattamento e' irrazionale secondo le regole del
discorso pratico, in quanto le rispettive fattispecie, pur diverse,
sono ragionevolmente analoghe» (sentenza n. 1009 del 1988), come
appunto nel caso in esame. Si consideri, poi, che l'attuale
disciplina non esclude che, a seguito dell'opposizione del
querelante, che e' ostativa alla definizione mediante decreto penale
di condanna, il procedimento sfoci proprio nel rito di cui all'art.
444 c.p.p., con la conseguenza che viene egualmente negata la
possibilita' di trovare nel processo penale la sede per far valere le
pretese civilistiche.
2.4.- La possibilita' per il querelante di opporsi alla
definizione del procedimento con decreto non trova adeguata
giustificazione neanche in relazione all'interesse della persona
offesa all'accertamento della responsabilita' dell'autore del reato,
interesse che si realizza mediante l'attivita' di supporto e di
controllo rispetto all'esercizio dell'azione penale del pubblico
ministero.
La persona offesa, infatti, ai sensi dell'art. 90 cod. proc. pen.
puo' partecipare al procedimento penale, anche a prescindere dalla
costituzione di parte civile e, in particolare, puo', in ogni stato e
grado del procedimento, presentare memorie e indicare elementi di
prova, con esclusione del giudizio di cassazione.
Si tratta di un interesse da cui deriva la possibilita' di
esercizio di plurimi diritti o facolta', in «una sfera di azione che
tende a realizzare, mediante forme di "adesione" all'attivita' del
pubblico ministero ovvero di "controllo" su di essa, una sorta di
contributo all'esercizio dell'azione penale» (sentenza n. 353 del
1991).
Sotto il profilo dell'attivita' di supporto dell'azione del
pubblico ministero deve ricordarsi che, perche' questi possa chiedere
l'emissione del decreto penale di condanna, e' necessario che gli
elementi raccolti nell'indagine preliminare risultino idonei non solo
a sostenere un'accusa in giudizio ex art. 125 disp. att., cod. proc.
pen., ma a provare con certezza la responsabilita' dell'imputato.
Inoltre, nella fase delle indagini, il querelante e', ovviamente,
titolare di tutti i poteri della persona offesa e puo' fornire tutto
il supporto che ritenga necessario all'azione del pubblico ministero
(mediante l'indicazione di fonti di prova).
Quanto al controllo sull'esercizio dell'azione penale, deve
evidenziarsi che la richiesta di decreto penale di condanna e' una
modalita' di esercizio dell'azione penale e che, qualora la stessa
venga accolta, il procedimento si conclude con l'affermazione della
responsabilita' penale dell'imputato (querelato) con piena
soddisfazione del corrispondente interesse del querelante.
Risulta evidente, pertanto, la differenza dai casi in cui il
potere di opposizione riconosciuto alla persona offesa e' diretto: a)
a sollecitare l'esercizio dell'azione penale (opposizione
all'archiviazione ex art. 409 cod. proc. pen.); b) ad impedire la
definizione del giudizio con una pronuncia di improcedibilita' per la
tenuita' del fatto (art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000).
Nel caso del decreto penale di condanna, infatti, la
rappresentazione dei fatti esposta in querela ha trovato riscontro
nell'attivita' d'indagine del pubblico ministero e il querelante ha
visto accolta la sua richiesta di punizione del querelato.
In conclusione il querelante, quale persona offesa dal reato, non
ha alcun interesse meritevole di tutela che giustifichi la facolta'
di opporsi a che si proceda con il rito semplificato, fermo restando
che qualora l'imputato proponga opposizione, questi e' rimesso nei
pieni poteri della persona offesa (o della parte civile) per le
successive fasi del giudizio.
2.5.- Si e' ipotizzato che il querelante, in quanto tale, abbia
un interesse specifico e distinto da quello della persona offesa dal
reato a che il procedimento non si concluda con il decreto penale di
condanna, interesse identificato nella possibilita' di rimettere la
querela.
Anche sotto questo aspetto tale interesse non e' idoneo a fornire
una ratio adeguata alla norma censurata che rimane intrinsecamente
contraddittoria rispetto alla mancata previsione di una analoga
facolta' di opposizione alla definizione del processo mediante
l'applicazione della pena su richiesta delle parti e che reca una
rilevante menomazione al principio della ragionevole durata del
processo.
La facolta' di opposizione del querelante, infatti, determina un
ingiustificato allungamento dei tempi del processo e, soprattutto,
ostacola la realizzazione dell'effetto deflattivo legato ai riti
speciali di tipo premiale che, nelle intenzioni del legislatore,
assume una particolare importanza per assicurare il funzionamento del
processo "accusatorio" adottato con la riforma del codice di
procedura penale.
E' bensi' vero che la giurisprudenza della Corte ha affermato
piu' volte che il principio della ragionevole durata del processo va
contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali, il
cui sacrificio non e' sindacabile, ove frutto di scelte non prive di
una valida ratio giustificativa (ex plurimis sentenza n. 159 del
2014, ordinanze n. 332 e n. 318 del 2008), ma in questo caso e'
proprio assente la suddetta "ratio".
Secondo questa Corte al principio della ragionevole durata del
processo enunciato al secondo comma dell'art. 111 Cost. «possono
arrecare un vulnus solamente norme procedurali che comportino una
dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica
esigenza (sentenza n. 148 del 2005)» (sentenze n. 63 e n. 56 del
2009).
La norma in esame, in definitiva, cagiona una lesione del
principio della ragionevole durata del processo, senza che la stessa
sia giustificata dalle esigenze di tutela del querelante o della
persona offesa, le quali, in virtu' di quanto sopra rilevato, devono
ritenersi congruamente garantite.
2.7.- La censurata facolta' si pone, quindi, in violazione del
canone di ragionevolezza e del principio di ragionevole durata del
processo, costituendo un bilanciamento degli interessi in gioco non
giustificabile neppure alla luce dell'ampia discrezionalita' che la
giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto al legislatore nella
conformazione degli istituti processuali (ex multis, sentenze n. 65
del 2014 e n. 216 del 2013; ordinanze n. 48 del 2014 e n. 190 del
2013).
Lo scrutinio di ragionevolezza, in questi ambiti, impone,
infatti, alla Corte di verificare che il bilanciamento degli
interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con
modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno
di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato
costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni
relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore
nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze
obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire,
tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente
sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). A questo scopo puo' essere
utilizzato il test di proporzionalita', insieme con quello di
ragionevolezza, che «richiede di valutare se la norma oggetto di
scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione stabilite,
sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva quella
meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi»
(sentenza n. 1 del 2014).
In applicazione di tali principi, conclusivamente, deve
osservarsi che, una volta ampliato il campo dei reati per i quali e'
possibile definire il procedimento con il decreto penale di condanna
comprendendovi anche i reati procedibili a querela (con il dichiarato
scopo di favorire sempre piu' il ricorso ai riti alternativi di tipo
premiale per assicurare la deflazione del carico penale necessaria
per l'effettivo funzionamento del rito accusatorio), l'attribuzione
di una mera facolta' al querelante, consistente nell'opposizione alla
definizione del procedimento mediante il decreto penale di condanna,
introduce un evidente elemento di irrazionalita'. Cio' in quanto: a)
distingue irragionevolmente la posizione del querelante rispetto a
quella della persona offesa dal reato per i reati perseguibili
d'ufficio; b) non corrisponde ad alcun interesse meritevole di tutela
del querelante stesso; c) reca un significativo vulnus all'esigenza
di rapida definizione del processo; d) si pone in contrasto
sistematico con le esigenze di deflazione proprie dei riti
alternativi premiali; e) e' intrinsecamente contraddittoria rispetto
alla mancata previsione di una analoga facolta' di opposizione alla
definizione del processo mediante l'applicazione della pena su
richiesta delle parti, in quanto tale rito speciale puo' essere una
modalita' di definizione del giudizio nonostante l'esercizio, da
parte del querelante, del suo potere interdittivo.
2.8.- Alla luce delle considerazioni che precedono, deve
affermarsi che l'art. 459, comma 1, cod. proc. pen. nella parte in
cui prevede la facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati
perseguibili a querela, alla definizione del procedimento con
l'emissione di decreto penale di condanna, viola gli artt. 3 e 111
Cost.
Resta assorbita la censura relativa alla violazione dell'art. 112
Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1,
cod. proc. pen. (come sostituito dall'art. 37, comma 1, della legge
16 dicembre 1999, n. 479 - Modifiche alle disposizioni sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso
civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di
esercizio della professione forense), nella parte in cui prevede la
facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a
querela, alla definizione del procedimento con l'emissione di decreto
penale di condanna.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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