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giovedì 30 aprile 2015

N. 23 SENTENZA 28 gennaio - 27 febbraio 2015 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Procedimento per decreto - Previsione della facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento mediante il decreto penale di condanna. - Codice di procedura penale, art. 459, comma 1 (come sostituito dall'art. 37, comma 1, della legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense). - (GU n.9 del 4-3-2015 )



  N. 23 SENTENZA 28 gennaio - 27 febbraio 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Procedimento  per  decreto  -  Previsione  della
  facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a
  querela, alla definizione  del  procedimento  mediante  il  decreto
  penale di condanna. 
- Codice di procedura penale, art.  459,  comma  1  (come  sostituito
  dall'art. 37, comma 1, della legge  16  dicembre  1999,  n.  479  -
  Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti  al  tribunale
  in  composizione  monocratica  e  altre  modifiche  al  codice   di
  procedura penale. Modifiche  al  codice  penale  e  all'ordinamento
  giudiziario.  Disposizioni  in  materia   di   contenzioso   civile
  pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio
  della professione forense). 
-   
(GU n.9 del 4-3-2015 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 459,  comma
1, del codice di  procedura  penale,  promosso  dal  Giudice  per  le
indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di   Avezzano   nel
procedimento penale a carico di D.G.A., con ordinanza  del  7  agosto
2013, iscritta al n. 88 del  registro  ordinanze  2014  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  24,  prima   serie
speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 28 gennaio  2015  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di Avezzano, con ordinanza del 7 agosto 2013, ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
3, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, dell'art. 459, primo
comma, cod. proc. pen. (come sostituito dall'art. 37, comma 1,  della
legge 16 dicembre 1999, n. 479  -  Modifiche  alle  disposizioni  sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia  di  contenzioso
civile pendente, di indennita' spettanti al  giudice  di  pace  e  di
esercizio della professione forense), nella parte in cui  prevede  la
facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati  perseguibili  a
querela, alla definizione del procedimento con l'emissione di decreto
penale di condanna. 
    Premette il rimettente che l'ufficio del  pubblico  ministero  ha
esercitato  l'azione  penale  nei  confronti  dell'imputato   D.G.A.,
depositando richiesta di emissione di decreto penale di  condanna  in
relazione al reato di cui all'art. 388, terzo e  quarto  comma,  cod.
pen.,  nonostante  l'espressa   opposizione   del   querelante   alla
definizione del procedimento  mediante  decreto  penale  di  condanna
formulata ex art. 459, comma 1, cod. proc. pen. 
    Unitamente  alla  richiesta  di  emissione  di   decreto   penale
l'Ufficio del pubblico ministero ha chiesto di sollevare questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1, cod.  proc.  pen.
nella parte in cui prevede, per i soli reati perseguibili a  querela,
il potere in capo al  querelante  di  opporsi  alla  definizione  del
procedimento con decreto penale di condanna, per contrasto  di  detta
norma con gli artt. 3, 101 e 111 Cost. 
    In particolare,  il  rappresentante  dell'ufficio  della  Procura
rileva il contrasto della norma citata con l'art. 3 Cost.,  sotto  il
duplice profilo  dell'irragionevolezza  della  disposizione  e  della
violazione  del  principio  di  uguaglianza,  in  quanto  il   potere
attribuito dalla legge al querelante di opporsi alla definizione  del
procedimento attraverso il rito monitorio non risponderebbe ad  alcun
interesse giuridicamente apprezzabile. 
    Secondo il pubblico ministero, la persona offesa dal reato e', in
primo luogo, portatrice di un interesse a veder dichiarata la  penale
responsabilita' dell'autore del reato con la conseguente  irrogazione
di una sanzione penale, interesse che viene parimenti soddisfatto sia
attraverso lo svolgimento del processo con un qualsiasi  rito,  anche
speciale, che si conclude con una sentenza, sia  attraverso  il  rito
speciale di cui all'art. 459 e seguenti, cod. proc.  pen.  attesa  la
natura di sentenza del decreto penale di condanna. 
    In secondo luogo, la persona offesa dal reato e' portatrice di un
interesse al risarcimento dei danni patrimoniali e non conseguenti al
reato, interesse  che  non  sempre  e'  soddisfatto  all'esito  della
definizione del processo penale  sia  nel  caso  di  definizione  con
decreto  penale  di  condanna,  che  in  caso  di   definizione   con
«patteggiamento», ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. Infatti,  in
tali casi, e' esclusa dal legislatore qualsiasi delibazione da  parte
del giudice penale in ordine alla pretesa  risarcitoria  della  parte
offesa, che  dovra'  essere  fatta  valere  successivamente  in  sede
civile. 
    Pertanto il querelante non vede  leso  alcun  suo  diritto  dalla
definizione del procedimento a mezzo del rito  di  cui  all'art.  459
cod. proc. pen., visto che detto rito si conclude con  l'applicazione
di una sanzione penale nei confronti del responsabile e che, in  ogni
caso, e' garantita la tutela risarcitoria in sede civile come avviene
anche in caso di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. 
    La possibilita' concessa dalla legge  al  querelante  di  opporsi
alla definizione del procedimento a mezzo dell'emissione del  decreto
penale  di  condanna  sarebbe,  dunque,  irragionevole,  risolvendosi
esclusivamente nell'infliggere al querelato la sofferenza consistente
nello svolgimento del processo, in modo da  trasformare  quest'ultimo
da strumento di accertamento dei fatti in una sanzione nei  confronti
dell'autore del reato. 
    Sottolinea,  infine,  il  pubblico  ministero  che  la   facolta'
concessa dall'art. 459 cod. proc. pen. di  opporsi  alla  definizione
del procedimento con decreto penale di condanna,  contrasterebbe  con
il principio di ragionevole durata del processo di cui  all'art.  111
Cost. in quanto l'instaurazione del processo  con  rito  ordinario  a
seguito dell'opposizione comporterebbe  una  inevitabile  dilatazione
dei tempi processuali, nonche' una violazione dell'art. 101 Cost.  in
quanto   sottrarrebbe   al   pubblico   ministero   la    titolarita'
dell'esercizio dell'azione penale. 
    Premesso quanto sopra, il GIP del Tribunale ordinario di Avezzano
ritiene, innanzitutto, che  sussista  la  rilevanza  della  questione
atteso che dalla decisione della stessa dipende  la  definizione  del
procedimento mediante l'emissione di decreto penale di condanna  come
richiesto dal pubblico ministero, ovvero l'obbligo  di  rigettare  la
richiesta con rimessione degli atti  al  pubblico  ministero  perche'
proceda con altro rito. 
    Inoltre,   secondo   il   rimettente,   la   questione   non   e'
manifestamente infondata in quanto la norma configura  un  vulnus  al
principio di obbligatorieta' dell'azione  penale  previsto  dall'art.
112 Cost., principio di carattere generale che, nell'attuale  sistema
costituzionale, non prevede deroghe ne' con riferimento all'esercizio
dell'azione ne' con riferimento alle  modalita'  di  esercizio  della
stessa da parte del pubblico ministero. 
    Con particolare riguardo al profilo della modalita' di  esercizio
dell'azione  penale,  il   rimettente   osserva   che   l'ordinamento
processuale  rimette  la  scelta  del  rito  (giudizio  direttissimo,
immediato,  ordinario,  procedimento  per   decreto)   esclusivamente
all'ufficio  del  pubblico  ministero,  in  presenza  ovviamente  dei
presupposti di legge previsti per i  singoli  riti.  Fanno  eccezione
solo il rito abbreviato in cui la scelta  e'  rimessa  alla  volonta'
dell'imputato e l'applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
dove e' richiesto l'accordo tra accusa ed  imputato.  In  tali  casi,
osserva il rimettente, il legislatore ha fatto una precisa scelta  di
favorire riti premiali con chiare caratteristiche deflattive,  scelta
coerente con i principi costituzionali del  diritto  di  difesa,  del
contraddittorio e  della  ragionevole  durata  del  processo  sanciti
dall'art. 111 Cost., non prevedendo alcuna possibilita'  ne'  per  il
querelante, ne' per la parte offesa dal reato di opporsi alla  scelta
del rito, sebbene nell'ipotesi di cui all'art. 444  cod.  proc.  pen.
sia preclusa, come nel caso di procedimento per decreto ex  art.  459
cod. proc. pen., al giudice  qualsiasi  delibazione  in  ordine  alle
eventuali pretese risarcitorie derivanti dal reato. 
    Anche il procedimento per decreto di cui all'art. 459 e  seguenti
cod. proc. pen., prosegue il rimettente, ha  natura  premiale  ed  e'
finalizzato ad una funzione deflattiva in ossequio  al  principio  di
ragionevole durata del processo, cosi' come  il  rito  abbreviato  ex
art. 438 cod. proc. pen. e l'applicazione pena ex art. 444 cod. proc.
pen. 
    Non sarebbe comprensibile, quindi, la ragionevolezza della scelta
legislativa costituente  l'unico  caso  nell'ordinamento  in  cui  e'
previsto che l'ufficio del pubblico ministero sia condizionato  nella
scelta della modalita' di  esercizio  dell'azione  penale  in  palese
violazione del principio della obbligatorieta' dell'azione penale  ex
art.  112  cod.  proc.  pen.  che,  a  suo  giudizio,   non   tollera
limitazioni, e della ragionevole durata del processo di cui  all'art.
111 Cost. 
    Il GIP del  Tribunale  ordinario  di  Avezzano  ritiene,  dunque,
condivisibile l'assunto del pubblico ministero secondo  il  quale  il
querelante e' in primo  luogo  portatore  di  un  interesse  a  veder
dichiarata la penale responsabilita' dell'autore  del  reato  con  la
conseguente irrogazione di una sanzione penale, interesse  che  viene
parimenti soddisfatto sia attraverso lo svolgimento del processo  con
un qualsiasi rito, anche speciale, che si conclude con una  sentenza,
sia attraverso il rito speciale di cui agli  artt.  459  e  ss.  cod.
proc. pen., attesa la  natura  di  sentenza  del  decreto  penale  di
condanna. 
    In secondo luogo il querelante e' portatore di  un  interesse  al
risarcimento dei danni conseguenti al reato, interesse che non sempre
e' soddisfatto all'esito della definizione del processo  penale,  sia
nel caso di definizione con decreto penale di condanna che in caso di
definizione con «patteggiamento» ai sensi dell'art.  444  cod.  proc.
pen.  In  entrambi  i  casi,  infatti,  e'  esclusa  dal  legislatore
qualsiasi delibazione da parte del  giudice  penale  in  ordine  alla
pretesa risarcitoria della parte  offesa,  che  dovra'  essere  fatta
successivamente valere in sede civile. Sarebbe, quindi, irragionevole
la diversita' di disciplina  per  quanto  riguarda  la  facolta'  del
querelante di opporsi alla  scelta  del  rito  con  cui  definire  il
procedimento penale prevista solo per il decreto penale di condanna. 
    La norma sembrerebbe non trovare  alcun  ragionevole  fondamento,
oltre a prestarsi ad una illegittima  forzatura  della  funzione  del
processo che da strumento di accertamento dei fatti diventerebbe  per
se' stesso una sanzione nei confronti dell'autore del reato. 
    Inoltre, sottolinea il rimettente, l'esercizio della facolta'  di
opposizione da  parte  del  querelante  comporta  necessariamente  il
ricorso  ad  altro  rito  con  una  inevitabile   ed   ingiustificata
dilatazione  dei  tempi  di  definizione  del  processo   in   palese
violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui
all'art. 111 Cost. 
    Il parametro della ragionevolezza sarebbe poi violato dalla norma
censurata anche con riferimento al fatto che sebbene la  facolta'  di
opposizione alla definizione con rito monitorio sia prevista solo  in
caso  di  reati  procedibili  a  querela,  una  stessa  facolta'   di
opposizione in capo al querelante non  e'  prevista  con  riferimento
alle ipotesi di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. 
    In  conclusione,   il   legislatore   del   1999   nell'estendere
l'applicabilita' del procedimento per decreto ai reati perseguibili a
querela avrebbe valorizzato a tal punto questo concetto da sconfinare
in una illegittima (e  unica  in  tutto  l'ordinamento  processuale),
limitazione del potere costituzionale di scelta  della  modalita'  di
esercizio  dell'azione  penale  da  parte   del   pubblico   mistero,
dimenticando che la perseguibilita' a querela e' solo una  condizione
di  procedibilita'  per  taluni  fatti  gia'  previsti   come   reato
dall'ordinamento, che e' rimessa alla sussistenza di  un  particolare
interesse della persona offesa. Ma una volta espressa,  da  parte  di
quest'ultima, la  volonta'  di  procedere  mediante  la  querela,  il
processo e' sottoposto a tutte le prerogative costituzionali inerenti
l'esercizio dell'azione penale da parte  del  pubblico  ministero  ed
alle garanzie di cui all'art. 111 Cost., prerogative e  garanzie  che
appaiono violate dalla disciplina impugnata. 
    2.- Si e' costituita l'Avvocatura generale dello Stato  chiedendo
il rigetto della questione di costituzionalita'. 
    Secondo la difesa statale l'art. 459, comma 1, prima parte,  cod.
proc. pen. non presenta alcun profilo  di  irragionevolezza,  ove  si
consideri l'interesse della persona offesa da un reato procedibile  a
querela ad assicurarsi,  qualora  si  opponga  alla  definizione  del
procedimento mediante l'emissione di un decreto penale  di  condanna,
la  possibilita'  di  costituirsi  parte  civile  per   ottenere   il
risarcimento dei danni ex delicto. Del resto la persona offesa, prima
della formulazione da parte del pubblico ministero dell'emissione  di
un decreto penale di condanna, non potrebbe costituirsi parte civile,
ex art. 79 cod. proc.  pen.,  non  essendo  stata  ancora  esercitata
l'azione penale, ne'  potrebbe  costituirsi  successivamente  a  tale
richiesta, giacche' ad essa, rimasta ignota al  danneggiato,  farebbe
seguito la pronuncia del decreto penale di condanna. 
    La  norma  in  questione  non  sarebbe  censurabile  neanche  per
disparita' di  trattamento  con  riferimento  ai  reati  perseguibili
d'ufficio, essendo evidente la  loro  non  omogeneita'  con  i  reati
procedibili a querela, in relazione ai quali l'ordinamento  giuridico
riconosce alla persona offesa un potere di impulso processuale. 
    Ne'     sarebbe     utilmente     invocabile     il     principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale, sancito dall'art. 112 Cost.,
giacche' la norma in questione,  lungi  dal  paralizzare  l'esercizio
dell'azione penale, inciderebbe  solo  sulle  modalita'  di  siffatto
esercizio, precludendo al pubblico ministero di optare  per  un  rito
alternativo lesivo degli interessi della persona offesa dal reato. 
    Non sarebbe pertinente nemmeno il  richiamo  al  principio  della
ragionevole durata del processo,  enunciato  dall'art.  111,  secondo
comma, ultima parte, Cost., giacche'  non  sarebbe  irragionevole  la
dilatazione  dei  tempi  processuali  determinata  dalla   norma   in
questione, che risulta preordinata a salvaguardare l'interesse  della
persona offesa alla soddisfazione  della  sua  pretesa  risarcitoria,
altrimenti destinata ad essere inappagata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario  di  Avezzano  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  459,  comma  1,  cod.  proc.  pen.   (come
sostituito dall'art. 37, comma 1, della legge 16  dicembre  1999,  n.
479  -  Modifiche  alle  disposizioni  sul  procedimento  davanti  al
tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice  di
procedura  penale.  Modifiche  al  codice  penale  e  all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile  pendente,
di indennita' spettanti al giudice  di  pace  e  di  esercizio  della
professione forense), nella parte in  cui  prevede  la  facolta'  del
querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela,  alla
definizione del procedimento con l'emissione  di  decreto  penale  di
condanna. 
    Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe  l'art.  112
della Costituzione, in quanto  la  possibilita'  di  condizionare  la
scelta della modalita' di esercizio dell'azione  penale  riconosciuta
al querelante si porrebbe in palese contrasto con il principio  della
sua obbligatorieta', che non prevede deroghe ne' con  riferimento  al
suo effettivo esercizio ne' con riferimento alla  relativa  modalita'
di svolgimento da parte del pubblico ministero. 
    Risulterebbe  violato  anche  l'art.  111  Cost.,  in  quanto  la
facolta' del querelante di opporsi alla definizione del  procedimento
con il decreto penale di  condanna,  comportando  necessariamente  il
ricorso  ad   altro   rito,   determinerebbe   una   inevitabile   ed
ingiustificata dilatazione dei tempi di definizione del  processo  in
palese violazione del principio della ragionevole durata. 
    Infine,  con  riferimento  alla  violazione  del   principio   di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., il rimettente ritiene che  la
facolta' di opporsi alla definizione del procedimento con il  decreto
penale di condanna non trovi alcuna giustificazione ragionevole nella
tutela di un interesse del querelante, cosi' come  non  trovi  alcuna
giustificazione la diversita' di disciplina rispetto alla definizione
del procedimento mediante richiesta di  applicazione  della  pena  ex
art. 444 cod. proc. pen.  che  non  prevede  un'analoga  facolta'  di
opposizione in capo al querelante. 
    2.- La questione e' fondata con riferimento agli artt.  3  e  111
Cost. 
    2.1.- Giova premettere che il procedimento per decreto e' un rito
premiale  che  risponde  ad  evidenti  esigenze   deflattive.   Nella
relazione al progetto preliminare  del  codice  di  procedura  penale
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 1988, supplemento
ordinario n.  93),  il  procedimento  per  decreto  e'  definito  uno
«strumento privilegiato di definizione anticipata del  procedimento»,
tale da consentire «il maggior risparmio  di  risorse  e  la  maggior
semplificazione». 
    Com'e' noto, con il decreto penale di condanna il giudice per  le
indagini preliminari applica all'imputato, su richiesta del  pubblico
ministero, una pena pecuniaria ridotta  fino  alla  meta',  senza  la
necessita' di alcuna attivazione preventiva del contraddittorio. 
    L'imputato puo' presentare opposizione, nei 15 giorni  successivi
alla  notifica  del  decreto,  determinando  l'instaurazione  di   un
processo mediante il rito immediato o mediante  altro  rito  speciale
quale il patteggiamento o il giudizio abbreviato. 
    I  benefici  premiali   consistono,   in   primo   luogo,   nella
possibilita' di una riduzione della pena fino alla meta'  del  minimo
edittale e, in secondo luogo, nella esclusione  della  condanna  alle
pene accessorie cosi' come della condanna al  pagamento  delle  spese
del procedimento. Inoltre il decreto penale  di  condanna,  anche  se
divenuto esecutivo, non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile
o amministrativo,  e  il  reato  si  estingue  se,  nei  cinque  anni
successivi  per  i  delitti  e  nei  due  anni  successivi   per   le
contravvenzioni, l'imputato non commette  altri  reati  della  stessa
indole. In tal caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non
e'  di  ostacolo  alla  concessione  di  una  successiva  sospensione
condizionale della pena. 
    Nella versione originaria,  prima  della  modifica  avvenuta  nel
1999, il  procedimento  per  decreto  era  riservato  ai  soli  reati
perseguibili d'ufficio.  Questa  limitazione,  come  si  legge  nella
relazione al  progetto  preliminare  al  nuovo  codice  di  procedura
penale, trovava la sua giustificazione  nella  maggiore  complessita'
degli  accertamenti  richiesti   per   i   reati   a   procedibilita'
condizionata, che non si addiceva alle caratteristiche di snellezza e
celerita' proprie del rito monitorio. L'art. 37, comma 1, della legge
n.  479  del  1999,  ha  profondamente  innovato  la  disciplina  del
procedimento  per  decreto,  estendendo  il  rito  anche   ai   reati
perseguibili a querela, «se questa e' stata validamente presentata  e
se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi». 
    2.2.- La norma, sin dal suo ingresso nell'ordinamento,  e'  stata
oggetto  di  forti  critiche  per   i   suoi   tratti   di   assoluta
eccentricita'. 
    Il legislatore, infatti,  nel  disciplinare  istituti  per  certi
versi simili, quali l'opposizione all'archiviazione ex art. 409  cod.
proc. pen. e l'opposizione alla pronuncia di  non  doversi  procedere
per particolare tenuita' del fatto ex art. 34, comma 3,  del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), ha riconosciuto tale  facolta'  alla  persona
offesa e non al querelante. 
    Inoltre,   nei    casi    sopra    descritti,    dell'opposizione
all'archiviazione e dell'opposizione alla  sentenza  di  non  doversi
procedere per tenuita' del fatto,  l'opposizione  del  querelante  e,
piu' in generale, della persona offesa si rivolge  nei  confronti  di
una  pronuncia  del  giudice  (di  archiviazione  o  di  non  doversi
procedere)  che  certamente  non   e'   satisfattiva   dell'interesse
dell'opponente. Diversamente, invece,  con  l'emissione  del  decreto
penale di condanna il querelante vede soddisfatta la  sua  «volonta'»
di punizione dell'imputato. 
    2.3.- La norma censurata non trova una valida giustificazione ne'
con riferimento alla posizione processuale della persona offesa,  ne'
con riguardo a quella del querelante. 
    La persona offesa, nel  processo  penale,  e'  portatrice  di  un
duplice interesse: quello al risarcimento del danno che  si  esercita
mediante la costituzione di parte civile, e  quello  all'affermazione
della responsabilita' penale dell'autore del reato, che  si  esercita
mediante un'attivita' di supporto e  di  controllo  dell'operato  del
pubblico ministero. 
    A tal proposito deve essere ribadito il rilievo, gia' altre volte
sottolineato da questa Corte, secondo il quale l'assetto generale del
nuovo processo penale e'  ispirato  all'idea  della  separazione  dei
giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice,
l'esigenza di speditezza e  di  sollecita  definizione  dei  processi
rispetto all'interesse  del  soggetto  danneggiato,  nell'ambito  del
processo penale, di avvalersi  del  processo  medesimo  ai  fini  del
riconoscimento delle sue pretese di natura civilistica. 
    In tal senso,  proprio  con  riferimento  al  decreto  penale  di
condanna, questa Corte, prima della riforma  del  1999,  ha  ritenuto
infondata  la  richiesta  di  una   pronuncia   volta   a   escludere
l'ammissibilita' del ricorso al  procedimento  speciale  disciplinato
dal Titolo V del Libro VI cod. proc. pen., nel caso la persona offesa
dal  reato  avesse  manifestato  in  modo  esplicito,   anteriormente
all'esercizio dell'azione penale, l'intenzione di  costituirsi  parte
civile (ordinanza n. 124 del 1999). 
    Con la citata pronuncia questa Corte ha ancora una volta ribadito
che «l'eventuale impossibilita' per il danneggiato di partecipare  al
processo penale non incide in modo apprezzabile sul  suo  diritto  di
difesa e, ancor prima, sul suo diritto di agire in giudizio,  poiche'
resta intatta la possibilita' di esercitare l'azione di  risarcimento
del danno nella  sede  civile,  traendone  la  conclusione  che  ogni
"separazione dell'azione civile dall'ambito del processo  penale  non
puo' essere considerata come una menomazione  o  una  esclusione  del
diritto alla tutela giurisdizionale", essendo affidata al legislatore
la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista  delle
esigenze proprie del processo penale (sentenze n. 443  del  1990,  n.
171 del 1982 e n. 166 del 1975)». 
    In  tale  occasione  si  e'  anche  rilevato  che   «risulterebbe
improprio un sistema che consentisse di esperire un determinato  rito
alternativo, sussistendone i presupposti, solo in dipendenza  di  una
sorta di determinazione meramente potestativa della  persona  offesa,
che non riveste la qualita' di parte» (ordinanza n. 124 del 1999). 
    Cio'  detto,  deve  anche  osservarsi  che  la  possibilita'   di
esercitare  l'azione  civile  nel  processo  penale  da   parte   del
querelante mediante l'opposizione alla definizione  del  procedimento
con il decreto penale di condanna e'  del  tutto  incoerente  con  la
mancata previsione di  una  analoga  facolta'  di  opposizione  nella
disciplina del "patteggiamento". In tal  caso,  infatti,  qualora  il
condannato avanzi richiesta di applicazione della pena e  ottenga  il
consenso del pubblico ministero, al querelante, anche  se  costituito
parte civile, non resta alcun potere di interdizione del rito dovendo
trovare esclusivamente nella sede civile il luogo  della  tutela  del
proprio interesse al risarcimento  del  danno.  Ne  consegue  che  la
diversita' di disciplina tra il procedimento  per  decreto  e  quello
relativo all'applicazione della pena su  richiesta  delle  parti  non
trova   una   ragionevole   giustificazione    nell'interesse    alla
costituzione di parte civile della persona offesa/querelante. 
    A tal proposito non rileva il fatto che i  due  riti  alternativi
non siano completamente assimilabili, sia perche' cio' e' ininfluente
in relazione al canone di razionalita' della norma, sia  perche'  «Il
principio di cui all'art. 3  Cost.  e'  violato  non  solo  quando  i
trattamenti messi a  confronto  sono  formalmente  contraddittori  in
ragione  dell'identita'  delle  fattispecie,  ma  anche   quando   la
differenza di  trattamento  e'  irrazionale  secondo  le  regole  del
discorso pratico, in quanto le rispettive fattispecie,  pur  diverse,
sono ragionevolmente analoghe» (sentenza  n.  1009  del  1988),  come
appunto  nel  caso  in  esame.  Si  consideri,  poi,  che   l'attuale
disciplina  non  esclude  che,   a   seguito   dell'opposizione   del
querelante, che e' ostativa alla definizione mediante decreto  penale
di condanna, il procedimento sfoci proprio nel rito di  cui  all'art.
444 c.p.p.,  con  la  conseguenza  che  viene  egualmente  negata  la
possibilita' di trovare nel processo penale la sede per far valere le
pretese civilistiche. 
    2.4.-  La  possibilita'  per  il  querelante  di   opporsi   alla
definizione  del  procedimento  con  decreto   non   trova   adeguata
giustificazione neanche  in  relazione  all'interesse  della  persona
offesa all'accertamento della responsabilita' dell'autore del  reato,
interesse che si realizza  mediante  l'attivita'  di  supporto  e  di
controllo rispetto  all'esercizio  dell'azione  penale  del  pubblico
ministero. 
    La persona offesa, infatti, ai sensi dell'art. 90 cod. proc. pen.
puo' partecipare al procedimento penale, anche  a  prescindere  dalla
costituzione di parte civile e, in particolare, puo', in ogni stato e
grado del procedimento, presentare memorie  e  indicare  elementi  di
prova, con esclusione del giudizio di cassazione. 
    Si tratta di un  interesse  da  cui  deriva  la  possibilita'  di
esercizio di plurimi diritti o facolta', in «una sfera di azione  che
tende a realizzare, mediante forme di  "adesione"  all'attivita'  del
pubblico ministero ovvero di "controllo" su di  essa,  una  sorta  di
contributo all'esercizio dell'azione penale»  (sentenza  n.  353  del
1991). 
    Sotto il  profilo  dell'attivita'  di  supporto  dell'azione  del
pubblico ministero deve ricordarsi che, perche' questi possa chiedere
l'emissione del decreto penale di condanna,  e'  necessario  che  gli
elementi raccolti nell'indagine preliminare risultino idonei non solo
a sostenere un'accusa in giudizio ex art. 125 disp. att., cod.  proc.
pen., ma a provare con  certezza  la  responsabilita'  dell'imputato.
Inoltre, nella fase delle indagini,  il  querelante  e',  ovviamente,
titolare di tutti i poteri della persona offesa e puo' fornire  tutto
il supporto che ritenga necessario all'azione del pubblico  ministero
(mediante l'indicazione di fonti di prova). 
    Quanto  al  controllo  sull'esercizio  dell'azione  penale,  deve
evidenziarsi che la richiesta di decreto penale di  condanna  e'  una
modalita' di esercizio dell'azione penale e che,  qualora  la  stessa
venga accolta, il procedimento si conclude con  l'affermazione  della
responsabilita'   penale   dell'imputato   (querelato)   con    piena
soddisfazione del corrispondente interesse del querelante. 
    Risulta evidente, pertanto, la differenza  dai  casi  in  cui  il
potere di opposizione riconosciuto alla persona offesa e' diretto: a)
a   sollecitare   l'esercizio   dell'azione    penale    (opposizione
all'archiviazione ex art. 409 cod. proc. pen.);  b)  ad  impedire  la
definizione del giudizio con una pronuncia di improcedibilita' per la
tenuita' del fatto (art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000). 
    Nel  caso  del  decreto   penale   di   condanna,   infatti,   la
rappresentazione dei fatti esposta in querela  ha  trovato  riscontro
nell'attivita' d'indagine del pubblico ministero e il  querelante  ha
visto accolta la sua richiesta di punizione del querelato. 
    In conclusione il querelante, quale persona offesa dal reato, non
ha alcun interesse meritevole di tutela che giustifichi  la  facolta'
di opporsi a che si proceda con il rito semplificato, fermo  restando
che qualora l'imputato proponga opposizione, questi  e'  rimesso  nei
pieni poteri della persona offesa  (o  della  parte  civile)  per  le
successive fasi del giudizio. 
    2.5.- Si e' ipotizzato che il querelante, in quanto  tale,  abbia
un interesse specifico e distinto da quello della persona offesa  dal
reato a che il procedimento non si concluda con il decreto penale  di
condanna, interesse identificato nella possibilita' di  rimettere  la
querela. 
    Anche sotto questo aspetto tale interesse non e' idoneo a fornire
una ratio adeguata alla norma censurata  che  rimane  intrinsecamente
contraddittoria rispetto  alla  mancata  previsione  di  una  analoga
facolta'  di  opposizione  alla  definizione  del  processo  mediante
l'applicazione della pena su richiesta delle parti  e  che  reca  una
rilevante menomazione  al  principio  della  ragionevole  durata  del
processo. 
    La facolta' di opposizione del querelante, infatti, determina  un
ingiustificato allungamento dei tempi del  processo  e,  soprattutto,
ostacola la realizzazione  dell'effetto  deflattivo  legato  ai  riti
speciali di tipo premiale  che,  nelle  intenzioni  del  legislatore,
assume una particolare importanza per assicurare il funzionamento del
processo  "accusatorio"  adottato  con  la  riforma  del  codice   di
procedura penale. 
    E' bensi' vero che la giurisprudenza  della  Corte  ha  affermato
piu' volte che il principio della ragionevole durata del processo  va
contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali, il
cui sacrificio non e' sindacabile, ove frutto di scelte non prive  di
una valida ratio giustificativa (ex  plurimis  sentenza  n.  159  del
2014, ordinanze n. 332 e n. 318 del  2008),  ma  in  questo  caso  e'
proprio assente la suddetta "ratio". 
    Secondo questa Corte al principio della  ragionevole  durata  del
processo enunciato al secondo  comma  dell'art.  111  Cost.  «possono
arrecare un vulnus solamente norme  procedurali  che  comportino  una
dilatazione dei tempi del processo  non  sorretta  da  alcuna  logica
esigenza (sentenza n. 148 del 2005)» (sentenze n.  63  e  n.  56  del
2009). 
    La norma  in  esame,  in  definitiva,  cagiona  una  lesione  del
principio della ragionevole durata del processo, senza che la  stessa
sia giustificata dalle esigenze di  tutela  del  querelante  o  della
persona offesa, le quali, in virtu' di quanto sopra rilevato,  devono
ritenersi congruamente garantite. 
    2.7.- La censurata facolta' si pone, quindi,  in  violazione  del
canone di ragionevolezza e del principio di  ragionevole  durata  del
processo, costituendo un bilanciamento degli interessi in  gioco  non
giustificabile neppure alla luce dell'ampia discrezionalita'  che  la
giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto al  legislatore  nella
conformazione degli istituti processuali (ex multis, sentenze  n.  65
del 2014 e n. 216 del 2013; ordinanze n. 48 del 2014  e  n.  190  del
2013). 
    Lo  scrutinio  di  ragionevolezza,  in  questi  ambiti,   impone,
infatti,  alla  Corte  di  verificare  che  il  bilanciamento   degli
interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato  realizzato  con
modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di  uno
di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con  il  dettato
costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni
relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal  legislatore
nella  sua  insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle  esigenze
obiettive da soddisfare o  alle  finalita'  che  intende  perseguire,
tenuto conto delle  circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente
sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). A questo scopo puo'  essere
utilizzato  il  test  di  proporzionalita',  insieme  con  quello  di
ragionevolezza, che «richiede di valutare  se  la  norma  oggetto  di
scrutinio, con la misura e le modalita'  di  applicazione  stabilite,
sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati  rispetto  al  perseguimento   di   detti   obiettivi»
(sentenza n. 1 del 2014). 
    In  applicazione  di   tali   principi,   conclusivamente,   deve
osservarsi che, una volta ampliato il campo dei reati per i quali  e'
possibile definire il procedimento con il decreto penale di  condanna
comprendendovi anche i reati procedibili a querela (con il dichiarato
scopo di favorire sempre piu' il ricorso ai riti alternativi di  tipo
premiale per assicurare la deflazione del  carico  penale  necessaria
per l'effettivo funzionamento del rito  accusatorio),  l'attribuzione
di una mera facolta' al querelante, consistente nell'opposizione alla
definizione del procedimento mediante il decreto penale di  condanna,
introduce un evidente elemento di irrazionalita'. Cio' in quanto:  a)
distingue irragionevolmente la posizione del  querelante  rispetto  a
quella della persona  offesa  dal  reato  per  i  reati  perseguibili
d'ufficio; b) non corrisponde ad alcun interesse meritevole di tutela
del querelante stesso; c) reca un significativo  vulnus  all'esigenza
di  rapida  definizione  del  processo;  d)  si  pone  in   contrasto
sistematico  con  le  esigenze  di  deflazione   proprie   dei   riti
alternativi premiali; e) e' intrinsecamente contraddittoria  rispetto
alla mancata previsione di una analoga facolta' di  opposizione  alla
definizione  del  processo  mediante  l'applicazione  della  pena  su
richiesta delle parti, in quanto tale rito speciale puo'  essere  una
modalita' di definizione  del  giudizio  nonostante  l'esercizio,  da
parte del querelante, del suo potere interdittivo. 
    2.8.-  Alla  luce  delle  considerazioni  che   precedono,   deve
affermarsi che l'art. 459, comma 1, cod. proc. pen.  nella  parte  in
cui prevede la facolta' del querelante di opporsi, in caso  di  reati
perseguibili  a  querela,  alla  definizione  del  procedimento   con
l'emissione di decreto penale di condanna, viola gli artt.  3  e  111
Cost. 
    Resta assorbita la censura relativa alla violazione dell'art. 112
Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 459, comma  1,
cod. proc. pen. (come sostituito dall'art. 37, comma 1,  della  legge
16  dicembre  1999,  n.  479  -  Modifiche  alle   disposizioni   sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia  di  contenzioso
civile pendente, di indennita' spettanti al  giudice  di  pace  e  di
esercizio della professione forense), nella parte in cui  prevede  la
facolta' del querelante di opporsi, in caso di reati  perseguibili  a
querela, alla definizione del procedimento con l'emissione di decreto
penale di condanna. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 

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