N. 54
SENTENZA
24 febbraio - 31 marzo 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Servizio sanitario regionale - Personale che esercita professioni sanitarie diverse da quelle mediche - Attivita' professionale intramuraria. - Legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante «Disposizioni in materia di esercizio di attivita' professionale da parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonche' della professione ostetrica), e successive modificazioni e integrazioni», artt. 1, 2 e 3. -(GU n.14 del 8-4-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3
della legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante
«Disposizioni in materia di esercizio di attivita' professionale da
parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251
(Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche
della riabilitazione, della prevenzione nonche' della professione
ostetrica), e successive modificazioni e integrazioni», promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30
maggio-4 giugno 2014, depositato in cancelleria il 5 giugno 2014 ed
iscritto al n. 37 del registro ricorsi 2014.
Visto l'atto di costituzione della Regione Liguria;
udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l'avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Emanuela Romanelli per la
Regione Liguria.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso spedito per la notifica il 30 maggio 2014,
ricevuto dalla resistente il successivo 4 giugno e depositato nella
cancelleria di questa Corte il 5 giugno 2014 (reg. ric. n. 37 del
2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in
riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della
Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante «Disposizioni in materia
di esercizio di attivita' professionale da parte del personale di cui
alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della
prevenzione nonche' della professione ostetrica) e successive
modificazioni e integrazioni».
La legge regionale censurata, al dichiarato scopo di assicurare
una piu' efficace e funzionale organizzazione dei servizi sanitari
regionali, prevede che il personale sanitario non medico di cui alla
legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione
nonche' della professione ostetrica) possa svolgere attivita'
libero-professionale intramuraria in strutture sanitarie regionali,
sia «singolarmente», sia anche in forma «allargata» in strutture
sanitarie diverse da quella di afferenza (art. 1, comma 1).
La concreta disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di
svolgimento di tale attivita' e' demandata alla Giunta regionale
della Liguria che dovra' adottare entro novanta giorni dall'entrata
in vigore della legge una direttiva vincolante (art. 1, comma 2).
Ritiene il ricorrente che tali previsioni violino l'art. 117,
terzo comma Cost. in quanto si porrebbero in contrasto con i principi
fondamentali nella materia di «tutela della salute». L'esercizio
della libera professione intramuraria sarebbe stata prevista dal
legislatore statale esclusivamente per i dirigenti medici e i medici
dipendenti dal Servizio sanitario nazionale e solo a particolari
condizioni, al fine di assicurare un equilibrio tra attivita'
istituzionale e libera professione. Infatti, l'art. 4, comma 7, della
legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza
pubblica) ha introdotto il principio della esclusivita' del rapporto
di lavoro del personale medico con il servizio sanitario nazionale e
la sua incompatibilita' con altro rapporto di lavoro dipendente, con
il rapporto convenzionale, nonche' con l'esercizio di altra attivita'
o con la titolarita' o partecipazione di quote di imprese che possano
determinare un conflitto di interessi con il servizio sanitario.
Osserva ancora l'Avvocatura generale come l'art. 1, comma 5,
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica) ha stabilito l'incompatibilita' tra attivita'
libero-professionale intramuraria ed extramuraria nonche' il divieto
di attivita' libero-professionale extra moenia all'interno delle
strutture sanitarie pubbliche diverse da quelle di appartenenza o
presso strutture sanitarie private. Inoltre, l'art. 15-quater del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23
ottobre 1992, n. 421), introdotto dall'art. 13 del decreto
legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione
del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della L. 30
novembre 1998, n. 419), ha stabilito che i dirigenti sanitari il cui
contratto di lavoro sia stato stipulato successivamente al 31
dicembre 1998, ovvero che, alla data di entrata in vigore del d.lgs.
n. 229 del 1999, abbiano optato per l'esercizio di attivita'
libero-professionale intramuraria, siano sottoposti al rapporto di
lavoro esclusivo con il Servizio sanitario nazionale.
La disposizione in parola, a seguito delle modifiche introdotte
dal decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per
fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138,
ha, inoltre, previsto la possibilita' per i dirigenti medici di
optare per il rapporto di lavoro non esclusivo mediante richiesta da
presentarsi entro il 30 novembre di ciascun anno.
Ancora, l'art. 15-quinquies, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992
dispone che l'attivita' libero-professionale intramuraria non debba
comportare un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per
l'attivita' istituzionale e, a tal fine, prevede appositi controlli
per accertare eventuali violazioni di tale limite. Analogamente,
l'art. 22-bis, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche'
interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006,
n. 248, ha affidato alle Regioni i controlli sullo svolgimento
dell'attivita' libero-professionale intramuraria da parte dei
dirigenti medici al fine di verificare il corretto equilibrio di tale
attivita' con quella istituzionale.
Infine, l'art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni
in materia di attivita' libero-professionale intramuraria e altre
norme in materia sanitaria), come modificato dal decreto-legge 13
settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo
sviluppo del Paese mediante un piu' alto livello di tutela della
salute) convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012,
n. 189 ha demandato alle Regioni l'assunzione di iniziative idonee al
fine di individuare gli spazi necessari all'esercizio della libera
professione intramuraria e di realizzare gli interventi di
ristrutturazione edilizia necessari a tale scopo.
Dalle disposizioni richiamate emergerebbe, ad avviso del
ricorrente, che il legislatore statale ha disciplinato l'esercizio
della libera professione intramuraria «quale specificita' prevista
esclusivamente per i dirigenti medici e i medici dipendenti del Ssn e
solo a particolari condizioni, al fine di salvaguardare un
equilibrato rapporto tra attivita' istituzionale e
libero-professionale».
Inoltre, il rapporto di lavoro del personale medico sarebbe
improntato ai principi dell'esclusivita' e dell'incompatibilita' con
altro rapporto di lavoro dipendente, con altro rapporto di natura
convenzionale con il Servizio sanitario nazionale, nonche' con
l'esercizio di altra attivita'.
L'attivita' libero-professionale intra moenia costituirebbe una
deroga al principio di esclusivita' del rapporto di lavoro con il
Servizio sanitario nazionale, la quale puo' essere giustificata solo
alla luce di un equilibrato bilanciamento tra l'interesse allo
svolgimento dell'attivita' libero-professionale e quello dello Stato
a garantire imparzialita', efficacia ed efficienza delle funzioni
preordinate alla tutela della salute. Proprio l'esigenza di
assicurare tale contemperamento renderebbe necessaria l'adozione di
una disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, anche sotto
il profilo soggettivo, della individuazione, cioe', dei soggetti
legittimati a svolgere attivita' libero-professionale.
Premesso che la Corte costituzionale ritiene oramai pacificamente
che la disciplina della professione sanitaria intramuraria rientra
nella materia concorrente «tutela della salute» (sono richiamate le
sentenze n. 301 del 2013, n. 371 del 2008 e n. 181 del 2006),
l'Avvocatura generale sostiene che l'individuazione dei soggetti
abilitati allo svolgimento di attivita' intramuraria costituirebbe
enunciazione di un principio fondamentale della materia. Tale
conclusione troverebbe conferma nell'art. 19, comma 1, del d.lgs. n.
502 del 1992 il quale stabilisce che le disposizioni in esso
contenute costituiscono enunciazione di principi fondamentali, ai
sensi dell'art. 117 Cost.
Troverebbe, altresi', conferma nelle altre disposizioni statali
richiamate nel ricorso dalle quali emergerebbe come il legislatore
nazionale abbia creato «un organico sistema di esercizio
dell'attivita' libero professionale intramuraria incentrato sulle
figure del dirigente medico e del medico dipendente del Ssn». D'altra
parte, la individuazione delle categorie professionali ammesse a
svolgere attivita' intra moenia, richiedendo l'individuazione di un
equilibrio tra le opposte istanze di svolgimento della professione e
di esclusivita' del rapporto con il Servizio sanitario nazionale,
sarebbe strettamente funzionale alla tutela della salute (e'
richiamata la sentenza di questa Corte n. 50 del 2007). Coerentemente
con tale assetto, la legislazione statale consentirebbe al personale
di cui alla legge n. 251 del 2000 unicamente il lavoro intra moenia
d'equipe.
La legge regionale impugnata, pertanto, intervenendo a
disciplinare il profilo soggettivo dell'attivita' libero
professionale intramuraria, inciderebbe su un ambito riservato alla
competenza del legislatore statale.
1.2.- Il ricorrente individua un ulteriore profilo di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg.
n. 6 del 2014, nella parte in cui consente al personale sanitario non
medico lo svolgimento di attivita' libero-professionale «anche in
forma intramuraria allargata, presso le Aziende sanitarie locali, gli
Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e gli
altri enti equiparati». Tale disposizione contrasterebbe con l'art. 1
della legge n. 120 del 2007 in base al quale devono essere le
strutture sanitarie a rendere possibile l'esercizio dell'attivita'
libero-professionale intramuraria attraverso l'individuazione di
appositi spazi per lo svolgimento di tale attivita'. Solo in via
residuale, e previa autorizzazione della Regione, e' prevista la
possibilita' di procedere all'acquisto o alla locazione di spazi
presso strutture sanitarie autorizzate non accreditate ovvero presso
altri soggetti pubblici.
Tale disposizione costituirebbe un principio fondamentale nella
materia della tutela della salute dal momento che questa Corte ha
affermato che e' da ritenere vincolante anche ogni previsione che,
sebbene a contenuto specifico e dettagliato, sia «da considerare per
la finalita' perseguita, in "rapporto di coessenzialita' e di
necessaria integrazione" con le norme-principio che connotano il
settore» (e' richiamata la sentenza n. 301 del 2013).
L'art. 1 della legge reg. n. 6 del 2014, in contrasto con tale
previsione, consentirebbe al personale non medico di cui alla legge
n. 251 del 2000 di svolgere attivita' intramuraria anche presso
strutture diverse da quella di appartenenza, contravvenendo al
modello delineato dal legislatore statale che pone a carico della
struttura di appartenenza il compito di individuare gli spazi da
assegnare all'attivita' intra moenia.
1.3.- Infine, il ricorrente, rilevata la inscindibile connessione
dell' art. 1, commi 2 e 3 e degli artt. 2 e 3 con l'art. 1, comma 1,
eccepisce l'illegittimita' costituzionale anche di tali disposizioni
per i medesimi motivi sopra indicati.
2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Liguria la quale ha
chiesto il rigetto del ricorso evidenziando come la legge impugnata
troverebbe fondamento nell'esigenza di fronteggiare la forte carenza
di professionisti infermieri e tecnici sanitari di radiologia medica,
della prevenzione, delle cure riabilitative, della ostetricia e degli
altri operatori delle professioni sanitarie non mediche, carenza che
si ripercuoterebbe sulla adeguata erogazione di cure a livello
territoriale. La legge impugnata, ad avviso della difesa regionale,
si collocherebbe nella materia della «organizzazione sanitaria» di
competenza residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto
comma, Cost. (sono richiamate, al riguardo, le sentenze di questa
Corte n. 162 e n. 105 del 2007; n. 510 del 2002).
Anche laddove si volesse ritenere che la materia attinta sia
quella della «tutela della salute», non vi sarebbe violazione dei
principi fondamentali della legislazione statale. La circostanza che
il personale sanitario non medico non sia espressamente previsto tra
i soggetti legittimati allo svolgimento di attivita' intramuraria non
attesterebbe univocamente l'esistenza di una preclusione allo
svolgimento di questa attivita'. D'altronde, tale personale sarebbe
espressamente autorizzato allo svolgimento di attivita' intramuraria
d'equipe e a supporto del professionista dall'art. 1 della legge n.
120 del 2007.
Inoltre, le censure svolte nel ricorso non terrebbero conto dei
principi desumibili dalla legge n. 251 del 2000 che coinvolgono le
Regioni nel compito di valorizzare e responsabilizzare le professioni
sanitarie non mediche, ricollegando tale opera alla realizzazione del
diritto alla salute dell'utente.
3.- In prossimita' dell'udienza la Regione ha depositato una
memoria nella quale ha eccepito l'inammissibilita' delle censure
statali per genericita' delle stesse. Il ricorrente, infatti, non
avrebbe specificato in quale modo la scelta regionale di consentire
lo svolgimento dell'attivita' libero-professionale al personale
sanitario, di cui alla legge n. 251 del 2000, avrebbe violato i
principi fondamentali della legislazione statale nella materia della
tutela della salute.
La difesa regionale ha ribadito, poi, che la legge censurata
interverrebbe, non gia' in materia di tutela della salute, bensi' in
materia di "assistenza e organizzazione sanitaria" riservata alla
legislazione regionale. Infatti, l'ampliamento della sfera dei
soggetti abilitati all'esercizio della libera professione
intramuraria costituirebbe una misura volta a contrastare l'esodo di
infermieri professionisti e tecnici sanitari verso la sanita' privata
e dunque a migliorare le prestazioni del servizio sanitario.
L'organizzazione sanitaria, pertanto, si rivelerebbe una condizione
necessaria e "prodromica" rispetto alla tutela della salute.
La Regione, pur consapevole che, allorche' una norma si presti ad
incidere in una pluralita' di ambiti competenziali, la giurisprudenza
costituzionale utilizza il criterio della "prevalenza", sostiene che,
nel caso di specie, non potrebbe ravvisarsi una prevalenza della
materia «tutela della salute» dal momento che la disciplina censurata
non inciderebbe sulla natura del rapporto di lavoro del personale -
dovendo l'attivita' libero-professionale essere svolta fuori
dall'orario di lavoro - e sarebbe rivolta a garantire la sicurezza
nella erogazione delle prestazioni ed elevati standard di assistenza
infermieristica e tecnica.
4.- Alla pubblica udienza la difesa regionale, oltre a ribadire
le argomentazioni svolte nei propri scritti, ha eccepito
l'inammissibilita' delle censure per omessa indicazione del parametro
interposto asseritamente violato. Lo Stato, infatti, non avrebbe
individuato la disposizione che sancisce il principio fondamentale
che preclude al personale sanitario di cui alla legge n. 251 del 2000
di svolgere attivita' libero-professionale intramuraria.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in
riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della
Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante «Disposizioni in materia
di esercizio di attivita' professionale da parte del personale di cui
alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della
prevenzione nonche' della professione ostetrica) e successive
modificazioni e integrazioni».
La legge regionale censurata, all'art. 1, comma 1, stabilisce che
«Al fine di conseguire una piu' efficace e funzionale organizzazione
dei servizi sanitari regionali, il personale che esercita le
professioni sanitarie di cui alla L. 251/2000 e successive
modificazioni e integrazioni, operante con rapporto di lavoro a tempo
pieno e indeterminato nelle strutture pubbliche regionali, puo'
esercitare attivita' libero professionale, al di fuori dell'orario di
servizio, anche singolarmente all'interno dell'Azienda e in forma
intramuraria allargata, presso le Aziende sanitarie locali, gli
Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e gli
altri enti equiparati».
La concreta disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di
svolgimento di tale attivita' e' demandata alla Giunta regionale
della Liguria che dovra' adottare entro novanta giorni dall'entrata
in vigore della legge una direttiva vincolante (art. 1, comma 2). Nei
successivi sessanta giorni, le aziende sanitarie provvedono ad
adeguare «i rispettivi atti regolamentari ai contenuti della
direttiva stessa, in modo che non sorga contrasto con le loro
finalita' istituzionali e si integri l'assolvimento dei compiti di
istituto assicurando la piena funzionalita' dei servizi anche nella
continuita' della cura a domicilio» (art. 1, comma 3).
L'art. 2 prevede che la Giunta regionale presenti annualmente
alla competente Commissione consiliare una relazione sull'attuazione
della legge medesima. Infine, l'art. 3 pone una clausola di
invarianza finanziaria stabilendo che dall'attuazione della legge
«non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
regionale».
Il ricorrente sostiene che tali previsioni violerebbero l'art.
117, terzo comma, Cost. in quanto si porrebbero in contrasto con i
principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale nella
materia «tutela della salute».
In particolare, l'art. 1, comma 1, permettendo al personale che
esercita le professioni sanitarie di cui alla legge 10 agosto 2000,
n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche,
tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonche' della
professione ostetrica) di svolgere attivita' libero-professionale
intramuraria, disciplinerebbe il profilo soggettivo dell'attivita'
sanitaria intra moenia che attiene ai principi fondamentali in
materia di tutela della salute, la cui individuazione e' riservata
alla legislazione statale.
Inoltre, la medesima disposizione regionale, nella parte in cui
consente al personale sanitario non medico lo svolgimento di
attivita' libero-professionale intramuraria anche presso strutture
diverse da quella di appartenenza, contrasterebbe con il principio
fondamentale in materia di «tutela della salute» stabilito dall'art.
1 della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di
attivita' libero-professionale intramuraria e altre norme in materia
sanitaria), in base al quale devono essere le strutture sanitarie di
appartenenza a rendere possibile l'esercizio dell'attivita'
libero-professionale intramuraria attraverso l'individuazione di
appositi spazi per lo svolgimento di tale attivita' e solo in via
residuale, e previa autorizzazione della Regione, possono procedere
all'acquisto o alla locazione di spazi presso strutture sanitarie
diverse da quella di appartenenza.
Infine, l'art. 1, commi 2 e 3 e gli artt. 2 e 3 della legge reg.
n. 6 del 2014, i quali sono inscindibilmente connessi con l'art. 1,
comma 1, violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. per i medesimi
motivi sopra indicati.
2.- Preliminarmente, deve essere rigettata l'eccezione di
inammissibilita' delle censure statali per genericita' delle stesse
prospettata dalla Regione Liguria, la quale ha sostenuto che il
ricorrente non avrebbe specificato in quale modo la scelta regionale
di consentire lo svolgimento dell'attivita' libero-professionale al
personale sanitario di cui alla legge n. 251 del 2000 avrebbe violato
i principi fondamentali della legislazione statale nella materia
della tutela della salute.
In realta', il ricorrente argomenta in modo adeguato le proprie
censure sostenendo che la disciplina regionale determinerebbe un
allargamento dell'ambito dei soggetti ai quali la legge statale
consente lo svolgimento di attivita' intramuraria, in tal modo
ponendosi in contrasto con i principi fondamentali della materia
«tutela della salute» la cui determinazione spetta alla legislazione
dello Stato. Sul tema ci si soffermera' piu' diffusamente nel
successivo punto 3 nell'esaminare la specifica eccezione sollevata
dalla Regione nella pubblica udienza.
Analogamente, appare sufficientemente e puntualmente argomentata
anche la censura concernente la previsione regionale circa
l'attivita' intra moenia cosiddetta «allargata». Il Presidente del
Consiglio, infatti, evoca la disposizione statale asseritamente
violata, individuandola nell'art. 1 della legge n. 120 del 2007 e
illustra le ragioni per cui alla stessa debba riconoscersi la natura
di principio fondamentale, richiamando la giurisprudenza di questa
Corte la quale ha affermato che nelle materie di competenza ripartita
e' da ritenere vincolante anche ogni previsione che, sebbene a
contenuto vincolato, e' da considerare, per la finalita' perseguita,
in rapporto di coessenzialita' e di necessaria integrazione con le
norme-principio che connotano il settore (e' citata in proposito la
sentenza n. 301 del 2013).
Quanto, infine, alla censura avente ad oggetto l'art. 1, commi 2
e 3, e gli artt. 2 e 3, essa risulta motivata, sia pure in termini
estremamente sintetici, mediante il rinvio alle argomentazioni svolte
in relazione alle altre censure. Il tenore complessivo dell'atto
introduttivo rende possibile comprendere tanto le censure rivolte
avverso tali disposizioni, quanto le ragioni poste a loro sostegno.
La difesa regionale ha, altresi', eccepito l'inammissibilita' del
ricorso per omessa indicazione del parametro interposto asseritamente
violato, non avendo lo Stato individuato la disposizione che sancisce
il principio fondamentale che precluderebbe al personale sanitario di
cui alla legge n. 251 del 2000 di svolgere attivita'
libero-professionale intramuraria.
Anche tale eccezione e' priva di fondamento. E' ben vero che
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, laddove si
denunci la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. e' onere del
ricorrente indicare specificamente la disposizione statale che si
ritiene violata, ed in particolare il principio fondamentale
asseritamente leso (ex plurimis, sentenze n. 165 del 2014 e n. 141
del 2013). Nel caso di specie, tuttavia, tale onere e' stato assolto
dal ricorrente il quale ha individuato il complesso delle diposizioni
statali in materia di attivita' libero-professionale intramuraria da
cui emergerebbe l'esistenza del principio fondamentale di cui si
lamenta la violazione. Tali disposizioni sono individuate: nell'art.
4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in
materia di finanza pubblica) il quale avrebbe introdotto il principio
della esclusivita' del rapporto di lavoro del personale medico con il
Servizio sanitario nazionale e la sua incompatibilita' con altro
rapporto di lavoro dipendente; nell'art. 1, comma 5, della legge 23
dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica) la quale avrebbe stabilito l'incompatibilita' tra attivita'
libero-professionale intramuraria ed extramuraria nonche' il divieto
di attivita' libero-professionale extra moenia all'interno delle
strutture sanitarie pubbliche diverse da quelle di appartenenza o
presso strutture sanitarie private; nell'art. 15-quater del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992,
n. 421), introdotto dall'art. 13 del decreto legislativo 19 giugno
1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale, a norma dell'articolo 1 della L. 30 novembre 1998, n.
419), il quale ha stabilito che i dirigenti sanitari il cui contratto
di lavoro sia stato stipulato successivamente al 31 dicembre 1998,
ovvero che alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 229 del 1999
abbiano optato per l'esercizio di attivita' libero-professionale
intramuraria, sono sottoposti al rapporto di lavoro esclusivo con il
Servizio sanitario nazionale; nell'art. 15-quinquies, comma 3, del
d.lgs. n. 502 del 1992 il quale dispone che l'attivita'
libero-professionale intramuraria non deve comportare un volume di
prestazioni superiore a quello assicurato per l'attivita'
istituzionale e, a tal fine, prevede appositi controlli per accertare
eventuali violazioni di tale limite; nell'art. 22-bis, comma 4, del
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il
rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, il quale ha
affidato alle Regioni i controlli sullo svolgimento dell'attivita'
libero-professionale intramuraria da parte dei dirigenti medici al
fine di verificare il corretto equilibrio di tale attivita' con
quella istituzionale.
Sostiene il ricorrente che dall'insieme delle disposizioni ora
richiamate emergerebbe il principio fondamentale in materia di
«tutela della salute» che riserva esclusivamente ai dirigenti medici
e ai medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale lo
svolgimento dell'attivita' libero-professionale intramuraria e solo a
particolari condizioni, al fine di assicurare un equilibrato rapporto
tra attivita' istituzionale e libero-professionale. Tale opera di
contemperamento presupporrebbe, secondo l'Avvocatura generale dello
Stato, una disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale.
L'onere di specifica indicazione del parametro interposto risulta
assolto anche con riguardo alla seconda censura, concernente la
previsione della attivita' intra moenia «allargata». In tal caso, il
ricorrente ha evocato espressamente la disposizione statale
contenente il principio fondamentale di cui denuncia la lesione,
individuandolo nell'art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007 il
quale stabilisce che e' la stessa struttura sanitaria di appartenenza
del medico ad individuare gli spazi da assegnare all'attivita'
intramuraria e solo in via residuale, e previa autorizzazione
regionale, consente di ricorrere alla locazione o all'acquisto di
spazi presso altre strutture sanitarie od altri soggetti pubblici.
3.- Nel merito, le questioni prospettate sono fondate.
3.1.- E' innanzitutto necessario individuare l'ambito materiale
nel quale si collocano le disposizioni regionali impugnate.
Il ricorrente sostiene che esse, in quanto disciplinano
l'esercizio della professione sanitaria intramuraria, sarebbero
riconducibili alla materia concorrente della «tutela della salute».
Per contro, la difesa regionale ritiene che le disposizioni
censurate, in quanto rivolte a fronteggiare la carenza di operatori
delle professioni sanitarie non mediche, atterrebbero alla materia
della «organizzazione sanitaria» rientrante nella competenza
residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.
In realta', questa Corte ha gia' avuto modo piu' volte di
chiarire che le disposizioni concernenti l'attivita' sanitaria
intramuraria debbono essere ricondotte alla materia della «tutela
della salute». Infatti, «il "nuovo quadro costituzionale", delineato
dalla legge di riforma del titolo V della parte II della
Costituzione, recepisce (...) una nozione della materia 'tutela della
salute' "assai piu' ampia rispetto alla precedente materia
'assistenza sanitaria e ospedaliera'", con la conseguenza che le
norme attinenti allo svolgimento dell'attivita' professionale
intramuraria, "sebbene si prestino ad incidere contestualmente su una
pluralita' di materie (e segnatamente, tra le altre, su quella della
organizzazione di enti 'non statali e non nazionali')", vanno
"comunque ascritte, con prevalenza, a quella della 'tutela della
salute'". Rileva, in tale prospettiva, "la stretta inerenza che tutte
le norme de quibus presentano con l'organizzazione del servizio
sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la
fruizione delle prestazioni rese all'utenza, essendo queste ultime
condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacita', dalla
professionalita' e dall'impegno di tutti i sanitari addetti ai
servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione
apicale" (sentenze n. 181 del 2006 e n. 50 del 2007)» (cosi' la
sentenza n. 371 del 2008. Negli stessi termini, da ultimo, sentenza
n. 301 del 2013).
Questa Corte ha, invece, escluso che le disposizioni attinenti
alla disciplina dell'attivita' intramuraria, ivi comprese quelle
concernenti la predisposizione delle strutture a tal fine necessarie,
possano essere ricondotte alla materia della "organizzazione
sanitaria" dal momento che tale ambito «neppure puo' essere invocato
come "materia" a se' stante, agli effetti del novellato art. 117
Cost., in quanto l'organizzazione sanitaria e' parte integrante della
"materia" costituita dalla "tutela della salute" di cui al terzo
comma del citato art. 117 Cost.» (sentenza n. 371 del 2008).
Dunque, alla luce della giurisprudenza costituzionale si deve
affermare che la legge della Regione Liguria n. 6 del 2014, nel
riconoscere agli esercenti delle professioni sanitarie non mediche la
possibilita' di svolgere attivita' libero-professionale intra moenia,
si colloca nell'ambito della materia «tutela della salute».
3.2.- Il ricorrente sostiene che l'individuazione dell'ambito dei
soggetti ammessi allo svolgimento di tale attivita' costituirebbe
espressione di un principio fondamentale della materia, come tale
riservato al legislatore statale e che la legge regionale impugnata,
estendendo tale ambito, eccederebbe dalla sfera di competenza ad essa
riservata, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Per verificare la fondatezza della questione e' opportuno
ripercorrere brevemente l'evoluzione della normativa in materia.
Fin dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e
assistenza ospedaliera) al personale medico degli istituti di cura e
degli enti ospedalieri era riconosciuta la possibilita', nelle ore
libere dalle attivita' istituzionali, di svolgere la libera
professione, anche nell'ambito della struttura sanitaria di
appartenenza (art. 43, comma 1, lettera d).
Il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (Stato giuridico dei dipendenti
degli enti ospedalieri) aveva poi specificato che il rapporto di
lavoro del personale medico poteva essere, a scelta dell'interessato,
a tempo pieno ovvero a tempo definito: nel primo caso il medico
rinunciava alla attivita' libero-professionale extra ospedaliera
(art. 24, comma 3, lettera a), a fronte di un premio di servizio che
compensava detta rinuncia e aveva «priorita' per l'esercizio
dell'attivita' professionale nell'ambito dell'ospedale» (art. 47,
comma 12). Nel secondo caso, il sanitario poteva svolgere l'attivita'
professionale anche fuori dalla struttura sanitaria, nel rispetto,
comunque, dell'orario di servizio (art. 24, comma 3, lettera b).
Successivamente, la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione
del servizio sanitario nazionale) aveva espressamente riconosciuto il
diritto allo svolgimento della libera professione al personale medico
ed ai veterinari dipendenti dalle unita' sanitarie locali (art. 47,
comma 3, numero 4) sul presupposto che cio' potenziasse le capacita'
del medico, nell'interesse degli utenti e della collettivita'. Cosi',
in attuazione della delega contenuta nella legge ora richiamata, il
d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (Stato giuridico del personale delle
unita' sanitarie locali) aveva previsto per il personale medico che
avesse scelto il rapporto di lavoro a tempo pieno il diritto
all'esercizio dell'attivita' libero-professionale nell'ambito dei
servizi e delle strutture della unita' sanitaria locale (art. 35,
comma 2, lettera d). Al di fuori di tale ambito, l'attivita' in
questione era limitata solo a «consulti e consulenze, non
continuativi» specificamente autorizzati (art. 35, comma 2, lettera
c). Per i medici che avessero, invece, optato per il rapporto di
lavoro a tempo definito era prevista la facolta' di esercitare
l'attivita' libero-professionale «anche fuori dei servizi e delle
strutture dell'unita' sanitaria locale», purche' tale attivita' non
fosse prestata con rapporto di lavoro subordinato (art. 35, comma 3,
lettera c).
La legge n. 412 del 1991, poi, «liberalizzava del tutto
l'esercizio dell'attivita' professionale sia extra che intramuraria e
incentivava "la scelta per il rapporto di lavoro dipendente,
assicurando in tal caso, a semplice domanda, il passaggio dal "tempo
definito" al "tempo pieno", anche in soprannumero» con la conseguente
incidenza sulla retribuzione (sentenza n. 50 del 2007).
Successivamente, il d.lgs. n. 502 del 1992 ha introdotto
meccanismi per incentivare l'attivita' intra moenia, prevedendo,
altresi', la necessita' di individuare appositi spazi da riservare
allo svolgimento della libera professione intramuraria con la
possibilita', in mancanza, di reperirli all'esterno tramite la
stipula di convenzioni tra le unita' sanitarie e altre case di cura
pubbliche o private. L'art. 15-quater, comma 4, del decreto
legislativo, come modificato dall'art. 2-septies del decreto-legge 29
marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di
pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni,
dalla legge 26 maggio 2004, n. 138, ha riconosciuto a tutti i
dirigenti sanitari pubblici la possibilita' di optare per il rapporto
di lavoro esclusivo, ovvero per quello non esclusivo entro il 30
novembre di ciascun anno, con effetto dal 1° gennaio dell'anno
successivo, salva la facolta' per le Regioni di stabilire una cadenza
temporale piu' breve.
L'art. 15-quinquies del citato decreto, introdotto dall'art. 13
del d.lgs. n. 229 del 1999, ha stabilito che il rapporto di lavoro
esclusivo comporta la totale disponibilita' nello svolgimento delle
funzioni dirigenziali attribuite dall'azienda con impegno orario
contrattualmente definito. Inoltre, all'opzione per tale tipologia di
rapporto segue il diritto all'esercizio dell'attivita'
libero-professionale, al di fuori dell'orario di servizio,
nell'ambito delle strutture aziendali individuate dal direttore
generale, d'intesa con il collegio di direzione. La medesima
disposizione ha fissato, altresi', dei limiti al volume di tale
attivita' al fine di assicurare un «corretto ed equilibrato rapporto»
tra di essa e l'attivita' istituzionale stabilendo che l'attivita'
libero-professionale non puo' comportare un volume di prestazioni
superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali, rinviando
alla disciplina contrattuale nazionale la definizione del corretto
equilibrio tra le due tipologie di attivita' (comma 3).
L'art. 1, della legge n. 120 del 2007, infine, ha fatto carico
alle Regioni di predisporre le strutture necessarie per consentire al
personale medico lo svolgimento dell'attivita' intramuraria,
consentendo, in mancanza e nelle more della loro realizzazione o
individuazione, di reperire spazi sostitutivi in strutture non
accreditate, ovvero di utilizzare, previa autorizzazione, studi
professionali privati. Tale disposizione ha, inoltre, stabilito che
le Regioni debbano garantire, attraverso proprie linee guida, che «le
aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende
ospedaliere universitarie, i policlinici universitari a gestione
diretta e gli IRCCS di diritto pubblico gestiscano, con integrale
responsabilita' propria, l'attivita' libero-professionale
intramuraria, al fine di assicurarne il corretto esercizio», ed ha
individuato le modalita' con cui tale finalita' deve essere
assicurata. In particolare, e' prevista l'adozione, senza nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di sistemi e di
moduli organizzativi e tecnologici che consentano il controllo dei
volumi delle prestazioni libero-professionali, che non devono
superare, globalmente considerati, quelli eseguiti nell'orario di
lavoro (comma 4, lettera a); il pagamento di prestazioni di qualsiasi
importo direttamente al competente ente o azienda del Servizio
sanitario nazionale, mediante mezzi di pagamento che assicurino la
tracciabilita' della corresponsione di qualsiasi importo (comma 4,
lettera b); la definizione degli importi da corrispondere a cura
dell'assistito, idonei per ogni prestazione, a remunerare i compensi
del professionista, dell'equipe, del personale di supporto, nonche'
ad assicurare la copertura di tutti i costi diretti e indiretti
sostenuti dalle aziende, compresi quelli connessi alle attivita' di
prenotazione e di riscossione degli onorari (comma 4, lettera c); la
prevenzione delle situazioni che possono determinare l'insorgenza di
un conflitto di interesse o di forme di concorrenza sleale (comma 4,
lettera e); il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle
prestazioni nell'ambito dell'attivita' istituzionale ai tempi medi di
quelle rese in regime di libera professione intramuraria «al fine di
assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera
scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi
resi nell'ambito dell'attivita' istituzionale» (comma 4, lettera g).
Come appare chiaro dalla normativa richiamata, la disciplina
dell'attivita' libero-professionale intramuraria ha sempre riguardato
specificamente il personale medico, nonche', ai sensi degli artt. 4,
comma 11-bis e 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, il personale della
dirigenza del ruolo sanitario, costituito da farmacisti, biologi,
chimici, fisici e psicologi secondo quanto specificato dall'art. 3
del d.P.C.m. 27 marzo 2000 (Atto di indirizzo e coordinamento
concernente l'attivita' libero-professionale intramuraria del
personale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario
nazionale). Quanto ai veterinari del servizio pubblico, il d.P.R. n.
761 del 1979 ha riconosciuto loro la facolta' di svolgere attivita'
libero-professionale fuori dei servizi e delle strutture dell'unita'
sanitaria locale (art. 36).
Nulla, invece, e' previsto per il personale sanitario non medico,
ad eccezione di quanto stabilito dall'art. 30, comma 4, del R.D. 30
settembre 1938 n. 1631 (Norme generali per l'ordinamento dei servizi
sanitari e del personale sanitario degli ospedali), il quale dispone
che «Tanto alla ostetrica capo che alle ostetriche e' inibito
l'esercizio professionale».
Non puo' condividersi l'assunto della difesa regionale secondo la
quale il personale non medico sarebbe gia' abilitato all'esercizio
della libera professione in equipe e a supporto del professionista in
forza dell'art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 120 del 2007.
Tale disposizione, infatti, si limita semplicemente a prevedere che
gli importi da corrispondere a carico dell'assistito per la
prestazione libero-professionale intra moenia devono remunerare anche
i compensi dell'equipe e del personale di supporto.
3.3.- La circostanza che lo svolgimento dell'attivita'
libero-professionale all'interno della struttura sanitaria sia stato
previsto e disciplinato espressamente solo per i medici e i dirigenti
del ruolo sanitario assume - diversamente da quanto sostenuto dalla
difesa regionale - il preciso significato di circoscrivere a tali
categorie il riconoscimento del diritto in questione.
In tal senso depongono una pluralita' di elementi. Innanzitutto,
occorre considerare che nel settore sanitario l'esercizio
dell'attivita' libero-professionale - come si e' visto - si atteggia
con caratteristiche del tutto peculiari, sia quanto alle conseguenze
che l'opzione per il suo svolgimento intra moenia determina sulla
tipologia del rapporto di lavoro, sia quanto alle conseguenze
relative all'organizzazione delle strutture sanitarie nelle quali
essa e' esercitata. Sotto il primo profilo e' previsto che l'opzione
per l'esercizio dell'attivita' intramuraria determina
l'assoggettamento del sanitario al rapporto di lavoro esclusivo (art.
15-quater, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992) con la conseguente
totale disponibilita' nello svolgimento delle funzioni attribuite
dall'azienda, nonche' l'incompatibilita' con l'esercizio
dell'attivita' libero-professionale extra moenia, secondo quanto
stabilito dall'art. 1, comma 5, della legge n. 662 del 1996.
Sotto il secondo profilo, la necessita' per le strutture
sanitarie di consentire lo svolgimento della libera professione
intramuraria per il personale medico e sanitario che abbia esercitato
la relativa opzione determina il sorgere dell'onere per le stesse di
assumere le iniziative volte a reperire gli spazi a tal fine
necessari, predisporre gli strumenti organizzativi per le attivita'
di supporto (quali il servizio di prenotazione e di riscossione degli
onorari), individuare sistemi e moduli organizzativi per il controllo
dei volumi delle prestazioni libero-professionali, prevenire
situazioni che possano determinare l'insorgere di situazioni di
conflitto di interessi o forme di concorrenza sleale (art. 1, comma
4, della legge n. 120 del 2007).
Tutto cio' rende evidente come le disposizioni che disciplinano
l'attivita' intramuraria «rappresentano un elemento tra i piu'
caratterizzanti nella disciplina del rapporto fra personale sanitario
ed utenti del Servizio sanitario, nonche' della stessa organizzazione
sanitaria» (sentenza n. 50 del 2007). D'altra parte questa Corte ha
gia' riconosciuto a diverse disposizioni che disciplinano questa
materia la natura di principio fondamentale. Cio' vale, in
particolare, per la previsione (art. 15-quater, comma 4, del d.lgs.
n. 502 del 1992, modificato dall'art. 2-septies del decreto-legge n.
81 del 2004, come convertito) che riconosce ai dirigenti medici e del
ruolo sanitario la facolta' di scelta tra il regime di lavoro
esclusivo e non esclusivo, in quanto volta «a garantire una
tendenziale uniformita' tra le diverse legislazioni ed i sistemi
sanitari delle Regioni e delle Province autonome in ordine ad un
profilo qualificante del rapporto tra sanita' ed utenti» (sentenza n.
50 del 2007; sentenza n. 371 del 2008). Ha, inoltre, affermato che
partecipa della medesima natura di principio fondamentale anche la
disciplina dettata dall'art. 1 della legge n. 120 del 2007 volta ad
assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete
possibilita' di svolgimento dell'attivita' libero-professionale
intramuraria, l'opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto
di lavoro esclusivo (sentenza n. 371 del 2008). In questo quadro,
anche la disciplina del profilo soggettivo dell'attivita' intra
moenia riveste la natura di principio fondamentale della materia, in
quanto volta a definire uno degli aspetti piu' qualificanti della
organizzazione sanitaria, ovverosia quello della individuazione dei
soggetti legittimati a svolgere la libera professione all'interno
della struttura sanitaria, il quale richiede una disciplina uniforme
sull'intero territorio nazionale.
Conseguentemente, l'art. 1, comma 1, della legge della Regione
Liguria n. 6 del 2014, nell'estendere al personale sanitario non
medico di cui alla legge n. 251 del 2000 la facolta' di svolgere tale
attivita', ha esorbitato dall'ambito riservato alla legislazione
regionale, violando l'art. 117, terzo comma, Cost.
3.4.- L'accoglimento della prima questione implica, quale diretta
conseguenza, che anche le questioni promosse con riguardo alle altre
disposizioni regionali sono fondate. Esse, infatti, disciplinano
tutte lo svolgimento dell'attivita' intra moenia da parte del
personale sanitario non medico, di tal che la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della disposizione che riconosce tale
facolta' determina la caducazione delle restanti disposizioni ad essa
collegate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3
della legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante
«Disposizioni in materia di esercizio di attivita' professionale da
parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251
(Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche
della riabilitazione, della prevenzione nonche' della professione
ostetrica) e successive modificazioni e integrazioni».
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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