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giovedì 30 aprile 2015

N. 54 SENTENZA 24 febbraio - 31 marzo 2015 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Servizio sanitario regionale - Personale che esercita professioni sanitarie diverse da quelle mediche - Attivita' professionale intramuraria. - Legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante «Disposizioni in materia di esercizio di attivita' professionale da parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonche' della professione ostetrica), e successive modificazioni e integrazioni», artt. 1, 2 e 3. - (GU n.14 del 8-4-2015 )



  N. 54 SENTENZA 24 febbraio - 31 marzo 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Servizio sanitario regionale -  Personale  che  esercita  professioni
  sanitarie diverse  da  quelle  mediche  -  Attivita'  professionale
  intramuraria. 
- Legge  della  Regione  Liguria  31  marzo  2014,   n.   6   recante
  «Disposizioni in materia di esercizio di attivita' professionale da
  parte del personale di cui  alla  legge  10  agosto  2000,  n.  251
  (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche,  tecniche
  della riabilitazione, della prevenzione nonche'  della  professione
  ostetrica), e successive modificazioni e integrazioni», artt. 1,  2
  e 3. 
-   
(GU n.14 del 8-4-2015 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario  Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e  3
della legge della  Regione  Liguria  31  marzo  2014,  n.  6  recante
«Disposizioni in materia di esercizio di attivita'  professionale  da
parte del personale  di  cui  alla  legge  10  agosto  2000,  n.  251
(Disciplina delle professioni  sanitarie  infermieristiche,  tecniche
della riabilitazione, della  prevenzione  nonche'  della  professione
ostetrica), e successive modificazioni e integrazioni», promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  30
maggio-4 giugno 2014, depositato in cancelleria il 5 giugno  2014  ed
iscritto al n. 37 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Liguria; 
    udito nell'udienza pubblica  del  24  febbraio  2015  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi l'avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato  Emanuela  Romanelli  per  la
Regione Liguria. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito  per  la  notifica  il  30  maggio  2014,
ricevuto dalla resistente il successivo 4 giugno e  depositato  nella
cancelleria di questa Corte il 5 giugno 2014 (reg.  ric.  n.  37  del
2014), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione,  questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della
Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante «Disposizioni in  materia
di esercizio di attivita' professionale da parte del personale di cui
alla legge 10 agosto  2000,  n.  251  (Disciplina  delle  professioni
sanitarie  infermieristiche,  tecniche  della  riabilitazione,  della
prevenzione  nonche'  della  professione  ostetrica)   e   successive
modificazioni e integrazioni». 
    La legge regionale censurata, al dichiarato scopo  di  assicurare
una piu' efficace e funzionale organizzazione  dei  servizi  sanitari
regionali, prevede che il personale sanitario non medico di cui  alla
legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni  sanitarie
infermieristiche, tecniche della  riabilitazione,  della  prevenzione
nonche'  della  professione  ostetrica)  possa   svolgere   attivita'
libero-professionale intramuraria in strutture  sanitarie  regionali,
sia «singolarmente», sia anche  in  forma  «allargata»  in  strutture
sanitarie diverse da quella di afferenza (art. 1, comma 1). 
    La concreta disciplina dell'organizzazione e delle  modalita'  di
svolgimento di tale attivita'  e'  demandata  alla  Giunta  regionale
della Liguria che dovra' adottare entro novanta  giorni  dall'entrata
in vigore della legge una direttiva vincolante (art. 1, comma 2). 
    Ritiene il ricorrente che tali  previsioni  violino  l'art.  117,
terzo comma Cost. in quanto si porrebbero in contrasto con i principi
fondamentali nella materia  di  «tutela  della  salute».  L'esercizio
della libera professione  intramuraria  sarebbe  stata  prevista  dal
legislatore statale esclusivamente per i dirigenti medici e i  medici
dipendenti dal Servizio sanitario  nazionale  e  solo  a  particolari
condizioni,  al  fine  di  assicurare  un  equilibrio  tra  attivita'
istituzionale e libera professione. Infatti, l'art. 4, comma 7, della
legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in  materia  di  finanza
pubblica) ha introdotto il principio della esclusivita' del  rapporto
di lavoro del personale medico con il servizio sanitario nazionale  e
la sua incompatibilita' con altro rapporto di lavoro dipendente,  con
il rapporto convenzionale, nonche' con l'esercizio di altra attivita'
o con la titolarita' o partecipazione di quote di imprese che possano
determinare un conflitto di interessi con il servizio sanitario. 
    Osserva ancora l'Avvocatura generale  come  l'art.  1,  comma  5,
della legge 23 dicembre 1996, n.  662  (Misure  di  razionalizzazione
della finanza pubblica) ha stabilito l'incompatibilita' tra attivita'
libero-professionale intramuraria ed extramuraria nonche' il  divieto
di attivita'  libero-professionale  extra  moenia  all'interno  delle
strutture sanitarie pubbliche diverse da  quelle  di  appartenenza  o
presso strutture sanitarie private.  Inoltre,  l'art.  15-quater  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L.  23
ottobre  1992,  n.  421),  introdotto  dall'art.   13   del   decreto
legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme  per  la  razionalizzazione
del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della L. 30
novembre 1998, n. 419), ha stabilito che i dirigenti sanitari il  cui
contratto  di  lavoro  sia  stato  stipulato  successivamente  al  31
dicembre 1998, ovvero che, alla data di entrata in vigore del  d.lgs.
n.  229  del  1999,  abbiano  optato  per  l'esercizio  di  attivita'
libero-professionale intramuraria, siano sottoposti  al  rapporto  di
lavoro esclusivo con il Servizio sanitario nazionale. 
    La disposizione in parola, a seguito delle  modifiche  introdotte
dal decreto-legge 29  marzo  2004,  n.  81  (Interventi  urgenti  per
fronteggiare  situazioni  di  pericolo  per  la   salute   pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio  2004,  n.  138,
ha, inoltre, previsto la  possibilita'  per  i  dirigenti  medici  di
optare per il rapporto di lavoro non esclusivo mediante richiesta  da
presentarsi entro il 30 novembre di ciascun anno. 
    Ancora, l'art. 15-quinquies, comma 3, del d.lgs. n. 502 del  1992
dispone che l'attivita' libero-professionale intramuraria  non  debba
comportare un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per
l'attivita' istituzionale e, a tal fine, prevede  appositi  controlli
per accertare eventuali  violazioni  di  tale  limite.  Analogamente,
l'art. 22-bis, comma 4, del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,
n. 248, ha  affidato  alle  Regioni  i  controlli  sullo  svolgimento
dell'attivita'  libero-professionale  intramuraria   da   parte   dei
dirigenti medici al fine di verificare il corretto equilibrio di tale
attivita' con quella istituzionale. 
    Infine, l'art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120  (Disposizioni
in materia di attivita'  libero-professionale  intramuraria  e  altre
norme in materia sanitaria), come  modificato  dal  decreto-legge  13
settembre 2012,  n.  158  (Disposizioni  urgenti  per  promuovere  lo
sviluppo del Paese mediante un piu'  alto  livello  di  tutela  della
salute) convertito, con modificazioni, dalla legge 8  novembre  2012,
n. 189 ha demandato alle Regioni l'assunzione di iniziative idonee al
fine di individuare gli spazi necessari  all'esercizio  della  libera
professione  intramuraria  e  di   realizzare   gli   interventi   di
ristrutturazione edilizia necessari a tale scopo. 
    Dalle  disposizioni  richiamate  emergerebbe,   ad   avviso   del
ricorrente, che il legislatore statale  ha  disciplinato  l'esercizio
della libera professione intramuraria  «quale  specificita'  prevista
esclusivamente per i dirigenti medici e i medici dipendenti del Ssn e
solo  a  particolari  condizioni,  al  fine   di   salvaguardare   un
equilibrato    rapporto     tra     attivita'     istituzionale     e
libero-professionale». 
    Inoltre, il rapporto  di  lavoro  del  personale  medico  sarebbe
improntato ai principi dell'esclusivita' e dell'incompatibilita'  con
altro rapporto di lavoro dipendente, con  altro  rapporto  di  natura
convenzionale  con  il  Servizio  sanitario  nazionale,  nonche'  con
l'esercizio di altra attivita'. 
    L'attivita' libero-professionale intra moenia  costituirebbe  una
deroga al principio di esclusivita' del rapporto  di  lavoro  con  il
Servizio sanitario nazionale, la quale puo' essere giustificata  solo
alla luce  di  un  equilibrato  bilanciamento  tra  l'interesse  allo
svolgimento dell'attivita' libero-professionale e quello dello  Stato
a garantire imparzialita', efficacia  ed  efficienza  delle  funzioni
preordinate  alla  tutela  della  salute.   Proprio   l'esigenza   di
assicurare tale contemperamento renderebbe necessaria  l'adozione  di
una disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, anche sotto
il profilo soggettivo,  della  individuazione,  cioe',  dei  soggetti
legittimati a svolgere attivita' libero-professionale. 
    Premesso che la Corte costituzionale ritiene oramai pacificamente
che la disciplina della professione  sanitaria  intramuraria  rientra
nella materia concorrente «tutela della salute» (sono  richiamate  le
sentenze n. 301 del 2013, n.  371  del  2008  e  n.  181  del  2006),
l'Avvocatura generale  sostiene  che  l'individuazione  dei  soggetti
abilitati allo svolgimento di  attivita'  intramuraria  costituirebbe
enunciazione  di  un  principio  fondamentale  della  materia.   Tale
conclusione troverebbe conferma nell'art. 19, comma 1, del d.lgs.  n.
502 del  1992  il  quale  stabilisce  che  le  disposizioni  in  esso
contenute costituiscono enunciazione  di  principi  fondamentali,  ai
sensi dell'art. 117 Cost. 
    Troverebbe, altresi', conferma nelle altre  disposizioni  statali
richiamate nel ricorso dalle quali emergerebbe  come  il  legislatore
nazionale  abbia   creato   «un   organico   sistema   di   esercizio
dell'attivita' libero  professionale  intramuraria  incentrato  sulle
figure del dirigente medico e del medico dipendente del Ssn». D'altra
parte, la individuazione  delle  categorie  professionali  ammesse  a
svolgere attivita' intra moenia, richiedendo l'individuazione  di  un
equilibrio tra le opposte istanze di svolgimento della professione  e
di esclusivita' del rapporto con  il  Servizio  sanitario  nazionale,
sarebbe  strettamente  funzionale  alla  tutela  della   salute   (e'
richiamata la sentenza di questa Corte n. 50 del 2007). Coerentemente
con tale assetto, la legislazione statale consentirebbe al  personale
di cui alla legge n. 251 del 2000 unicamente il lavoro  intra  moenia
d'equipe. 
    La  legge   regionale   impugnata,   pertanto,   intervenendo   a
disciplinare   il   profilo    soggettivo    dell'attivita'    libero
professionale intramuraria, inciderebbe su un ambito  riservato  alla
competenza del legislatore statale. 
    1.2.-  Il  ricorrente   individua   un   ulteriore   profilo   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  reg.
n. 6 del 2014, nella parte in cui consente al personale sanitario non
medico lo svolgimento di  attivita'  libero-professionale  «anche  in
forma intramuraria allargata, presso le Aziende sanitarie locali, gli
Istituti di ricovero e cura a carattere  scientifico  (IRCCS)  e  gli
altri enti equiparati». Tale disposizione contrasterebbe con l'art. 1
della legge n. 120 del  2007  in  base  al  quale  devono  essere  le
strutture sanitarie a rendere  possibile  l'esercizio  dell'attivita'
libero-professionale  intramuraria  attraverso  l'individuazione   di
appositi spazi per lo svolgimento di  tale  attivita'.  Solo  in  via
residuale, e previa autorizzazione  della  Regione,  e'  prevista  la
possibilita' di procedere all'acquisto  o  alla  locazione  di  spazi
presso strutture sanitarie autorizzate non accreditate ovvero  presso
altri soggetti pubblici. 
    Tale disposizione costituirebbe un principio  fondamentale  nella
materia della tutela della salute dal momento  che  questa  Corte  ha
affermato che e' da ritenere vincolante anche  ogni  previsione  che,
sebbene a contenuto specifico e dettagliato, sia «da considerare  per
la  finalita'  perseguita,  in  "rapporto  di  coessenzialita'  e  di
necessaria integrazione" con  le  norme-principio  che  connotano  il
settore» (e' richiamata la sentenza n. 301 del 2013). 
    L'art. 1 della legge reg. n. 6 del 2014, in  contrasto  con  tale
previsione, consentirebbe al personale non medico di cui  alla  legge
n. 251 del 2000  di  svolgere  attivita'  intramuraria  anche  presso
strutture  diverse  da  quella  di  appartenenza,  contravvenendo  al
modello delineato dal legislatore statale che  pone  a  carico  della
struttura di appartenenza il compito  di  individuare  gli  spazi  da
assegnare all'attivita' intra moenia. 
    1.3.- Infine, il ricorrente, rilevata la inscindibile connessione
dell' art. 1, commi 2 e 3 e degli artt. 2 e 3 con l'art. 1, comma  1,
eccepisce l'illegittimita' costituzionale anche di tali  disposizioni
per i medesimi motivi sopra indicati. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Liguria la  quale  ha
chiesto il rigetto del ricorso evidenziando come la  legge  impugnata
troverebbe fondamento nell'esigenza di fronteggiare la forte  carenza
di professionisti infermieri e tecnici sanitari di radiologia medica,
della prevenzione, delle cure riabilitative, della ostetricia e degli
altri operatori delle professioni sanitarie non mediche, carenza  che
si ripercuoterebbe  sulla  adeguata  erogazione  di  cure  a  livello
territoriale. La legge impugnata, ad avviso della  difesa  regionale,
si collocherebbe nella materia della  «organizzazione  sanitaria»  di
competenza residuale delle Regioni, ai sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost. (sono richiamate, al riguardo,  le  sentenze  di  questa
Corte n. 162 e n. 105 del 2007; n. 510 del 2002). 
    Anche laddove si volesse ritenere  che  la  materia  attinta  sia
quella della «tutela della salute», non  vi  sarebbe  violazione  dei
principi fondamentali della legislazione statale. La circostanza  che
il personale sanitario non medico non sia espressamente previsto  tra
i soggetti legittimati allo svolgimento di attivita' intramuraria non
attesterebbe  univocamente  l'esistenza  di  una   preclusione   allo
svolgimento di questa attivita'. D'altronde, tale  personale  sarebbe
espressamente autorizzato allo svolgimento di attivita'  intramuraria
d'equipe e a supporto del professionista dall'art. 1 della  legge  n.
120 del 2007. 
    Inoltre, le censure svolte nel ricorso non terrebbero  conto  dei
principi desumibili dalla legge n. 251 del 2000  che  coinvolgono  le
Regioni nel compito di valorizzare e responsabilizzare le professioni
sanitarie non mediche, ricollegando tale opera alla realizzazione del
diritto alla salute dell'utente. 
    3.- In prossimita' dell'udienza  la  Regione  ha  depositato  una
memoria nella quale  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle  censure
statali per genericita' delle stesse.  Il  ricorrente,  infatti,  non
avrebbe specificato in quale modo la scelta regionale  di  consentire
lo  svolgimento  dell'attivita'  libero-professionale  al   personale
sanitario, di cui alla legge n.  251  del  2000,  avrebbe  violato  i
principi fondamentali della legislazione statale nella materia  della
tutela della salute. 
    La difesa regionale ha ribadito,  poi,  che  la  legge  censurata
interverrebbe, non gia' in materia di tutela della salute, bensi'  in
materia di "assistenza e  organizzazione  sanitaria"  riservata  alla
legislazione  regionale.  Infatti,  l'ampliamento  della  sfera   dei
soggetti   abilitati   all'esercizio   della    libera    professione
intramuraria costituirebbe una misura volta a contrastare l'esodo  di
infermieri professionisti e tecnici sanitari verso la sanita' privata
e  dunque  a  migliorare  le  prestazioni  del  servizio   sanitario.
L'organizzazione sanitaria, pertanto, si rivelerebbe  una  condizione
necessaria e "prodromica" rispetto alla tutela della salute. 
    La Regione, pur consapevole che, allorche' una norma si presti ad
incidere in una pluralita' di ambiti competenziali, la giurisprudenza
costituzionale utilizza il criterio della "prevalenza", sostiene che,
nel caso di specie, non  potrebbe  ravvisarsi  una  prevalenza  della
materia «tutela della salute» dal momento che la disciplina censurata
non inciderebbe sulla natura del rapporto di lavoro del  personale  -
dovendo  l'attivita'   libero-professionale   essere   svolta   fuori
dall'orario di lavoro - e sarebbe rivolta a  garantire  la  sicurezza
nella erogazione delle prestazioni ed elevati standard di  assistenza
infermieristica e tecnica. 
    4.- Alla pubblica udienza la difesa regionale, oltre  a  ribadire
le  argomentazioni   svolte   nei   propri   scritti,   ha   eccepito
l'inammissibilita' delle censure per omessa indicazione del parametro
interposto asseritamente violato.  Lo  Stato,  infatti,  non  avrebbe
individuato la disposizione che sancisce  il  principio  fondamentale
che preclude al personale sanitario di cui alla legge n. 251 del 2000
di svolgere attivita' libero-professionale intramuraria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  sollevato,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione,  questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della
Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante «Disposizioni in  materia
di esercizio di attivita' professionale da parte del personale di cui
alla legge 10 agosto  2000,  n.  251  (Disciplina  delle  professioni
sanitarie  infermieristiche,  tecniche  della  riabilitazione,  della
prevenzione  nonche'  della  professione  ostetrica)   e   successive
modificazioni e integrazioni». 
    La legge regionale censurata, all'art. 1, comma 1, stabilisce che
«Al fine di conseguire una piu' efficace e funzionale  organizzazione
dei  servizi  sanitari  regionali,  il  personale  che  esercita   le
professioni  sanitarie  di  cui  alla  L.   251/2000   e   successive
modificazioni e integrazioni, operante con rapporto di lavoro a tempo
pieno e  indeterminato  nelle  strutture  pubbliche  regionali,  puo'
esercitare attivita' libero professionale, al di fuori dell'orario di
servizio, anche singolarmente all'interno  dell'Azienda  e  in  forma
intramuraria allargata,  presso  le  Aziende  sanitarie  locali,  gli
Istituti di ricovero e cura a carattere  scientifico  (IRCCS)  e  gli
altri enti equiparati». 
    La concreta disciplina dell'organizzazione e delle  modalita'  di
svolgimento di tale attivita'  e'  demandata  alla  Giunta  regionale
della Liguria che dovra' adottare entro novanta  giorni  dall'entrata
in vigore della legge una direttiva vincolante (art. 1, comma 2). Nei
successivi  sessanta  giorni,  le  aziende  sanitarie  provvedono  ad
adeguare  «i  rispettivi  atti  regolamentari  ai   contenuti   della
direttiva stessa, in  modo  che  non  sorga  contrasto  con  le  loro
finalita' istituzionali e si integri l'assolvimento  dei  compiti  di
istituto assicurando la piena funzionalita' dei servizi  anche  nella
continuita' della cura a domicilio» (art. 1, comma 3). 
    L'art. 2 prevede che la  Giunta  regionale  presenti  annualmente
alla competente Commissione consiliare una relazione  sull'attuazione
della  legge  medesima.  Infine,  l'art.  3  pone  una  clausola   di
invarianza finanziaria stabilendo  che  dall'attuazione  della  legge
«non devono derivare nuovi o maggiori oneri a  carico  della  finanza
regionale». 
    Il ricorrente sostiene che tali  previsioni  violerebbero  l'art.
117, terzo comma, Cost. in quanto si porrebbero in  contrasto  con  i
principi fondamentali  stabiliti  dalla  legislazione  statale  nella
materia «tutela della salute». 
    In particolare, l'art. 1, comma 1, permettendo al  personale  che
esercita le professioni sanitarie di cui alla legge 10  agosto  2000,
n. 251  (Disciplina  delle  professioni  sanitarie  infermieristiche,
tecniche,  della  riabilitazione,  della  prevenzione  nonche'  della
professione ostetrica)  di  svolgere  attivita'  libero-professionale
intramuraria, disciplinerebbe il  profilo  soggettivo  dell'attivita'
sanitaria intra  moenia  che  attiene  ai  principi  fondamentali  in
materia di tutela della salute, la cui  individuazione  e'  riservata
alla legislazione statale. 
    Inoltre, la medesima disposizione regionale, nella parte  in  cui
consente  al  personale  sanitario  non  medico  lo  svolgimento   di
attivita' libero-professionale intramuraria  anche  presso  strutture
diverse da quella di appartenenza, contrasterebbe  con  il  principio
fondamentale in materia di «tutela della salute» stabilito  dall'art.
1 della legge 3 agosto 2007,  n.  120  (Disposizioni  in  materia  di
attivita' libero-professionale intramuraria e altre norme in  materia
sanitaria), in base al quale devono essere le strutture sanitarie  di
appartenenza   a   rendere   possibile   l'esercizio   dell'attivita'
libero-professionale  intramuraria  attraverso  l'individuazione   di
appositi spazi per lo svolgimento di tale attivita'  e  solo  in  via
residuale, e previa autorizzazione della Regione,  possono  procedere
all'acquisto o alla locazione di  spazi  presso  strutture  sanitarie
diverse da quella di appartenenza. 
    Infine, l'art. 1, commi 2 e 3 e gli artt. 2 e 3 della legge  reg.
n. 6 del 2014, i quali sono inscindibilmente connessi con  l'art.  1,
comma 1, violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. per  i  medesimi
motivi sopra indicati. 
    2.-  Preliminarmente,  deve  essere  rigettata   l'eccezione   di
inammissibilita' delle censure statali per genericita'  delle  stesse
prospettata dalla Regione Liguria,  la  quale  ha  sostenuto  che  il
ricorrente non avrebbe specificato in quale modo la scelta  regionale
di consentire lo svolgimento dell'attivita'  libero-professionale  al
personale sanitario di cui alla legge n. 251 del 2000 avrebbe violato
i principi fondamentali  della  legislazione  statale  nella  materia
della tutela della salute. 
    In realta', il ricorrente argomenta in modo adeguato  le  proprie
censure sostenendo che  la  disciplina  regionale  determinerebbe  un
allargamento dell'ambito dei  soggetti  ai  quali  la  legge  statale
consente lo  svolgimento  di  attivita'  intramuraria,  in  tal  modo
ponendosi in contrasto con  i  principi  fondamentali  della  materia
«tutela della salute» la cui determinazione spetta alla  legislazione
dello Stato.  Sul  tema  ci  si  soffermera'  piu'  diffusamente  nel
successivo punto 3 nell'esaminare la  specifica  eccezione  sollevata
dalla Regione nella pubblica udienza. 
    Analogamente, appare sufficientemente e puntualmente  argomentata
anche  la  censura  concernente   la   previsione   regionale   circa
l'attivita' intra moenia cosiddetta «allargata».  Il  Presidente  del
Consiglio,  infatti,  evoca  la  disposizione  statale  asseritamente
violata, individuandola nell'art. 1 della legge n.  120  del  2007  e
illustra le ragioni per cui alla stessa debba riconoscersi la  natura
di principio fondamentale, richiamando la  giurisprudenza  di  questa
Corte la quale ha affermato che nelle materie di competenza ripartita
e' da ritenere  vincolante  anche  ogni  previsione  che,  sebbene  a
contenuto vincolato, e' da considerare, per la finalita'  perseguita,
in rapporto di coessenzialita' e di necessaria  integrazione  con  le
norme-principio che connotano il settore (e' citata in  proposito  la
sentenza n. 301 del 2013). 
    Quanto, infine, alla censura avente ad oggetto l'art. 1, commi  2
e 3, e gli artt. 2 e 3, essa risulta motivata, sia  pure  in  termini
estremamente sintetici, mediante il rinvio alle argomentazioni svolte
in relazione alle altre  censure.  Il  tenore  complessivo  dell'atto
introduttivo rende possibile comprendere  tanto  le  censure  rivolte
avverso tali disposizioni, quanto le ragioni poste a loro sostegno. 
    La difesa regionale ha, altresi', eccepito l'inammissibilita' del
ricorso per omessa indicazione del parametro interposto asseritamente
violato, non avendo lo Stato individuato la disposizione che sancisce
il principio fondamentale che precluderebbe al personale sanitario di
cui  alla   legge   n.   251   del   2000   di   svolgere   attivita'
libero-professionale intramuraria. 
    Anche tale eccezione e' priva di  fondamento.  E'  ben  vero  che
secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  laddove  si
denunci la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. e' onere  del
ricorrente indicare specificamente la  disposizione  statale  che  si
ritiene  violata,  ed  in  particolare  il   principio   fondamentale
asseritamente leso (ex plurimis, sentenze n. 165 del 2014  e  n.  141
del 2013). Nel caso di specie, tuttavia, tale onere e' stato  assolto
dal ricorrente il quale ha individuato il complesso delle diposizioni
statali in materia di attivita' libero-professionale intramuraria  da
cui emergerebbe l'esistenza del  principio  fondamentale  di  cui  si
lamenta la violazione. Tali disposizioni sono individuate:  nell'art.
4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991,  n.  412  (Disposizioni  in
materia di finanza pubblica) il quale avrebbe introdotto il principio
della esclusivita' del rapporto di lavoro del personale medico con il
Servizio sanitario nazionale e  la  sua  incompatibilita'  con  altro
rapporto di lavoro dipendente; nell'art. 1, comma 5, della  legge  23
dicembre 1996, n. 662  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica) la quale avrebbe stabilito l'incompatibilita' tra attivita'
libero-professionale intramuraria ed extramuraria nonche' il  divieto
di attivita'  libero-professionale  extra  moenia  all'interno  delle
strutture sanitarie pubbliche diverse da  quelle  di  appartenenza  o
presso strutture sanitarie private; nell'art. 15-quater  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina  in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre  1992,
n. 421), introdotto dall'art. 13 del decreto  legislativo  19  giugno
1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del  Servizio  sanitario
nazionale, a norma dell'articolo 1 della  L.  30  novembre  1998,  n.
419), il quale ha stabilito che i dirigenti sanitari il cui contratto
di lavoro sia stato stipulato successivamente al  31  dicembre  1998,
ovvero che alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 229 del  1999
abbiano optato  per  l'esercizio  di  attivita'  libero-professionale
intramuraria, sono sottoposti al rapporto di lavoro esclusivo con  il
Servizio sanitario nazionale; nell'art. 15-quinquies,  comma  3,  del
d.lgs.  n.  502  del  1992   il   quale   dispone   che   l'attivita'
libero-professionale intramuraria non deve comportare  un  volume  di
prestazioni   superiore   a   quello   assicurato   per   l'attivita'
istituzionale e, a tal fine, prevede appositi controlli per accertare
eventuali violazioni di tale limite; nell'art. 22-bis, comma  4,  del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  4  agosto  2006,  n.  248,  il  quale  ha
affidato alle Regioni i controlli  sullo  svolgimento  dell'attivita'
libero-professionale intramuraria da parte dei  dirigenti  medici  al
fine di verificare il  corretto  equilibrio  di  tale  attivita'  con
quella istituzionale. 
    Sostiene il ricorrente che dall'insieme  delle  disposizioni  ora
richiamate  emergerebbe  il  principio  fondamentale  in  materia  di
«tutela della salute» che riserva esclusivamente ai dirigenti  medici
e  ai  medici  dipendenti  del  Servizio   sanitario   nazionale   lo
svolgimento dell'attivita' libero-professionale intramuraria e solo a
particolari condizioni, al fine di assicurare un equilibrato rapporto
tra attivita' istituzionale e  libero-professionale.  Tale  opera  di
contemperamento presupporrebbe, secondo l'Avvocatura  generale  dello
Stato, una disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale. 
    L'onere di specifica indicazione del parametro interposto risulta
assolto anche con  riguardo  alla  seconda  censura,  concernente  la
previsione della attivita' intra moenia «allargata». In tal caso,  il
ricorrente  ha  evocato   espressamente   la   disposizione   statale
contenente il principio fondamentale  di  cui  denuncia  la  lesione,
individuandolo nell'art. 1, comma 4, della legge n. 120 del  2007  il
quale stabilisce che e' la stessa struttura sanitaria di appartenenza
del medico  ad  individuare  gli  spazi  da  assegnare  all'attivita'
intramuraria  e  solo  in  via  residuale,  e  previa  autorizzazione
regionale, consente di ricorrere alla  locazione  o  all'acquisto  di
spazi presso altre strutture sanitarie od altri soggetti pubblici. 
    3.- Nel merito, le questioni prospettate sono fondate. 
    3.1.- E' innanzitutto necessario individuare  l'ambito  materiale
nel quale si collocano le disposizioni regionali impugnate. 
    Il  ricorrente  sostiene  che  esse,   in   quanto   disciplinano
l'esercizio  della  professione  sanitaria  intramuraria,   sarebbero
riconducibili alla materia concorrente della «tutela  della  salute».
Per  contro,  la  difesa  regionale  ritiene  che   le   disposizioni
censurate, in quanto rivolte a fronteggiare la carenza  di  operatori
delle professioni sanitarie non mediche,  atterrebbero  alla  materia
della  «organizzazione   sanitaria»   rientrante   nella   competenza
residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    In realta', questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  piu'  volte  di
chiarire  che  le  disposizioni  concernenti  l'attivita'   sanitaria
intramuraria debbono essere ricondotte  alla  materia  della  «tutela
della salute». Infatti, «il "nuovo quadro costituzionale",  delineato
dalla  legge  di  riforma  del  titolo  V  della   parte   II   della
Costituzione, recepisce (...) una nozione della materia 'tutela della
salute'  "assai  piu'  ampia   rispetto   alla   precedente   materia
'assistenza sanitaria e ospedaliera'",  con  la  conseguenza  che  le
norme  attinenti  allo   svolgimento   dell'attivita'   professionale
intramuraria, "sebbene si prestino ad incidere contestualmente su una
pluralita' di materie (e segnatamente, tra le altre, su quella  della
organizzazione  di  enti  'non  statali  e  non  nazionali')",  vanno
"comunque ascritte, con prevalenza,  a  quella  della  'tutela  della
salute'". Rileva, in tale prospettiva, "la stretta inerenza che tutte
le norme de  quibus  presentano  con  l'organizzazione  del  servizio
sanitario regionale e,  in  definitiva,  con  le  condizioni  per  la
fruizione delle prestazioni rese all'utenza,  essendo  queste  ultime
condizionate,  sotto  molteplici  aspetti,  dalla  capacita',   dalla
professionalita' e  dall'impegno  di  tutti  i  sanitari  addetti  ai
servizi,  e  segnatamente  di  coloro  che  rivestono  una  posizione
apicale" (sentenze n. 181 del 2006 e  n.  50  del  2007)»  (cosi'  la
sentenza n. 371 del 2008. Negli stessi termini, da  ultimo,  sentenza
n. 301 del 2013). 
    Questa Corte ha, invece, escluso che  le  disposizioni  attinenti
alla disciplina  dell'attivita'  intramuraria,  ivi  comprese  quelle
concernenti la predisposizione delle strutture a tal fine necessarie,
possano  essere  ricondotte  alla   materia   della   "organizzazione
sanitaria" dal momento che tale ambito «neppure puo' essere  invocato
come "materia" a se' stante, agli  effetti  del  novellato  art.  117
Cost., in quanto l'organizzazione sanitaria e' parte integrante della
"materia" costituita dalla "tutela della  salute"  di  cui  al  terzo
comma del citato art. 117 Cost.» (sentenza n. 371 del 2008). 
    Dunque, alla luce della  giurisprudenza  costituzionale  si  deve
affermare che la legge della Regione  Liguria  n.  6  del  2014,  nel
riconoscere agli esercenti delle professioni sanitarie non mediche la
possibilita' di svolgere attivita' libero-professionale intra moenia,
si colloca nell'ambito della materia «tutela della salute». 
    3.2.- Il ricorrente sostiene che l'individuazione dell'ambito dei
soggetti ammessi allo svolgimento  di  tale  attivita'  costituirebbe
espressione di un principio fondamentale  della  materia,  come  tale
riservato al legislatore statale e che la legge regionale  impugnata,
estendendo tale ambito, eccederebbe dalla sfera di competenza ad essa
riservata, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Per  verificare  la  fondatezza  della  questione  e'   opportuno
ripercorrere brevemente l'evoluzione della normativa in materia. 
    Fin dalla legge 12 febbraio 1968,  n.  132  (Enti  ospedalieri  e
assistenza ospedaliera) al personale medico degli istituti di cura  e
degli enti ospedalieri era riconosciuta la  possibilita',  nelle  ore
libere  dalle  attivita'  istituzionali,  di   svolgere   la   libera
professione,  anche  nell'ambito   della   struttura   sanitaria   di
appartenenza (art. 43, comma 1, lettera d). 
    Il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (Stato giuridico  dei  dipendenti
degli enti ospedalieri) aveva poi  specificato  che  il  rapporto  di
lavoro del personale medico poteva essere, a scelta dell'interessato,
a tempo pieno ovvero a tempo  definito:  nel  primo  caso  il  medico
rinunciava  alla  attivita'  libero-professionale  extra  ospedaliera
(art. 24, comma 3, lettera a), a fronte di un premio di servizio  che
compensava  detta  rinuncia  e  aveva  «priorita'   per   l'esercizio
dell'attivita' professionale  nell'ambito  dell'ospedale»  (art.  47,
comma 12). Nel secondo caso, il sanitario poteva svolgere l'attivita'
professionale anche fuori dalla struttura  sanitaria,  nel  rispetto,
comunque, dell'orario di servizio (art. 24, comma 3, lettera b). 
    Successivamente, la legge 23 dicembre 1978, n.  833  (Istituzione
del servizio sanitario nazionale) aveva espressamente riconosciuto il
diritto allo svolgimento della libera professione al personale medico
ed ai veterinari dipendenti dalle unita' sanitarie locali  (art.  47,
comma 3, numero 4) sul presupposto che cio' potenziasse le  capacita'
del medico, nell'interesse degli utenti e della collettivita'. Cosi',
in attuazione della delega contenuta nella legge ora  richiamata,  il
d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (Stato giuridico del  personale  delle
unita' sanitarie locali) aveva previsto per il personale  medico  che
avesse scelto  il  rapporto  di  lavoro  a  tempo  pieno  il  diritto
all'esercizio  dell'attivita'  libero-professionale  nell'ambito  dei
servizi e delle strutture della unita'  sanitaria  locale  (art.  35,
comma 2, lettera d). Al di  fuori  di  tale  ambito,  l'attivita'  in
questione  era  limitata  solo  a   «consulti   e   consulenze,   non
continuativi» specificamente autorizzati (art. 35, comma  2,  lettera
c). Per i medici che avessero, invece,  optato  per  il  rapporto  di
lavoro a tempo  definito  era  prevista  la  facolta'  di  esercitare
l'attivita' libero-professionale «anche fuori  dei  servizi  e  delle
strutture dell'unita' sanitaria locale», purche' tale  attivita'  non
fosse prestata con rapporto di lavoro subordinato (art. 35, comma  3,
lettera c). 
    La  legge  n.  412  del  1991,  poi,  «liberalizzava  del   tutto
l'esercizio dell'attivita' professionale sia extra che intramuraria e
incentivava  "la  scelta  per  il  rapporto  di  lavoro   dipendente,
assicurando in tal caso, a semplice domanda, il passaggio dal  "tempo
definito" al "tempo pieno", anche in soprannumero» con la conseguente
incidenza sulla retribuzione (sentenza n. 50 del 2007). 
    Successivamente,  il  d.lgs.  n.  502  del  1992  ha   introdotto
meccanismi per  incentivare  l'attivita'  intra  moenia,  prevedendo,
altresi', la necessita' di individuare appositi  spazi  da  riservare
allo  svolgimento  della  libera  professione  intramuraria  con   la
possibilita',  in  mancanza,  di  reperirli  all'esterno  tramite  la
stipula di convenzioni tra le unita' sanitarie e altre case  di  cura
pubbliche  o  private.  L'art.  15-quater,  comma  4,   del   decreto
legislativo, come modificato dall'art. 2-septies del decreto-legge 29
marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni  di
pericolo per la  salute  pubblica),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 26 maggio  2004,  n.  138,  ha  riconosciuto  a  tutti  i
dirigenti sanitari pubblici la possibilita' di optare per il rapporto
di lavoro esclusivo, ovvero per quello  non  esclusivo  entro  il  30
novembre di ciascun  anno,  con  effetto  dal  1°  gennaio  dell'anno
successivo, salva la facolta' per le Regioni di stabilire una cadenza
temporale piu' breve. 
    L'art. 15-quinquies del citato decreto, introdotto  dall'art.  13
del d.lgs. n. 229 del 1999, ha stabilito che il  rapporto  di  lavoro
esclusivo comporta la totale disponibilita' nello  svolgimento  delle
funzioni dirigenziali  attribuite  dall'azienda  con  impegno  orario
contrattualmente definito. Inoltre, all'opzione per tale tipologia di
rapporto    segue    il    diritto    all'esercizio    dell'attivita'
libero-professionale,  al   di   fuori   dell'orario   di   servizio,
nell'ambito  delle  strutture  aziendali  individuate  dal  direttore
generale,  d'intesa  con  il  collegio  di  direzione.  La   medesima
disposizione ha fissato, altresi',  dei  limiti  al  volume  di  tale
attivita' al fine di assicurare un «corretto ed equilibrato rapporto»
tra di essa e l'attivita' istituzionale  stabilendo  che  l'attivita'
libero-professionale non puo' comportare  un  volume  di  prestazioni
superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali,  rinviando
alla disciplina contrattuale nazionale la  definizione  del  corretto
equilibrio tra le due tipologie di attivita' (comma 3). 
    L'art. 1, della legge n. 120 del 2007, infine,  ha  fatto  carico
alle Regioni di predisporre le strutture necessarie per consentire al
personale  medico   lo   svolgimento   dell'attivita'   intramuraria,
consentendo, in mancanza e nelle  more  della  loro  realizzazione  o
individuazione,  di  reperire  spazi  sostitutivi  in  strutture  non
accreditate,  ovvero  di  utilizzare,  previa  autorizzazione,  studi
professionali privati. Tale disposizione ha, inoltre,  stabilito  che
le Regioni debbano garantire, attraverso proprie linee guida, che «le
aziende  sanitarie  locali,  le  aziende  ospedaliere,   le   aziende
ospedaliere universitarie,  i  policlinici  universitari  a  gestione
diretta e gli IRCCS di diritto  pubblico  gestiscano,  con  integrale
responsabilita'     propria,     l'attivita'     libero-professionale
intramuraria, al fine di assicurarne il corretto  esercizio»,  ed  ha
individuato  le  modalita'  con  cui  tale  finalita'   deve   essere
assicurata. In particolare, e' prevista  l'adozione,  senza  nuovi  o
maggiori oneri a carico della  finanza  pubblica,  di  sistemi  e  di
moduli organizzativi e tecnologici che consentano  il  controllo  dei
volumi  delle  prestazioni  libero-professionali,  che   non   devono
superare, globalmente considerati,  quelli  eseguiti  nell'orario  di
lavoro (comma 4, lettera a); il pagamento di prestazioni di qualsiasi
importo direttamente  al  competente  ente  o  azienda  del  Servizio
sanitario nazionale, mediante mezzi di pagamento  che  assicurino  la
tracciabilita' della corresponsione di qualsiasi  importo  (comma  4,
lettera b); la definizione degli  importi  da  corrispondere  a  cura
dell'assistito, idonei per ogni prestazione, a remunerare i  compensi
del professionista, dell'equipe, del personale di  supporto,  nonche'
ad assicurare la copertura di  tutti  i  costi  diretti  e  indiretti
sostenuti dalle aziende, compresi quelli connessi alle  attivita'  di
prenotazione e di riscossione degli onorari (comma 4, lettera c);  la
prevenzione delle situazioni che possono determinare l'insorgenza  di
un conflitto di interesse o di forme di concorrenza sleale (comma  4,
lettera e); il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle
prestazioni nell'ambito dell'attivita' istituzionale ai tempi medi di
quelle rese in regime di libera professione intramuraria «al fine  di
assicurare che il ricorso a quest'ultima sia  conseguenza  di  libera
scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi
resi nell'ambito dell'attivita' istituzionale» (comma 4, lettera g). 
    Come appare chiaro  dalla  normativa  richiamata,  la  disciplina
dell'attivita' libero-professionale intramuraria ha sempre riguardato
specificamente il personale medico, nonche', ai sensi degli artt.  4,
comma 11-bis e 15 del d.lgs. n. 502  del  1992,  il  personale  della
dirigenza del ruolo sanitario,  costituito  da  farmacisti,  biologi,
chimici, fisici e psicologi secondo quanto  specificato  dall'art.  3
del d.P.C.m.  27  marzo  2000  (Atto  di  indirizzo  e  coordinamento
concernente   l'attivita'   libero-professionale   intramuraria   del
personale  della   dirigenza   sanitaria   del   Servizio   sanitario
nazionale). Quanto ai veterinari del servizio pubblico, il d.P.R.  n.
761 del 1979 ha riconosciuto loro la facolta' di  svolgere  attivita'
libero-professionale fuori dei servizi e delle strutture  dell'unita'
sanitaria locale (art. 36). 
    Nulla, invece, e' previsto per il personale sanitario non medico,
ad eccezione di quanto stabilito dall'art. 30, comma 4, del  R.D.  30
settembre 1938 n. 1631 (Norme generali per l'ordinamento dei  servizi
sanitari e del personale sanitario degli ospedali), il quale  dispone
che «Tanto  alla  ostetrica  capo  che  alle  ostetriche  e'  inibito
l'esercizio professionale». 
    Non puo' condividersi l'assunto della difesa regionale secondo la
quale il personale non medico sarebbe  gia'  abilitato  all'esercizio
della libera professione in equipe e a supporto del professionista in
forza dell'art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 120 del  2007.
Tale disposizione, infatti, si limita semplicemente a  prevedere  che
gli  importi  da  corrispondere  a  carico  dell'assistito   per   la
prestazione libero-professionale intra moenia devono remunerare anche
i compensi dell'equipe e del personale di supporto. 
    3.3.-  La   circostanza   che   lo   svolgimento   dell'attivita'
libero-professionale all'interno della struttura sanitaria sia  stato
previsto e disciplinato espressamente solo per i medici e i dirigenti
del ruolo sanitario assume - diversamente da quanto  sostenuto  dalla
difesa regionale - il preciso significato  di  circoscrivere  a  tali
categorie il riconoscimento del diritto in questione. 
    In tal senso depongono una pluralita' di elementi.  Innanzitutto,
occorre   considerare   che   nel   settore   sanitario   l'esercizio
dell'attivita' libero-professionale - come si e' visto - si  atteggia
con caratteristiche del tutto peculiari, sia quanto alle  conseguenze
che l'opzione per il suo svolgimento  intra  moenia  determina  sulla
tipologia  del  rapporto  di  lavoro,  sia  quanto  alle  conseguenze
relative all'organizzazione delle  strutture  sanitarie  nelle  quali
essa e' esercitata. Sotto il primo profilo e' previsto che  l'opzione
per     l'esercizio     dell'attivita'     intramuraria     determina
l'assoggettamento del sanitario al rapporto di lavoro esclusivo (art.
15-quater, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992)  con  la  conseguente
totale disponibilita' nello  svolgimento  delle  funzioni  attribuite
dall'azienda,    nonche'    l'incompatibilita'    con     l'esercizio
dell'attivita'  libero-professionale  extra  moenia,  secondo  quanto
stabilito dall'art. 1, comma 5, della legge n. 662 del 1996. 
    Sotto  il  secondo  profilo,  la  necessita'  per  le   strutture
sanitarie di  consentire  lo  svolgimento  della  libera  professione
intramuraria per il personale medico e sanitario che abbia esercitato
la relativa opzione determina il sorgere dell'onere per le stesse  di
assumere le  iniziative  volte  a  reperire  gli  spazi  a  tal  fine
necessari, predisporre gli strumenti organizzativi per  le  attivita'
di supporto (quali il servizio di prenotazione e di riscossione degli
onorari), individuare sistemi e moduli organizzativi per il controllo
dei  volumi   delle   prestazioni   libero-professionali,   prevenire
situazioni che  possano  determinare  l'insorgere  di  situazioni  di
conflitto di interessi o forme di concorrenza sleale (art.  1,  comma
4, della legge n. 120 del 2007). 
    Tutto cio' rende evidente come le disposizioni  che  disciplinano
l'attivita'  intramuraria  «rappresentano  un  elemento  tra  i  piu'
caratterizzanti nella disciplina del rapporto fra personale sanitario
ed utenti del Servizio sanitario, nonche' della stessa organizzazione
sanitaria» (sentenza n. 50 del 2007). D'altra parte questa  Corte  ha
gia' riconosciuto a  diverse  disposizioni  che  disciplinano  questa
materia  la  natura  di  principio  fondamentale.   Cio'   vale,   in
particolare, per la previsione (art. 15-quater, comma 4,  del  d.lgs.
n. 502 del 1992, modificato dall'art. 2-septies del decreto-legge  n.
81 del 2004, come convertito) che riconosce ai dirigenti medici e del
ruolo sanitario la  facolta'  di  scelta  tra  il  regime  di  lavoro
esclusivo  e  non  esclusivo,  in  quanto  volta  «a  garantire   una
tendenziale uniformita' tra le  diverse  legislazioni  ed  i  sistemi
sanitari delle Regioni e delle Province  autonome  in  ordine  ad  un
profilo qualificante del rapporto tra sanita' ed utenti» (sentenza n.
50 del 2007; sentenza n. 371 del 2008). Ha,  inoltre,  affermato  che
partecipa della medesima natura di principio  fondamentale  anche  la
disciplina dettata dall'art. 1 della legge n. 120 del 2007  volta  ad
assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete
possibilita'  di  svolgimento   dell'attivita'   libero-professionale
intramuraria, l'opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto
di lavoro esclusivo (sentenza n. 371 del  2008).  In  questo  quadro,
anche la  disciplina  del  profilo  soggettivo  dell'attivita'  intra
moenia riveste la natura di principio fondamentale della materia,  in
quanto volta a definire uno degli  aspetti  piu'  qualificanti  della
organizzazione sanitaria, ovverosia quello della  individuazione  dei
soggetti legittimati a svolgere  la  libera  professione  all'interno
della struttura sanitaria, il quale richiede una disciplina  uniforme
sull'intero territorio nazionale. 
    Conseguentemente, l'art. 1, comma 1, della  legge  della  Regione
Liguria n. 6 del 2014,  nell'estendere  al  personale  sanitario  non
medico di cui alla legge n. 251 del 2000 la facolta' di svolgere tale
attivita', ha  esorbitato  dall'ambito  riservato  alla  legislazione
regionale, violando l'art. 117, terzo comma, Cost. 
    3.4.- L'accoglimento della prima questione implica, quale diretta
conseguenza, che anche le questioni promosse con riguardo alle  altre
disposizioni regionali  sono  fondate.  Esse,  infatti,  disciplinano
tutte  lo  svolgimento  dell'attivita'  intra  moenia  da  parte  del
personale sanitario non  medico,  di  tal  che  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale della disposizione che  riconosce  tale
facolta' determina la caducazione delle restanti disposizioni ad essa
collegate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt.  1,  2  e  3
della legge della  Regione  Liguria  31  marzo  2014,  n.  6  recante
«Disposizioni in materia di esercizio di attivita'  professionale  da
parte del personale  di  cui  alla  legge  10  agosto  2000,  n.  251
(Disciplina delle professioni  sanitarie  infermieristiche,  tecniche
della riabilitazione, della  prevenzione  nonche'  della  professione
ostetrica) e successive modificazioni e integrazioni». 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 

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