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giovedì 13 giugno 2013

Cassazione: Strada scivolosa: la visibilità dello stato di pericolo non esclude la responsabilità del Comune




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Strada scivolosa: la visibilità dello stato di pericolo non esclude la responsabilità del Comune
L'infortunio sulla via di casa: bocciata la
pronuncia che escludeva la sussistenza di un'insidia sul rilievo che lo
stato di abbandono era evidente e noto agli abitanti della zona




Cass. civ. Sez. III, 08-03-2007, n. 5308


REPUBBLICA ITALIANA

IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA
CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DUVA Vittorio
- Presidente

Dott. FANTACCHIOTTI Mario - Consigliere

Dott. PETTI
Giovanni Battista - Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio - rel.
Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere

ha pronunciato la
seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

...omissisvld..., elettivamente
domiciliata in ROMA LARGO GAETANO LA LOGGIA 33, presso lo studio
dell'avvocato MARA MANDRE', difesa dall'avvocato SORRENTINO MIRO,
giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

COMUNE DI GENOVA, in
persona del Sindaco pro tempore prof. P. G., elettivamente domiciliato
in ROMA VIA G. D'AREZZO 32, difeso dall'avvocato CAVALIERE ALBERTO,
giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n.
1139/02 della Corte d'Appello di GENOVA, prima sezione civile, emessa
il 14/11/02, depositata il 03/12/02, R.G. 126/01;

udita la relazione
della causa svolta nella pubblica udienza del 30/11/06 dai consigliere
Dott. Antonio SEGRETO;

udito il P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso.


--------------------------------------------------------------------------------
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
...omissisvld..., con citazione del
marzo 1997, conveniva davanti al tribunale di Genova, il Comune di
quella città, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni alla
persona (di anni 72), subiti il 30.6.1996 nel mentre percorreva in
discesa la " (OMISSIS)", mantenuta in pessimo e pericoloso stato, per
quanto costituisse l'unica via di accesso alla sottostante piazza ed ai
relativi servizi, scivolando sul muschio che ricopriva la strada.

Si
costituiva il Comune, che contestava la domanda. Il Tribunale di
Genova, con sentenza n. 3172/2000, accoglieva la domanda e condannava
il convenuto Comune al pagamento della somma di L. 59.42 0.246, oltre
accessori, in favore dell'attrice.

Proponeva appello il Comune
convenuto.

La Corte di appello di Genova, con sentenza depositata il
3.12.2002, rigettava la domanda.

Riteneva la corte di appello che,
nonostante il cattivo stato di manutenzione in cui si trovava la
predetta pubblica "salita", la pericolosità della stessa era visibile
e, quindi, non costituiva insidia, segnatamente per gli abitanti della
zona, quale era l'attrice, adusa a percorrere quotidianamente tale
salita.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l'attrice, che ha presentato anche memoria. Resiste con controricorso
il Comune di Genova.

Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo
di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2043 e 2051 c.c. nonchè il vizio motivazionale
dell'impugnata sentenza.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso la
ricorrente lamenta, sotto altro profilo la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2051 c.c..

Assume la ricorrente che salita in
questione era l'unica strada di accesso al resto della città per gli
abitanti della zona; che, come rilevato dal primo giudice, la strada
era in uno stato di grave pericolosità, perchè costituita da una
mattonata sconnessa, con ciottoloni di mare arrotondati, e viscida per
il muschio; che nonostante l'opportuna attenzione, il pericolo di
caduta rimaneva ineliminabile ed inevitabile; che, solo a seguito
dell'incidente subito da essa attrice, il Comune intervenne per
transennare e chiudere al transito parte di detta strada; che
erratamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la responsabilità
del Comune potesse affermarsi solo in presenza di un insidia stradale,
da escludersi nella fattispecie per la mancanza delle caratteristiche
dell'inavvistabilità ed imprevedibilità. 2. Ritiene questa Corte che i
due motivi di ricorso (da esaminarsi congiuntamente per la loro
connessione) siano fondati e che gli stessi vadano accolti.

Osserva
questa Corte che esistono tre orientamenti giurisprudenziali in merito
alla responsabilità della p.a. per i danni subiti dall'utente
conseguenti all'utilizzo di beni demaniali e, segnatamente, per quelli
conseguenti ad omessa od insufficiente manutenzione di strade
pubbliche.

Secondo l'orientamento predominante questa tutela è
esclusivamente quella predisposta dall'art. 2043 c.c.. Si osserva,
infatti, che la p.a. incontra nell'esercizio del suo potere
discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni di natura
demaniale, limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento,
nonchè dalle norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza,
ed in particolare dalla norma primaria e fondamentale del neminem
laedere (art. 2043 c.c.), in applicazione della quale essa è tenuta a
far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione
di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo
al cd. trabocchetto o insidia stradale.

Sussiste l'insidia, fondamento
della responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., della p.a. per
danni riportati dall'utente stradale, allorchè essa non sia visibile o
almeno prevedibile (26/05/2004, n. 10132; Cass. 22.4.1999, n. 3991;
Cass. 28.7.1997, n. 7062; Cass. 20.8.1997, n. 7742; Cass. 16.6.1998, n.
5989 e molte altre).

3. Un orientamento minoritario, invece, riconduce
la responsabilità della p.a., proprietaria di una strada pubblica, per
danni subiti dall'utente di detta strada, alla disciplina di cui
all'art. 2051 c.c. assumendo che la p.a., quale custode di detta
strada, per escludere la responsabilità che su di essa fa capo a norma
dell'art. 2051 c.c. deve provare che il danno si è verificato per caso
fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova da
parte del danneggiato dell'esistenza dell'insidia, che questi, invece,
non deve provare, così come non ha l'onere di provare la condotta
commissiva o omissiva del custode, essendo sufficiente che provi
l'evento danno ed il nesso di causalità con la cosa (Cass. 22.4.1998,
n. 4070; Cass. 20.11.1998, n. 11749; Cass. 21.5.1996, n. 4673; Cass. 3
giugno 1982 n. 3392, 27 gennaio 1988 n. 723).

In particolare dalla
proprietà pubblica del Comune sulle strade poste all'interno
dell'abitato (L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 16, lett. b, allegato F)
discende non solo l'obbligo dell'Ente alla manutenzione, come stabilito
dal R.D. 15 novembre 1923, n. 2056, art. 5, ma anche quello della
custodia con conseguente operatività, nei confronti dell'Ente stesso,
della presunzione di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c..

Per
danni causati da beni demaniali, è fortemente sostenuto in dottrina -
sul rilievo che, essendo la p.a. custode dei beni demaniali, tra cui le
strade - che il ritenere non applicabile alla stessa per tale categorie
dei beni la responsabilità da custodia, ma solo quella ex art. 2043 c.
c., costituirebbe un ingiustificato privilegio e, di riflesso, in un
ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati.

4. Un
orientamento intermedio, che è andato sempre più sviluppandosi negli
ultimi tempi, ritiene che l'art. 2051 c.c., in tema di presunzione di
responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in
custodia - in realtà - trova applicazione nei confronti della pubblica
amministrazione, con riguardo ai beni demaniali, esclusivamente qualora
tali beni non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei
terzi, ma vengano utilizzati dall'amministrazione medesima in
situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una
vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo (Cass.
30 ottobre 1984 n. 5567), ovvero, ancora, qualora trattisi di beni
demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione
territoriale consentano una adeguata attività di vigilanza sulle stesse
(Cass. 5.8.2005, n. 16675; Cass. n. 11446 del 2003; Cass. 1.12.2004, n.
22592; Cass. 15/01/2003, n. 488; Cass. 13.1.2003, n. 298; Cass.
23/07/2003, n. 11446).

Ritiene questa Corte di dover aderire a tale
ultimo orientamento, di recente ribadito (Cass. 6.7.2006, n. 15383).

5.1. La custodia si identifica in una potestà di fatto, che descrive
un'attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della
detenzione qualificata, con esclusione quindi della detenzione per
ragioni di ospitalità e servizio, sulla scia del Gardien (dell'art.
1384 Code Napoleon) e del Besitzherr (854 B.G.B.).

Responsabile del
danno proveniente dalla cosa non è il proprietario, come nei casi di
responsabilità oggettiva di cui all'art. 2052 c.c., art. 2053 c.c. e
art. 2054 c.c., u.c., ma il custode della cosa.

E' dunque la relazione
di fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto e la cosa che
legittima una pronunzia di responsabilità, fondandola sul potere di
"governo della cosa".

La sola relazione giuridica (corrispondente al
diritto reale o alla titolarità demaniale) tra il soggetto e la cosa
non da ancora luogo alla custodia (ma la fa solo presumere), allorchè
la relazione di fatto intercorra con altro soggetto qualificato che
eserciti la potestà sulla cosa, (ad esempio il conduttore o il
concessionario).

Tale "potere di governo" si compone di tre elementi:
il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione
di pericolo creatasi, nonchè quello di escludere qualsiasi terzo
dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.

Solo così intendendo il contenuto della custodia, si da ragione del
criterio di imputazione costituito dalla relazione di custodia tra il
soggetto custode e la cosa che ha prodotto il danno.

Infatti - come
detto - il criterio di imputazione esiste anche nelle ipotesi di
responsabilità oggettiva, ma non è più fondato su criteri soggettivi,
ma su criteri oggettivi, come tali tipologici. Il concetto di
responsabilità implica quello di sanzione per un fatto che
l'ordinamento connota negativamente nei confronti di colui sul quale ne
fa gravare il costo.

5.2. Poichè la custodia è una relazione di fatto
tra un soggetto e la cosa, certamente tale potere di fatto non può
essere a priori escluso in relazione alla natura demaniale del bene, ma
neppure può essere ritenuto in ogni caso sussistente anche quando vi è
l'oggettiva impossibilità di tale potere di controllo del bene, che è
il presupposto necessario per la modifica della situazione di pericolo.

Va qui, specificato che, attraverso questa analisi del concetto di
"custodia" nel suo contenuto di "potere di governo" della cosa, non si
vuole reintrodurre in modo surrettizio, un elemento di soggettività
della responsabilità ex art. 2051 c.c., inserendolo nell'elemento della
custodia, da cui discenderebbe che il custode, che avesse tuttavia
controllato senza colpa, sarebbe esente da responsabilità per il danno
verificatosi.

Non vi è dubbio che il custode risponde dei danni
prodotti dalla cosa non perchè ha assunto un comportamento poco
diligente, ma più semplicemente per la particolare posizione in cui si
trovava rispetto alla cosa danneggiante, e quindi secondo una logica
che è propria della responsabilità oggettiva.

5.3. Ciò comporta che la
possibilità o meno del potere di controllo va egualmente accertata in
termini oggettivi nello specifico caso di predicata custodia.

Se il
potere di controllo è oggettivamente impossibile, non vi è custodia e
quindi non vi è responsabilità della p.a., ai sensi dell'art. 2051 c.
c..

5.4. Indici sintomatici dell'impossibilità del controllo del bene
demaniale sono la notevole estensione e l'uso generalizzato dello
stesso da parte degli utenti; ma tali elementi non attestano in modo
automatico l'impossibilità di custodia.

La possibilità o
l'impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante
vigilanza - dalle quali rispettivamente dipendono l'applicabilità o la
non applicabilità dell'art. 2051 c.c. - non si atteggiano univocamente
in relazione a tutti i tipi di beni demaniali, ma vanno accertati in
concreto da parte del giudice di merito.

Ove tale attività di
controllo non sia oggettivamente possibile, non potrà invocarsi alcuna
responsabilità della p.a., proprietaria del bene demaniale, a norma
dell'art. 2051 c.c., per mancanza di un elemento costitutivo della
custodia e cioè la controllabilità della cosa, residuando, se ne
ricorre gli estremi, la responsabilità di cui all'art. 2043 c.c..

5.6.
Segnatamente per i beni del demanio stradale la possibilità in concreto
della custodia, nei termini sopra detti, va esaminata non solo in
relazione all'estensione delle strade, ma anche alle loro
caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di
assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso
tecnologico di volta in volta appresta e che, in larga misura,
condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti.

Per
le autostrade, contemplate dal D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 2
(vecchio C.d.S.) e del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo C.d.S.) e
per loro natura destinato alla percorrenza veloce in condizioni di
sicurezza, l'apprezzamento relativo alla effettiva "possibilità" del
controllo alla stregua degli indicati parametri non può che indurre a
conclusioni in via generale affermativa, e dunque a ravvisare la
configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti di cui
all'art. 2051 c.c. (Cass. n. 298/03; Cass. n. 488/2003).

5.7. Figura
sintomatica della possibilità dell'effettivo controllo di una strada
del demanio stradale comunale è che la stessa si trovi all'interno
della perimetrazione del centro abitato (L. 17 agosto 1942, n. 1150,
art. 41 quinquies; come modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art.
17; D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 9; D.Lgs. 30 aprile 1992, n.
285, art. 4). Infatti la localizzazione della strada all'interno di
tale perimetro, dotato di una serie di altre opere di urbanizzazione
primaria e, più in generale, di pubblici servizi che direttamente o
indirettamente sono sottoposti ad attività di controllo e vigilanza
costante da parte del Comune, denotano la possibilità di un effettivo
controllo e vigilanza della zona, per cui sarebbe arduo ritenere che
eguale attività risulti oggettivamente impossibile in relazione al bene
stradale.

6. Ove l'oggettiva impossibilità della custodia, renda
inapplicabile l'art. 2051 c.c., come detto, la tutela risarcitoria del
danneggiato rimane esclusivamente affidata alla disciplina di cui
all'art. 2043 c.c..

In merito a questa va specificato a chiare lettere
che la responsabilità della p.a. per danni conseguenti all'utilizzo di
bene demaniale da parte del soggetto danneggiato non può essere
limitata ai soli casi di insidia o trabocchetto: questi, come è stato
rilevato, sono solo elementi sintomatici della responsabilità della p.
a., ma ciò non esclude che possa individuarsi nella singola fattispecie
anche un diverso comportamento colposo della p.a..

Limitare
aprioristicamente la responsabilità della p.a. per danni subiti dagli
utenti dei beni demaniali alle sole ipotesi della presenza di insidia o
trabocchetto non trova alcuna base normativa nella Generalklausel di
cui all'art. 2043 c.c., con un'indubbia posizione di privilegio per la
p.a. (in questo senso, già Cass. 14.3.2006, n. 5445).

7.1. Sia
nell'ipotesi che la fattispecie rientri nell'art. 2043 c.c. sia che
rientri nell' art. 2051 c.c. è rilevante l'eventuale comportamento
colposo del danneggiato, poichè esso incide sul nesso causale.

In un
sistema in cui il nesso causale tra il fatto e l'evento svolge un ruolo
centrale, diventa fondamentale accertare se l'evento eziologicamente
derivi in tutto o in parte dal comportamento dello stesso danneggiato,
valutandone, quindi, l'eventuale apporto causale.

L'interruzione del
nesso di causalità può essere anche l'effetto del comportamento
sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si
ponga come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare
dell'efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il
precedente comportamento dell'autore dell'illecito (cfr. Cass.
8.7.1998, n. 6640; Cass. 7 aprile 1988, n. 2737).

7.2. Un corollario
di detto principio è la regola posta dall'art. 1227 c.c., comma 1, il
quale nel contempo da base normativa al suddetto principio,
presupponendolo. Tale norma prevede la riduzione del risarcimento in
presenza della colpa del danneggiato.

La regola di cui all'art. 1227 c.
c. va inquadrata esclusivamente nell'ambito del rapporto causale ed è
espressione del principio che esclude la possibilità di considerare
danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (Cass. civ.
26/04/1994, n. 3957; Cass. 08/05/2003, n. 6988).

7.3. In questa ottica
la diligenza del comportamento dell'utente del bene demaniale, e
segnatamente della strada demaniale, va valutata anche in relazione
all'affidamento che era ragionevole porre nell'utilizzo ordinario di
quello specifico bene demaniale, con riguardo alle specifiche
condizioni di luogo e di tempo.

Per il principio dell'affidamento il
fatto che una persona agisca come membro di un determinato gruppo
sociale comporta l'assunzione della responsabilità di saper riconoscere
ed affrontare determinati pericoli secondo lo standard di diligenza e
capacità del gruppo.

Qui il problema si pone solo in relazione al
comportamento colposo o meno del danneggiato, il quale è connotato
dall'affidamento, secondo criteri oggettivi e non soggettivi, che egli
ripone nel ritenere esigibile da parte della p.a. custode, una
determinata condotta di custodia in relazione ad un determinato bene.

In applicazione di tale principio, la diligenza che è richiesta al
danneggiato nell'uso del bene demaniale, costituito nella specie da
strada, sarà diversa a seconda che si tratti di una strada campestre o
del corso principale della città, pur facendo capo entrambe allo stesso
demanio stradale dello stesso Comune, proprio perchè il danneggiato fa
affidamento su una diversa attività di controllo- custodia (che quindi
ritiene esigibile) in relazione ai due tipi di strada dello stesso
demanio.

8.1. Sulla base di quanto sopra esposto vanno affermati i
seguenti principi di diritto:

"La presunzione di responsabilità per
danni da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c. non si applica
agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali
(nella fattispecie: del demanio stradale) ogni qual volta sul bene
demaniale, per le sue caratteristiche, non sia possibile esercitare la
custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del
bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da
parte di terzi, sono solo figure sintomatiche dell'impossibilità della
custodia da parte della P.A., mentre elemento sintomatico della
possibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale è che la
strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato un danno, si
trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso Comune, pur dovendo
dette circostanze, proprio perchè solo sintomatiche, essere sottoposte
al vaglio in concreto da parte del giudice di merito". 8.2. "Ove non
sia applicabile la disciplina della responsabilità ex art. 2051 c.c.
per l'impossibilità in concreto dell'effettiva custodia del bene
demaniale, l'ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti
dall'utente, secondo la regola generale dettata dall'art. 2043 c.c. nel
qual caso graverà sul danneggiato l'onere della prova del comportamento
colposo della p.a., di cui le figure dell'insidia o del trabocchetto,
sono solo elementi sintomatici, ma non escludono altre ipotesi di
responsabilità colposa". 8.3. "Tanto in ipotesi di responsabilità
oggettiva della P.A. ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di
responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c. il comportamento colposo
del soggetto danneggiato nell'uso di bene demaniale (che sussiste anche
quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o
con affidamento soggettivo anomalo) esclude la responsabilità della p.
a., se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico
tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un
concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, con
conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in
proporzione all'incidenza causale del comportamento del danneggiato".
9.1. Nella fattispecie, quindi è errata la sentenza impugnata nella
parte in cui anzitutto non esamina se la "salita" in questione, per le
caratteristiche oggettive del demanio stradale di Genova e segnatamente
per la posizione in cui essa si trovava, potesse essere oggetto di
custodia da parte del Comune convenuto, con la conseguente
applicabilità alla fattispecie della disciplina di cui all'art. 2051 c.
c..

9.2. In ogni caso, ove non fosse applicabile la predetta
disciplina e fosse invece applicabile solo la clausola generale di cui
all'art. 2043 c.c. è errata la sentenza impugnata che ha ristretto la
responsabilità dell'ente proprietario della strada, per cattiva o
omessa manutenzione della stessa, alla sola ipotesi della cosiddetta
insidia (o trabocchetto) stradale, senza esaminare più in generale se
sussistesse un comportamento colposo (anche omissivo) dello stesso ente
nella manutenzione della "salita", eziologicamente produttivo del danno
ingiusto subito dall'attrice.

Ciò vale tanto più se si considera che
il giudice di appello, aderendo alla ricostruzione dei luoghi
effettuata dal primo giudice, concorda sul punto che la salita era
pericolosa, essendo costituita da una scalinata in ciottolato e mattoni
con estese sconnessioni, particolarmente scivolosa per la formazione di
una patina di muschio e che era priva di mancorrente.

La visibilità o
meno (da parte dell'attrice danneggiata) di tale stato di abbandono e
di pericolo non vale di per sè ad escludere la responsabilità dell'ente
proprietario, per la mancanza dell'insidia, ma può essere valutato dal
giudice di merito (sia nell'ipotesi di cui all'art. 2043 c.c. che in
quella di cui all'art. 2051 c.c.) solo in termini di fatto colposo del
danneggiato che abbia eventualmente escluso il nesso causale tra
l'omissione di manutenzione da parte del Comune ed il danno ingiusto
ovvero abbia dato un eventuale concorso eziologico.

10. In definitiva
va accolto il ricorso.

L'impugnata sentenza va cassata con rinvio,
anche per le spese di questo giudizio di Cassazione, ad altra sezione
della Corte di appello di Genova, che si uniformerà ai principi
indicati ai punti 8 e 9.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa l'impugnata
sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di
cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

Così
deciso in Roma, il 30 novembre 2006.

Depositato in Cancelleria il 8
marzo 2007

 

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