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mercoledì 22 maggio 2013

Cassazione: Impotenza conseguente a sinistro stradale, si configura il danno esistenziale


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Impotenza conseguente a sinistro stradale, si configura il danno
esistenziale
Bocciata dai supremi giudici una sentenza d'appello che
negava il risarcimento. La sessualità, rilevano, rientra fra i diritti
inviolabili della persona
(Sezione terza, sentenza n. 2311/07;
depositata il 2 febbraio)



DANNI IN MATERIA CIV. E PEN.
Cass. civ.
Sez. III, 02-02-2007, n. 2311
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NICASTRO Gaetano - Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista - rel. Consigliere
Dott. FICO Nino -
Consigliere
Dott. TALEVI Alberto - Consigliere
Dott. SCARANO Luigi
Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul
ricorso proposto da:
...OMISSISVLD..., elettivamente domiciliata in ROMA VIA
GIUSEPPE FERRARI 11, presso lo studio dell'avvocato DE FAZI WALTER, che
lo difende unitamente all'avvocato marco db FRHT, giusta delega in
atti;
- ricorrente -
contro
WINTERTHUR ASSIC SPA, G.S., D.M.M.P.;
-
intimati -
avverso la sentenza n. 1795/02 della Corte d'Appello di
ROMA, sezione quarta civile emessa il 16/04/2002, depositata il
08/05/02; RG. 4257/1999;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 01/12/06 dal Consigliere Dott. Giovanni Battista
PETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del
ricorso.
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con citazione
(15/29 luglio 1997) ...OMISSISVLD..., nella veste di danneggiato da incidente
stradale (avvenuto in Roma il 23 giugno 1994) conveniva dinanzi al
tribunale di Roma il conducente danneggiante M.M.P., il proprietario
assicurato G.S. e l'impresa assicuratrice Winterthur e ne chiedeva la
condanna in solido al risarcimenti di tutti i danni, biologici, morali,
patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all'incidente, riferito
alla responsabilità esclusiva della M.. Si costituiva la impresa
assicuratrice contestando le pretese, restavano contumaci le altre
parti.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 10 giugno 1999 accertava
la responsabilità esclusiva della conducente M. venuta a collisione con
il veicolo condotto dal C., e condannava in solido l'impresa e le parti
convenute al risarcimento dei danni nella misura complessiva di 810
milioni ai valori attuali, oltre interessi legali e spese di lite da
distrarsì in favore del difensore antistatario. La decisione era
impugnata dalla Winterthur che ne chiedeva la riforma sulla base di due
motivi, resisteva il C. e proponeva appello incidentale per una
migliore liquidazione delle voci di danno biologico e per la grave
compromissione dell'attività sessuale. Restavano contumaci le altre
parti. La Corte di appello di Roma con sentenza del 8 maggio 2002 cosi
decideva: accoglie l'appello principale per quanto di ragione,
rideterminando la liquidazione (vedi amplius in motivazione) e
compensando tra le parti la metà delle spese dei due gradi del
giudizio, ponendo il resto a carico dell'assicuratrice; rigetta
l'appello incidentale ed incidentale condizionato.
Contro la decisione
ricorre il C. deducendo tre motivi di ricorso; le controparti non hanno
svolto difese.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato in ordine
al primo motivo, mentre merita accoglimento per il secondo ed il terzo
per le seguenti considerazioni.
Nel primo motivo si deduce l'error in
iudicando per la violazione degli artt. 1224, 1226, 2056 c.c., in punto
di ridotta liquidazione del danno da inabilità, in accoglimento della
censura dell'assicurazione.
La tesi è che essendo convenzionale, quale
parametro di riferimento, la tabella attuariale del tribunale di Roma
in ordine alle poste risarcitorie della inabilità assoluta e relativa
del danneggiato, era apodittica la riduzione basata sul parametro delle
tabelle, essendo la liquidazione a carattere equitativo.
In senso
contrario si osserva che la Corte (ff 8 della motivazione) riduce lo
aumento della diaria giornaliera, compiuto dal primo giudice, in quanto
non giustificato, dal momento che la liquidazione è stata determinata
all'attualità della sentenza, allorchè erano in vigore le tabelle
elaborate dal tribunale.
Tale riduzione rientra nel potere
discrezionale valutativo dalla congruità della perdita non patrimoniale
(tale essendo la incapacità del fare in relazione alla inabilità che
precede la guarigione), sulla base di una specifica censura.
Il motivo
di ricorso sostiene invece una migliore misura, ma non indica le
ragioni della maggiorazione o della erroneità dei parametri utilizzati
al fine del migliore ristoro: difetta dunque di specificità e concerne
un apprezzamento in fatto adeguatamente motivato.
Nel secondo motivo di
ricorso si deduce l'error in iudicando ed il vizio della motivazione,
insufficiente e contraddittoria, in merito alla perdita della capacità
lavorativa, pur evidente nella consequenzialità di una invalidità
calcolata nella misura del 20%.
La censura è fondata, essendo carente
sul punto la motivazione (ff 8 e 9 della sentenza), la dove esclude la
maggiore usura delle energie psicofisiche dello infortunato,
adagiandosi sul parere negativo del consulente di ufficio.
Come è noto
il riconoscimento della perdita della capacità lavorativa generica,
come componente strutturale del danno biologico nella sua complessità e
nella sua natura dinamica e permanente, risale a teorie scientifiche
della medicina legale italiana, ed è scientificamente testata come
perdita di capacità lavorativa, per la permanente riduzione della
resistenza fisica al lavoro esercitato o alle chances lavorative,
secondo l'evoluzione delle offerte di lavoro e delle libere scelte del
giovane lavoratore. La stessa riforma del mercato di lavoro si fonda
sul principio della mobilità. Orbene, se è logico che nella valutazione
globale del danno biologico, la indicazione del punteggio finale derivi
dalla valutazione di tutte le componenti, fisiche e psichiche,
interrelazionali ed esistenziali (come si desume dalla definizione
analitica del danno biologico di non lieve entità, contenuta nell'art.
138 del codice di assicurazione, che considera i criteri uniformi di
risarcimento ai fini dell'illecito civile della circolazione) al fine
della realizzazione del principio fondamentale del risarcimento
integrale del danno alla persona (cfr: Corte Cost. sent. 14 giugno 1986
n. 184 e Cass. 22 giugno 2001 n. 8899 e successive, sino a Cass. 1
dicembre 2004 n. 22599), la esclusione di tale componente fisico
psichica usurante da una compromissione non lieve e permanente della
salute, appare una contraddizione in termini e deve essere
adeguatamente motivata, posto che deve essere a prova scientifica
controfattuale.
Si vuoi dire che per la regola causale della
probabilità elevata, la lesione grave della salute reca come
conseguenza negativa una apprezzabile perdita della capacità
lavorativa. Il negare tale rilevanza costituisce fattore eccezionale,
presente in taluni casi in cui, per la eminente attività intellettuale
prestata, una menomazione psicofisica potrebbe non incidere sulla
potenzialità delle capacità lavorative, pur compromesse.
Esigere dal
lavoratore una prova rigorosa in relazione al cd. danno futuro, o
negare la natura biologica di tale perdita, contraddice la stessa
configurazione del danno biologico come danno a struttura complessa,
che incide su vari aspetti della vita fisica e psichica della persona.
Il motivo appare dunque fondato in relazione alla illogicità della
motivazione, che non personalizza il danno biologico in relazione a
tale componente essenziale, data la gravità del danno.
Sotto altro
aspetto la perdita della capacità lavorativa integra la lesione del
diritto del cittadino ad accedere al lavoro in condizioni di piena
integrità (cfr. art. 4 Cost. correlato all'art. 3, comma 2 e art. 32
Cost. e cfr. Corte Cost. 9 giugno 1965 n. 45) e come tale ha un
autonomo rilievo come perdita patrimoniale, ove l'attività lavorativa
sia in atto.
Il motivo dev'essere pertanto accolto ed il giudice di
rinvio dovrà attenersi ai principi di diritto come sopra enunciati,
attraverso una valutazione analitica ed a prova scientifica e causale,
in relazione alla presenza di una menomazione della capacità
lavorativa, in soggetto in età lavorativa.
Parimenti fondato appare il
terzo motivo dove si deduce la mancata liquidazione della perdita della
capacità di avere rapporti sessuali per la conseguita impotenza coeundi
(per la invalidità dell'asta virile e la insufficienza del tono
erettile) con conseguente sindrome soggettiva ansioso depressiva.
La
sentenza impugnata sul punto sorvola,con una enunciazione illogica e
contraria al principio fondamentale della inviolabilità dei diritti
umani (art. 2 Cost. e Corte Cost. 28 luglio 1983 n. 242 secondo cui i
diritti inviolabili sono quei diritti che costituiscono il patrimonio
irretrattabile della persona umana). Si legge in vero nella motivazione
(ff 11) "Il Collegio ritiene che il danno esistenziale o la lesione dei
diritti umani non sono categorie che esulano dal danno biologico,così
come inteso dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Se così è, deve
ritenersi che il CTU abbia tenuto conto di tutte le circostanze, nel
momento in cui ha determinato i postumi nella misura del 20%".
Dove il
ragionamento è errato in punto di principi fondamentali, posto che i
diritti umani inviolabili nè si confondono con i danni esistenziali nè
restano assorbiti nella globalità e complessità del danno biologico,
ove abbiano una lesione propria, giuridicamente configurata come
lesione del diritto.
Quanto al diritto alla sessualità, occorre
ricordare l'incipit della Corte Costituzionale (Corte Cost. sentenza 18
dicembre 1987 n. 561) che lo inquadra tra i diritti inviolabili della
persona (art. 2), come modus vivendi essenziale per lo espressione e lo
sviluppo della persona. Certamente la perdita della sessualità
costituisce anche danno biologico (la cui valutazione nelle tabelle
medico legali convenzionali supera normalmente il livello della
micropermanente e determina un rilevante ritocco del punteggio finale)
consequenziale alla lesione per fatto della circolazione (come è nel
caso di specie), ma nessuno ormai nega (v: da ultimo Cass. SS.UU. 24
marzo 2006 n. 6572 e Cass. 3^ sez. civile 12 giugno 2006 n. 13546) che
la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità
(come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisca di per se
un danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente
apprezzata e valutata equitativamente in termini non patrimoniali e con
una congrua stima dell'equivalente economico del debito di valore.
Non
vengono qui in questione altri aspetti inerenti alla procreazione o
alla vita sessuale familiare, dato lo status della vittima, ma
certamente questi ulteriori aspetti sarebbero rilevanti ai fini della
equilibrata valutazione del danno anche ai fini di un congruo ristoro.
L'accoglimento del secondo e del terzo motivo determina il rinvio ad
altra sezione della Corte di appello di Roma che si atterrà ai principi
di diritto come sopra enunciati nella considerazione della compro
missione della capacità lavorativa e della capacità sessuale, e dei
conseguenti effetti sulle perdite patrimoniali e non patrimoniali
seguendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale e da questa
Corte nelle sentenze sopracitate. Il giudice del rinvio provvedere
anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso,accoglie il secondo ed il terzo,
cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di
cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso
in Roma, il 1 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio
2007


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