CASSAZIONE CIVILE -
STAMPA
Cass. civ. Sez. III, 05-06-2007, n. 13089
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
PREDEN Roberto - Presidente
Dott. VARRONE Michele - Consigliere
Dott.
FINOCCHIARO Mario - rel. Consigliere
Dott. FICO Nino - Consigliere
Dott. LEVI Giulio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Associazione Nazionale Famiglie Adottive e
Affidatarie (A.N.F.A.A.), in persona del presidente pro tempore N.M.D.,
elettivamente domiciliata in Roma, Via della Mercede n. 52, presso
l'avv. MENGHINI Mario, che la difende anche disgiuntamente all'avv.
Roberto Carapelle, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
Associazione S.O.S Il Telefono Azzurro - Linea Nazionale per la
Prevenzione dell'Abuso all'Infanzia, in persona del presidente del
Comitato direttivo C.E., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale
Clodio n. 61, presso l'avv. Manuela Liverani, difesa dall'avv. MORRONE
Angelo, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la
sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 520/02 del 6 -
26 febbraio
2002 (R.G. 3176/1999);
Udita la relazione della causa svolta nella
Camera di consiglio del 16 maggio 2007 dal Relatore Cons. Dott. Mario
Finocchiaro;
Udito l'avv. M. Menghini per la ricorrente;
Lette le
conclusioni scritte del P.M., Dott. MARTONE, che ha chiesto il rigetto
del ricorso, per manifesta infondatezza, conclusioni confermate in
Camera di consiglio dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con atto 13 dicembre
1995 la Associazione SOS Il Telefono Azzurro ha convenuto in giudizio,
innanzi al Tribunale di Milano la Associazione Nazionale Famiglie
Adottive e Affidatarie, chiedendo che fosse accertata e dichiarata la
illegittimità del comunicato apparso sul quotidiano il (OMISSIS) del
(OMISSIS), dal titolo "(OMISSIS)" perchè denigratorio nei propri
confronti, con conseguente condanna della associazione convenuta al
risarcimento del danno, da quantificare in L. 150 milioni, oltre alla
riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 12 della legge sulla stampa,
da liquidare in L. 50 milioni.
Ha esposto la associazione attrice, a
fondamento della spiegata domanda, che la Associazione Nazionale
Famiglie Adottive e Affidatarie aveva posto in essere una sconcertante
campagna diffamatora, attraverso la stampa nazionale, nonchè tramite
opuscoli e volantini, nei confronti di una iniziativa di essa attrice
denominata "(OMISSIS)", volto a creare nel parco di (OMISSIS) un centro
permanente per minori traumatizzati da esperienze di disagio familiare
e sociale.
Costituitasi in giudizio la convenuta ha eccepito in limine
la incompetenza, ratione territorii, del Tribunale adito per essere
competente il Tribunale di Torino, nel merito, la infondatezza della
domanda avversaria.
Quanto al merito la associazione convenuta ha
fatto presente che il progetto "(OMISSIS)" non aveva alcuna reale
utilità per i minori e costituiva una soluzione profondamente
sbagliata, per cui le critiche mosse a tale iniziativa rivestivano un
indubbio interesse sociale, rispondendo al diritto del pubblico, presso
il quale era stata iniziata una raccolta di fondi, a conoscere la
verità.
Trattandosi, quindi, di corretto esercizio del diritto di
cronaca e di critica, garantito dall'art. 21 Cost., la Associazione
Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie ha chiesto, in via
principale, il rigetto della domanda attrice, in via riconvenzionale,
la condanna di controparte al risarcimento dei danni provocati dalle
dichiarazioni diffamatorie rese dal presidente del Comitato direttivo
di Telefono Azzurro, al quotidiano il (OMISSIS), pubblicate il
(OMISSIS).
Svoltasi la istruttoria del caso l'adito Tribunale con
sentenza 10 dicembre 1998, rigettata l'eccezione di incompetenza per
territorio, ha accolto la domanda attrice, ritenendo sussistenti gli
estremi della diffamazione nei comunicati diffusi dalla associazione
convenute e, per l'effetto, ha condannato quest'ultima al risarcimento
dei danni liquidati in L. 50 milioni oltre L. 10 milioni a titolo di
riparazione pecuniaria, rigettata la domanda riconvenzionale atteso che
le affermazioni censurate dalla convenuta costituivano legittimo
esercizio del diritto di cronaca.
Gravata tale pronunzia dalla
soccombente Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, nel
contraddittorio della Associazione SOS Il Telefono Azzurro, che,
costituitasi in giudizio anche in grado di appello ha chiesto il
rigetto del gravame di controparte, la Corte di Appello di Milano con
sentenza 6 - 26 febbraio 2002 ha rigettato l'appello e condannato
l'appellante al pagamento delle spese del grado.
Per la cassazione di
tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a
due motivi e illustrato da memoria, la Associazione Nazionale Famiglie
Adottive e Affidatarie, con atto notificato il 3 aprile 2003.
Resiste,
con controricorso illustrato da memoria la Associazione SOS Il Telefono
Azzurro, con atto notificato il 7 maggio 2003.
Il P.G. ha chiesto la
trattazione della causa in Camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.
p.c..
Motivi della decisione
1. L'aspra polemica intrapresa dalla
Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie nei confronti
della iniziativa " (OMISSIS)" - volta a creare nel parco di (OMISSIS)
un centro permanente per minori traumatizzati da esperienze di disagio
familiare e sociale - promossa dalla SOS Telefono Azzurro, hanno
osservato i Giudici del merito "ha travalicato più volte i limiti del
legittimo diritto di critica, risolvendosi in un attacco chiaramente
denigratorio e lesivo della onorabilità e della reputazione della
controparte".
"Il Tribunale - hanno evidenziato i Giudici di secondo
grado - ha correttamente individuato una precisa valenza offensiva
nella maliziosa strumentalizzazione dell'infortunio nel quale è incorso
Telefono Azzurro (del tutto incolpevolmente come è pacifico) indicando
nel suo volantino, che propagandava l'iniziativa (OMISSIS) un numero di
telefono errato, in realtà corrispondente a quella di una cd. hot
line".
"Nel comunicato stampa della Associazione Nazionale Famiglie
Adottive e Affidatarie si parla, invero, di fatto molto grave ed
increscioso, che dovrebbe far valutare alla Giunta e al Consiglio
Comunale di Monza (in procinto di concedere alla associazione appellata
la cascina da destinare a casa di accoglienza) la reale serie e
professionalità di certe associazioni".
"E' del tutto evidente - hanno
concluso sul punto i Giudici di appello - che una simile insinuazione
(per di più del tutto gratuita) era idonea a screditare la associazione
Telefono Azzurro, minandone la fiducia e la affidabilità presso il
pubblico chiamato a sostenere la sua iniziativa".
La Corte di appello
di Milano ha ritenuto denigratoria, e indubbiamente spregiativa -
altresì - la equiparazione, fatta dalla Associazione Nazionale Famiglie
Adottive e Affidatarie allorchè ha definito "(OMISSIS) a casa di
accoglienza progettata da controparte.
Quanto alla domanda
riconvenzionale la Corte di Appello, da un lato, ha dichiarato di
condividere pienamente la decisione del Tribunale, che ha escluso
qualsiasi intento o contenuto diffamatorio nelle dichiarazioni
dell'esponente Telefono Azzurro censurate dalla parte in quella sede
appellante atteso che detto esponente si era "imitato a reagire agli
attacchi della controparte nell'ambito del legittimo esercizio della
libertà di espressione".
Nè pare lesivo della onorabilità
dell'associazione appellante - hanno ancora evidenziato i giudici del
merito - l'accenno .. a qalche intento politico preelettorale o
strumentale dell'ANFAA, poichè tale giudizio è stato espresso in via
ipotetica e non come dato di certezza nel quadro di una vivace reazione
all'acredine degli attacchi di cui il C. (esponente della Associazione
Telefono Azzurro) non trovava una ragionevole spiegazione, rivolti
contro Telefono Azzurro e le sue iniziative a favore dei minori in
difficoltà". 2. Con quattro motivi, intimamente connessi e da esaminare
congiuntamente, parte ricorrente censura la sentenza sopra riassunta
denunziando, in tutti "omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.
c., n. 5.), violazione o falsa applicazione di norme di diritto e,
segnatamente, dell'art. 21 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3)".
Si assume,
infatti:
- la motivazione della sentenza su punti fondamentali della
controversia, è assolutamente carente, per non dire inesistente;
- non
è dato sapere per quali ragioni il volantino del 5 giugno 1995 sia
stato formalmente considerato idoneo a giustificare una condanna civile
per diffamazione a mezzo stampa, atteso che lo scritto non contiene la
indicazione "comunicato stampa" e non era stato inviato a alcun
giornale;
- non è stata tenuta in alcuna considerazione la circostanza
che i fatti oggetto del comunicato fossero veri;
- correttamente
lette, mentre le espressioni contenute nei comunicati provenienti da
essa concludente costituiscono legittimo esercizio del diritto di
critica, quelle usate da controparte e, in particolare, dal C. hanno
contenuto diffamatorio e giustificavano, per l'effetto, la condanna di
controparte.
3. Come evidenziato dal P.G. i descritti motivi, per
alcuni versi manifestamente infondati, per altri inammissibili non
possono trovare accoglimento.
3.1. Quanto, in particolare alle censure
sollevate dalla ricorrente sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c.,
n. 5 - premesso che i Giudici del merito hanno adeguatamente esposto le
ragioni alla luce delle quali hanno ritenuto diffamatoria la "maliziosa
strumentalizzazione dell'infortunio nel quale" del tutto
incolpevolmente era incorso l'Associazione Telefono azzurro indicato
nel volantino che propagandava l'iniziativa (OMISSIS) un numero
corrispondente a quello di una hot line e, analogamente, hanno indicato
le ragioni alla luce del quale era privo di qualsiasi contenuto
diffamatorio la dichiarazione del C. - si osserva, in termini opposti,
rispetto a quanto presuppone la difesa della ricorrente e alla luce di
quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che
consolidata di questa Corte regolatrice, che in questa sede non può che
ulteriormente ribadirsi, che il vizio di omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per Cassazione ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, si configura solo quando nel
ragionamento del Giudice di merito sia riscontrabile il mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati
dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra
le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione
del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.
Detti
vizi non possono, peraltro, consistere nella difformità
dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal Giudice del merito
rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel
giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine
valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza,
scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro
mezzo di prova (Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass. 20 aprile 2006, n.
9234; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 20 ottobre 2005, n.
20322).
L'art. 360 c.p.c., n. 5 - infatti - contrariamente a quanto
suppone l'attuale ricorrente non conferisce alla Corte di Cassazione il
potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa,
bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e
della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal
Giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti.
Ne
deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della
motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame
del ragionamento svolto dal Giudice, quale risulta dalla sentenza, che
si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non già quando il Giudice
abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un
significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.
Certo quanto sopra si osserva che parte ricorrente lungi dal denunziare
vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si
limita - in buona sostanza per quanto è dato comprendere - a
sollecitare una diversa lettura, delle risultanze di causa preclusa in
questa sede di legittimità. 3.2. Manifestamente infondato, è l'assunto
secondo cui la ricorrente non poteva essere ritenuta responsabile di
diffamazione a mezzo stampa, atteso che sui volantino faceva difetto
l'indicazione "comunicato stampa" e lo stesso non conteneva alcuna
richiesta di pubblicazione.
E' sufficiente, infatti, al riguardo
considerare che, l'art. 595 c.p., sanziona la diffamazione a mezzo
della "stampa" totalmente prescindendo dalla circostanza che si sia, o
meno, a fronte di una pubblicazione periodica, o che lo stampato rechi,
o meno, la notazione "comunicato stampa", sì che non si è mai dubitato,
a quel che risulti che sussiste tale responsabilità anche in caso di
diffusione - come si è verificato nella specie - di "volantini" (cfr.,
ad esempio, Cass. 24 maggio 2001, n. 7091; Cass. pen., sez. 5^, 26
marzo 1997, n. 5109; Cass. pen., sez. 5^, 5 novembre 1986).
3.3. Non
colgono in alcun modo nel segno tutte le considerazioni svolte, specie
nel primo motivo, allorchè si sottolinea che il fatto descritto
rispondeva al vero.
Come osservato sopra i Giudici del merito, proprio
sul presupposto che in realtà il numero indicato nel volantino diffuso
dalla Associazione Telefono Azzurro coincideva al numero di una hot
line hanno ritenuto denigratoria l'insinuazione posta in essere dalla
odierna ricorrente allorchè da una tale circostanza (vera, ma in alcun
modo riferibile a un comportamento voluto dalla Associazione Telefono
Azzurro) ha tratto la conclusione che si trattava "di fatto molto
grave" e "increscioso", che dovrebbe far valutare alla Giunta e al
Consiglio Comunale di Monza .. la reale serietà e professionalità di
certe associazioni.
3.4. In merito alla denunziata "violazione o falsa
applicazione di norme di diritto e, segnatamente dell'art. 21 Cost.",
sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, preme evidenziare la
manifesta inammissibilità della deduzione.
In conformità, in
particolare, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte
regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella
specie deve ulteriormente ribadirsi - infatti - il ricorso per
Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i
quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità,
completezza e riferibilità alla decisione impugnata.
Il ricordato
principio comporta - in particolare - tra l'altro che è inammissibile
il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella
quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo
sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna
dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in
grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene
di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312).
In altri termini, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi
violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche
disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto
contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le
disposizioni indicate - o con l'interpretazione delle stesse fornita
dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina - il
motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di Cassazione di
adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della
denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29
novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18
ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).
Pacifico
quanto precede si osserva che parte ricorrente, lungi dall'indicare
quale sia la interpretazione data dell'art. 21 Cost., dalla sentenza
impugnata e le ragioni per cui questa non possa essere accolta, si
limita a dolersi dell'esito della lite, diverso da quello da lei
auspicato, nonchè della valutazione delle emergenze di causa così come
compiute dai Giudici del merito, assumendo che queste potevano -
dovevano essere diversamente interpretate con conseguente rigetto di
ogni domanda attrice ed è di palmare evidenza, pertanto, che la
deduzione, come anticipato, è inammissibile.
4. Risultato infondato in
ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della
parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come
in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso;
condanna la
ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 100,00
per spese, Euro 3.000,00 per onorari, e oltre rimborso forfetario delle
spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella
Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di
Cassazione, il 16 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno
2007
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c.p.c. art. 360
c.p. art. 595
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