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martedì 18 giugno 2013

Cassazione: Illecito, da parte del pubblico ufficiale, l'uso delle armi contro una persona in fuga Piazza Cavour conferma il diritto al risarcimento del ferito e boccia la tesi di un colpo esploso accidentalmente da un carabiniere durante una colluttazione: era stato esploso da circa due metri di distanza mentre il fermato scappava




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Illecito, da parte del pubblico ufficiale, l'uso delle armi contro una persona in fuga
Piazza Cavour conferma il diritto al risarcimento del
ferito e boccia la tesi di un colpo esploso accidentalmente da un
carabiniere durante una colluttazione: era stato esploso da circa due
metri di distanza mentre il fermato scappava



Cass. civ. Sez. III,
22-05-2007, n. 11879


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FANTACCHIOTTI Mario -
rel. Presidente

Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere

Dott. AMATUCCI
Alfonso - Consigliere

Dott. LEVI Giulio - Consigliere

Dott. LANZILLO
Raffaella - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul
ricorso proposto da:

...omissisvld..., elettivamente domiciliato in ROMA VIA
GIANDOMENICO ROMAGNOSI 1/B, presso lo studio dell'avvocato
MELIADO'GIOVANNI F., che lo difende unitamente all'avvocato ADALBERTO
NERI, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

S.W.,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIAMBATTISTA VICO 1, presso lo
studio dell'avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO, che lo difende
unitamente all'avvocato GIACOMO PEZZOTTA, giusta delega in atti;

-
controricorrente -

avverso la sentenza n. 90/03 della Corte d'Appello
di BRESCIA, prima sezione civile, emessa il 23/10/02, depositata il
11/02/03, R.G. 419/01;

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 19/04/07 dal Consigliere Dott. Giovanni FEDERICO;

udito l'Avvocato Lorenzo PROSPERI MANGILI;

udito il P.M., in persona
del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.


--------------------------------------------------------------------------------
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
S.W. ha chiesto la
condanna di ...omissisvld... al risarcimento dei danni sofferti per le lesioni
riportate il (OMISSIS) perchè attinto da un proiettile sparato dalla
pistola del carabiniere G., che, nell'esercizio di un servizio di
appostamento, aveva tentato di fermarlo per identificarlo.

Lo S. ha
sostenuto, infatti, che l'azione del militare era del tutto
ingiustificata dato che il proiettile era stato sparato mentre egli
stava per allontanarsi dal militare che, senza dichiararsi, gli si era
improvvisamente parato dinnanzi in un luogo buio ed isolato.

Il G. si
è opposto a questa domanda sostenendo che il colpo era stato esploso
accidentalmente durante una colluttazione con lo S. che, alla
intimazione dell'alt, lo aveva aggredito afferrandolo per il collo e
prendendogli il polso del braccio destro.

La domanda, rigettata dal
tribunale di Brescia, è stata invece accolta, con sentenza del 23
ottobre 2002/11 febbraio 2003, dalla Corte di appello, dinnanzi alla
quale la sentenza del giudice di primo grado era stata impugnata dallo
S..

La predetta Corte di merito ha, in particolare, ritenuto che
dovesse ritenersi provato che il colpo è stato sparato dall'arma del
carabiniere ad una distanza di oltre due metri e che ciò esclude la
possibilità di supporre che lo sparo sia stato accidentale, durante la
colluttazione, deponendo a favore della versione dei fatti fornita
dalla vittima, per la quale il colpo è stato sparato mentre essa stava
per allontanarsi dal suo antagonista volgendo allo stesso le spalle.

Tale ricostruzione del fatto, sostanzialmente basata sulla assenza di
tracce di polvere da sparo nel maglione che indossava lo S. durante
l'episodio, ed in prossimità dei fori di entrata e/o di uscita del
proiettile, ha indotto la Corte di merito ad addebitare ad
ingiustificata azione dolosa o colposa del carabiniere la
responsabilità dell'evento, data la inapplicabilità della esimente
dell'art. 53 c.p., la quale richiede che l'uso dell'arma sia imposto
dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza
e non è perciò applicabile nel momento in cui la violenza ha esaurito i
suoi effetti o la resistenza è cessata.

...omissisvld... ha impugnato questa
sentenza con ricorso per cassazione.

S.W. resiste con controricorso.

E' stata depositata memoria nell'interesse del controricorrente.

MOTIVI

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia il
vizio di "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in
relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5".

Si addebita alla Corte di
merito: a) di avere negato che una colluttazione vi sia stata tra il G.
e lo S. senza darsi carico di valutare la rilevanza indiziaria delle
contusioni - traumatiche alla coscia, alla spalla ed al polso destro e
delle escoriazioni in regione cervicale latero sinistra accertate dai
sanitari dell'Ospedale di (OMISSIS), ove lo S. è stato ricoverato dopo
la lesione prodotta dal proiettile sparato dal G., di per se
indicative, senza possibilità di equivoco, proprio di una pregressa
colluttazione; b) di avere considerato affatto certo che il foro di
entrata del proiettile si trovava nella regione dorsale del corpo della
vittima e quello di uscita, conseguentemente, nella parte anteriore del
corpo sulla base di una supposizione dei sanitari che hanno visitato la
predetta vittima del tutto priva di ogni obbiettiva giustificazione,
come del resto chiarito proprio dal perito del giudice che ha appunto
evidenziato come le caratteristiche dei due fori (quello di entrata e
quello di uscita) prodotti dal proiettile non consentivano un simile
accertamento; c) di avere ritenuto che il G. ha esploso il colpo mentre
lo S. si stava allontanando, volgendo le spalle al suo antagonista,
sulla base della posizione del tronco dello stesso, che era lievemente
piegato in avanti, senza darsi carico delle precise considerazioni al
riguardo del perito del giudice, che, invece, ha specificamente
chiarito come quella posizione fosse perfettamente compatibile sia con
la versione dei fatti fornita dal carabiniere, per il quale il colpo è
partito durante la colluttazione, sia con la versione dei fatti
proposta dalla vittima, per la quale il colpo è stato esploso mentre
egli, essendosi divincolato, stava cercando di allontanarsi; d) di
avere assegnato valore decisivo alla circostanza che il colpo è stato
esploso ad una distanza di oltre due metri senza considerare che essa
prova solo che in quell'istante i due corpi non erano avvinghiati e non
anche che non vi fosse tra i due una colluttazione con movimenti che
implicavano l'allontanamento temporaneo dei due contendenti ed il loro
successivo avvicinamento.

1.1. Il motivo è infondato.

1.1.a. La prima
censura del motivo in esame muove da una errata lettura della sentenza
impugnata, nella quale non si nega affatto lo scontro fisico tra il
carabiniere e la vittima seguito alla reazione di quest'ultima contro
il carabiniere che, pistola in pugno, le si era avvicinato ma si
afferma solo che il colpo è stato sparato solo quando lo S. cercava di
fuggire.

1.1.b. La seconda censura investe l'apprezzamento delle prove
compiuto dal giudice di merito secondo procedimenti deduttivi
logicamente plausibili e perciò incensurabili posto che il giudice
predetto ha utilizzato le "supposizioni" dei sani tari che per primi
hanno visitato lo S. ferito dal colpo di arma da fuoco solo per trarre
da esse una conferma della prova indiziaria di eguale senso tratta
dalla istanza del corpo della vittima dalla pistola nel momento in cui
il colpo è stato esploso.

Nè può dirsi che nella ricostruzione del
fatto sia mancata del tutto l'attenzione per le conclusioni del perito
se è vero che nello stesso ricorso si chiarisce come il predetto perito
abbia solo evidenziato come i due fori presenti nel corpo della vittima
presentassero caratteristiche che non consentivano di distinguere quale
fosse quello di entrata e quale quello di uscita del proiettile.

1.1.
e. E' analoga la sorte che merita la terza censura che, come la
precedente, investe la valutazione di un elemento indiziario compiuta
dal giudice di merito secondo un procedimento logico coerente e perciò
incensurabile in questa sede.

La Corte territoriale non si è servita,
infatti, dell'accertamento compiuto dal perito sulla posizione del
corpo della vittima (leggermente reclinato in avanti) nel momento dello
sparo per desumere da questa posizione, e solo da questa, la prova che
la vittima volgeva le spalle al suo antagonista ma si è servita, ancora
una volta del predetto elemento indiziario per trarre da esso una
conferma della versione dei fatti proposta dallo S., che ha considerato
soprattutto avvalorata, come si è detto, alla circostanza che
quest'ultimo, nel momento in cui è stato colpito, si trovava ad una
distanza di oltre due metri dall'arma del carabiniere e dalla
considerazione che una simile distanza esclude, secondo la Corte
territoriale, la possibilità di supporre che la colluttazione fosse
ancora in corso; argomento, quest'ultimo, affatto plausibile sul piano
logico nell'ottica che considera la posizione del corpo piegato in
avanti agevolmente spiegabile se si suppone che lo S. stava fuggendo e
poco plausibile se si supponesse che era ancora in atto la
colluttazione, la quale presuppone il contatto e comunque una distanza
dei corpi inferiore a quella, di oltre due metri, che, nella specie,
separavano il corpo dello S. dall'arma del carabiniere e dal corpo
dello tesso.

1.1.d. Anche l'ultima censura del primo motivo ripete gli
errori delle precedenti sollecitando, essa, una ricostruzione
alternativa del fatto che il giudice di merito ha escluso sulla base di
un argomento logico corretto e perciò incensurabile.

Non vi è dubbio
che la colluttazione tra due persone può anche svilupparsi in momenti
in cui i loro corpi si allontanano temporaneamente, ma la Corte
territoriale ha ritenuto che la distanza di oltre due metri sia
incompatibile con una siffatta ipotesi ricostruttiva e questa Corte non
riesce davvero a scorgere la illogicità di questa conclusione che,
sostanzialmente, muove dall'idea, tutt'altro che arbitraria, che il
distacco dei corpi durante una colluttazione non è normalmente
superiore ai due metri.

2. Con il secondo motivo si denuncia la
"violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 59 c.p., u.c. e
comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione
all'art. 360 c.p.c.".

La Corte, si afferma, ha negato l'esimente
prevista dall'art. 53 c.p. penale perchè ha ritenuto che questa
esimente non possa ricorrere quando l'aggressione nei confronti del
pubblico ufficiale ha esaurito la sua carica offensiva e sia in atto
solo una fuga, che di per se non esprime alcuna resistenza, così
dimenticando, anzitutto, che lo S. era stato imputato proprio del reato
di cui all'art. 337 c.p. per avere usato violenza al carabiniere mentre
compiva un atto del suo ufficio e che, in ogni caso, il carabiniere
aveva il dovere di portar a termine la sua azione perchè "al pubblico
ufficiale che si trovi in una situazione che imponga l'adempimento di
un dovere non è riconosciuta, come nel caso della legittima difesa, una
opzione di rinuncia".

In ogni caso, si afferma, la Corte territoriale
ha del tutto omesso di valutare se nei fatti dalla stessa accertati non
potessero ravvisarsi gli estremi della incriminante putativa.

2.1.
Anche questo motivo è infondato.

E' vero che lo S. aveva tentato di
resistere con la forza al carabiniere che gli intimava l'alt.

Ma la
Corte territoriale non ha affatto ignorato la circostanza che, anzi, ha
espressamente accertato per negare, però, che essa potesse giustificare
la scriminante dell'art. 53 c.p. dato che l'arma è stata utilizzata
quando ormai era cessata la resistenza attiva dello S.; argomento,
questo, che si ricollega al principio di diritto, più volte ribadito da
questa Corte, che, individuando il fondamento e la giustificazione
della disposizione dell'art. 53 c.p. cit. nella necessità di consentire
al pubblico ufficiale l'uso delle armi al fine di adempiere un dovere
del proprio ufficio, considera legittimo l'uso dell'arma solo in
presenza della necessità di respingere una violenza o superare una
resistenza attiva, le quali richiedono l'impiego della forza fisica o
morale e non sono perciò configurabili nel caso di fuga, che realizza
solo una resistenza passiva (sent. penale n. 6327/89 e n. 941/82), se
non effettuata con modalità che mettano a repentaglio l'incolumità del
terzo (sent. pen. 9961/2000 e 12137/1991).

3. La rilevata infondatezza
dei motivi che lo sostengono conduce al rigetto del ricorso con
condanna del ricorrente alle spese del giudizio in cassazione liquidate
in Euro 5.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi.

P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio in cassazione, liquidate in Euro 5.100,00
(cinquemilacento) in esse comprese Euro 5.000,00 per onorari ed Euro
100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così
deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile,
il 19 aprile 2007.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2007



 

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