REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.2594/2007Reg.Dec.
N. 4926 Reg.Ric.
ANNO 2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello proposto da ...omissisvld......omissisvld...
...omissisvld... rappresentato e difeso dall’avv. Daniela Consoli ed
elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. Gianluca Contaldi in via
Pierluigi da Palestrina 63;
contro
Ministero
dell’interno in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato
in Roma via dei Portoghesi 12;
Questura di Firenze, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana Sezione I n.8380 del 14 dicembre 2005.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 20 marzo 2007 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.
Uditi l’avv. Contaldi per delega dell’avv. Consoli e l’avv. dello Stato Cesaroni;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con
la sentenza in epigrafe il Tar della Toscana ha respinto il ricorso
proposto da ...omissisvld......omissisvld... ...omissisvld... avverso il
provvedimento del Questore di Firenze in data 6 aprile 2004 che gli
rifiutava il rinnovo del permesso di soggiorno.
L’adito
Tribunale premetteva che era impugnata una nota della Questura, Ufficio
immigrazione, sez Affari legali, con cui si chiariva che il permesso di
soggiorno per attesa occupazione poteva essere rinnovato solo se, prima
della data della sua scadenza, fosse stato instaurato un rapporto di
lavoro. Rilevava che il permesso di soggiorno per attesa occupazione
rilasciato al ricorrente, era scaduto il 4 marzo 2004, senza che nel
termine semestrale, fissato con provvedimento inoppugnabile, fosse stato
instaurato alcun rapporto di lavoro, e che la proroga di tale tipo di
permesso, nel sistema in cui il permesso di soggiorno è di regola
rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno (art.5,
comma 3-bis; art.5-bis D.lgs.n.286 del 1998, come mod. dalla legge
n.189\2002), non era prevista dalla legge. Considerava quindi che
l’interesse a un più lungo periodo di attesa occupazione avrebbe potuto
farsi valere solo nei confronti del provvedimento che fissava la
scadenza e che la dichiarazione di mera disponibilità all’assunzione non
equivaleva all’instaurazione tempestiva di un rapporto di lavoro, onde
il ricorso era infondato.
Appella l’originario ricorrente deducendo i seguenti motivi:
I.
FALSA APPLICAZIONE ED ERRONEA INTERPRETAZIONE DELL’ART.22 COMMA 11
D.LGS.286\98 IN COMBINATO DISPOSTO CON GLI ARTT. 8-9 CONV.OIL 143\75
RATIFICATA IN ITALIA CON L.10.4.1981 N.158
E’
errato che il legislatore non abbia previsto la proroga del permesso
per attesa occupazione, in mancanza di espressa previsione, come accade
per il permesso di soggiorno per motivi di turismo (art.13, comma 1, DPR
334\04 che dispone espressamente “non può essere rinnovato o prorogato
oltre la durata di 90 giorni”) o per i permessi di lavoro stagionale
(art.38 DPR 334\04).
Le
norma in materia di rinnovo, dettate dal D.lgs.286\04 e dal DPR 334\04,
trovano infatti applicazione generale eccezion fatta dei detti casi
espressamente previsti. Il principio per cui il lavoratore straniero che
perde il posto di lavoro mantiene la posizione di legalità nel
soggiorno, con conseguente diritto all’ottenimento del permesso di
soggiorno, è contenuto nella Convenzione OIL 143\1975, espressamente
all’art.8. Dovendosi il legislatore conformare al detto principio, ha
previsto che qualora il lavoratore perda il posto di lavoro, anche per
dimissioni, quest’ultimo è “iscritto nelle liste di collocamento per il
periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo
che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un
periodo non inferiore a sei mesi”(art.22,
comma 11, D.lgs.286\98). Detta norma è richiamata dall’art.13, comma 2,
del DPR 334\2002 che, nel dettare i requisiti per beneficiare del
rinnovo del permesso di soggiorno, rinvia e fa salvo quanto previsto
nell’art.22, comma 11, D.lgs., ovvero che incaso di rinnovo del permesso
per attesa occupazione, la p.a. non dovrà accertare la disponibilità di
un reddito, che ovviamente non può essere richiesta al lavoratore
straniero in condizione di disoccupazione. Quanto ai termini di durata
del permesso per attesa occupazione, l’art.22, comma 11, non a caso,
prevede solo un termine minimo. Tale locuzione è infatti riportata in
identico modo anche nel regolamento di attuazione, che all’art.37, comma
1, specifica e ribadisce il diritto del lavoratore a beneficiare di un
periodo per ricerca lavoro “non inferiore a sei mesi”. Il motivo per cui
la norma prevede solo un termine minimo è rinvenibile nel fatto che il
legislatore, ragionevolmente, ha previsto l’ipotesi che in relazione
alla posizione di alcuni lavoratori disoccupati, il termine semestrale
potrebbe non risultare sufficiente per reperire una nuova occupazione e
pertanto, questi, in ragione delle proprie vicende personali e in virtù
delle norme citate, potranno accedere al procedimento di rinnovo del
titolo proponendo la relativa istanza che dovrà logicamente essere
valutata dalla p.a. In armonia coi principi della normativa comunitaria e
internazionale, la normativa in vigore, riconosce a tutti i lavoratori
migranti il diritto a mantenere la posizione di legalità, e dunque il
diritto ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, anche in
assenza della titolarità di un regolare contratto di lavoro, per il
periodo minimo di sei mesi e per ulteriore periodo che la p.a dovrà
valutare caso per caso. Detta tutela è peraltro legata al principio di
parità di trattamento e piena eguaglianza tra lavoratori stranieri e le
loro famiglie, e lavoratori italiani, come previsto dalla citata
Conv.OIL, recepita anche in questo senso dall’art.2, comma 3, D.lgs.
286\98. Se il legislatore avesse voluto limitare la durata dei permessi
per attesa occupazione, come ritenuto dal Tar avrebbe utilizzato una
locuzione letterale esattamente opposta, quale ad esempio “per un
periodo non superiore a sei mesi”. In ogni caso il tenore letterale
dell’art.22, c.11, non lascia adito a dubbi.
II. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART.5 COMMA 5 D.LGS.286\98.
La
circostanza che nel caso di specie l’esponente abbia reperito una nuova
opportunità di lavoro, sottoscritta peraltro pochi giorni dopo la
scadenza del titolo avente durata minima, non è stata presa in
considerazione ai fini del rinnovo del titolo, in violazione dell’art.5,
comma 5, del D.lgs. 286\98. I nuovi elementi sopraggiunti risultano
infatti provati in corso di causa (cfr; all.3 al ricorso) e non vi era
alcuna irregolarità amministrativa che non fosse sanabile. In primo
luogo perché l’istanza è pervenuta alla p.a. nei termini utili, 60
giorni dalla scadenza del permesso, come sancito da SS.UU.n.7892\2003,
ed in secondo luogo perché l’amministrazione aveva il potere
discrezionale di valutare le ragioni poste a fondamento della richiesta
di permesso di soggiorno recependo l’istanza e rilasciando il cedolino
che avrebbe permesso al ricorrente la formalizzazione del contratto di
lavoro. Cassazione I Sez.3 febbraio 2006, n.2147, ha chiarito che,
previsto all’art.5, comma 5, che si debba tener conto dei nuovi elementi
che consentano il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, la
valutazione del possesso da parte dello straniero di adeguati mezzi di
sussistenza va riferita non tanto al momento in cui viene presentata la
domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, ma al momento in cui la
p.a. è chiamata a pronunciarsi, facendo riferimento non alla situazione
pregresso ma alle condizioni attuali dello straniero. Nel caso di specie
la p.a., alla luce della nuova circostanza che ha indotto il ricorrente
a chiedere il rinnovo, avrebbe dovuto dapprima recepire l’istanza,
giustificata proprio dal fatto sopravvenuto, rilasciando il cedolino
attestante il deposito della domanda, con cui il ricorrente avrebbe poi
potuto stipulare un regolare contratto col datore disposto
all’assunzione.
Se
l’amministrazione avesse correttamente operato, al momento di istruire
il procedimento, avrebbe accertato la presenza di tutti i requisiti in
capo al ricorrente, anche in relazione ai mezzi di sussistenza, potendo
poi definire positivamente il procedimento di rinnovo attribuendo al
...omissisvld..., persino un permesso di soggiorno per lavoro
subordinato. Il mantenimento della regolarità dell’esponente non
contrastava con alcun interesse pubblico ed anzi la finalità che
l’amministrazione dovrebbe perseguire è quella di mantenere, quando
possibile, la regolarità del soggiorno.
III. FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.5 COMMA 3-BIS E 5 BIS D.LGS 286\98.
Le
norme invocate dal Tar a sostegno dell’improrogabilità del titolo, non
attengono alla fattispecie oggetto di giudizio, riferendosi a diversa
ipotesi, quella del lavoratore straniero che entri per la prima volta
nel territorio italiano e che debba ottenere non il rinnovo ma il
rilascio del primo permesso di soggiorno. Il destinatario dell’art.5,
comma 3bis, è colui che preliminarmente ottiene dall’ambasciata italiana
competente nello Stato di origine un visto di ingresso per motivi di
lavoro e, successivamente entrato in Italia, otterrà il rilascio del
permesso per lavoro dietro la previa stipula del contratto secondo il
disposto dell’art.5 bis. In fase di rinnovo, il contratto di lavoro non è
requisito previsto dalla legge ai fini della regolarità del soggiorno:
se così non fosse, gli artt.8 e 9 Conv.OIL e l’art.22, c.11, verrebbero
svuotati del loro reale contenuto, e la relativa disciplina sarebbe
violata se l’amministrazione rifiutasse il rinnovo in assenza di un
contratto in corso di validità: Tanto è vero che l’art.13, comma 2, DPR
334\04, “rinnovo del permesso di soggiorno”, allorché richiede la
documentazione attestante la disponibilità di un reddito fa
espressamente salva l’ipotesi prevista dall’art.22, comma 11.
IV. ERRONEITA’ E CONTRADDITTORIETA’ DELLA MOTIVAZIONE.
IL
Tar, nel secondo motivo a sostegno del rigetto, assume che “l’interesse
a un più lungo periodo di attesa occupazione potrebbe farsi valere solo
nei confronti del provvedimento che fissi la scadenza”. Con ciò il Tar
esclude la perentorietà del termine semestrale quale termine massimo, ex
art.22, c.11, essendo nel nostro ordinamento, perentori solo i termini
espressamente definiti tali, riconoscendo che il titolo per attesa
occupazione possa avere anche durata maggiore della semestrale. Assume
tuttavia che detto interesse possa farsi valere unicamente al momento
dell’attribuzione del titolo. Ma il lavoratore straniero, al momento
dell’ottenimento di un permesso che risulti rispettoso dei termini di
durata prevista dalla legge, non ha alcun interesse a richiedere la
proroga del permesso di soggiorno e\o l’ottenimento di un titolo di
durata oltre i sei mesi. Trovandosi in stato di disoccupazione, spera
chiaramente di non rimanere in detta condizione a lungo. Al momento del
rilascio del titolo, poi, la p.a. esigerebbe di una congrua motivazione a
sostegno di una tale richiesta di un più lungo termine, motivazione che
non ci sarebbe in nessun caso. Il cittadino straniero non può perciò
inoltrare una richiesta di soggiorno per attesa occupazione superiore a
quella minima, in quanto carente di interesse. Questo sarà ben presente
al verificarsi del fatto nuovo che legittimerà una richiesta di rinnovo,
così in ipotesi di reperimento di un nuova occasione di lavoro , o
anche in ipotesi di impossibilità al reperimento per causa di forza
maggiore, quindi, in tutti i casi che logicamente seguono la già
avvenuta attribuzione del titolo semestrale in quanto non possono
precederla.
Priva
di pregio è la circostanza che una Circolare ministeriale, del 23
ottobre 2000, antecedente alla riforma del 2002 apportata all’art.22,
c.11, D.lgs.268\98, affermi incidentalmente che il termine annuale,
previsto ante legem 189\2002, sia un termine massimo improrogabile; il
rilascio da parte delle questure di permessi di durata pari a quella
minima è una prassi che non può essere portata a sistema generale della
materia. Le circolari, infatti, sono meri atti interni all’Ufficio non
idonee a limitare i diritti attribuiti dalla legge.
V. CARENZA DELLA MOTIVAZIONE.
La
sentenza non ha motivato in relazione al motivo di doglianza volto a
far valere la violazione dell’art.3 l.n.241\90. Se la p.a. è tenuta,
operando in modo vincolato, ad attribuire permessi per attesa
occupazione, della durata pari al termine minimo di legge, (diritto
riconosciuto dalla legge in modo automatico), la stessa p.a. dinnanzi ad
una richiesta di rinnovo e\o estensione del permesso semestrale,
procederà in modo discrezionale. La p.a. sarà allora tenuta a valutare
le circostanze, i fatti nuovi, e sopravvenuti, e le ragioni poste a
fondamento dell’istanza, definendo il procedimento con un provvedimento
che, essendo frutto di giudizio discrezionale, non può sottrarsi
all’obbligo di motivazione, del tutto inadempiuto nel caso di specie con
riferimento alle circostanze addotte dal ricorrente ai fini del
rinnovo. La p.a. ha dapprima rifiutato il deposito dell’istanza, in
eccesso di potere, e successivamente ha rigettato il titolo sulla scorta
non di una motivata valutazione negativa, ma sull’erroneo presupposto
che il contratto di lavoro è conditio sine qua non per ottenere il
rinnovo del titolo di soggiorno; ( nella stessa illegittimità è incorso
il Tar ricalcando il percorso del provvedimento impugnato).
VI. FALSA APPLICAZIONE DELL’ART.13 COMMA 5 D.LGS. 286\98.
Le
SS.UU. della Cassazione, sent.20 maggio 2003, n.7982, hanno chiarito,
in relazione all’art.13, comma 5, D.lgs. 286\98, che non essendovi
alcuna distinzione nella posizione di soggiorno tra lo straniero che
abbia presentato tempestivamente la domanda di rinnovo e quello che
invece non ne abbia chiesto il rinnovo un mese prima della scadenza del
permesso di soggiorno, non può essere disposta l’espulsione, prima del
decorso del termine di tolleranza di 60 gg. dopo la scadenza del titolo.
Da ciò la contraddittorietà del provvedimento che assume che se il
lavoratore non stipula nei sei mesi alcun contratto di lavoro, deve
abbandonare il territorio nazionale. Ciò non è conciliabile col
principio di uguaglianza e coi principi cardine della Convenzione OIL.
Se i lavoratori stranieri in possesso di regolare contratto di lavoro
possono utilmente servirsi del termine di tolleranza di 60 giorni
successivi alla scadenza del titolo per procedere al rinnovo dello
stesso, come chiarisce la Cassazione, non può legittimarsi una disparità
di trattamento rispetto ai lavoratori stranieri che perdano il posto
(che per l’art.8 della Convenzione hanno diritto a non essere
considerati in posizione illegale), laddove non ne potessero usufruire.
Da
un lato non è dato comprendere, seguendo il provvedimento impugnato
nell’interpretazione avallata dal Tar, che configurazione giuridica
abbiano i lavoratori disoccupati nel termine di tolleranza di 60 giorni,
dall’altro, ammettendo l’improrogabilità del permesso per attesa
occupazione, dovendo il lavoratore stipulare un contratto entro i sei
mesi di durata, quest’ultimo beneficerebbe, in ultima analisi, di un
termine inferiore a quello minimo di legge per ricercare e stipulare un
nuovo contratto.
Si
è costituita l’Amministrazione sostenendo, anche con breve memoria
riassuntiva delle difese svolte in primo grado, l’infondatezza
dell’appello.
DIRITTO
L’appello può essere accolto nei limiti indicati dalla pronunzia adottata in fase cautelare.
Deve
infatti premettersi che, in linea di principio, la disciplina vigente
in tema di condizione del lavoratore straniero, quale risultante dal
D.lgs. 25 luglio 1998, n.286, e dal D.P.R. 31 agosto 1999, n.394,
entrambi nelle versioni risultanti dalle modifiche apportate,
rispettivamente, dalla legge 30 luglio 2002, n.189, e dal corrispondente
regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 18 ottobre 2004, n.334, è
nei sensi indicati dal provvedimento impugnato in prime cure, condivisi
dalla sentenza di prime cure.
Contrariamente
a quanto assume l’appellante, in base ad una lettura incompleta ed
inesatta delle norme invocate, l’art.22, comma 11, del D.lgs. 286\98,
non prevede affatto che il c.d. permesso di soggiorno “per attesa
occupazione” sia rilasciato per un periodo “minimo” di sei mesi, né in
tal senso può trovarsi conferma nell’art.37, del D.P.R. 394\99, se letto
correttamente nell’integralità delle sue disposizioni.
L’art.22,
comma 11, cit., infatti, dispone:” La perdita del posto di lavoro non
costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore
extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il
lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro
subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi.
Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai
centri per l’impiego, anche ai fini dell’iscrizione del lavoratore
straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi
lavoratori extracomunitari”.
La
norma così formulata, secondo il suo obiettivo significato risultante
dalle espressioni adottate, stabilisce che l’iscrizione nelle liste di
collocamento avviene,- condizionando logicamente la durata del connesso
titolo permissivo del soggiorno-, in prima battuta, per il periodo di
residua validità del permesso di soggiorno, con ciò attuandosi la
previsione che la sopravvenuta disoccupazione non implica la revoca del
titolo a permanere legalmente nel territorio dello Stato; peraltro,
qualora il periodo di residua validità sia inferiore ai sei mesi, la
legge soccorre la posizione dell’interessato, concedendogli, comunque,
un periodo di iscrizione di almeno sei mesi, al fine di consentirgli la
disponibilità di un congruo lasso di tempo per reperire una nuova
occupazione.
Ne
discende che la concessione del periodo di sei mesi ha riguardo solo ed
esclusivamente all’ipotesi che il periodo residuale di vigenza del
precedente titolo sia ad esso inferiore, e dunque non configura alcun
generale potere discrezionale di concedere un permesso di soggiorno che,
secondo la prospettazione dell’appellante, avendo in ogni caso una
“prima” durata minima di sei mesi (tesi sostenuta dall’appellante), sia
perciò prorogabile oltre tale termine.
Conferma
di ciò si riscontra nell’art.37 del D.P.R. 394\99. Questo prevede al
comma secondo che lo straniero, naturalmente, possa “avvalersi della
previsione di cui all’art.22, comma 11, del testo unico”, regolando le
relative formalità procedurali. Tuttavia, ai commi 5 e 6, dispone che:
“5.
Quando a norma delle disposizioni del testo unico e del presente
articolo, il lavoratore straniero ha diritto a rimanere nel territorio
dello Stato oltre il termine fissato dal permesso di soggiorno, la questura rinnova il permesso medesimo, previa documentata domanda dell’interessato, fino a sei mesi dalla data di iscrizione delle liste
di cui al comma 1 ovvero di registrazione nell’elenco di cui al comma
2. Il rinnovo del permesso è subordinato all’accertamento, anche per via
telematica, dell’inserimento dello straniero nelle liste di cui al
comma 1 o della registrazione nell’elenco di cui al comma 2. Si
osservano le disposizioni dell’art.36 bis” (che, a sua volta prevede che
per l’instaurazione di nuovo rapporto di lavoro deve essere
sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno di cui all’art.13 stesso
D.P.R.).
“6.
Allo scadere del permesso di soggiorno, di cui al comma 5, lo straniero
deve lasciare il territorio dello Stato, salvo risulti titolare di un
nuovo contratto di soggiorno per lavoro ovvero abbia diritto al permesso
di soggiorno ad altro titolo, secondo la normativa vigente”.
Le
disposizioni riportate, dunque, confermano, quanto detto in relazione
alla determinazione del termine indicato dall’art.22, comma 11, del
D.lgs.286\98, e, quindi, che il periodo di sei mesi va inteso come
termine massimo, e non minimo, di permanenza “oltre il termine fissato
dal permesso di soggiorno”.
Ciò
in quanto il periodo residuo di vigenza del permesso di soggiorno per
lavoro subordinato, venuto meno a seguito di intervenuta disoccupazione,
sia risultato, appunto, talmente breve (in teoria fino ad un giorno
prima della scadenza del titolo originario), da doversi concedere un
periodo di iscrizione alle liste utile alla ricerca del posto di lavoro,
e quindi abilitativo ad un titolo provvisorio oltre la scadenza del
titolo originario, pari o prossimo, appunto, a quello di sei mesi
previsto dall’art.22, comma 11.
Se
invece il periodo residuo di validità dell’originario permesso di
soggiorno fosse stato superiore a sei mesi, esso, nella valutazione del
legislatore, rimane utile per la permanenza nel territorio dello Stato,
ma non rende necessario che il permesso per attesa occupazione (che si
tramuta in una “novazione” dell’originario titolo per il tempo residuo)
rechi una scadenza oltre il termine fissato dall’originario permesso di
soggiorno.
Quindi,
sia che l’attesa occupazione abbia costituito titolo per una permanenza
oltre il termine originariamente stabilito, sia che, come s’è visto,
tale ipotesi non si sia resa necessaria, allo scadere del permesso di
soggiorno comunque rilasciato per consentire la stipula di un nuovo
contratto di lavoro, (che può eccedere i sei mesi soltanto se in tale
misura risulti il periodo di residua validità del titolo originario), lo
straniero deve lasciare il territorio dello Stato, salvo, naturalmente,
il caso che risulti titolare di un nuovo contratto di soggiorno per
lavoro (ipotesi che riguarda il caso qui in decisione, in cui non viene
in rilievo “altro titolo”).
Ne
discende che il permesso di soggiorno previsto dall’art.37, comma 5,
del citato D.P.R. n.394\99, come sostituito dall’art.33 del D.P.R.
n.334\04, non è rinnovabile, ma, entro lo spirare del suo termine,
determinabile nella misura massima nei modi sopra specificati, può
sfociare o nella concessione di un nuovo permesso di soggiorno per
lavoro subordinato, in osservanza delle disposizioni dell’art.36 bis
dello stesso D.P.R., ovvero nell’obbligo per lo straniero di lasciare il
territorio dello Stato.
Tale
meccanismo costituisce la specificazione del principio di legame
indissolubile tra rilascio del permesso di soggiorno e stipula del
contratto di soggiorno sancito dal combinato disposto dell’art.5, comma
ter, e dell’art.5 bis del D.lgs. n.286 del 1998, nella sua attuale
formulazione, esattamente come indicato dal Tar.
E’
escluso, dunque, che sia configurabile, rispetto al permesso di
soggiorno per attesa occupazione, un potere discrezionale di proroga
oltre il termine ricavabile dall’art.37 citato, che, d’altra parte,
indica appunto un termine massimo, risultandone smentite tutte le
censure variamente articolate dall’appellante sull’erroneo presupposto
che il termine semestrale indicato nell’art.22, comma 11, del
D.lgs.n.286 del 1999 sia un “termine minimo”.
Né
risulta ipotizzabile una violazione dell’art.8 della Convenzione O.I.L.
n.143\75, ratificata con legge 10 aprile 1981, n.158, posto che la
disciplina interna qui analizzata prevede appunto che la perdita del
posto di lavoro non determini affatto il ritiro del permesso di
soggiorno già rilasciato, ma innesca solo una “novazione” del titolo
restandone inalterata la durata.
Al
contempo, il complessivo meccanismo disciplinato dall’art.37 del D.P.R.
394\99, in attuazione della previsione nello stesso senso dell’art.22,
comma 11, D.lgs.n.286\98, attribuisce al lavoratore “migrante” un
trattamento identico a quello dei cittadini nazionali, e proprio con
riguardo alle “garanzie relative alla sicurezza dell’occupazione, la
riqualifica, i lavori di assistenza e di reinserimento”, provvidenze
perfettamente compatibili e positivamente stabilite con il citato
art.37, con l’unico correttivo che l’operatività del sistema agevolativo
del reperimento di una nuova occupazione è limitata nel tempo, cioè
soggetta ad un termine che, risultando “ragionevole” rispetto allo scopo
perseguito, (il reinserimento nel mondo del lavoro), garantisce un
adeguato livello di tutela.
Per contro, il diverso risultato di un’applicabilità sine die
del sistema finalizzato al collocamento del lavoratore “licenziato,
dimesso o invalido” (come si esprime la rubricazione dello stesso
art.37), presupporrebbe un’equiparazione incondizionata del “migrante”
al cittadino nazionale, laddove non può ritenersi che, dal rilascio del
permesso di lavoro, scaturisca, in virtù della Convenzione in parola, un
obbligo, in definitiva, di concedere al lavoratore straniero lo status di cittadinanza o uno comunque equivalente.
Alla
risoluzione della controversia in favore del ricorrente, peraltro, può
pervenirsi seguendo un percorso compatibile con le disposizioni
nazionali finora esaminate, se interpretate unitamente ad altre
previsioni recate dalle stesse fonti normative, pur esse invocate nelle
censure appellatorie (in relazione ai motivi IV e V dedotti nel ricorso
di primo grado).
Soccorre
infatti l’art.5, comma 5, del D.lgs.n.286 del 1998, che permette allo
straniero di evitare un provvedimento negativo nel caso in cui la
carenza dei requisiti richiesti per il rilascio od il rinnovo del
permesso di soggiorno dipenda da mere irregolarità amministrative
sanabili o possa essere superata da nuovi elementi integranti le
condizioni di legittimazione; la disposizione in questione va infatti
interpretata nel senso che i requisiti per il rinnovo del detto permesso
devono essere valutati al momento dell’assunzione della decisione da
parte dell’Autorità amministrativa, con la conseguenza che l’istante
può, tra l’altro, integrare la documentazione carente fino al detto
momento.
Il
principio ora affermato, avente appunto fondamento positivo nell’art.
5, comma 5, citato, si applica nel caso di specie anche in relazione
all’art.13, comma 5, dello stesso D.lgs.n.286 del 1998, e della
giurisprudenza di questa stessa Sezione formatasi in relazione al
termine di presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di
soggiorno.
Da
un lato il predetto art.13, comma 5, nel prevedere che l’espulsione sia
intimata nei confronti dello straniero solo “quando il permesso di
soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni”, introduce un
“termine di tolleranza” durante il quale è escluso che lo straniero che
non abbia presentato tempestivamente domanda di rinnovo del permesso di
soggiorno sia in una condizione che gli precluda la richiesta
“tardiva”; dall’altro, il termine indicato dall’art.5, comma 4, del
D.lgs.n.286\98 per la detta presentazione dell’istanza di rinnovo non ha
natura perentoria ma ordinatoria o acceleratoria, onde è illegittimo il
diniego di rinnovo motivato con esclusivo riferimento al decorso del
termine di legge, senza tenere conto delle circostanze che hanno
determinato il ritardo nella presentazione dell’istanza (giurisprudenza
costante, da ultimo VI, 11 settembre 2006, n.5240).
Applicando
i detti principi al caso di specie, ne discende che l’istanza del
ricorrente poteva essere presa in esame ancorché proposta
successivamente alla scadenza del permesso di soggiorno (in disparte
ogni considerazione sull’allegato rifiuto di accettare l’istanza in
precedenza opposto dall’Amministrazione a detta del ricorrente stesso),
e, quindi, anche con riferimento al 5 aprile 2004 rispetto ad una
scadenza del permesso per attesa occupazione intervenuta il 4 marzo
2004, collocandosi la detta istanza comunque entro il termine di
tolleranza previsto dall’art.13, comma 5, D.lgs. n.286\98, invocato
dall’interessato.
Inoltre,
anche con riferimento alla detta istanza, la sussistenza dei requisiti
andava presa in esame in relazione al momento, di effettiva
presentazione dell’istanza, sopra specificato, ai sensi dell’art.5,
comma 5, del D.lgs.n.286\98.
Pertanto,
non rileva che, come opposto dal provvedimento impugnato, “alla
scadenza del permesso di soggiorno…il nominato in oggetto non aveva
instaurato alcun rapporto di lavoro” e che “la mera disponibilità
all’assunzione non equivale all’instaurazione di un nuovo rapporto di
lavoro”.
In
effetti, la dichiarazione in data 12 marzo 2004, allegata in sede di
richiesta di rinnovo dal ricorrente, relativa alla disponibilità
all’assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro, poteva costituire
un “nuovo elemento” che consentiva il rilascio del permesso, da
considerare, alla data del 6 aprile di adozione del diniego impugnato,
in base all’art.5, comma 5, citato.
Nel
mentre, la mancata stipula del contratto di soggiorno per lavoro
subordinato ex art.5 bis s.l., poteva considerarsi, nel contesto, mera
irregolarità amministrativa sanabile. Questo perchè, come già rilevato
in sede cautelare da questa Sezione, il contratto non si era potuto
prefezionare per la scadenza di validità, da pochi giorni intervenuta,
del permesso di soggiorno per attesa occupazione, mancando, in ogni
caso, in quel momento, per il rifiuto opposto dall’Amministrazione, la
ricevuta della presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di
soggiorno.
La
predetta carenza, da ritenere mera irregolarità sanabile, è stata in
effetti ovviata a seguito dell’emanato provvedimento cautelare, tanto
che il ricorrente, avendo ottenuto il “cedolino” comprovante l’avvenuta
presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, ha
potuto formalizzare il contratto ex art.5 bis e ottenere un idoneo
titolo di permanenza nel territorio dello Stato.
Nei limiti sopra specificati, dunque, l’appello va accolto.
L’incertezza
della normativa in applicazione giustifica tuttavia l’integrale
compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il
ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando la sentenza
impugnata.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, il 20.3.2007 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con
l'intervento dei Signori:
Claudio Varrone Presidente
Paolo Buonvino Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere Est.
Domenico Cafini Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere Segretario
LUCIANO BARRA CARACCIOLO GLAUCO SIMONINI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il...22/05/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 4926/2006
FF
Nessun commento:
Posta un commento