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COMPETENZA E GIURISDIZIONE PEN.
Cass. pen. Sez. Unite, (ud. 25-10-2005) 10-02-2006, n. 5135 |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARVULLI Nicola - Presidente
Dott. MORELLI Francesco - Consigliere
Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Consigliere
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere
Dott. ROTELLA Mario - Consigliere
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
(Lpd), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
nei confronti della sentenza dela Corte militare
di Appello - Sezione distaccata di Napoli, in data 17 settembre 2004;
sentita la relazione fatta dal consigliere Dott.
Giorgio Lattanti;
udito il Sostituto Procuratore Generale militare
Dott. Francesco Gentile, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso;
udito il difensore dell'imputato, avv. Giuseppe
Ruggiero, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. (Lpd), per mezzo del suo difensore, ha
proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del 17 settembre
2004 con la quale la Corte militare di appello - Sezione distaccata di
Napoli ha confermato la condanna del ricorrente alla pena di anni 1 e
mesi 8 di reclusione militare per il reato di peculato militare
aggravato ( artt. 215 e 47 c.p.m.p., n. 2), pronunciata dal
Tribunale militare di Napoli il 20 novembre 2003.
Secondo l'imputazione il ricorrente, "all'epoca
dei fatti maggiore E.I., nell'esercizio delle funzioni di capo ufficio
amministrazione della Scuola allievi CC. di Campobasso, con più atti
esecutivi del medesimo disegno criminoso, avendo per ragione del suo
ufficio o servizio il possesso di somme di denaro appartenenti
all'Amministrazione militare, accreditate sul capitolo 4601 del bilancio
1995, se ne appropriava nella misura di L. 34.763.745 in concorso con
l'Arredamenti (Lpd) s.r.l., liquidando le fatture n. 178/1995 e n.
148/1995 emesse dalla suindicata società di importo maggiorato rispetto
al valore della merce fornita".
Il Tribunale militare ha ritenuto che l'imputato
avesse manipolato l'andamento di due gare a trattativa privata e avesse
così favorito l'aggiudicazione all'impresa (Lpd) per un corrispettivo
notevolmente superiore a quello medio di mercato, lucrando poi il
sovrapprezzo.
Alle due gare avevano preso parte, oltre
all'impresa (Lpd), altre imprese che poi erano risultate collegate con
la prima perchè ne erano fornitrici. Inoltre le proposte presentate da
alcune delle imprese invitate recavano firme che erano state
disconosciute e lo stesso imputato aveva ammesso che per una sua
decisione erano state invitate alle gare imprese estranee al settore
merceologico di interesse. L'indagine peritale era giunta alla
conclusione che esisteva una netta sproporzione tra i corrispettivi di
aggiudicazione delle gare e i valori di mercato dei beni forniti.
Secondo il Tribunale il fatto integrava un
peculato militare, in quanto l'imputato era in possesso del denaro
dell'amministrazione per ragione di ufficio, avendo il potere di
disporre il pagamento in favore delle imprese aggiudicatoci. Il fatto
appropriativo era stato individuato nell'emissione dei due mandati di
pagamento per somme "maggiorate", che avevano dato luogo a un'arbitraria
disposizione dell'eccedenza pecuniaria e costituivano espressione di una
signoria sulle somme corrisposte.
La Corte militare di Appello, come si è detto
inizialmente, ha confermato la decisione del Tribunale.
2. Prima di decidere sul merito la Corte militare
di Appello ha ritenuto di dover verificare la propria di giurisdizione
prendendo in esame la questione sulla esistenza o meno della
giurisdizione militare quando, come è avvenuto nel caso in esame, vi sia
stato il concorso nel reato militare di persone non appartenenti alle
Forze armate.
Alla questione la Corte ha ritenuto di dover dare
una soluzione affermativa disattendendo l'orientamento giurisprudenziale
più recente, secondo il quale sarebbe ancora in vigore, nonostante il
disposto del secondo comma dell'art. 13 c.p.p., la disposizione
dell'art. 264 c.p.m.p., che nel caso in questione attribuiva la
giurisdizione al Giudice ordinario. La Corte infatti si è dichiarata
convinta che l'art. 264 c.p.m.p. sia stato abrogato dalla
successiva disposizione dell'art. 13 c.p.p., comma 2, che
attribuisce la giurisdizione al Giudice ordinario "soltanto quando il
reato comune è più grave di quello militare", situazione che si
riferisce al concorso di reati e non è ravvisabile nel caso di un unico
reato militare commesso in concorso con persone non appartenenti alle
Forze armate.
3. Il ricorso si articola in cinque motivi.
Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto il
difetto di giurisdizione della Corte militare. Secondo il ricorrente
l'art. 264 c.p.m.p., non è stato abrogato e con l'avverbio
"soltanto" la disposizione dell'art. 13 c.p.p., comma 2, ha
introdotto nella previgente normativa la regola di operatività della
connessione unicamente nel caso di reato comune più grave di quello
militare, mantenendo rilevante, ai fini della giurisdizione, la
connessione nelle ipotesi di concorso di persone nel reato previste dal
citato art. 264 c.p.m.p..
Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato
la qualificazione giuridica del fatto rilevando che la liquidazione di
fatture di importo maggiorato, con il conseguente pagamento al
fornitore, non presuppone il possesso, da parte dell'agente, delle somme
pagate.
Nella condotta in contestazione manca il momento
appropriativo che, a tutto voler concedere, si sarebbe potuto
configurare soltanto ipotizzando una successiva consegna di denaro
all'imputato da parte del privato "ovvero una condotta, oltre che
insussistente, neppure congetturata nella fattispecie in contestazione".
Con il terzo motivo il ricorrente ha sostenuto
che anche se si ritenesse provata la liquidazione di fatture per importi
superiori al valore della merce fornita, non vi sarebbe comunque una
condotta appropriativa, che presupporrebbe "l'esistenza di un surplus
tra l'importo indicato nelle fatture e quanto effettivamente corrisposto
alla ditta" fornitrice. "La maggiorazione degli importi rispetto al
valore di mercato della merce poteva tutt'al più condurre a una condotta
riconducibile nell'alveo dell'art. 323 c.p.".
Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la
manifesta illogicità della motivazione per la confusione operata tra il
profilo dell'accertamento della irregolarità della gara e quello, che
costituisce il vero thema decidendum, della sussistenza della condotta
di appropriazione. Il materiale indiziario acquisito, a tutto voler
concedere, sarebbe indicativo della irregolarità della gara vinta
dall'impresa (Lpd) mentre per quanto concerne l'esistenza di un accordo
illecito tra questa impresa e il M. la sentenza si limita ad evidenziare
il solo dato della sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione e quello
corrente sul mercato. Manca l'indicazione di prove, ancorchè indiziarie,
relative a "un accordo tra ditta e prevenuto in ordine al riversamento a
favore del M. del sovrapprezzo lucrato dalla ditta".
Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato
un vizio della motivazione con riferimento alla determinazione della
pena irrogata.
La sentenza trascura i pacifici elementi dell'incensuratezza
e della specchiata condotta militare, pure emersi in giudizio, che
avrebbero imposto una pena più mite.
4. La prima sezione penale ha rimesso il ricorso
alle Sezioni Unite avendo rilevato l'esistenza di un contrasto
giurisprudenziale sulla vigenza dell'art. 264 c.p.m.p. e
sull'attribuzione al Giudice ordinario della giurisdizione quando il
reato militare è commesso da un militare in concorso con persona non
appartenente alle forze armate.
Motivi della decisione
1. L'entrata in vigore della Costituzione con
l'art. 103, comma 3, ha messo in questione il rapporto tra giurisdizione
ordinaria e giurisdizione militare, regolato in precedenza dall'art.
49 c.p.p., comma 3 (del 1930) con la previsione che "Nel caso di
connessione fra procedimenti di competenza dell'Autorità giudiziaria
ordinaria e procedimenti di competenza ... dei Tribunali militari, la
competenza per tutti appartiene al Giudice speciale".
Dopo un'iniziale incertezza (ved. Sez. un. 1
aprile 1948, Gramigna) la giurisprudenza della Cassazione aveva concluso
che la disposizione del terzo comma dell'art. 49 cit., era stata
abrogata per l'incompatibilità con la disposizione costituzionale e che
quindi doveva trovare applicazione la regola generale contenuta nel
primo comma dello stesso articolo, a norma del quale "Se i procedimenti
connessi appartengono alcuni alla competenza dell'Autorità giudiziaria
ordinaria e altri alla competenza dei Giudici speciali ... è competente
per tutti il Giudice ordinario" (ved. Sez. un., 12 maggio 1951, Barosini;
Sez. un., 17 gennaio 1953, AA. P.M.; Sez. un., 4 luglio 1953,
Celestini).
Il rapporto tra le due giurisdizioni ha trovato
successivamente una disciplina legislativa più articolata nella L.
23 marzo 1956, n. 167, att. 8, che ha sostituito l'art. 264
c.p.m.p., nei termini seguenti: "(1)Tra i procedimenti di
competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria e i procedimenti di
competenza dell'autorità giudiziaria militare si ha connessione
solamente quando essi riguardano delitti commessi nello stesso tempo da
più persone riunite o da più persone anche in tempi e luoghi diversi, ma
in concorso tra loro, o da più persone in danno reciprocamente le une
delle altre, ovvero delitti commessi gli uni per eseguire o per
occultare gli altri o per conseguirne o assicurarne, al colpevole o ad
altri, il prezzo, il prodotto o la impunità. - (2) Nei casi preveduti
nel comma precedente è competente per tutti i procedimenti l'autorità
giudiziaria ordinaria. Non di meno la Corte di Cassazione, su ricorso
del pubblico ministero presso il Giudice ordinario o presso il Giudice
militare, ovvero risolvendo un conflitto, può ordinare, per ragioni di
convenienza, con sentenza, la separazione dei procedimenti. - (3) Il
ricorso ha effetto sospensivo".
L'art. 264 c.p.m.p., ha formato oggetto
di varie questioni di legittimità costituzionale, che hanno indotto la
Corte Costituzionale a delineare con successive decisioni la portata
normativa dell'art. 103 Cost., comma 3. In sintesi, e per
quanto qui interessa, la Corte ha ritenuto che la giurisdizione
riconosciuta dalla norma costituzionale in tempo di pace ai Tribunali
militari non è inderogabile, sicchè anche procedimenti che sarebbero di
competenza del Giudice militare possono essere attribuiti dal
legislatore al Giudice ordinario, quando gli stessi sono connessi con
procedimenti di competenza di questo (C. Cost., 8 aprile 1948, n, 29),
mentre è escluso che procedimenti di competenza del Giudice ordinario
possano essere attribuiti al Giudice militare per ragioni di
connessione.
L'attribuzione al Giudice ordinario dei
procedimenti di competenza del Giudice militare è rimessa alla
discrezionalità del legislatore e dunque alla sua valutazione sulle
ragioni della connessione e sulla opportunità del simultaneus processus,
ed è per questa ragione che è stata ritenuta compatibile con l'art.
3 Cost., la norma dell'art. 264 c.p.m.p., anche se non consentiva
la trattazione congiunta davanti al Giudice ordinario nei casi di
connessione derivanti dal concorso formale o dalla continuazione di
reati commessi da persona appartenente alle Forze armate e rientranti
alcuni nella cognizione del Giudice ordinario e altri a in quella del
Giudice militare (C. cost., 28 luglio 1976, n. 196; C. cost, 20 maggio
1980, n. 73).
Secondo la Corte infatti l'art. 264 c.p.m.p.,
aveva "dovuto contemperare esigenze diverse ed opposte, entrambe
presenti nell'ordinamento giuridico: assicurando, da un lato, la
congiunta cognizione dei casi per i quali risultava impossibile o
comunque inopportuno mantenere separati i procedimenti; ma anche
garantendo, d'altro lato, la competenza del Giudice normalmente ritenuto
più idoneo a risolvere determinate specie di controversie", nel
presupposto della maggiore idoneità del Giudice militare a conoscere dei
procedimenti normalmente attribuiti alla sua giurisdizione (C. Cost. 20
maggio 1980, n. 73).
2. Il codice di rito vigente ha modificato
radicalmente la disciplina della connessione tra reati di competenza del
Giudice ordinario e reati di competenza del Giudice militare, quasi
capovolgendola.
L'art. 13 c.p.p., comma 2, infatti
stabilisce che "Fra reati comuni e reati militari la connessione dei
procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello
militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall'art. 16, comma 3. In
tale caso, la competenza per tutti i reati è del Giudice ordinario". Ne
risulta così una regolamentazione nella quale, da un lato, rientrano i
casi, prima non previsti, del concorso formale e del reato continuato
(costituendo ipotesi di connessione comprese nell'art. 12 c.p.p.,
comma 1, lett. b), relativi a reati comuni e reati militari, ma
"soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare", e,
dall'altro, sono esclusi casi già previsti dall'art. 264 c.p.m.p.,
come quelli dei delitti commessi da più persone "in concorso tra loro, o
da più persone in danno reciprocamente le une delle altre".
Gli autori che hanno commentato la nuova
disposizione hanno generalmente ritenuto che essa regolasse interamente
la materia, con l'effetto di abrogare, a norma dell'art. 15 delle
disposizioni sulla legge in generale, quella precedente dell'art.
264 c.p.m.p., e nello stesso senso si è inizialmente orientata la
giurisprudenza della Corte di Cassazione. La prima espressione di questo
orientamento è rappresentata da Sez. 1^, 23 novembre 1995, De Marco,
che, in presenza di un'imputazione di furto militare aggravato commesso
in concorso con un civile, ha ritenuto infondata un'eccezione di difetto
di giurisdizione del Tribunale militare senza dubitare che ormai la
regola sui rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare
per ragioni di connessione fosse rinvenibile unicamente nell'art. 13
c.p.p., comma 2. L'attribuzione al Tribunale militare del furto
militare commesso in concorso con un civile è stata infatti giustificata
con la considerazione che "la connessione di procedimenti prevista
dall'alt. 13 cpv. c.p.p. - che determina l'attribuzione di giurisdizione
al Giudice ordinario - opera solo nel caso che ci si trovi in presenza
di reati comuni e di reati militari e che uno dei reati comuni sia più
grave rispetto a quello militare.
Diverso - secondo la sentenza - è il caso di un
unico fatto delittuoso commesso in concorso da un civile e da un
militare, i cui elementi integrano soggettivamente e oggettivamente gli
estremi di un reato militare. In tale ipotesi, trattandosi di un unico
reato, non opera la connessione prevista dall'art. 13 cpv. c.p.p., che
richiede la presenza di più reati diversi".
Sez. 1^, 15 dicembre 1999, Moccia è stata ancora
più chiara, con l'affermazione che "l' art. 264 c.p.m.p.,
modificato dalla L. 23 marzo 1956, n. 167, art. 8, che
prevedeva la competenza dell'autorità giudiziaria in caso di concorso di
più persone nel reato e di nesso teleologico tra reati, risulta abrogato
dalla successiva disposizione del codice di procedura penale del 1988",
e nello stesso senso si è espressa anche Sez. 1^, 3 aprile 1997, X (in
Rass. giust. Mil. 1997, 111).
Successivamente però nella giurisprudenza della
Corte di Cassazione sono emersi orientamenti diversi, esplicitati
inizialmente da Sez. 1^, 21 aprile 2004, Bausone, che decidendo su un
conflitto negativo tra Giudice ordinario e Giudice militare è giunta
alla conclusione che la giurisdizione appartenesse al primo per la
considerazione che l'art. 264 c.p.m.p. e l'art. 13 c.p.p.,
comma 2, "disciplinano fattispecie non del tutto omogenee, posto che
l'art. 264 riguarda soltanto le ipotesi di delitti e non di reati in
genere, come è previsto dall'art. 13 c.p.p., comma 2" e che "i
casi di connessione previsti dal codice militare sono parzialmente
diversi da quelli indicati dall'art. 12 c.p.p.".
Assai più argomentata è Sez. 1^, 20 gennaio 2005,
Cimoli, uguale ad altre tre sentenze pronunciate nella stessa udienza
nei procedimenti D'Angelo, Simone e Pisani. Secondo la sentenza Cimoli
"la lettura della disposizione del codice rivela inequivocabilmente che
all'art. 13, comma 2, non ha affatto abrogato l'art. 264 c.p.m.p.
e che il suo campo di applicazione è unicamente circoscritto alla
delimitazione della vis attractiva nella giurisdizione ordinaria di
tutti i casi di connessione prefigurati dall'art. 264... Il
coordinamento tra le due disposizioni rende, dunque, evidente che l'art.
13 segna un limite all'operatività della disposizione dell'art. 264
c.p.m.p., nel senso che quest'ultima norma, che sancisce la
prevalenza della giurisdizione ordinaria su quella militare, non si
applica quando il reato più grave sia quello militare". Secondo la
sentenza Cimoli l'art. 13 c.p.p, comma 2, presuppone una pluralità di
reati mentre nel caso del concorso di persone "il reato è unico" e si
determina una fattispecie che non può essere regolata da tale articolo;
perciò, a norma dell'art. 264 c.p.m.p.,
"deve trovare piena esplicazione la regola generale della devoluzione
della cognizione dei procedimenti connessi alla giurisdizione ordinaria,
in totale sintonia con la disciplina dell'art. 103 Cost., comma
3. Per contro la sentenza ha considerato incompatibile con la normativa
del nuovo codice la parte finale del secondo comma dell'art. 264
c.p.m.p. (che dava alla Corte di Cassazione il potere di "ordinare
per ragioni di convenienza, con la sentenza, la separazione dei
procedimenti") e l'ha ritenuta "senz'altro abrogata a norma
dell'art. 15 disp. gen.".
Con una pronuncia ancora più recente la prima
sezione (sent. 3 marzo 2005, Tria) ha ribadito il nuovo orientamento
aggiungendo che "il problema dell'abrogazione, totale o parziale,
dell'art. 264 non ha decisiva influenza sulla definizione della
questione relativa alla giurisdizione in caso di concorso di civili e di
militari nello stesso delitto militare, per la precisa ragione che, una
volta escluso che tale situazione rientri nell'ambito di operatività
dell'art. 13 codice di rito, comma 2, è inevitabile riconoscere che la
soluzione accolta dalla uniforme giurisprudenza di questa Corte discende
direttamente dall'art. 103, comma 3, della Carta fondamentale. La piena
fondatezza di tale enunciato - secondo la sentenza - risulta evidente
quando si considera che la Corte Costituzionale ha costantemente
affermato la regola della tassatività della giurisdizione speciale e
della prevalenza della giurisdizione ordinaria". 3. Nella giurisprudenza
della Corte di Cassazione sono emersi dunque tre orientamenti:
1) l'art. 13 c.p.p., comma 2, ha
determinato l'abrogazione dell'art. 264 c.p.m.p. e non vi sono casi di
attribuzione di procedimenti connessi all'autorità giudiziaria ordinaria
diversi da quello in cui "il reato comune è più grave di quello
militare"; perciò nel caso di concorso nel reato militare di persone
civili e di persone militari la giurisdizione rispetto a queste ultime è
del Giudice militare;
2) l'art. 13 c.p.p., comma 2, non ha
determinato l'abrogazione dell'art. 264 c.p.m.p.; le due
disposizioni risultano collegate e in applicazione della seconda nel
caso di concorso nel reato militare di persone civili e di persone
militari la giurisdizione per tutte è del Giudice ordinario;
3) l'art. 13 c.p.p., comma 2, presuppone
una pluralità di reati, comuni e militari, ed è quindi inapplicabile nel
caso di concorso nel reato militare di persone civili e di persone
militari; in questo caso l'attribuzione al Giudice ordinario della
giurisdizione rispetto a tutti i concorrenti "discende direttamente
dall'art. 103, comma 3, della Carta fondamentale". 4. Il terzo
orientamento tende a semplificare la questione: non sarebbe necessario
stabilire se l'art. 264 c.p.m.p., è stato o meno abrogato,
perchè sarebbe la stessa norma costituzionale a fare escludere la
giurisdizione del giudice militare, in favore di quello ordinario, nel
caso di concorso di persone nel reato.
Questa conclusione però si basa su
un'interpretazione dell'art. 103 Cost., comma 3, che non trova
fondamento nè nella lettera della disposizione, nè nella ricostruzione
normativa che ne ha fatto la Corte Costituzionale. Se si leggono in modo
coordinato le diverse decisioni della Corte intervenute nel tempo non
può infatti non concludersi che la disposizione costituzionale da un
lato non assegna alla giurisdizione dei Tribunali militari un carattere
di inderogabilità e impedisce l'attribuzione a questa giurisdizione di
reati che non siano militari o non siano commessi da appartenenti alle
Forze armate, dall'altro però non impone alcuna specifica soluzione nel
caso di procedimenti connessi e ne rimette la disciplina alla
discrezionalità del legislatore. Del resto se l'interpretazione corretta
dell'ari. 103, comma 3, Cost. fosse quella indicata da Sez. 1^, 3 marzo
2005, Tria dovrebbe ragionevolmente prospettarsi una questione di
legittimità costituzionale dell'art. 13 c.p.p., comma 2, perchè nel caso
della commissione di una pluralità di reati comporta il mantenimento
della giurisdizione militare tutte le volte che il reato civile non è
più grave di quello militare.
I principi che regolano la giurisdizione militare
nel caso di connessione di procedimenti sono stati da ultimo ricordati
da due decisioni della Corte Costituzionale. Nell'ordinanza n. 441 del
1998 la Corte ha chiarito che "l' art. 13 c.p.p., comma 2 - che
opera una riduzione dei casi di connessione tra reati comuni e reati
militari rispetto alla disciplina prevista dall'art. 49 c.p.p.,
comma 3, (del 1930) (poi superato dalla L. 23 marzo 1956, n. 167,
art. 8, a sua volta sostitutivo dell'art. 264 c.p.m.p.,
mediante una disciplina che ha privilegiato la vis attractiva del
Giudice ordinario) - delinea una soluzione normativa non censurabile in
quanto espressione di una scelta non irragionevole del legislatore, che
si inserisce nell'impostazione di fondo del processo penale in favore
della trattazione separata dei procedimenti". E successivamente,
nell'ordinanza n. 204 del 2001, la Corte, dopo avere ricordato che i
Tribunali militari "si caratterizzano per la presenza, a fianco di
Giudici togati, di soggetti estranei alla magistratura idonei a fornire
per il possesso di particolari requisiti culturali e professionali, un
qualificato contributo alla comprensione delle vicende oggetto del
giudizio", ha ribadito che "la disciplina in questione - in forza della
quale, fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti
opera entro circoscritti limiti (e cioè solo quando il reato comune è
più grave di quello militare) con attribuzione della competenza per
tutti i reati al Giudice ordinario - si configura anch'essa come frutto
di una scelta discrezionale del legislatore non eccedente i limiti della
ragionevolezza, in quanto espressiva di un bilanciamento tra le esigenze
proprie del giudizio sui reati militari e quelle cui risponde, in via
generale, l'istituto della connessione".
Deve quindi concludersi che l'orientamento
espresso da Sez. 1^, 3 marzo 2005, Tria è privo di base normativa, dato
che il legislatore con l'art. 13 c.p.p., comma 2, ha esercitato
correttamente il proprio potere, e che non può farsi riferimento al
terzo comma dell'art. 103 Cost., per ampliare la giurisdizione
del Giudice ordinario superando la previsione della norma processuale,
tenuto anche conto dei limiti in cui il sistema processuale tende a
privilegiare la riunione dei procedimenti e della particolare idoneità
del Giudice militare a conoscere dei reati militari.
5. Resta da stabilire se sia stato o meno
abrogato l'art. 264 c.p.m.p..
Dai lavori preparatori del codice emerge
chiaramente l'intenzione del legislatore di abrogare tale disposizione e
la convinzione di averne determinato l'abrogazione, a norma
dell'art. 15 disp. gen., dal momento che con l'art. 13 c.p.p.,
comma 2, aveva provveduto a regolare l'intera materia.
Sotto questo aspetto è significativa la vicenda
dell'art. 210 delle norme di attuazione del codice di rito. Nel progetto
preliminare l'articolo corrispondente conteneva un comma 2 che
stabiliva: "E' abrogato l'art. 264 c.p.m.p." ma nel progetto
definitivo il comma è stato soppresso "in quanto - sì dice - l'articolo
13 del nuovo codice disciplina compiutamente la materia, determinando
"ex se" l'abrogazione dell'articolo 264 c.p.m.p.". E che l'art.
13 sia diretto a disciplinare interamente la materia si desume
chiaramente dal tenore della rubrica ("Connessione di procedimenti di
competenza di Giudici ordinari e speciali"), dalla collocazione della
disposizione e dal contenuto dei suoi due commi, che fanno emergere una
simmetria con l'art. 49 c.p.p. (del 1930), sostituito, come si
è visto, dall'art. 264 c.p.m.p., per la parte relativa alla
connessione tra procedimenti di competenza del Giudice militare e
procedimenti di competenza del Giudice ordinario.
Nel progetto preliminare dell'art. 13 c.p.p.,
comma 2, stabiliva che "Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono
alla competenza dei Giudici ordinari e altri a quella dei Tribunali
militari, è competente per tutti il Giudice ordinario". Era chiaro
quindi che la disposizione disciplinava l'intera materia con una regola
semplice:
nei casi di connessione di procedimenti è
competente per tutti il Giudice ordinario. Poi - come si legge nella
relazione al testo definitivo del codice - "è stata ... apportata una
modifica al comma 2, apparendo l'attrazione nella competenza
dell'autorità giudiziaria dei reati militari connessi con un reato
comune eccessivamente e irragionevolmente limitativa della giurisdizione
militare", e "si è perciò ritenuto più opportuno prevedere l'operatività
della connessione a favore dell'autorità giudiziaria ordinaria solo
quando il reato appartenente alla sua cognizione sia più grave di quello
militare".
Così è venuta meno l'attribuzione al Giudice
ordinario di tutti i procedimenti connessi, ma ciò non significa che
l'art. 13 c.p.p., comma 2, abbia cessato di regolare l'intera
materia; significa solo che l'ha regolata in modo diverso sia dal
progetto preliminare, sia dall'art. 264 c.p.m.p., limitando al
massimo i casi in cui, per effetto della connessione, i procedimenti
attribuiti al Giudice militare vengono attratti nella sfera di
giurisdizione del Giudice ordinario.
Il codice di rito costituisce la sede naturale
per la disciplina della connessione tra procedimenti di competenza di
Giudici ordinari e di Giudici speciali, e l'ha scandita nei due commi
dell'art. 13 c.p.p., relativi il primo ai procedimenti di
competenza della Corte Costituzionale e il secondo a quelli di
competenza del Giudice militare. Perciò non è pensabile che rispetto al
Giudice militare il codice si sia limitato a introdurre una disposizione
ulteriore, destinata a integrarsi con il preesistente art. 264
c.p.m.p.. L'art. 13 c.p.p., come indica la rubrica, è diretto a
disciplinare per intero la materia della "Connessione di procedimenti di
competenza di Giudici ordinari e speciali" e ha conseguentemente
determinato l'abrogazione dell'art. 264 c.p.m.p., che in
precedenza rispetto al Giudice militare aveva la medesima funzione.
6. Può dubitarsi che la soluzione adottata dal
codice vigente sia la più opportuna, che cioè abbia individuato un caso
di connessione dei procedimenti effettivamente meritevole più degli
altri di una trattazione unitaria. Può opinarsi che maggiori siano le
esigenze di trattazione unitaria quando il reato è commesso in concorso
da persone militari con persone civili, ma la scelta del legislatore è
chiara, così come è chiara l'implicazione abrogatrice dell'art. 264
c.p.m.p..
E' da aggiungere che la tesi dell'integrazione
tra le due disposizioni che si sono succedute nel tempo appare
insostenibile anche tecnicamente ove se ne considerino attentamente i
contenuti normativi.
Innanzi tutto non può non rilevarsi che tra i
casi di connessione regolati dall'art. 264 c.p.m.p., non
rientrano quelli del concorso formale e della continuazione tra reati
militari e reati comuni, ai quali si riferisce l'art. 13 c.p.p.,
comma 2, in collegamento con l'art. 12 c.p.p., lett. b), sicchè
non può affermarsi, come ha fatto Sez. 1^, 20 gennaio 2005, Cimoli, che
"l'art. 13 segna un limite all'operatività della disposizione
dell'art. 264 c.p.m.p., nel senso che quest'ultima norma, che
sancisce la prevalenza della giurisdizione ordinaria su quella militare,
non si applica quando il reato più grave sia quello militare".
Se i casi dell'art. 264 c.p.m.p., sono
diversi da quelli dell'art. 13 c.p.p., comma 2, è insostenibile
una ricostruzione del sistema che assegna alla seconda disposizione una
funzione di limite della prima e se si va più a fondo nella
considerazione del contenuto normativo dell'art. 264 c.p.m.p.,
ci si avvede che questa disposizione oltre che insuscettibile di
integrazione nel senso prospettato risulta per alcuni aspetti
incompatibile con il codice di rito vigente.
L'art. 264 c.p.m.p., aveva, come
naturale riferimento dell'epoca, l'art. 45 c.p.p. (del 1930),
che prevedeva casi di connessione non interamente coincidenti con quelli
individuati dall'art. 12 del codice vigente e la sua applicazione
comporterebbe l'attribuzione al Giudice ordinario di procedimenti che
secondo l'attuale normativa non potrebbero neppure considerarsi
connessi, come quelli relativi a delitti commessi da più persone in
danno reciprocamente le une delle altre o a delitti commessi per far
conseguire o assicurare al colpevole o ad altri il profitto o il prezzo
di precedenti delitti o l'impunità. In questi casi la conseguenza
sarebbe assurda perchè si verificherebbe uno spostamento della
giurisdizione e una sottrazione del militare al suo Giudice naturale in
una situazione in cui poi davanti al Giudice ordinario non potrebbero
operare le regole sulla competenza per connessione o sull'attribuzione
dei procedimenti connessi (art. 33 quater c.p.p.), con la possibilità di
mantenere separato il procedimento la cui cognizione sarebbe spettata al
Giudice militare.
In realtà le due normative non potrebbero
integrarsi ma si sommerebbero, di modo che l'art. 264 c.p.m.p.,
opererebbe rispetto a casi di connessione non previsti dall'art. 13
c.p.p., comma 2, ai quali si aggiungerebbero i casi del concorso
formale di reati e del reato continuato, quando "il reato comune è più
grave di quello militare".
Un assetto normativo, questo, insostenibile, con
un risultato di ampliamento dell'area della giurisdizione militare
opposto a quello perseguito dal legislatore, che ha voluto invece
salvaguardarla attraverso la separazione dei procedimenti connessi in
tutti i casi che non rientrano nella previsione dell'art. 13 c.p.p.,
comma 2.
Il legislatore ha inteso privilegiare il Giudice
militare specializzato, anche per la particolare composizione collegiale
che lo caratterizza, e ha fatto ciò riconoscendo una rilevanza limitata
alla connessione, rilevanza che poi, nell'art. 14 c.p.p., per i
procedimenti di competenza del Tribunale per i minorenni, ha escluso del
tutto, in conformità con i principi costituzionali di tutela dei minori.
Si tratta di una soluzione che, come ha ricordato
la Corte Costituzionale nell'ordinanza n. 441 del 1998, ben "si
inserisce nell'impostazione di fondo del processo penale in favore della
trattazione separata dei procedimenti". Il regime di separazione infatti
è previsto dall'art. 18 c.p.p., in numerosi casi ed inoltre è
l'effetto assai frequente della scelta di un procedimento speciale (come
il patteggiamento o il giudizio abbreviato) da parte di alcuni dei
coimputati, con la conseguenza, quando ciò si verifica, che i
procedimenti vengono definiti separatamente anche se riguardano lo
stesso reato, commesso in concorso da più persone. Perciò non può
apparire anomala la regola della separazione tra giurisdizione ordinaria
e giurisdizione militare adottata dal codice nel caso di concorso di
civili nel reato militare.
7. In conclusione deve affermarsi il seguente
principio: quando esiste connessione tra procedimenti di competenza del
Giudice ordinario e procedimenti di competenza del Giudice militare, la
giurisdizione spetta per tutti al Giudice ordinario, a norma
dell'art. 13 c.p.p., comma 2, soltanto se, trattandosi di
procedimenti per reati diversi, il reato comune è più grave di quello
militare, mentre in tutti gli altri casi rimangono separate le
rispettive sfere di giurisdizione. Pertanto quando la connessione
concerne procedimenti relativi allo stesso reato commesso da militari in
concorso con civili il Giudice militare mantiene integra nei confronti
dei primi la propria giurisdizione.
Ciò posto, il primo motivo, con il quale il
ricorrente ha eccepito la mancanza di giurisdizione del Giudice
militare, risulta privo di fondamento.
8. E' invece fondata la contestazione che il
ricorrente, sotto vari profili, ha mosso alla configurazione giuridica
data al fatto dai Giudici di merito.
Secondo l'accertamento dei Giudici di merito il
ricorrente aveva manipolato il risultato di due gare per la fornitura di
mobili e ne aveva determinato l'aggiudicazione attraverso l'acquisizione
di altre offerte compiacenti o addirittura false, meno vantaggiose per
l'amministrazione. Per effetto di questi artifici l'amministrazione
aveva pagato per i mobili un prezzo superiore al valore di mercato e la
sentenza impugnata ha ritenuto che nella specie fossero ravvisabili gli
elementi previsti dall'art. 215 c.p.m.p., cioè il possesso del
denaro, data la "competenza funzionale del militare a disporre il
pagamento", e l'appropriazione, "coincidente ... con l'emanazione, da
parte dell'imputato, di ognuno dei due atti dispositivi per somme
maggiorate a favore della (Lpd)".
Per inquadrare giuridicamente la vicenda occorre
ricordare che in linea di principio, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, "la differenza tra il delitto di peculato e quello di truffa va
ravvisata nel fatto che nel peculato il possesso è un antecedente della
condotta e che gli artifici, i raggiri o la falsa documentazione non
incidono sulla struttura del reato, ma servono per occultarlo;
ricorre, viceversa, la truffa qualora la condotta
fraudolenta sia predisposta al fine di consentire al soggetto agente di
entrare in possesso della provvista, in vista della successiva condotta
appropriativi" (Sez. 6^, 4 giugno 1997, Finocchi, rv. 211009; in senso
analogo ved. anche Sez. 6^, 21 settembre 1988, Barone, rv.
179604; Sez. 6^, 21 gennaio 1989, Acconcia, rv.
183173).
Ciò considerato, il fatto nei termini in cui è
stato accertato non poteva costituire il reato di peculato militare
aggravato, oggetto della condanna ( artt. 215 e 47 c.p.m.p., n.
2), ma rientrava nello schema normativo della truffa militare aggravata
( artt. 234 c.p.m.p., comma 2, n. 1 e art. 47 c.p.m.p.,
n. 2), perchè l'atto dispositivo del pagamento e l'acquisizione della
differenza tra il prezzo pagato e il valore della merce costituivano
l'effetto degli artifici usati dal ricorrente per indurre in errore
l'amministrazione militare e procurare all'impresa (Lpd) un ingiusto
profitto Si tratta di un "fatto commesso in data non successiva al 28
dicembre 1995", per il quale sono state applicate l'attenuante
dell'art. 48 c.p.m.p., comma 2 e le attenuanti generiche con
valutazione di prevalenza, sicchè, tenuto conto della pena prevista per
la truffa militare, il reato risulta ampiamente prescritto. Di
conseguenza deve pronunciarsi l'annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, qualificato il fatto come
truffa aggravata ( artt. 234 c.p.m.p., comma 2, n. 1 e art.
47 c.p.m.p., n. 2) e tenuto conto delle già concesse attenuanti
valutate prevalenti, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per
essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2006
c.p. art. 110
c.p.p. art. 12
c.p.p. art. 13
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