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venerdì 12 settembre 2014

Cassazione: Risarcibili i danni da fumo di bar. Sono risarcibili i danni da fumo passivo proveniente da un locale che si trovi in prossimità di una abitazione privata.


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Risarcibili i danni da fumo di bar
(Cassazione 7875/2009)
Sono risarcibili i danni da fumo passivo proveniente da un locale che si trovi in prossimità di una abitazione privata.
 
 
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.7875/2009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

..

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

sul ricorso proposto da […] contro […]

 

avverso la sentenza n.1211/2007 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE del 10/07/07, depositata il 12/09/2007 […]

 

La Corte

 

Letti gli atti depositati

 

osserva

 

È stata depositata la seguente relazione:

1- Con ricorso notificato il 14 gennaio 2008 […] di Napoli […] ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 14 novembre 2007, depositata in data 12 settembre 2007 dalla Corte di Appello di Firenze che, in riforma della sentenza del Tribunale, l’aveva condannata al pagamento in favore di […] e […] della complessiva somma di € 10.000,00 a titolo di risarcimento dei danni esistenziali [1] determinati da immissioni moleste di fumo di sigarette.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

2- Ai ricorsi proposti contro la sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del D. Lgs. 15 febbraio 2006, n.40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.

Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art.6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art.360, n.1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art.360, primo comma, n.5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

3. – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poiché la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art.366 – bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art.366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che, per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art.360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n.19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art.366 bis c.p.c., introdotto dall’art.6 del D. Lgs. N.40 del 2006, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua inammissibilità (Cass. Sez. Unite, n.20603 del 2007).

Con i due motivi la società ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt.2697 e segg.ti e 2729 c.c., nonché omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Già la trattazione congiunta di violazioni di legge e di vizi di motivazione si pone in contrasto con la norma di riferimento. Inoltre la ricorrente non prende specifica posizione nello scegliere l’uno (falsa applicazione) piuttosto che l’altro (violazione) vizio di diritto, né chiarisce in quali punti specifici la motivazione sia omessa ovvero insufficiente ovvero contraddittoria.

Ma, soprattutto, i due quesiti conclusivi non rispettano i criteri che debbono presiedere alla loro formulazione, come sopra enunciati. Infatti essi (Dica la Suprema Corte di Cassazione se l’eventuale statuizione risarcitoria, che abbia ad oggetto il danno esistenziale o un danno da stress presuppone che il preteso danneggiato fornisca la prova del danno di cui chiede il risarcimento, ovvero se tale danno possa ritenersi in re ipsa e cioè coincidente con il fatto assertivamente dannoso. Dica la Suprema Corte di Cassazione se il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, si pone in termini di automatismo rispetto alla condotta asseritamene dannosa) si rivelano generici, in quanto svincolati dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata.

Peraltro, la Corte territoriale ha fatto leva sulla considerazione fattuale che i […] fossero costretti a subire gli effetti molesti, fastidiosi e insalubri del fumo passivo e a tenere chiuse le finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute.

4. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti; entrambe hanno depositato memorie e la ricorrente ha chiesto di essere ascoltata in camera di consiglio; in particolare il ricorrente assume di avere formulato quesiti adeguati;

5. – Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha osservato che effettivamente – sotto il profilo della idoneità dei motivi – il ricorso può essere ritenuto ammissibile; tuttavia esso si rivela infondato: la società ricorrente lamenta che sia stato risarcito il danno – evento anziché il danno – conseguenza, ma la sentenza impugnata ha descritto le conseguenze delle lamentate immissioni sul modo di vivere la casa dei danneggiati e questo individua ciò che può essere liquidato come danno non patrimoniale, mentre, per il resto, le argomentazioni addotte a sostegno delle censure contengono continui riferimenti alle risultanze processuali e implicano accertamento dei fatti e valutazioni di merito non consentiti al giudice di legittimità e sui quali, per contro, la Corte territoriale ha congruamente e razionalmente motivato;

che, pertanto, il ricorso va rigettato poiché manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 – bis e 385 cod. proc.civ.,

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi € 1.600,00, di cui € 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Roma 15.1.2009.

 

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 31 MARZO 2009-04-09
NOTE


[1] La giurisprudenza della Corte di Cassazione e delle corti di merito, dopo aver riconosciuto la risarcibilità, accanto ai danni patrimoniali, del c.d. "danno biologico", inteso quale danno all’integrità psico – fisica della persona intesa nel suo complesso, ha introdotto la figura del danno "esistenziale" inteso quale danno morale risarcibile per la sofferenza fisica e morale causata da un fatto illecito. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, però, in una recente sentenza, ha stabilito che non esiste una terza figura di danno accanto a quello patrimoniale e a quello biologico – morale, per cui la risarcibilità del c.d. danno esistenziale deve essere ricompressa all’interno della categoria del danno biologico.

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