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MATRIMONIO E DIVORZIO
Cass. civ. Sez. I, 15-01-2009, n. 814
Cass. civ. Sez. I, 15-01-2009, n. 814
Svolgimento del processo
Con
atto di citazione notificato il 30 ottobre 2001, N.F. conveniva in
giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di Roma T. E. per sentir
dichiarare l'efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza emessa
in data (OMISSIS) dal Tribunale Ecclesiastico Regionale del Lazio -
ratificata dal Tribunale Ecclesiastico d'Appello del Vicariato di Roma
l'8 febbraio 2001 e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura
Apostolica con Decreto 10 maggio 2003 - con la quale era stata
dichiarata la nullità del matrimonio concordatario, contratto dal N. e
dalla T. in (OMISSIS), per esclusione del bonum prolis da parte di
entrambi i coniugi.
La T., costituitasi in
giudizio, deduceva pregiudizialmente la inammissibilità dell'azione
proposta dal N.; nel merito si opponeva alla declaratoria di efficacia
nell'ordinamento della sentenza ecclesiastica, in quanto contraria
all'ordine pubblico. In via gradata avanzava domanda riconvenzionale per
l'attribuzione, ai sensi dell'art. 129 bis c.c., di un assegno mensile
di mantenimento pari ad Euro 516,46. Con sentenza 13 gennaio - 2
febbraio 2005 la Corte adita ha dichiarato efficace nella Repubblica
Italiana la sentenza del 15 ottobre 1999 del Tribunale Ecclesiastico
Regionale del Lazio.
Avverso tale sentenza
T.E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L'intimato N.F. non ha presentato controricorso, ma ha nominato suo
difensore, conferendogli procura speciale, l'avv. Manfredini Ornella,
che ha partecipato alla discussione nella pubblica udienza.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 121 del 1985, art. 8, ed all'art. 2697 c.c.,
per l'inesistenza del decreto di esecutività della sentenza
ecclesiastica al momento di proposizione della domanda. Omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Poichè
il decreto di esecutività del Supremo Tribunale della Segnatura
Apostolica della sentenza del Tribunale Ecclesiastico è stato emesso
soltanto nel corso del giudizio di delibazione, la Corte d'Appello
avrebbe dovuto dichiarare la domanda di delibazione improponibile od
inammissibile per mancanza, al momento della introduzione del giudizio,
di un presupposto processuale indispensabile e per la inesistenza
dell'oggetto, dato che veniva richiesta la delibazione di un
provvedimento che non esisteva. Con il secondo motivo la ricorrente
denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al combinato disposto della L. n. 121 del 1985, art. 8, e art. 797 c.p.c., vecchio testo, e all'art. 2697 c.c.,
per la mancata produzione in giudizio della documentazione richiesta ex
lege per la delibazione. Omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato
dalle parti o rilevabile d'ufficio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ai sensi dell'art. 797 c.p.c.,
tuttora applicabile in materia di delibazione delle sentenze dei
Tribunali Ecclesiastici, il N. avrebbe dovuto provare che, al momento
della proposizione della domanda, non pendeva presso il giudice italiano
un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito
prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera.
Il
N., a seguito di specifica richiesta della Corte d'Appello, aveva
prodotto in giudizio un certificato, con il quale il Tribunale di Roma
attestava la iscrizione del "procedimento n. (OMISSIS), iscritto il
13.12.1996, assegnato a Sezione SP, contenzioso T./ N., ud. 4.9.1997,
sep. Consensuale definito, G.I. Na.Gi.".
Producendo
tale certificazione il N. non avrebbe assolto l'onere probatorio che
gli incombeva, non essendo tale produzione sufficiente per escludere la
esistenza di un giudizio, avente il medesimo oggetto del presente,
pendente tra le stesse parti, instaurato prima del passaggio in
giudicato della sentenza straniera.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al combinato disposto della L. n. 121 del 1985, art. 8, e art. 797 c.p.c., vecchio testo, nonchè in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost.,
per contrasto della sentenza ecclesiastica di annullamento con l'ordine
pubblico italiano (tutela della salute della moglie). Omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Deduce
la ricorrente che nella motivazione della sentenza, emessa dal giudice
ecclesiastico, si da atto che il bonum prolis fu escluso dal N. e dalla
T., perchè il primo era affetto da una grave malattia (sindrome di
Reiter) trasmissibile con i rapporti sessuali sia alla moglie sia
all'eventuale feto, fatto che avrebbe consentito soltanto di avere
rapporti sessuali in forma protetta.
La Corte
d'Appello, dichiarando efficace in Italia la sentenza del giudice
ecclesiastico, senza dare il giusto rilievo al motivo che aveva
determinato la esclusione della prole, avrebbe violato il combinato
disposto della L. n. 121 del 1985, art. 8, e art. 797 c.p.c., vecchio testo, nonchè degli artt. 2 e 32 Cost.,
per non avere considerato che detta sentenza, violando il diritto alla
salute della ricorrente, si poneva in contrasto con il limite
dell'ordine pubblico italiano.
Conseguentemente
avrebbe anche errato nel respingere la domanda della T., proposta in
via riconvenzionale, di attribuzione alla stessa, ai sensi dell'art. 129
bis c.c., di un assegno mensile di mantenimento, sul rilievo della
mancanza del requisito della buona fede, perchè la stessa, nel momento
in cui fu celebrato il matrimonio concordatario, era a conoscenza della
specifica circostanza per la quale è stata pronunciata la nullità del
matrimonio.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al combinato disposto della L. n. 121 del 1985, art. 8, e art. 797 c.p.c., vecchio testo, nonchè in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., per contrasto della sentenza ecclesiastica di annullamento con l'ordine pubblico italiano (tutela della salute del nascituro).
La
delibazione della sentenza in questione si porrebbe in contrasto anche
con il fondamentale diritto dalla tutela della salute del nascituro,
atteso che il riconoscimento della efficacia di detta sentenza in Italia
si tradurrebbe in una censura per non avere i coniugi voluto concepire
un figlio in una situazione di grave pericolo per la sua futura salute.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La
ricorrente sostiene che la Corte d'Appello avrebbe dovuto dichiarare la
inammissibilità o improponibilità della domanda del N. perchè al
momento della proposizione della domanda mancava il presupposto
processuale del decreto di esecutività della sentenza ecclesiastica del
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la cui mancanza renderebbe
addirittura la sentenza inesistente.
Tale tesi non è condivisibile.
La
ricorrente erroneamente qualifica il decreto di esecutività del Supremo
Tribunale della Segnatura Apostolica quale presupposto processuale,
trattandosi invece di una condizione dell'azione. Non incide infatti
sulla esistenza o validità del rapporto giuridico processuale (come si
verifica, ad esempio, in mancanza o nullità della domanda giudiziale
oppure nell'ipotesi in cui la domanda sia rivolta a giudice
incompetente), ma incide sul diritto ad ottenere una sentenza
favorevole. Essendo una condizione dell'azione (condizione della
sentenza positiva di accoglimento), è necessario che sussista non nel
momento in cui viene introdotto il giudizio, ma nel momento in cui la
lite viene decisa. Pertanto detta condizione può venire ad esistenza,
senza alcun pregiudizio per l'attore, anche in corso di causa, com'è
avvenuto nel caso di specie.
Anche il secondo motivo è infondato.
L'art. 797 c.p.c.,
comma 1, n. 6, - da ritenersi tuttora applicabile nel caso di domande
di dichiarazione di efficacia nella Repubblica delle sentenze di nullità
di matrimonio pronunciate dai Tribunali Ecclesiastici (cfr. tra le
molte Cass. n. 8764 del 2003) - prevede quale condizione ostativa alla
dichiarazione di efficacia nella Repubblica della sentenza straniera la
pendenza davanti ad un giudice italiano di un giudizio per il medesimo
oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in
giudicato della sentenza straniera.
Secondo la
ricorrente il N. non avrebbe assolto l'onere probatorio che a lui
incombeva di fornire la prova della inesistenza di siffatta pendenza, il
che sarebbe di ostacolo alla delibazione della sentenza di nullità del
matrimonio.
Il predetto non solo avrebbe
omesso di allegare la necessaria documentazione (certificazione negativa
della cancelleria del Tribunale) all'atto della citazione, ma non
avrebbe mai prodotto un qualche documento tale da soddisfare il disposto
del menzionato art. 797 c.p.c., comma 1, n. 6.
La
corte di merito ha affermato che non risultano pendenti tra le parti
giudizi sullo stesso oggetto, affermazione che appare corretta atteso
che, avendo la cancelleria del Tribunale certificato (come risulta da
quanto affermato dalla stessa ricorrente) che l'unica causa pendente (e
peraltro ormai definita) tra le parti era una causa di separazione
personale dei coniugi, devesi logicamente ritenere che, facendo
riferimento a tale esclusivo giudizio, abbia implicitamente escluso la
pendenza tra le parti stesse di altri giudizi, aventi un diverso
oggetto, riguardanti il loro matrimonio.
E'
appena il caso di osservare che il riconoscimento degli effetti civili
della sentenza di nullità del matrimonio concordatario, pronunciata dai
Tribunali Ecclesiastici, non è precluso dalla preventiva instaurazione
di un giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi dinanzi
al giudice dello Stato Italiano, giacchè il giudizio e la sentenza di
separazione personale hanno "petitum", "causa petendi" e conseguenze
giuridiche del tutto diversi da quelli del giudizio e della sentenza che
dichiara la nullità del matrimonio (cfr. in tale senso: Cass. n. 3339
del 2003).
Infine anche il terzo ed il quarto
motivo, che proponendo questioni logicamente e giuridicamente connesse
possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Secondo la
ricorrente la sentenza di nullità non potrebbe essere dichiarata
efficace in Italia perchè, ponendosi in contrasto con il fondamentale
diritto alla salute garantito dall'art. 32 Cost., conterrebbe disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano.
Questa
Suprema Corte ha costantemente affermato che la dichiarazione di
efficacia nella Repubblica della sentenza ecclesiastica, che dichiara la
nullità di un matrimonio concordatario per esclusione del "bonum
prolis" nella ipotesi in cui detta intenzione sia stata manifestata da
un coniuge ed accettata dall'altro, non trova ostacolo, sotto il profilo
dell'ordine pubblico, nella circostanza che la legge statale non
include la procreazione fra i doveri scaturenti dal vincolo
matrimoniale, vertendosi in tema di diversità di disciplina
dell'ordinamento canonico rispetto all'ordinamento interno, che non
incide sui principi essenziali di quest'ultimo, nè sulle regole
fondamentali che in esso definiscono l'istituto del matrimonio (cfr. tra
le molte: Cass. n. 7128 del 1982; Cass. n. 2678 del 1984; Cass. n. 192
del 1985; Cass. n. 4875 del 1988).
Con la
sentenza n. 2678 del 1984 questa Suprema Corte ha chiarito che (cfr.
motivazione) la non menzione della procreazione tra i doveri nascenti
dal matrimonio (art. 143 c.c.) non significa che, se un diverso
ordinamento valorizzi tale circostanza, si verifichi un radicale
contrasto con qualche principio fondamentale dell'ordinamento statuale,
che non solo non prevede alcun principio essenziale di "non
procreazione", ma configura il matrimonio come fondamento della
famiglia, finalizzato, cioè, alla formazione di quella società naturale
comprendente anche i figli, quale normale, anche se non essenziale
sviluppo della unione coniugale (artt. 29, 30 e 31 Cost.)
(com'è evidenziato dall'ampia normativa che disciplina e tutela la
procreazione e la prole in una precisa analisi di diritti e doveri.
Da
ultimo le sezioni unite di questa Suprema Corte con la sentenza n.
19809 del 2008, dopo avere distinto le cause di incompatibilità delle
sentenze di altri ordinamenti, che annullino il matrimonio, con l'ordine
pubblico italiano in assolute e relative ed avere affermato che nella
ipotesi di delibazione di sentenze di ordinamenti stranieri rileva ogni
tipo di incompatibilità (sia essa assoluta che relativa), hanno ribadito
il principio, già affermato in precedenti pronunce ; secondo cui le
sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, in ragione del favore
particolare al loro riconoscimento che lo Stato italiano s'è imposto
con il protocollo addizionale del 18 febbraio 1984, modificativo del
Concordato, possono essere delibate anche in caso di incompatibilità
relativa.
Nel caso di specie non appare
configurabile neppure tale incompatibilità, non potendosi ritenere
rilevanti, al fine di verificare la compatibilità della sentenza del
Tribunale ecclesiastico con l'ordine pubblico italiano, circostanze,
quali quella addotta dalla ricorrente (malattia contagiosa del marito,
che avrebbe potuto pregiudicare la salute sia della moglie che di
eventuali figli), che ai fini della dichiarazione di nullità del
matrimonio da parte del Tribunale ecclesiastico non hanno assunto alcun
rilievo causale.
La compatibilità o meno con
l'ordine pubblico italiano deve essere verificata con riferimento alla
causa per la quale viene dichiarata la nullità del matrimonio.
Nella
fattispecie la nullità del matrimonio concordatario è stata dichiarata
per la concorde esclusione del bonum prolis da parte di entrambi i
coniugi e, quindi, per una causa, che la giurisprudenza di questa Corte,
per quel margine di maggiore disponibilità che lo Stato si è imposto,
in materia matrimoniale, nei confronti dell'ordinamento canonico
rispetto agli altri ordinamenti stranieri, ha costantemente riconosciuto
non essere incompatibile con l'ordine pubblico italiano.
Per
quanto precede il ricorso deve essere rigettato. La particolarità della
materia oggetto del presente giudizio appare giusto motivo per la
integrale compensazione tra le parti della spese giudiziali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2009
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