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(Sezione sesta, sentenza n. 9528/09; depositata il 3 marzo) |
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 09-01-2009) 03-03-2009, n. 9528
Svolgimento del processo
1.- Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Napoli confermava la penale responsabilità di R.R., Ru.
V. e A.A., rispettivamente:
il R.:
a)-b)-
per i delitti ex artt. 81 cpv., 317 e 519 c.p. (continuata induzione di
straniera extracomunitaria a prestazioni sessuali, mediante abuso di
qualità e poteri di assistente della polizia di Stato in servizio presso
l'ufficio stranieri della Questura di (OMISSIS));
il Ru.:
c)-d)-
per i delitti ex artt. 81 cpv., 317 e 519 c.p. (continuata induzione di
due straniere di nazionalità brasiliana a prestazioni sessuali,
mediante abuso di qualità e poteri di assistente della polizia di Stato
in servizio presso l'ufficio stranieri della Questura di (OMISSIS));
l' A.:
f)- per il delitto ex artt. 110 e 479 c.p.
(concorso in apposizione su passaporti di straniere extracomunitarie di
date false con timbri datari della Polaria di Capodichino).
2.- Propongono ricorso per cassazione i prevenuti.
3.- Il R. (con due atti di ricorso) deduce:
a.- violazione di legge, in relazione all'acquisizione ex art. 512 c.p.p.
delle dichiarazioni predibattimentali della cittadina extracomunitaria
presunta vittima degli abusi, stante la non imprevedibilità della sua
successiva irreperibilità;
b.- violazione dell'art. 197 c.p.p., comma 1, lett. d) in relazione all'assunzione testimoniale del teste C., ausiliario del P.M.;
c- violazione dell'art. 500 c.p.p., in relazione all'utilizzo delle dichiarazioni predibattimentali contestate ai testi B., P. e Ag.;
d.- violazione dell'art. 317 c.p.,
in relazione alla ritenuta riconducibilità nel campo di applicazione di
tale norma delle prestazioni sessuali ipoteticamente pretese dal p.u.
(e non suscettibili di valutazione economica) e all'assenza di qualsiasi
prova di coartazione della presunta vittima;
e.- violazione dell'art. 15 c.p., in relazione al ritenuto concorso formale con il delitto ex art. 317 c.p. di quello ex art. 519 c.p., chiaramente ricompreso nel primo;
f-
vizio di motivazione, in relazione alla valutazione del materiale
probatorio, condotta senza tenere adeguato conto delle molteplici
ragioni di inattendibilità delle dichiarazioni della cittadina
extracomunitaria presunta vittima degli abusi;
g.- vizio di motivazione sulla misura della pena.
4.- Il Ru. deduce:
a.-
vizio di motivazione, in relazione alla valutazione del materiale
probatorio, condotta senza tenere adeguato conto dell'assenza, alla
stregua delle dichiarazioni rese dalle cittadine extracomunitarie
presunte vittime degli abusi, di elementi indicativi di qualsiasi
condotta di violenza o abuso da parte del p.u.;
b.-
vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione alla possibile
qualificazione del fatto sub specie del delitto ex artt. 322 e 319
c.p.;
c- violazione dell'art. 15 c.p., in relazione al ritenuto concorso formale con il delitto ex art. 317 c.p. di quello ex art. 519 c.p., chiaramente ricompreso nel primo.
5.-
L' A. deduce vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione
alla valutazione del materiale probatorio, condotta travisando i dati
reali e omettendo di esaminare i rilievi formulati nell'atto di appello,
e alla negata ammissione del mezzo di prova costituito dalla
fonoregistrazione di dichiarazioni del coimputato (poi deceduto) S..
Motivi della decisione
I ricorsi sono infondati.
Iniziando da quello del R., in ordine ai vari motivi dedotti si osserva quanto segue.
Sulla denunciata violazione di legge relativa all'acquisizione ex art. 512 c.p.p.
delle dichiarazioni predibattimentali della persona offesa Q.E., si
assume nel ricorso che la successiva irreperibilità della donna,
integrante la irripetibilità dell'atto posta a giustificazione della sua
acquisizione, non può essere considerata un fatto anteriormente
imprevedibile (secondo quanto prescritto dalla citata norma
codicistica), posto che essa, quando venne assunta, era una straniera
extracomunitaria (colombiana) priva di stabile insediamento nel
territorio nazionale, che, oltretutto, aveva espressamente dichiarato
che avrebbe lasciato definitivamente l'Italia alla scadenza del permesso
di soggiorno, di cui era munita.
Nella
sentenza impugnata l'eccezione è stata respinta sul rilievo che non
basta a far ritenere la successiva irreperibilità di un soggetto la mera
condizione di straniero extracomunitario, tant'è che nella specie le
altre extracomunitarie coinvolte nelle vicende oggetto di causa sono
state regolarmente rinvenute e della stessa Q. si è appurato che era
comunque rimasta in Italia per molti anni dopo la scadenza del permesso
di soggiorno.
Premesso, da un lato, che
l'acciaiata irreperibilità sopravvenuta del dichiarante configura
un'ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in
contraddittorio prevista dall'art. 111 Cost., comma 5, (Cass.
sent. 10.12.2004 n. 5821, Alfieri e, in obiter, Corte Cost. ord.
22.11.2001 n. 375), e non determina, quindi (al di fuori del caso in cui
ne risulti la derivazione dalla volontà di sottrarsi all'esame, la
inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni a sensi dell'art. 526 c.p.p., comma 1 bis, (Cass. sent.
20.06.2006
n. 23571, Ogaristi), e, dall'altro, che la sopravvenuta impossibilità,
per fatti o circostanze imprevedibili, della ripetizione di atti assunti
anteriormente al dibattimento, deve essere liberamente apprezzata dal
giudice di merito, la cui valutazione, se adeguatamente e logicamente
motivata, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità (Cass.
sent.
23.10.2002 n. 42926, Manazza), si
osserva che la surriportata motivazione resa dalla Corte di merito non è
affetta da illogicità e appare in linea con vari precedenti di questa
Corte (oltre alla sentenza già citata, v. sent. 13.10.2005 n. 40957,
Benkhalek; sent.
08.06.2007 n. 33785, De Lus Santos).
Nè
a diverse conclusioni può indurre la circostanza che la Q. avesse
dichiarato che avrebbe lasciato definitivamente l'Italia alla scadenza
del permesso di soggiorno, posto che - a prescindere dal fatto che
questo poi non avvenne - la dichiarata intenzione dello straniero
extracomunitario di non restare nel nostro Paese dopo la scadenza del
permesso di soggiorno non implica nè giustifica certo per sè la
previsione che ne diverrà ipso facto impossibile la futura assunzione,
tenuto conto in particolare della disciplina di cui agli artt. 727 e 729 c.p.p..
Non sussiste poi la denunciata violazione dell'art. 197 c.p.p.,
comma 1, lett. d) in relazione all'assunzione testimoniale del teste
C., per la dedotta incompatibilità con la sua veste di ausiliario del
P.M..
Nella sentenza impugnata l'eccezione è
stata respinta sul rilievo che l'assunzione de qua è stata correttamente
circoscritta alle sole domande attinenti all'attività di indagine
svolta dal C..
Premesso che è generica e
puramente assertiva l'obiezione per cui non sarebbe possibile fare
distinzioni in ordine alle due fonti di cognizione del teste, rilevasi
che la motivazione resa dalla Corte di merito appare del tutto in linea
con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la disposizione
contenuta nell'art. 197 c.p.p., comma 1, lett. d), che limita
la possibilità di testimoniare a coloro che hanno svolto la funzione di
ausiliari dell'autorità giudiziaria nel procedimento, non è applicabile
nei confronti di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria in relazione
all'attività da essi compiuta nello svolgimento delle proprie funzioni
istituzionali (Cass. sent. 29.02.2008 n. 17335, Venosa; sent.
03.11.2005 n. 44962, Ruberto; 25.03.2005 n. 11924, Spagnolo).
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 500 c.p.p.,
in relazione all'utilizzo delle dichiarazioni predibattimentali
contestate ai testi B., P. e Ag., la Corte di merito, richiamando anche i
rilievi del primo giudice, ha adeguatamente chiarito le ragioni per cui
le stesse, precise, dettagliate e non coartate, rendano non credibili, a
sensi dell'art. 500 c.p.p., comma 2, le deposizioni negatone rese in dibattimento dai predetti testi.
Sul
piano del diritto sostanziale, è stato chiarito in giurisprudenza che,
in tema di concussione, il termine "utilità" indica tutto ciò che
rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale,
patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile,
consistente tanto in un dare quanto in un facere e ritenuto rilevante
dalla consuetudine o dal convincimento comune;
ne
deriva che i favori sessuali rientrano nella suddetta categoria in
quanto rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la
promessa o la effettiva prestazione Cass. SS.UU sent. 11.05.1993 n. 7,
Romano; Cass. sent 03.03.1998 n. 4317, Clarucci).
Circa poi la contestazione del ritenuto concorso formale fra il delitto ex art. 317 c.p. e quello ex art. 519 c.p. (vecchio testo), deve rilevarsi che non è ravvisabile fra le relative fattispecie astratte un rapporto di genere a specie.
In ogni caso, la specialità sarebbe reciproca o bilaterale, presentando l'art. 317 c.p. l'elemento specializzante della qualità del soggetto attivo e l'art. 519 c.p. (vecchio testo) quello dello oggetto materiale della condotta.
Quest'ultima,
inoltre, lede all'evidenza, nella sua unitarietà, due diversi beni
giuridici, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, e
cioè il buon andamento della Pubblica Amministrazione e la libertà di
autodeterminazione della persona nella sfera sessuale (cfr. in termini
Cass. sent. 20.11.2007 n. 1815, Rizza).
Venendo
ora al denunciato vizio di motivazione nella valutazione del materiale
probatorio, siccome condotta in particolare senza tenere adeguato conto
delle molteplici ragioni di inattendibilità delle dichiarazioni della
straniera extracomunitaria presunta vittima degli abusi, si osserva che
la Corte di merito, anche attraverso il richiamo alla pronuncia di prime
cure, ha reso una illustrazione logica e compiuta delle ragioni della
confermata responsabilità dell'imputato, facendo in particolare
riferimento alle precise e circostanziate dichiarazioni della persona
offesa, corredate da un riscontro documentale (relativo alla sua
convocazione notturna in Questura in coincidenza con l'epoca della
seconda riferita violenza) e da riscontri orali (in particolare le
dichiarazioni del C. e dello Sc.).
Alle
obiezioni circa il mancato riscontro della descrizione, fatta dalla Q.,
dei luoghi in cui sarebbero avvenuti i fatti, i giudici di merito hanno
risposto col ragionevole richiamo alla situazione di tensione e
disorientamento in cui si trovava la donna e alla facilità per il R.,
data l'ora notturna e la dimestichezza del posto, di reperire un posto,
negli Uffici della Questura, ove appartarsi brevemente e riservatamente
con la ragazza.
Nè la credibilità della Q. può ritenersi incrinata da eventuali imprecisioni circa l'epoca del primo episodio di violenza.
Quanto alla sussistenza degli estremi della concussione, va precisato in diritto che:
elemento
essenziale della fattispecie criminosa in esame è l'abuso di potere,
per effetto del quale la volontà del soggetto passivo si determina sotto
l'influenza del c.d. metus publicae potestatis (Cass. 10.10.1979,
Biagetti), il quale deve consistere non nella generica posizione di
supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, ma
bensì nel concreto abuso della veste pubblica, idoneo a far sì che la
indebita promessa o dazione da parte del privato sia collegata alla
pressione ad esso abuso connessa (Cass. 20.11.2003 n. 6073, Filippi) e
alla correlata posizione non paritaria con il pubblico ufficiale e,
quindi, di soggezione nei suoi confronti in cui il privato si sia venuto
a trovare (Cass. 18.04.1994, Russo);
le
modalità del comportamento concussorio sfuggono alla possibilità di una
rigorosa delimitazione in chiave descrittiva attraverso predeterminate
regole comunicative (Cass. 17.01.1994, Lentini), potendo lo stesso
estrinsecarsi attraverso qualsiasi atteggiamento, anche implicito (Cass.
22.10.1997, Nicolazzi), che sia comunque in grado, tenuto conto anche
delle particolari condizioni in cui si svolge, di turbare o diminuire la
libertà psichica del soggetto passivo che ne sia destinatario (Cass.
13.11.1986, Grimaudo), indipendentemente dalla verifica della sua
idoneità potenziale a produrre i medesimi effetti nei confronti di
qualsiasi altro soggetto (Cass. 09.02.1996, Fatone);
l'elemento
discriminante della concussione rispetto alla corruzione è costituito
dalla presenza, nella prima, di una volontà prevaricatrice del pubblico
ufficiale, condizionate la volontà del privato (Cass. 03.11.2003 n.
4898, PG c. Di Giacomo), per effetto della quale quest'ultimo versa in
stato di soggezione di fronte alla condotta del pubblico ufficiale,
mentre nella corruzione i due soggetti vengono a trovarsi in posizione
di sostanziale parità (Cass. 01.02.1993, Cardillo), accordandosi, con
manifestazioni di volontà convergenti, sul pactum sceleris (Cass.
13.01.2000, PG c. Lattanzio);
analogamente, il delitto punito dagli artt. 56 e 317 c.p. si distingue da quello previsto dall'art. 322 c.p.,
comma 4 per il fatto che nel primo la condotta del pubblico ufficiale è
astrattamente idonea a determinare uno stato di soggezione, anche se
poi - per particolare resistenza o forza del soggetto passivo - tale
risultato non si produce, mentre il secondo reato concerne le condotte
del pubblico ufficiale dalle quali esula ogni significato di costrizione
o di induzione nei confronti del privato (Cass. 25.02.1994, Fumarola);
la
circostanza che l'atto, oggetto del mercimonio, del pubblico ufficiale
sia illegittimo e contrario ai doveri di ufficio non comporta per sè la
degradazione del titolo del reato da concussione in corruzione, neppure
quando il soggetto passivo versi già in illecito e sia consapevole
dell'illegittimità dell'atto, posto che ciò che occorre e basta ai fini
della sussistenza della concussione è che rimanga inalterata la
posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale
sull'intimorita volizione del privato (Cass. 01.02.1993, Cardillo),
indotta dall'abuso delle qualità o delle funzioni del primo (Cass.
09.03.1984, Avalle), tale da escludere che la volontà del secondo si sia
liberamente determinata (Cass. 04.05.1983, Alfonso).
Nella
specie i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei su
enunciati principi, ravvisando, nella relazione fra la Q., straniera
extracomunitaria munita di permesso di soggiorno turistico, sorpresa a
lavorare in un locale notturno in violazione della normativa di legge, e
il poliziotto dell'Ufficio stranieri, addetto alla verifica della
regolarità della posizione della donna, il quale, al fine di evitare
problemi, le sollecita, nei locali della Questura e in un contesto di
risaputi frequenti atteggiamenti "disinvolti" da parte degli agenti
addetti all'Ufficio predetto, delle prestazioni sessuali, una situazione
di palese squilibrio prevaricatorio, tale da determinare nella donna
uno stato di soggezione idoneo a condizionarne la volontà.
Quanto
infine alla doglianza sulla misura della pena, rilevasi che la stessa è
generica e censura un punto della decisione, che è rimesso alla
valutazione discrezionale del giudice di merito, come tale sottratta al
sindacato di legittimità, ove - come appunto nel caso di specie (v. il
richiamo alla estrema gravità) - corredata di una motivazione
riconducibile ai canoni di cui all'art. 133 c.p. e idonea a far emergere la ragione della concreta scelta operata.
Passando
ad esaminare i motivi dedotti nel ricorso del Ru., può anzitutto farsi
richiamo, per quanto concerne l'eccezione relativa al ritenuto concorso
formale del delitto ex art. 317 c.p. con quello ex art. 519 c.p.
(vecchio testo) e i criteri distintivi fra la concussione e i reati
corruttivi di cui agli artt. 319 e 322, ai rilievi svolti su tali temi
in sede di esame del ricorso del R..
Focalizzando
dunque l'attenzione sul denunciato vizio di motivazione nella
valutazione del materiale probatorio, siccome condotta senza tenere
adeguato conto dell'assenza, alla stregua delle dichiarazioni rese dalle
cittadine extracomunitarie presunte vittime degli abusi, di elementi
indicativi di qualsiasi condotta di violenza o abuso da parte del p.u.,
si osserva quanto segue.
I giudici di merito
hanno dato correttamente atto che le due straniere extracomunitarie
(brasiliane) non hanno parlato di esplicite minacce da parte del Ru.,
agente addetto all'Ufficio stranieri della Questura di (OMISSIS).
Cionondimeno,
in considerazione del contesto in cui si svolsero i fatti (risultante
dalle dichiarazioni del C., dello Sc. e di D.F.), della situazione in
cui le due donne si trovavano (munite di permesso di soggiorno
turistico, lavoravano irregolarmente in un locale notturno), e di quanto
riferito da una delle due donne, M.P.G., in ordine alla circostanza che
aveva dovuto acconsentire a un rapporto sessuale con il Ru., con il
quale, una volta regolarizzata la sua posizione, chiarì che non
intendeva avere rapporti diversi da quelli di amicizia, nonchè del
carattere eccessivamente compiacente e, come tale sospetto e
contraddittorio (la conclamata integrità del Ru. si scontrava con
l'atteggiamento "benevolo" che egli aveva avuto con lei), della
deposizione resa dall'altra donna, D.S. S.S., la Corte d'appello ha
ravvisato, nella situazione determinatasi fra le due donne e il
poliziotto dell'Ufficio stranieri, addetto alla verifica della
regolarità della loro posizione, il quale le invita, dopo averle
sorprese a lavorare irregolarmente in un locale notturno, a concedergli i
loro favori sessuali, un implicito ma univoco atteggiamento
intimidatorio da parte del p.u., esercitato da una posizione di evidente
supremazia, tale da determinare nelle donne uno stato di soggezione
idoneo a condizionarne la volontà.
Tale
conclusione appare scevra da illogicità e conforme al surriportato
orientamento di giurisprudenza, secondo il quale il comportamento
concussorio può estrinsecarsi attraverso qualsiasi atteggiamento, anche
implicito, che sia comunque in grado, tenuto conto anche delle
particolari condizioni in cui si svolge, di turbare o diminuire la
libertà psichica del soggetto passivo che ne sia destinatario.
Venendo da ultimo ai motivi dedotti nel ricorso dell' A., deve rilevarsi che:
la
Corte d'appello ha reso idonea motivazione in ordine alla negata
ammissione del mezzo di prova costituito dalla fonoregistrazione di
dichiarazioni del coimputato (poi deceduto) S., col riferimento alla non
necessità di tale mezzo, a fronte delle risultanze provenienti da testi
presenti e della non presenza ai fatti del prefato coimputato;
la
ricostruzione del fatto addebitato al prevenuto e degli elementi
comprovanti la sua sicura responsabilità è stata operata dalla Corte
territoriale attraverso un'analisi e valutazione precisa e logica delle
deposizioni dei testi ru., Ma., Ca. e Fa., dalla quale emergeva sia la
falsità della data apposta su due passaporti di extracomunitari (v. in
particolare la deposizione Fa.), sia la consapevole, anche se sofferta,
partecipazione al fatto, come autore materiale, dell' A. (già
controllato, unitamente al superiore Pe., di cui era autista,
nell'ambito di accertamenti su attività dirette a favorire l'ingresso in
Italia di extracomunitarie da inserire nei locali notturni);
a
fronte della detta ricostruzione sono stati eccepiti genericamente
errori di lettura e interpretazione delle risultanze processuali e
omissioni di esame dei motivi di appello.
Deve
in chiusura puntualizzarsi che per nessuno dei reati per cui è stata
confermata la responsabilità degli imputati è maturato il periodo
massimo di prescrizione, da calcolarsi (in relazione all'epoca di
emissione della pronuncia di prime cure) a sensi della disciplina
previdente a quella introdotta dalla L. n. 251 del 2005,
dovendo al riguardo tenersi conto delle numerose sospensioni del termine
verificatesi nel corso sia del giudizio di primo grado che di quello di
appello.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e 616 c.p.p., rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2009
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