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venerdì 5 luglio 2013

Cassazione: AUTOVELOX - Interruzione di pubblico servizio




Nuova pagina 1
ABBANDONO DI UFFICIO
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 06-02-2007) 19-02-2007, n. 06890
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Presidente
Dott. MANNINO Saverio F. - Consigliere
Dott. COLLA Giorgio - Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere
Dott. DI CASOLA Carlo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G., nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 5-6-2006 della Corte di Appello di Venezia.
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere, Dott. Vincenzo Rotundo.
Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1.-. Il difensore di M.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza con la quale in data 5/6/2006 la Corte di Appello di Venezia, sezione 1^ penale, (in parziale riforma della condanna, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di millecinquecentoventi Euro di multa inflitta al predetto in primo grado in data 11/3/2005 per il reato di cui agli artt. 110 e 340 c.p.) ha ordinato la non menzione di detta condanna nel certificato del casellario giudiziale.
M.G. è imputato di interruzione di pubblico servizio per avere dapprima ostruito intenzionalmente con la propria automobile ferma a bordo-strada il raggio di azione di una apparecchiatura autovelox, impedendo la regolarità del servizio di rilevazione delle infrazioni, rimasto sospeso per un tempo apprezzabile, e per avere, in un secondo momento (dopo che gli agenti della Polstrada lo avevano allontanato) definitivamente interrotto tale servizio a seguito di una sorta di manifestazione (alla quale lo stesso M. aveva partecipato) inscenata da aderenti alla associazione LIFE, da lui richiamati sul posto, i quali, con sbandieramenti, avevano iniziato a preavvertire i conducenti dei veicoli in arrivo della presenza di una pattuglia della Polstrada.
Con il primo motivo si deduce "omessa motivazione in punto di consapevolezza del servizio in corso" e in generale "in punto dolo dell'imputato" e "travisamento dei fatti". Segnatamente nel ricorso si sottolinea che il M. aveva sempre dichiarato che, quanto meno nella prima fase della presunta interruzione di pubblico servizio, non si era reso conto che era in corso un servizio di accertamento mediante autovelox e, pertanto, non aveva in alcun modo voluto ostacolare la attività della Polizia Stradale. La convocazione degli associati LIFE era avvenuta successivamente, dopo che i colleghi dell'agente S. si erano qualificati ed avevano spiegato il servizio in corso. Nonostante i predetti elementi avessero formato oggetto dei motivi di gravame, la Corte di Appello avrebbe omesso qualunque motivazione sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la errata applicazione dell'art. 340 c.p. per "insussistenza del pubblico servizio, della interruzione e del fatto penalmente sanzionato". Ad avviso del ricorrente, la azione di accertamento di infrazioni al codice della strada, posta in essere con modalità "nascoste" da parte degli agenti di Pubblica Sicurezza, non rientrerebbe nel concetto di erogazione di un pubblico servizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 340 c.p..
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce la "omessa motivazione in punto di partecipazione alla manifestazione della LIFE" e la "omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla condotta dell'imputato in relazione a quella degli altri coimputati" e la "violazione di legge in ordine alla rilevanza penale dell'azione". Nella sentenza censurata non sarebbe contenuta alcuna motivazione in ordine "alla materialità della condotta ipoteticamente attribuita al solo M." e non sarebbe spiegato come mai, tra tutti i manifestanti, era stato condannato il solo M..
2.-. Il ricorso è palesemente infondato.
Tutte le odierne censure sono già state esaminate e respinte, con adeguata motivazione, dalla Corte di Appello di Venezia nella sentenza impugnata. In particolare, la Corte di merito, nel qualificare come servizio pubblico quello posto in essere dalla Polizia Stradale mediante la apparecchiatura autovelox, non ha fatto che applicare consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul punto (Cass. Civ., sez. 1, sentenze n. 24066 del 28/12/2004 e n. 5861 del 17/3/2005). Quanto all'assunto difensivo dell'imputato di non essersi reso conto, quanto meno nella prima fase dei fatti, che era in atto un servizio di accertamento mediante autovelox da parte della Polizia Stradale, e di avere inteso soltanto esercitare la propria vigilanza (come cittadino e come aderente alla LIFE) contro il proliferare della microcriminalità, la Corte di Appello di Venezia ha dettagliatamente ricostruito l'intera vicenda, spiegando come tutte le risultanze processuali escludevano che il M. avesse realmente agito sotto la spinta della preoccupazione di trovarsi in presenza di malintenzionati (il risentimento da lui mostrato nell'apprendere che si trattava di forze dell'ordine; i contatti con l'ispettore D.R. per esprimergli unicamente le sue rimostranze per il servizio della Polstrada; la richiesta di solidarietà agli associati LIFE ed il loro intervento risolutore).
Il tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta affatto quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lettera e) (anche nella sua nuova formulazione), nel quale si risolvono tutte le censure. Come si è visto, gli elementi addotti dal ricorrente sono già stati tutti valutati e correttamente "smontati" dai giudici di merito. Le argomentazioni della Corte di Appello sono logiche ed adeguate e, a fronte di esse, il ricorrente si è limitato sostanzialmente a dedurre, in modo apodittico, tesi di segno contrario e ad insistere genericamente sulla insussistenza dell'elemento psicologico del reato. Ma non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più adeguata) valutazione delle risultanze processuali.
Non rientra, infatti, nei poteri di questa Corte quello di compiere una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa sede circoscritto alla verifica dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione.
3.-. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille), non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2007

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