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ABBANDONO DI UFFICIO
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 06-02-2007) 19-02-2007, n. 06890 |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Presidente
Dott. MANNINO Saverio F. - Consigliere
Dott. COLLA Giorgio - Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere
Dott. DI CASOLA Carlo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G., nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 5-6-2006 della Corte di Appello di Venezia.
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere, Dott. Vincenzo Rotundo.
Udite
le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale, Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1.-.
Il difensore di M.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza con la
quale in data 5/6/2006 la Corte di Appello di Venezia, sezione 1^
penale, (in parziale riforma della condanna, previo riconoscimento delle
attenuanti generiche, alla pena di millecinquecentoventi Euro di multa
inflitta al predetto in primo grado in data 11/3/2005 per il reato di
cui agli artt. 110 e 340 c.p.) ha ordinato la non menzione di detta condanna nel certificato del casellario giudiziale.
M.G.
è imputato di interruzione di pubblico servizio per avere dapprima
ostruito intenzionalmente con la propria automobile ferma a bordo-strada
il raggio di azione di una apparecchiatura autovelox, impedendo la
regolarità del servizio di rilevazione delle infrazioni, rimasto sospeso
per un tempo apprezzabile, e per avere, in un secondo momento (dopo che
gli agenti della Polstrada lo avevano allontanato) definitivamente
interrotto tale servizio a seguito di una sorta di manifestazione (alla
quale lo stesso M. aveva partecipato) inscenata da aderenti alla
associazione LIFE, da lui richiamati sul posto, i quali, con
sbandieramenti, avevano iniziato a preavvertire i conducenti dei veicoli
in arrivo della presenza di una pattuglia della Polstrada.
Con
il primo motivo si deduce "omessa motivazione in punto di
consapevolezza del servizio in corso" e in generale "in punto dolo
dell'imputato" e "travisamento dei fatti". Segnatamente nel ricorso si
sottolinea che il M. aveva sempre dichiarato che, quanto meno nella
prima fase della presunta interruzione di pubblico servizio, non si era
reso conto che era in corso un servizio di accertamento mediante
autovelox e, pertanto, non aveva in alcun modo voluto ostacolare la
attività della Polizia Stradale. La convocazione degli associati LIFE
era avvenuta successivamente, dopo che i colleghi dell'agente S. si
erano qualificati ed avevano spiegato il servizio in corso. Nonostante i
predetti elementi avessero formato oggetto dei motivi di gravame, la
Corte di Appello avrebbe omesso qualunque motivazione sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la errata applicazione dell'art. 340 c.p.
per "insussistenza del pubblico servizio, della interruzione e del
fatto penalmente sanzionato". Ad avviso del ricorrente, la azione di
accertamento di infrazioni al codice della strada, posta in essere con
modalità "nascoste" da parte degli agenti di Pubblica Sicurezza, non
rientrerebbe nel concetto di erogazione di un pubblico servizio ai sensi
e per gli effetti dell'art. 340 c.p..
Con
il terzo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce la "omessa
motivazione in punto di partecipazione alla manifestazione della LIFE" e
la "omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla condotta
dell'imputato in relazione a quella degli altri coimputati" e la
"violazione di legge in ordine alla rilevanza penale dell'azione". Nella
sentenza censurata non sarebbe contenuta alcuna motivazione in ordine
"alla materialità della condotta ipoteticamente attribuita al solo M." e
non sarebbe spiegato come mai, tra tutti i manifestanti, era stato
condannato il solo M..
2.-. Il ricorso è palesemente infondato.
Tutte
le odierne censure sono già state esaminate e respinte, con adeguata
motivazione, dalla Corte di Appello di Venezia nella sentenza impugnata.
In particolare, la Corte di merito, nel qualificare come servizio
pubblico quello posto in essere dalla Polizia Stradale mediante la
apparecchiatura autovelox, non ha fatto che applicare consolidati
orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul punto (Cass. Civ.,
sez. 1, sentenze n. 24066 del 28/12/2004 e n. 5861 del 17/3/2005).
Quanto all'assunto difensivo dell'imputato di non essersi reso conto,
quanto meno nella prima fase dei fatti, che era in atto un servizio di
accertamento mediante autovelox da parte della Polizia Stradale, e di
avere inteso soltanto esercitare la propria vigilanza (come cittadino e
come aderente alla LIFE) contro il proliferare della microcriminalità,
la Corte di Appello di Venezia ha dettagliatamente ricostruito l'intera
vicenda, spiegando come tutte le risultanze processuali escludevano che
il M. avesse realmente agito sotto la spinta della preoccupazione di
trovarsi in presenza di malintenzionati (il risentimento da lui mostrato
nell'apprendere che si trattava di forze dell'ordine; i contatti con
l'ispettore D.R. per esprimergli unicamente le sue rimostranze per il
servizio della Polstrada; la richiesta di solidarietà agli associati
LIFE ed il loro intervento risolutore).
Il
tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta affatto
quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del
ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi
affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio
di cui all'art. 606 c.p.p., lettera e) (anche nella sua nuova
formulazione), nel quale si risolvono tutte le censure. Come si è visto,
gli elementi addotti dal ricorrente sono già stati tutti valutati e
correttamente "smontati" dai giudici di merito. Le argomentazioni della
Corte di Appello sono logiche ed adeguate e, a fronte di esse, il
ricorrente si è limitato sostanzialmente a dedurre, in modo apodittico,
tesi di segno contrario e ad insistere genericamente sulla insussistenza
dell'elemento psicologico del reato. Ma non può costituire vizio
deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una diversa
(e, per il ricorrente, più adeguata) valutazione delle risultanze
processuali.
Non rientra, infatti, nei poteri
di questa Corte quello di compiere una "rilettura" degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa
sede circoscritto alla verifica dell'esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione.
3.-. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p.
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di
una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione delle
questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille),
non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2007
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