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venerdì 5 luglio 2013

Cassazione: Lavoro (Rapporto) licenziamento come atto finale di "mobbing"





Nuova pagina 1
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 12-10-2006, n. 21833


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATTONE Sergio - Presidente

Dott. DE LUCA Michele - Consigliere

Dott. VIDIRI Guido - Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - rel.
Consigliere

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

ha pronunciato la
seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

...omissisvld...., rappresentata e
difesa dall'avv. CAVALIERE ANGELO per mandato a margine del ricorso,
elett. dom. in Roma presso lo studio dell'avv. BUCCARELLI Maria Pia,
via Scandriglia 7;

- ricorrente -

contro

D.L.B., rappresentato e
difeso in appello dall'avv. TARI LILIANA;

- intimato non costituito in
questa sede -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n.
3283/2002 in data 01/10/2002, depositata il 29/11/2002; R.G. 7728/2001;

udita la relazione della causa fatta dal Dott. Vincenzo Di Nubila
all'udienza del 12/07/2006;

udito il Procuratore Generale in persona
del Dott. VINCENZO NARDI, il quale ha concluso per l'accoglimento del
ricorso.


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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. ...omissisvld.... conveniva
dinanzi al Pretore di Latina D. L.B. e chiedeva la condanna del
convenuto al pagamento della somma di L. 20.714.835 a titolo di
differenze retributive, T.F.R., nonchè di sei mensilità di stipendio a
titolo di risarcimento per licenziamento ingiustificato. Il Pretore
dichiarava l'attrice decaduta dal diritto di impugnare il licenziamento
e improcedibile il ricorso. L'attrice proponeva appello, insistendo
nelle proprie domande. La Corte di Appello di Roma accoglieva
parzialmente l'impugnazione, condannando il D.L. al pagamento del solo
T.F.R.; confermava nel resto la sentenza appellata, così motivando: -
la domanda inerente alle differenze retributive consiste
nell'esposizione di "dati numerici criptici" ed è di incomprensibile
significato; manca inoltre la produzione del C.C.N.L. del settore; - il
mancato assolvimento dell'onere di specificare i motivi della domanda e
di produrre il C.C.N.L. implica la reiezione del relativo capo della
domanda; - è fondata la sola rivendicazione relativa al T.F.R.; -
l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento è precluso dalla
decadenza, onde non è possibile accogliere la domanda relativa al
risarcimento del danno da presunto licenziamento illegittimo.

2. Ha
proposto ricorso per Cassazione ...omissisvld...., deducendo quattro motivi. La
controparte non si è costituita.

Motivi della decisione
3. Col primo
motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 604 del
1966, artt. 2, 3, 6, 8, della L. n. 300 del 1970, art. 18, e artt. 1453
e 1455 c.c. e della sentenza n. 44/1996 della Corte Costituzionale: la
Corte di Appello non ha tenuto conto che, ai fini della presente causa,
è irrilevante la decadenza dalla facoltà di impugnare il licenziamento,
perchè è stata esperita la normale azione risarcitoria.

4. Il motivo è
infondato. "La mancata impugnazione del licenziamento nel termine
fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro, bensì
preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel
posto di lavoro e il risarcimento a sensi della L. n. 300 del 1970,
art. 18. Ne consegue che, nell'ipotesi di licenziamento illegittimo,
qualora si sia verificata la decadenza dall'impugnazione, è concesso al
lavoratore di esperire la normale azione risarcitoria in base ai
principi generali che governano questa azione, sempre che ne ricorrano
(e siano dal lavoratore allegati) i relativi presupposti" (Cass.
2.3.1999 n. 1757). Dall'esame della motivazione della citata sentenza,
si ricava che nella specie un lavoratore aveva azionato, nonostante la
intervenuta decadenza, l'azione di reintegra ed aveva chiesto il
risarcimento del danno. La sentenza sfavorevole al lavoratore è stata
confermata, con la statuizione che non era possibile nè la reintegra nè
il risarcimento del danno.

5. Nella specie, risulta che col ricorso in
primo grado l'attrice ha azionato le differenze retributive di cui
sopra, oltre a chiedere sei mensilità di retribuzione data
l'illegittimità del licenziamento.

Essa pertanto non ha esperito, come
apprezzato dai giudici di merito, la normale azione risarcitoria in
base ai principi generali, ma per l'appunto una azione la quale, previo
accertamento dell'illegittimità del recesso, doveva mettere capo, in
difetto dei presupposti per la tutela reale, al risarcimento del danno
nella misura di sei mensilità della retribuzione. L'accoglimento della
domanda presuppone l'accertamento della mancanza di giusta causa o di
giustificato motivo del recesso; ma tale accertamento è precluso dalla
decadenza dall'impugnazione. La L. n. 604 del 1966, art. 8 prevede il
risarcimento del danno da licenziamento ingiustificato nella misura
massima di sei mensilità di retribuzione; l'art. 6 della citata L. n.
604 del 1966 prevede che il licenziamento debba essere impugnato entro
sessanta giorni dalla sua comunicazione, a pena di decadenza. Dal
combinato disposto delle due norme si ricava che, ove si verifichi
decadenza, non è possibile impugnare il licenziamento, e quindi
ottenere l'accertamento della sua illegittimità, il quale costituisce a
sua volta il presupposto per il risarcimento del danno.

6. La "normale
azione risarcitoria" da fatto illecito, secondo i principi generali,
richiede anzitutto l'indicazione e l'allegazione del fatto ingiusto il
quale si sia accompagnato al licenziamento: a titolo di esempio, può
citarsi il licenziamento ingiurioso, il licenziamento come atto finale
di un "mobbing", il licenziamento pubblicizzato al di fuori
dell'azienda con la finalità di nuocere alla figura professionale del
lavoratore. In altri termini, al licenziamento intrinsecamente
ingiustificato deve accompagnarsi un "fatto ingiusto" secondo i
principi generali, che nella specie non è allegato.

7. Con il secondo
motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 112, 133,
416 e 421 c.p.c.: la Corte di Appello, in virtù del principio di
ricerca della verità, avrebbe dovuto acquisire di ufficio il C.C.N.L.
del settore, la cui applicabilità era pacifica.

8. Il motivo è
infondato. Il potere-dovere del giudice del lavoro di disporre prove di
ufficio non vale a colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa la
parte. Nella specie, il giudice di primo grado ha ritenuto
incomprensibile la rivendicazione di differenze retributive, affermate
apoditticamente nel ricorso e non assistite da alcuna motivazione e
allegazione. E' stata inoltre rilevata la mancata produzione del C.C.N.
L.. Il giudice di appello ha dato atto della produzione di un conteggio
sindacale in secondo grado, ma ha ritenuto ugualmente di non poter
procedere ad alcuna verifica stante la mancata produzione del
contratto. Trattasi di onere che incombe alla parte attrice, onde il
mancato esercizio della potestà di acquisizione non è censurabile in
Cassazione. Si rileva inoltre che parte ricorrente non indica in quale
atto del processo di merito abbia chiesto, sia pure tardivamente,
l'acquisizione del ripetuto C.C.N.L..

9. Col terzo motivo del ricorso,
la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.
c., n. 5: la Corte di Appello nulla ha detto circa la necessità di
ammettere una consulenza tecnica di ufficio a carattere contabile.

10.
Il motivo è infondato. La ricorrente non indica in quale atto del
processo ha chiesto la consulenza tecnica di ufficio. Ove si intenda
che la Corte di Appello avrebbe dovuto disporla autonomamente, valgono
le considerazioni di cui al motivo che precede.

11. Col quarto motivo
del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 91, 92 e 336 c.p.c.,
sotto il profilo della compensazione delle spese di appello e non anche
di quelle di primo grado.

12. Il motivo è infondato. La condanna alle
spese rappresenta una facoltà discrezionale del giudice di merito.
Nella specie, il giudice di primo grado ha posto le spese a carico
della G. in applicazione del principio della soccombenza. Il giudice di
appello ha compensato le spese limitatamente al secondo grado: tale
statuizione non è soggetta a censura, essendosi risolta in un
temperamento del criterio della soccombenza a favore dell'attrice.

13.
Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato. Non
essendosi la controparte costituita, non vi è luogo a pronunciare sulle
spese.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso; nulla
per le spese del processo di legittimità.

Così deciso in Roma, nella
Camera di consiglio, il 12 luglio 2006.

Depositato in Cancelleria il
12 ottobre 2006


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c.c. art. 1223
c.c. art. 2043
c.c. art. 2056
L. 15/07/1966 n. 604,
art. 6
L. 15/07/1966 n. 604, art. 8
L. 20/05/1970 n. 300, art. 18
 

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